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Card. Burke: "proposte sinodali controverse ‘semplicemente’ contrarie al cattolicesimo"

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Vista la difficoltà – stante la prevalenza, in seno al Sinodo, dei cattolici rispetto a chi lo è solo di nome – di giungere ad un punto di convergenza che legittimi la Comunione ai divorziati risposati e che legittimi, all’interno della Chiesa, le unioni omosessuali, si sta affacciando l’ipotesi che questa materia possa essere demandata a livello locale, cioè alle singole conferenze episcopali. Questo era anche quanto ci segnalava il giornalista Tornielli essere la proposta anche del card. Koch, che pure avrebbe fama di essere “tradizionalista” ed a cui si richiama l’articolo che segue (v. qui).


In questo modo, spezzandosi l’unità della dottrina e della prassi, come notato anche dal giornalista cattolico Antonio Socci, la conferenza episcopale tedesca potrebbe avere mano più libera, realizzandosi quella indipendenza da Roma come auspicava alcuni mesi fa il “card.” Marx, che, non a caso, vedeva in Lutero uno dei suoi ispiratori (v. qui, qui e qui). In questo senso, del resto, si è posto pure un intervento magisteriale bergogliano, il quale auspicava una maggiore decentralizzazione e la creazione di una “Chiesa sinodale”, che è cosa ben diversa dalla Chiesa come istituzionalmente voluta da Nostro Signore Gesù Cristo (v. qui, qui e qui). Esattamente quel che auspicava, pure in quest’ambito, il “card.” Kasper (v. qui e qui): uno dei “teologi” più in voga ed ascoltati nell’attuale Curia romana. Come qualcuno ha detto, la teologia d’oggi è come la Polonia occidentale: nebbiosa, paludosa, insalubre e periodicamente devastata dai tedeschi … .
Nella festa dell’Evangelista Luca, pubblico, invece, questo salutare intervento cattolico del card. Burke. Siamo lieti, in questo contesto, di ascoltare una voce cattolica! Una delle poche rimaste.


El Greco, S. Luca dipinge la Vergine col Bambino, 1560-67 circa, Museo Benaki, Atene

Anonimo, S. Luca dipinge l'Icona della Madre di Dio Odighitria, XVII sec., Museo bizantino, Atene

Icona moderna di S. Luca con scene della sua vita

Sytov Alexander Kapitonovich, Sant'Evangelista Luca, 1995


Il Cardinale Burke: proposte sinodali controverse ‘semplicemente’ contrarie al cattolicesimo


Provvidenzialmente l’intervista che segue arriva a proposito per confermare l’esistenza del problema di cui all’articolo precedente sulla soluzione prospettata da alcuni padri sinodali di prevedere una maggiore autonomia del vescovo, a livello diocesano, in merito a certi temi. E discutevamo sulla risposta del card. Koch sulle “possibili soluzioni a livello continentale”. La risposta del cardinale Burke conferma le enormi perplessità sui rischi di stravolgimento dell’universalità de la Catholica, ma anche della sua unità. Ricordiamo : Una Santa Cattolica Apostolica (Romana).
15 Ottobre 2015 (LifeSiteNews) - Giovedì mattina, LifeSiteNews ha avuto l’opportunità incontrare il cardinale Raymond Burke a Roma, al termine di una conferenza stampa alla quale ha partecipato ospitato da Voice of the Family. Si è parlato del Sinodo in corso sulla Famiglia, ed in particolare di una proposta controversa, promossa da un partecipante di una recente conferenza stampa in Vaticano[1], di consentire ai vescovi locali di decidere su come affrontare questioni come l’omosessualità e il divorzio.
Il cardinale Burke ha criticato anche la cosiddetta “Proposta-Kasper”, dicendo che essa è basata sulla falsa idea “che in qualche modo la dottrina e la pratica pastorale sono in conflitto tra loro.”
Quanto segue è la trascrizione dell’intervista:

