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In virtúte tua, Dómine, lætábitur rex, et super salutáre tuum exsultábit veheménter (Ps. 20, 2)

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Ieri abbiamo celebrato la festa dell’Apostolo Bartolomeo-Natanaele, oriundo verosimilmente di Cana di Galilea (secondo la notizia tramandataci da Giovanni: Gv 21, 2), dove ancor oggi una chiesa, quasi sempre chiusa, con a fianco un piccolo cimitero cristiano, ed ubicata a poca distanza dal celebre santuario delle Nozze, ricorda il luogo dove, forse, abitava l'Apostolo.
Il 24 agosto è l’anniversario di una delle numerose traslazioni del corpo del Santo, ed è conformemente a quest’indicazione che la festa di detto giorno è celebrata dai Greci:  πάνοδος το λειφάνου το γίου ποστόλου Βαρθολομαίου. Teodoro il Lettore riporta che l’imperatore Anastasio I fece trasportare una prima volta il corpo dell’Apostolo a Daræ, in Mesopotamia, nel 507 (Teodoro LettoreEcclesiasticæ Historiæ, lib. II, § 57, in PG 86, col. 212), dove Giustiniano gli eresse una basilica (Procopio di CesareaDe ædificiis (Περί Kτισμάτων), lib. II, capp. 2 e 3). Ma si ha notizia di una precedente traslazione a Maipherqat (Martyropolis, nella provincia di Mesopotamia, attuale Tikrit, in Iraq) nel 410, ad opera del vescovo Maruthas. Fonti occidentali (Vittore di Capua) lo dice trasportato in Frigia nel 546, poi se ne perdono le tracce. Finalmente, Gregorio di Tours, nel 580, racconta, dal canto suo, che, dal suo tempo, le reliquie di san Bartolomeo erano venerate nell’isola di Lipari: «Bartholomæum apostolum apud Indiam [al. mss. Asiampassum agonis ipsius narrat historia. Post multorum vero annorum spatia de passione ejus, cum iterum Christianis persecutio advenisset, et viderent gentiles, omnem populum ad ejus sepulchrum concurrere, eique deprecationes assiduæ et incensa deferre, invidia illecti, abstulerunt corpus ejus, et ponentes eum in sarcophagum plumbeum, projecerunt illud in mari, dicentes: “Quia non seducis amplius populum nostrum”. Sed providentia Dei cooperante per secretum operis ejus, sarcophagum plumbeum a loco illo aquis subvehentibus sublevatum, delatum est ad insulam, vocabulo Lyparis. Revelatumque est Christianis, ut eum colligerent: collectumque ac sepultum, ædificaverunt super eum templum magnum. In quo nunc invocatus, prodesse populis multis virtutibus ac beneficiis manifestat» (La storia della sua passione narra che Bartolomeo apostolo subì il martirio in terra d’Asia. Dopo molti anni della sua passione, essendo sopraggiunta una nuova persecuzione contro i Cristiani, e vedendo i pagani che tutto il popolo accorreva al suo sepolcro ed a lui offriva preghiere e incensi, spinti dall’odio portarono via il suo corpo e, postolo in un sarcofago di piombo, lo gettarono in mare dicendo: “perché tu non abbia a sedurre il nostro popolo”. Ma, con intervento della provvidenza di Dio, nel segreto delle sue operazioni, il sarcofago di piombo, sostenuto dalle acque che lo portavano, da quel luogo fu traslato ad un’isoletta detta Lipari. Ne fu fatta rivelazione ai cristiani perché lo raccogliessero; raccolto e sepoltolo, su quel corpo edificarono un gran tempio. In esso è ora invocato e manifesta di giovare a molte genti con le sue virtù e le sue grazie) (San Gregorio di ToursLibri Miraculorum, lib. I, cap. 33, De Bartholomeo apostolo, in PL 71, col. 734).
Da qui, verso il IX sec., le ossa del Santo, profanate e disperse dagli arabi, furono prodigiosamente recuperate e, su ordine del principe longobardo Sicardo V furono trasferite a Benevento, dove furono onorate con la costruzione di una cappella annessa alla cattedrale, dedicata alla “beata Madre di Dio”. Il principe iniziò i lavori senza vederne il compimento perché morì nel luglio 839. Li completò il vescovo Orso I che, «devotamente e tra l’esultanza dell’intero Sannio», la consacrò il 25 ottobre dell’839, deponendovi «il corpo del beato Bartolomeo, unto di odorosi aromi balsamici» (Card. Stefano Borgia, Atti della Traslazione del corpo di S. Bartolomeo Apostolo dall’Isola di Lipari nella Città di Benevento, in Memorie istoriche della pontificia città di Benevento dal secolo VIII al secolo XVIII, vol. I, documento VI, Roma 1763, pp. 307 ss.). Nel 999 (anche se comunemente si continua ad indicare la data del 983) le reliquie di Bartolomeo, o parte di esse, furono realmente concesse all’imperatore Ottone III o furono sostituite con l’inganno e consegnate al sovrano quelle di san Paolino di Nola, sta di fatto che questi le depose all’isola Tiberina, a Roma, nella Chiesa da lui edificata originariamente in memoria dell’amico Sant’Adalberto, vescovo di Praga e martire nel 997. Tale circostanza, ovvero tale presunto inganno subito da Ottone III, costituì per parecchi secoli argomento di aspre dispute tra i Romani e gli abitanti di Benevento.
Nella Città eterna, si dedicò ai santi apostoli Andrea e Bartolomeo il monastero che il papa Onorio I eresse nella sua casa paterna vicino al Laterano e che, per questa ragione, ricevette anche il suo nome nel Liber Pontificalis nelle biografie di Adriano I e di Leone III: monasterium ss. Andreæ et Bartholomæi, quod appellatur Honorii papæ. La piccola chiesa del monastero, con il suo pavimento dei Cosmas, esiste ancora e si trova tra gli edifici dell’antico ospedale di San Michele Arcangelo e quelli che eresse Everso degli Anguillara. Molti Pontefici l’hanno restaurata ed arricchita di doni, tra gli altri Adriano I e Leone III.
Dopo il X sec., un altro santuario, in onore di san Bartolomeo, si elevò nell’isola del Tevere, dove, poco a poco, il tempio eretto da Ottone III in onore del suo antico amico, sant’Adalberto di Praga, cambiò il titolo e fu dedicata al nome dell’apostolo Bartolomeo.
Gli Atti di san Bartolomeo, con il racconto del suo martirio, ad onor del vero, ispirano poca fiducia. Sembra che si debba fare più caso alle tradizioni armene secondo cui Bartolomeo avrebbe predicato il vangelo ad Urbanopolis (o Arenban), nei dintorni di Albak. Lì avrebbe convertito al Cristo proprio la sorella del re, in modo che questi, infiammato di collera, lo fece fustigare finché avesse rese lo spirito. Gli armeni, non a caso, guardano a buon diritto san Bartolomeo come l’apostolo della loro nazione.