LSN: Cosa pensa dell’idea di “diversità regionali” nella Chiesa? I vescovi locali dovrebbero avere autorità sul piano pastorale per affrontare le questioni relative all’“accettazione sociale dell’omosessualità” ed ai “divorziati risposati?”
Burke: Ciò è semplicemente contrario alla fede e alla vita cattolica. La Chiesa segue l’insegnamento del nostro Signore Gesù Cristo, secondo quanto ci è stato innanzitutto insegnato da Dio nella creazione - ciò che noi chiamiamo legge naturale, ciò che ogni cuore umano comprende perché è stato creato da Dio - ma che poi è stato anche spiegato e illuminato dall’insegnamento di Cristo e nella tradizione della Chiesa.
E questa Chiesa è una in tutto il mondo. Non c’è alcun cambiamento in queste verità, da un luogo ad un altro o da un tempo all’altro. Certamente l’insegnamento di queste verità tiene conto delle particolari esigenze di ogni area. Ma questo non cambia l’insegnamento. L’insegnamento a volte deve essere ancor più forte nei luoghi in cui è più compromesso.
Così, ciò è inaccettabile. Non so da dove provenga questa idea. Significa in realtà che la Chiesa non è più cattolica [universale]. Ciò significa che non è più una nel suo insegnamento in tutto il mondo. Abbiamo una sola fede. Abbiamo un [insieme di] sacramenti. Abbiamo un governo in tutto il mondo. Questo significa ‘cattolica’.
Vorrei anche commentare questa idea di ciò che è “pastorale”.
Gran parte della discussione che ha avuto luogo, a partire dalla gravissima Relazione introduttiva del Cardinale Walter Kasper nel Concistoro Straordinario del 20 e 21 febbraio 2014, è centrata su questa idea che in qualche modo dottrina e pratica pastorale sono in conflitto tra loro.
Questo è assurdo. La pratica pastorale esiste per aiutarci a vivere le verità della fede, a vivere la dottrina della fede nella nostra vita quotidiana. Non può esserci conflitto [tra esse]. Non possiamo avere la dottrina della Chiesa, per esempio, che il matrimonio è indissolubile e poi qualcuno che al tempo stesso sostiene, per motivi “pastorali” che una persona che vive in un’unione irregolare è in grado di ricevere i sacramenti; il che significherebbe che il matrimonio non è indissolubile. Queste sono solo false distinzioni - falsi contrasti - che abbiamo davvero bisogno di chiarire perché stanno causando una immensa confusione tra i fedeli e, naturalmente, in ultima analisi, possono indurre le persone in grave errore con grande danno per la loro vita spirituale e per la loro salvezza eterna.

LSN: Cosa devono pensare e di fare i fedeli quando vedono Padri sinodali suggerire posizioni eterodosse riguardanti l’omosessualità e il divorzio?
Burke: Seguiamo il nostro Signore Gesù Cristo. Egli è il nostro Maestro. E siamo tutti tenuti a obbedire a lui e alla sua parola, a cominciare dal Santo Padre e dai Vescovi. Se un vescovo o un sacerdote, o chiunque, dovesse annunciare o dichiarare qualcosa in contrasto con la verità di Nostro Signore Gesù Cristo, come ci è stata comunicata nell’insegnamento della Chiesa, seguiamo Cristo.
Dico alle persone che sono preoccupate, perché in questo tempo sembra esserci molta confusione e dichiarazioni sulla fede che sono davvero stupefacenti, che dobbiamo rimanere sereni. Perché, nella Chiesa cattolica, abbiamo il magistero, espresso, per esempio, nel Catechismo della Chiesa Cattolica, ed è semplicemente necessario studiare queste cose più a fondo, aderire ad esse più ardentemente, e non essere sviati da falsi insegnamenti, da qualunque provengano.

LSN: Alcuni suggeriscono che c’è ben poco disaccordo nel Sinodo e che i media sono colpevoli di manipolare il conflitto dove non esiste. Che ne pensa?
Burke: Prima di tutto, devo precisare che non faccio parte del Sinodo. Non ho alcun coinvolgimento con coloro che sono all’interno del Sinodo. Ho letto, non solo ciò che è stato detto dai media, ma anche i rapporti ufficiali del Vaticano. E ho avuto conversazioni con alcuni padri sinodali. Al contrario, ho percepito che ci sono contrasti molto forti all’interno del Sinodo. Data la discussione da cui è stato portato avanti il Sinodo - e anche, dato l’ Instrumentum Laboris, con le gravi difficoltà con quel documento - avrei trovato difficile credere che non ci sarebbe stato un forte disaccordo. Altrimenti, non stiamo andando verso la verità delle cose. Non stiamo giungendo a salvaguardare e promuovere la fede cattolica come necessario.
Ho l’impressione che in effetti c’è disaccordo.
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Nota della redazione: 

1. Rispondendo ad una domanda circa l’unità nella diversità, l’Abate [Jeremias Schröder, Abate Presidente della Congregazione di Sant’Ottilia] ha riportato come esempi sia “l’accettazione sociale dell’omosessualità” che l’occuparsi dei “divorziati risposati”; “per cui dovrebbe essere consentito alle conferenze episcopali formulare risposte pastorali in sintonia con ciò che può essere predicato e annunciato e vissuto in contesti diversi” [qui]. (Ecco le “soluzioni a livello continentale” (se non locale) di Koch di cui parlavamo qui).[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

Fonte: Chiesa e postconcilio, 16.10.2015

Comunione, sacrilegio e dannazione in un aforisma tratto dal Catechismo Maggiore di S. Pio X

“In áëra frequénter sublátus, miro fulgóre coruscáre visus est. Rápidos flúvios sicco pede trajécit. Fratres in extréma penúria, cælitus deláta alimónia, cibávit. Báculus, ab ipso terræ defíxus, mox in víridem ficúlneam excrévit. Cum noctu iter ágeret, densa nive cadénte, dírutam domum sine tecto ingréssus est, eíque nix in áëre péndula pro tecto fuit, ne illíus cópia suffocarétur. Dono prophetíæ ac discretiónis spirítuum imbútum fuísse sancta Terésia testátur” (Lect. VI – II Noct.) - SANCTI PETRI DE ALCANTARA, CONFESSORIS

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Pedro (al secolo Juan) Garavita (de Garavito y Vilela de Sanabria), o d’Alcantara, dal nome della sua città natale, morì il 18 ottobre 1562. Fu canonizzato nel 1669, la sua festa fu inserita nel calendario nel 1670 da papa Clemente X con rito semidoppio; elevata al doppio dal 1701.
Tre particolarità distinguono soprattutto questo santo. La prima è l’incrollabile rigore delle austerità con le quali si sforzò, vero martire d’amore, di compiere in se stesso, come l’apostolo san Paolo, quello che manca alla Passione del Cristo a profitto della Chiesa. Lo spirito della riforma francescana inaugurata nella nuova provincia, detta di San Giuseppe, che egli istituì, è uno spirito di grande penitenza e di povertà rigorosa.
La seconda caratteristica di san Pietro d’Alcantara è l’abbondanza di doni mistici e della grazia di una contemplazione sublime alla quale fu elevato in ricompensa delle sue austerità.
La terza caratteristica, infine, si trova nella parte attiva che egli prese alla riforma operata da santa Teresa, di cui il Santo, insieme a san Francesco Borgia, fu il primo ad esaminare ed ad approvarne lo spirito.
Dal canto suo, santa Teresa dichiarava che ella non aveva mai nulla chiesto al Signore per i meriti del Fratel Pietro senza venire sempre esaudita: «Díjome el Señor que no le pedirían cosa en su nombre que no la oyese. Muchas que le he encomendado pida al Señor, las he visto cumplidas. Sea bendito por siempre. Amen»; «Una volta il Signore mi disse che avrebbe sempre esaudito chi gli avesse chiesto qualcosa in suo nome. Infatti, ho visto sempre soddisfatte le richieste che gli ho raccomandato di porgere al Signore. Sia per sempre benedetto! Amen» (Santa Teresa d’Avila, Libro della vita, Milano 2006, cap. 27, § 20, p. 237).
La messa Justusè la stessa del 31 gennaio, per la festa di san Pietro Nolasco, salvo alcune particolarità.
La prima colletta s’ispira alla parola di san Paolo: l’uomo animale non può percepire le cose dello spirito. Beati quelli il cui occhio interiore è puro, perché saranno degni di vedere Dio.
La prima lettura, in cui l’Apostolo parla della rinuncia fatta da lui a tutte le prerogative della sua razza al fine di guadagnare così il Cristo, è comune alla festa di san Paolo eremita il 15 gennaio.
Le due collette sulle oblazioni e dopo la Comunione sono le stesse del 19 luglio per la festa di san Vincenzo de’ Paoli.
Una parola di san Pietro d’Alcantara è degna, tra tutte, di essere menzionata. Essendo apparso dopo la sua morte a santa Teresa, nel 1562, esclamò: «O fortunata pœnitentia, cui tantum concessum est præmium» (Lorenzo di San Paolo, Portentum pænitentiæ, sive vita Sancti Petri de Alcantara, lib. V, § 296, in Acta Sanctorum, Octobris, vol. 56, t. VIII, Dies XIX, Parigi-Roma 1870, p. 780), «O felix pænitentia quæ tantam mihi promeruit gloriam», «O felice penitenza, che mi ha meritata tanta gloria!»: «Después ha sido el Señor servido yo tenga más en él que en la vida, aconsejándome en muchas cosas. Hele visto muchas veces con grandísima gloria. Díjome la primera que me apareció, que bienaventurada penitencia que tanto premio había merecido y otras muchas cosas. Un año antes que muriese, me apareció estando ausente, y supe se había de morir, y se lo avisé. Estando algunas leguas de aquí cuando expiró, me apareció y dijo cómo se iba a descansar. Yo no lo creí, y díjelo a algunas personas, y desde a ocho días vino la nueva cómo era muerto, o comenzado a vivir para siempre, por mejor decir»; «In seguito, è piaciuto al Signore che io avessi da lui più aiuto di quando era in vita, ricevendone consiglio in molte circostanze. L’ho visto più volte circonfuso di eccelso splendore. La prima volta che mi apparve mi disse che era stata la sua una felice penitenza, avendogli meritato tale premio. Mi era anche apparso un anno prima di morire, quando era lontano alcune leghe da qui; avevo saputo che sarebbe morto e lo avvertii di ciò. Appena spirato, mi apparve e mi disse che andava a riposare. Io non gli credetti e ne parlai con alcune persone; dopo otto giorni giunse la notizia che era morto o, per meglio dire, che aveva cominciato a vivere per sempre» (Santa Teresa d’Avila, op. cit., cap. 27, § 19, p. 237).