Dopo quest’insigne memoria, oggi il calendario tradizionale ci propone quella di san Luigi (o Ludovico) IX, re di Francia.
Ecco un re sul quale il Cristo crocifisso impresse profondamente le stigmate della sua Passione. Per dimostrare che la virtù non ha sempre la sua ricompensa in questo mondo, Luigi, che la sua pietà spingeva senza tregua verso l’Oriente, alla riconquista dei luoghi santificati dal sangue della Redenzione, raccolse, al posto di palme e di allori, disfatte e cattività; così che, ricomprato dai suoi, tornò a Parigi, riportando come un trofeo simbolico delle sue campagne la corona di spine del divin Salvatore. Morì vittima dell’epidemia sotto le mura di Tunisi, che si preparava ad assediare, il 25 agosto 1270. Le notizie della vita di questo re ci sono state tramandate da Guglielmo di Nangis, nelle Gesta Ludovici IX, e da Jean de Joinville nella sua Livre des saintes paroles et des bons faiz de nostre saint roy Looÿs. Su Luigi IX, cfr. Benoît GrévinLuigi IX, Re di Francia, Santo, in Enciclopedia Federiciana, vol. II, 2005; Jacques Le GoffSaint Louis, trad. it. Aldo Serafini (a cura di), San Luigi, Torino 2007, passim.
Roma cristiana gli ha dedicato un tempio insigne non lontano dallo stadium Domitiani, denominata San Luigi dei Francesi (Cfr. M. ArmelliniLe chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, pp. 436-437), famosa per le tele del Caravaggio sul ciclo di san Matteo nella cappella Contarelli, e chiesa nazionale dei Francesi nell’Urbe.
Oggi la Chiesa, con questa memoria liturgica tradizionale, ricorda, in maniera particolare, ai fedeli il senso della dignità regale che, con la nostra incorporazione al Cristo Re e Sacerdote, abbiamo ottenuto nel sacramento del Battesimo. Se i cristiani appartengono tutti a questa dinastia sacra istituita dal Cristo, regale sacerdotium, conviene che sappiano dominarsi e tenere le loro passioni assoggettate. Si attribuisce a san Colombano una bella espressione che si riferisce a questa libertà regale che deve custodire intatta il cristiano. Questo santo abate, nel 610 d.C., ebbe un duro scontro con i sovrani-tiranni di Borgogna, in special modo la regina Brunechilde, o Brunilde, e suo nipote Teodorico II.
Questa sovrana merovingia, per la verità, ebbe ottimi rapporti con san Gregorio Magno, il quale le inviò per ricompensa alcune reliquie di san Pietro. Ella appoggiò inoltre l’azione missionaria di sant’Agostino di Canterbury. San Gregorio di Tours la definì come donna bella, intelligente, istruita e di sani principi e che, da ariana, si convertì alla fede cattolica (San Gregorio di ToursHistoria Francorum, lib. IV, cap. XXVII, in PL 71, col. 291: «Erat enim puella elegans opere, venusta aspectu, honesta moribus atque decora, prudens consilio, et blanda colloquio. ... Et quia Arianæ legi subjecta erat, per prædicationem sacerdotum, atque ipsius regis commonitionem conversa, beatam in unitate confessa Trinitatem credidit, atque chrismata est, quæ in nomine Christi catholica perseverat»). Era cognata (moglie del fratello) di san Gontranno. Ciò non le risparmiò le critiche di san Colombano, in quanto donna pure eccessivamente ambiziosa ed avida di potere, la quale, come una nuova Gezabele, a tale scopo, nonostante i suoi rapporti col Papa, cercò di tenere sotto controllo il clero disponendo a suo piacimento delle sedi vescovili. Anche il santo vescovo di Vienne, Desiderio, poi celebrato come santo, per aver rimproverato alla regina i costumi suoi e quelli di Teodorico, fu dapprima esiliato e poi ucciso.