Juan Martín Cabezalero, Comunione di S. Teresa d'Avila da parte di S. Pietro d'Alcantara, 1670, Museo Lázaro Galdiano, Madrid


Anonimo, S. Teresa si confessa da S. Pietro d'Alcantara, XVII sec., Santuario del Santo Cristo Ecce Homo, Bembibre 

Lazzaro Baldi, La Vergine col Bambino e S. Giovanni evangelista appaiono a S. Pietro d'Alcantara, 1669 circa, collezione privata


Melchor Pérez de Holguín, S. Pietro d'Alcantara, XVII sec., Casa Nacional de Moneda, Potosi

Anonimo, S. Pietro d’Alcantara appare a S. Teresa, XVII sec., Iglesia-Museo de Santa Clara, Bogotá

Diego de Borgraf, S. Pietro d’Alcantara appare a S. Teresa, 1677, Cattedrale, Tlaxcala, México

Claude François, Estasi di S. Pietro d'Alcantara, XVII sec., chiesa di Notre-Dame de Bonne Nouvelle, Parigi

Scuola di Francisco de Zurbarán, S. Pietro d’Alcantara, The Bowes Museum, Barnard Castle, County Durham

Pietro Novelli, S. Pietro d'Alcantara, XVIII sec., collezione privata


Luca Giordano, Predica di S. Pietro d'Alcantara, XVIII sec., collezione privata


Giovanni Battista Pittoni, Apoteosi di S. Girolamo tra S. Pietro d’Alcantara ed altro santo francescano, 1725 circa, National Gallery of Scotland, Edinburgo

Camillo Tinti, S. Pietro d'Alcantara, XVIII sec., Young Legion of Honor, San Francisco


Anonimo spagnolo, Busto di S. Pietro d'Alcantara, XVII-XVIII sec., collezione privata

Filippo Bigioli – Giovanni Wenzel, S. Pietro d'Alcantara, 1843

Immagini da meditare

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Eduard Fuchs, Lutero ispirato da Satana, 1904

Un estratto del libro del card. Sarah "Dio o niente" in tema di Comunione ai divorziati risposati e di valorizzazione ecclesiale delle coppie omosessuali

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Alla domanda del giornalista Nicolas Diat al cardinal Sarah circa il significato di una frase detta da quest'ultimo sul martirio dei cristiani odierni, il Cardinale, rispondendo, cita una serie di testimonianze di martiri, fino al punto da paragonare il sacrificio del politico Shahabaz Bhatti al martirio di san'Ignazio di Antiochia. Nella stessa risposta, egli poi lancia una dura requisitoria sull'idea di misericordia oggi molto in voga, sostenendo che, mentre da un lato c'è chi perde la vita per amore di di Cristo, dall'altra c'è chi perde il tempo, per inseguire le mode, a discutere di Eucarestia ai divorziati risposati o alla valorizzazione ecclesiale della questione degli omosessuali.
Ecco un estratto dalle pagg. 366-370, partic. 369, del libro-intervista al card. Sarah, Dio o niente. Conversazione sulla fede, edito da Cantagalli, 2015.






Nuova immagine da meditare: sulla missione della Chiesa

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Tommaso Minardi e Luigi Fontana, La missione degli apostoli o Propagazione del Cristianesimo, 1864, Sala degli ambasciatori, Palazzo del Quirinale, Roma

Maria, condivisione della condizione umana, peccato, inganno del peccatore in un aforisma di Giovanni Paolo II

Cristo,tolleranza del male, misericordia, Chiesa e sacerdoti in un aforisma del card. Ratzinger e del card. Burke


Un forte appello ai sinodali anche dai non cattolici!

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Nella memoria dei SS. Ilarione abate (famoso per le sue ultime parole, pronunciate mentre agonizzava: «Esci, anima mia, da questa vita. Di che cosa hai paura, perché tentenni? Per quasi settant’ anni hai servito Cristo, perché temi la morte?»; «Egredere, quid times? Egredere, anima mea, quid dubitas? Septuaginta prope annis servisti Christo, et mortem times?»: San Girolamo, Vita S. Hilarionis eremitæ, § 45, in PL 23, col. 52B; ed. 1883, col. 54B)  ed Orsola e compagne martiri, rilancio quest’appello, riprodotto anche in Chiesa e postconcilio, ed il cui testo originario è tratto da Lifesitenews. È singolare che certe verità siano più comprese ad extra che ab intra… (v. anche Chi ha capito di più la lettera dei tredici cardinali? Un grande teologo valdese).

Octave Tassaert, La tentazione di S. Ilarione, 1857 circa, Museum of Fine Arts, Montreal

Vittore Carpaccio, Apoteosi di S. Orsola, 1491, Gallerie dell’Accademia, Venezia

Filippo Vitale, Martirio di S. Orsola e compagne, XVII sec.

Filippo Vitale, S. Orsola, XVII sec.

Un forte appello al papa e ai vescovi al sinodo

«La missione della Chiesa è quella di salvare le anime. Il male, in questo mondo, proviene dal peccato, non dalla disparità di reddito, né dal cambiamento climatico». La traduzione è nostra.

La dottoressa Anca-Maria Cernea, medico presso il Center for Diagnosis and Treatment-Victor Babes e Presidente dell’Associazione dei Medici Cattolici di Bucarest (Romania), ha presentato al sinodo, il 17 ottobre, il seguente appello a papa Francesco e ai padri sinodali:

Santità, Padri sinodali, fratelli e sorelle,
io rappresento l’Associazione dei Medici Cattolici di Bucarest.
Appartengo alla Chiesa greco-cattolica rumena.
Mio padre era un leader politico cristiano che è stato imprigionato dai comunisti per 17 anni. I miei genitori erano fidanzati, stavano per sposarsi, ma il loro matrimonio ha avuto luogo 17 anni dopo.
Mia madre ha aspettato tutti quegli anni mio padre, anche se non sapeva neppure se fosse ancora vivo. Sono stati eroicamente fedeli a Dio e al loro impegno.
Il loro esempio dimostra che con la Grazia di Dio si possono superare terribili difficoltà sociali e la povertà materiale.
Noi, come medici cattolici, in difesa della vita e della famiglia, possiamo vedere che, prima di tutto, si tratta proprio di una battaglia spirituale.
La povertà materiale e il consumismo non sono le cause principali della crisi della famiglia.
La causa principale della rivoluzione sessuale e culturale è ideologica.
Nostra Signora di Fatima ha detto che la Russia avrebbe diffuso i suoi errori in tutto il mondo.
Questo è avvenuto prima con la violenza: il marxismo classico ha ucciso decine di milioni di persone.
Adesso avviene soprattutto dal marxismo culturale. C’è continuità dalla rivoluzione sessuale di Lenin, attraverso Gramsci e la Scuola di Francoforte, alla odierna difesa ideologica dei “diritti” dei gay.
Il marxismo classico pretendeva di ridisegnare la società per mezzo della violenta appropriazione dei beni.
Adesso la rivoluzione va ancora più in profondità: pretende di ridefinire la famiglia, l’identità sessuale e la natura umana.
Questa ideologia si autodefinisce progressista. Ma non è niente altro che l’offerta l’antico serpente all’uomo di prendere il controllo, di rimpiazzare Dio, di organizzare la salvezza qui, in questo mondo.
È un errore di natura religiosa: è lo gnosticismo.
È compito dei pastori riconoscerlo, e mettere in guardia il gregge contro questo pericolo.
«Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6, 33).
La missione della Chiesa è quella di salvare le anime. Il male, in questo mondo, proviene dal peccato, non dalla disparità di reddito, né dal “cambiamento climatico”.
La soluzione è l’Evangelizzazione, la conversione.
Non può essere un sempre crescente controllo del governo. Non può essere neppure un governo mondiale. Sono proprio questi, oggi, i principali attori che impongono il marxismo culturale nelle nostre nazioni, attraverso il controllo della popolazione, la “salute riproduttiva”, i “diritti” degli omosessuali, l’educazione di genere, etc.
Ciò che il mondo ha bisogno, oggi più che mai, non è la limitazione della libertà, ma la vera libertà: la liberazione dal peccato. La Salvezza.
La nostra Chiesa fu soppressa dall’occupazione sovietica. Ma nessuno dei nostri dodici vescovi ha tradito la comunione con il Santo Padre. La nostra Chiesa è sopravvissuta grazie alla determinazione e all’esempio dei nostri vescovi, i quali hanno resistito al carcere e al terrore.
I nostri vescovi chiesero alla comunità di non seguire il mondo, di non collaborare con in comunisti.
Adesso abbiamo bisogno che Roma dica al mondo: “Pentitevi dei vostri peccati e convertitevi, perché il Regno di Dio è vicino”.
Non solo noi, laici cattolici, ma anche molti cristiani ortodossi, preghiamo con ansia per questo sinodo. poiché, come si dice, se la Chiesa cattolica cede allo spirito del mondo, allora è molto difficile anche per tutti gli altri cristiani resistere. 

Card. Burke: “Sì, sono fondamentalista: sono aperto al mondo, ma insisto sulle cose fondamentali. Come l’Eucaristia”

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Rilanciamo volentieri quest’interessante intervista rilasciata al Foglio dal card. Burke.