Per mantenere il potere ed il controllo sul nipote, peraltro, Brunechilde assecondava le passioni di Teodorico, facendogli tenere a servizio, pur coniugato (con la principessa visigota Ermenberga), moltissime ancelle, che in verità erano vere e proprie concubine (Per le vicende di Brunechilde, Teodorico e san Colombano, le notizie ci sono fornite dal monaco Giona di Bobbio. Cfr. JonaeVitæ Columbani abbatis discipulorumque ejus libri duo, in B. Krusch (a cura di), Mon. Germ. Hist., Script. Rerum MerovingicarumPassiones vitæque Sanctorum Ævi Merovingici, t. IV, Hannoveræ et Lipsiæ 1902, lib. I, capp. XVIII e XX, pp. 86 ss.).
Dicevamo di san Colombano. Questi, dal porto di Nantes, mentre stava per essere imbarcato in stato di arresto e ricondotto verso l’Irlanda, scrivendo ai suoi monaci di Luxeuil (in realtà ad Attala, suo probabile successore, a cui il nostro Santo irlandese si rivolse ad personam nel corpus della stessa lettera per tornare al “voi” verso la fine), così si esprimeva: si aufers libertatem, aufers dignitatem (o si tollis libertatemtollis dignitatem), cioè se elimini la libertà, elimini la dignità (San ColombanoEpistola IVAd Discipulos et Monachos suos, § 5, in PL 80, col. 273, ora anche in Id., Le opere, con Introduzioni di Inos Biffi e Aldo Granata, Milano 2001, Lettera IV Ai suoi monaci, § 6, pp. 68-69).
Ecco il grande dono che Dio ha accordato all’umanità e che il Cristo gli ha in seguito restituito. Dobbiamo custodire gelosamente questa prerogativa della nostra dignità di figli di Dio, senza mai assoggettarci alla servitù degradante delle passioni, senza compiacere gli uomini. La libertà è ordine ed armonia; e per gioire dei frutti di questa vera libertà, bisogna dominare se stessi e mettere spontaneamente sulle spalle il giogo soave della legge del Cristo, liberandoci anche dal desiderio di piacere agli uomini. San Paolo provò a farlo, ma lui stesso scrisse: Si adhuc hominibus placerem, Christi servus non essem (Gal. 1, 10). Il Salmista ha una parola molto forte contro queste vigliacche vittime del rispetto umano: disperdet ossa eorum qui hominibus placent, quoniam Deus sprevit eos (Sal. 53, 6).
La vicenda umana del santo odierno è proprio paradigmatica di quanto si è venuto dicendo. Umanamente parlando le sue imprese militari soprattutto, la sua crociata, furono dei fallimenti. Ma, agli occhi di Dio, furono dei successi, perché il santo re mise da parte ogni ricerca di rispetto umano (a differenza di quanto fece, anni dopo, ad es., un Federico II di Svevia …), ed è, per questo, esaltato in cielo e per questo è annoverato tra i difensori della Chiesa in terra.
Non desta meraviglia, perciò, che numerosi sono coloro che rievocano con passione i nomi dei sovrani delle antiche dinastie francesi. Il nome di san Luigi IX, però, esprime ancora, per questa nazione, tutto un programma ed un ideale di fede, di purezza, di giustizia, di valore e di onore che eleva i gigli della vera Francia cattolica tanto più alto di quanto sia scesa nel fango con la fazione giacobina avversa, distruttrice della sua propria patria.

Simon Vouet, S. Luigi in gloria, 1642-43, Musée des Beaux-Arts, Rouen

Simon Vouet, S. Luigi riceve la corona di spine dalle mani di Cristo, 1639, Chiesa Saint-Paul-Saint-Louis, Le Marais

Georges Rouget, S. Luigi amministra la giustizia perdonando Mauclerc, XIX sec., Musee des Beaux-Arts, Quimper

Gabriel-François Doyen, S. Luigi riceve il Santo Viatico dalle mani del suo confessore, 1773,, cappella della scuola militare (École Militaire), Parigi


Melchior Doze, Morte di S. Luigi, XIX sec., Cattedrale, Nimes


Morte di Luigi IX







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