“Sì, sono un fondamentalista”, parla il cardinal Burke

“Sono aperto al mondo, ma insisto sulle cose fondamentali. Come l’eucaristia”. “La Chiesa deve essere chiara sulla sua identità”, dice al Foglio il canonista

di Matteo Matzuzzi

Il cardinale Raymond Leo Burke, ora patrono del Sovrano militare ordine di Malta, è stato prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura apostolica dal 2008 al 2014

Se per fondamentalista si intende qualcuno che insiste sulle cose fondamentali, sono un fondamentalista. Quale sacerdote, non insegno me stesso e non agisco per me stesso. Appartengo a Cristo. Agisco nella sua persona. Insegno solo quello che Egli insegna nella sua Chiesa, perché questo insegnamento salverà le anime”. Il cardinale Raymond Leo Burke, canonista e da quasi un anno patrono del Sovrano militare ordine di Malta, risponde così alla domanda del Foglio se la sua nota e ripetuta opposizione a ogni mutamento della prassi pastorale in discussione in queste settimane al Sinodo sia tacciabile di “fondamentalismo”. Burke dice di lasciar perdere le etichette, il cui uso “è un modo per scontare una persona e per non considerare la verità di quello che egli insegna o fa. Io sono cattolico romano, spero sempre di esserlo, e, alla fine della mia vita terrena, di morire nelle braccia della Chiesa”. Da oggi è  in libreria Divino Amore incarnato - La santa Eucaristia sacramento di Carità (Cantagalli), il suo ultimo libro tutto dedicato al sacramento della comunione. Scrive Burke che l’eucaristia “è un mistero di fede, che edifica la Chiesa”. Un libro che, spiega, “è stato ispirato dagli ultimi anni del pontificato di san Giovanni Paolo II. Negli ultimi due anni del suo ministero petrino, il santo Pontefice ha mostrato una straordinaria preoccupazione per la perdita di fede eucaristica nella Chiesa, una situazione gravissima che egli ha affrontato già dall’inizio del suo ministero petrino. E’ chiaro che al tramonto della sua stagione al Soglio di Pietro egli ha voluto affrontare ancora una volta e con grande forza la situazione, ispirando una nuova evangelizzazione sull’eucaristia quale fonte e più alta espressione della nostra vita in Cristo”.
Di eucaristia si discute e si duella in punta di fioretto da due anni, su libri e giornali e assemblee episcopali. Darla o non darla ai divorziati risposati è il dilemma su cui s’avviluppa il confronto sinodale, con gli schieramenti contrapposti impegnati a individuare un compromesso capace d’evitare ulteriori lacerazioni. Walter Kasper, teologo e cardinale tedesco cui il Pontefice ha assegnato l’onere di tenere la relazione concistoriale sulla famiglia, nel febbraio del 2014, ha ribadito di recente che non si può negare la comunione ai divorziati risposati, dal momento che l’eucaristia “è sempre per i peccatori”. Burke ha le idee chiare: “La posizione del cardinale Walter Kasper non è conciliabile con la dottrina della Chiesa sulla santa comunione e sull’indissolubilità del matrimonio. Certamente, il santissimo sacramento è per i peccatori – che siamo tutti noi – ma per peccatori pentiti. La persona che vive in un’unione irregolare è legata a un altro in matrimonio, e perciò vive pubblicamente nello stato di adulterio, secondo il chiaro insegnamento del Signore nel Vangelo. Finché la persona in un’unione irregolare, cioè in un contesto contrario alla verità di Cristo sul matrimonio, non corregge la propria situazione, non può accostarsi per ricevere i sacramenti, perché non ha manifestato il pentimento necessario per la riconciliazione con Dio”. Eppure se ne discute, e non sono pochi quanti vorrebbero aprire a tale possibilità, anche in nome della misericordia divina che non lascia indietro nessuno. Dice Burke: “Se la Chiesa permettesse la ricezione dei sacramenti (anche in un solo caso) a una persona che si trova in un’unione irregolare, significherebbe che o il matrimonio non è indissolubile e così la persona non sta vivendo in uno stato di adulterio, o che la santa comunione non è comunione nel corpo e sangue di Cristo, che invece necessita la retta disposizione della persona, cioè il pentimento di grave peccato e la ferma risoluzione di non peccare più”.
“Tristemente – aggiunge il porporato – tutta la discussione che ha seguìto la presentazione della tesi di cardinale Kasper, sia prima sia dopo l’assemblea del Sinodo dei vescovi nell’ottobre del 2014, ha già creato una grande confusione tra molti fedeli. Molti preti e vescovi mi dicono che tante persone che vivono in unioni irregolari sono convinte che la Chiesa abbia cambiato il suo insegnamento e che perciò possono ricevere i sacramenti. In una grande città che ho visitato lo scorso maggio, sul portone di una chiesa parrocchiale c’è un avviso in cui si avverte che in quella chiesa i divorziati risposati hanno accesso ai sacramenti. In certi paesi, sembra che diversi vescovi abbiano semplicemente preso la decisione di ammettere ai sacramenti quanti si trovano in un’unione irregolare”. Vede confusione, Raymond Burke: “Non c’è dubbio che la confusione sia già grande, e che la Chiesa, per il bene delle anime e per la sua fedele testimonianza a Cristo nel mondo deve affermare chiaramente il suo perenne insegnamento sull’indissolubilità del matrimonio e sulla santa comunione”.
Il modo per riaffermare tale insegnamento, osserva, è quello di tornare con la memoria al 2003,quando Giovanni Paolo II scrisse “una bellissima lettera enciclica sull’eucaristia, firmata il Giovedì Santo”. In quel testo, “egli ha trasmesso un’istruzione della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, in collaborazione con la Congregazione per la dottrina della fede, allo scopo di correggere i molteplici abusi nella celebrazione della Santa Messa”. Ma non solo, visto che “ha anche convocato l’assemblea del Sinodo dei vescovi sull’eucaristia”, evento che è stato celebrato “dopo la sua morte, sotto la presidenza di Papa Benedetto XVI. Ha anche inaugurato l’Anno dell’Eucaristia per favorire una più adeguata catechesi sulla comunione, una più viva partecipazione nel sacrificio eucaristico, e una più ardente devozione al santissimo sacramento. Papa Benedetto XVI ha proseguito su questa strada di attenzione al sacramento intrapresa dal suo predecessore, conducendo il Sinodo sull’eucaristia e scrivendo una straordinaria esortazione postsinodale, la Sacramentum Caritatis”. Ed è proprio quest’ultima a ispirare, in secondo luogo l’opera del porporato americano. Il rischio di oggi, forse, è di svilirne il senso, quasi facendo apparire la comunione una routine e poco altro: “Non c’è dubbio che, per varie ragioni, il supremo bene con il quale il Signore ha dotato il suo Corpo mistico, la Chiesa, cioè il sacramento dell’eucaristia, da molti nella Chiesa non è visto nella sua realtà tremenda. Quando uno considera la verità enunciata da San Tommaso d’Aquino, secondo cui l’eucaristia contiene tutto il bene della nostra salvezza, è difficile capire come mai tanti si assentino dalla messa domenicale e tanti dichiarino di non ritenere che la sacra ostia sia il vero Corpo di Cristo”.
Ma c’è anche altro, come ad esempio, la difficile comprensione per quel “modo di offrire la santa messa centrato sul sacerdote e sulla congregazione anziché sulla presenza reale di Cristo, assiso alla destra del Padre in cielo, che scende sull’altare per fare presente il suo sacrificio, per offrirci di nuovo il dono di se stesso, come ha fatto per la prima volta all’Ultima Cena, anticipando la sua passione e morte per la nostra salvezza. Se uno crede veramente nel sacramento dell’eucaristia, non rinuncerà a presenziare all’assemblea eucaristica e vorrà dimostrare in modi concreti la sua fede tramite la dignità della celebrazione della santa messa e le devozioni eucaristiche, l’esposizione del Santissimo con la benedizione, le processioni eucaristiche, le visite al Santissimo Sacramento, atti di comunione spirituale durante il giorno, e così via”. Molti anni fa, Joseph Ratzinger notava la crescente partecipazione dei fedeli alla comunione, una tendenza andatasi consolidando nel corso dei decenni. In certe realtà, come gli Stati Uniti, quasi nessuno rimane seduto al proprio posto durante il rito. Il problema, forse, sta anche nel modo in cui si insegna il Catechismo? “Secondo me – dice il cardinale Burke – la principale causa della perdita di fede eucaristica e di tutte le offese offerte al Signore nella sua presenza reale nel santissimo sacramento è una catechesi vacua e perfino erronea che ha pervaso la Chiesa negli Stati Uniti per almeno gli ultimi quarant’anni. Non posso pronunciarmi sulla situazione della catechesi in altri paesi. Già al tempo della mia ordinazione, nel 1975, ho scoperto che i testi di catechesi sull’eucaristia erano gravemente mancanti. Ho insegnato ai bambini, preparandoli per la prima comunione e ho dovuto – fronteggiando anche la resistenza di certi catechisti – lavorare molto per insegnare loro la dottrina essenziale sull’eucaristia e il dovuto comportamento al momento della santa comunione e davanti al santissimo sacramento. Mi ricordo che, nel primo anno, quando domandai ai candidati per la prima comunione che cosa è la sacra ostia, la risposta comune (imparata dai testi della catechesi) fu che è ‘pane speciale’. Quando ho tentato di precisare che, se anche la sacra ostia ha l’apparenza di pane, non è più pane ma il corpo di Cristo, i bambini rimanevano stupefatti: era una cosa che non avevano mai sentito”.
Il fatto – aggiunge il porporato americano – “che alcuni, e forse molti, genitori non insegnassero a casa la verità sull’eucaristia e non assistessero regolarmente alla messa domenicale, ha aggravato sempre di più l’ignoranza della fede eucaristica. Negli Stati Uniti si dice con una certa frequenza che più del cinquanta per cento dei cattolici non crede più nella presenza reale. Ma questo è il cuore della fede cattolica. Chi non crede più nella presenza reale non è più cattolico. La situazione è grave e non può essere corretta se non attraverso una catechesi completa e ripetuta – lungo gli anni dell’infanzia e della gioventù, e anche per gli adulti con l’omelia domenicale – sulla ricchezza della dottrina sull’eucaristia, sul modo di celebrare la santa messa che evidenzia l’azione di Cristo tramite la persona del sacerdote che guida i fedeli nel sacrificio eucaristico. Una catechesi  necessaria anche in riferimento alla devozione eucaristica che è stata sviluppata in modo straordinario lungo i secoli cristiani, come Papa Benedetto XVI sottolinea nell’esortazione postsinodale Sacramentum Caritatis”.
Un esempio può essere dato dall’Africa, dove la Chiesa è giovane e dinamica e i numeri delle conversioni sono straordinari se paragonati a quelli dell’occidente stanco e sempre più secolarizzato? A giudizio del cardinale Burke, “come già il beato  Paolo VI ha insistito e come san Giovanni Paolo II ha ripetuto durante tutto il suo lungo pontificato, la Chiesa nei paesi del cosiddetto ‘primo mondo’ ha urgentemente bisogno di una nuova evangelizzazione, cioè di insegnare, celebrare e vivere la fede cattolica con l’entusiasmo e l’energia dei primi cristiani e dei primi missionari. La Chiesa giovane e vivace in Africa, per esempio, ci insegna tale entusiasmo e energia fondati sicuramente nell’insegnamento apostolico e nella disciplina che lo salvaguarda e promuove”. Burke torna al Sinodo di un anno fa, dove “si insisteva sull’ammissione ai sacramenti per persone che vivono in un’unione irregolare e sulla necessità per la Chiesa di modificare il suo approccio riguardo le coppie che convivono – che non sono sposate ma che vivono in modo coniugale – e a persone dello stesso sesso che vivono una liaison omosessuale. Secondo me – osserva il cardinale – questa insistenza fondamentalmente sbagliata è ispirata da una falsa comprensione del rapporto tra la fede e la cultura. Se la Chiesa deve andare incontro alla cultura, andare alle periferie, come Papa Francesco ci ha frequentemente esortato, questo incontro con la cultura può essere salutare e fruttuoso solo se la Chiesa agisce e parla con la chiarezza e limpidezza congrua alla sua identità divina e umana. Se la Chiesa non è chiara sulla propria identità e su quello che ha da offrire alla cultura, rischia di contribuire alla confusione”, e questo è “l’errore che sta distruggendo la cultura in molti paesi”. Invece – chiosa Burke – “il suo incontro con la cultura deve essere l’occasione per la riforma della cultura stessa. Cristo, quando ha incontrato la Samaritana al pozzo di Giacobbe, è stato sì molto accogliente ma ha parlato chiaramente a lei sul grave disordine dei suoi molteplici matrimoni e dei requisiti inerenti al culto di Dio ‘in spirito e verità’”. Il nostro interlocutore ripercorre i recenti viaggi in Africa e Asia, compreso quello recente in Sri Lanka: “Sono rimasto molto colpito dalle manifestazioni di fede profondamente cattolica, specialmente di fede eucaristica. Era evidente come i fedeli non avessero gli occhi oscurati o accecati dalla secolarizzazione, che non ha niente da fare con la fede perché è fondamentalmente – come ha affermato Papa Giovanni Paolo II – un modo di vivere come ‘se Dio non esistesse’. Invece, la fede vissuta con chiarezza e limpidezza illumina le ombre della secolarizzazione e ispira una trasformazione”.
Qualche giorno fa, il Foglio ha ospitato un intervento del filosofo Stanislaw Grygiel, allievo e per molti anni consigliere di Giovani Paolo II. Grygiel sosteneva che al Sinodo è in gioco la natura sacramentale della Chiesa. Burke osserva che “quando i farisei hanno tentato di ingannare Gesù con la domanda sulla possibilità per gli sposati di divorziare, egli ha risposto insistendo che Dio dall’inizio (dalla Creazione) ha fatto uomo e donna per partecipare, tramite la loro unione fedele,  duratura e procreativa, la loro una carne, al suo amore divino che è fedele, duraturo e generativo di nuova vita umana. Cristo ha reso chiaro che egli non è venuto nel mondo per cambiare la realtà matrimoniale come Dio Padre l’ha costituito dall’inizio del mondo, bensì per restituirla alla sua verità, bellezza e bontà  originale. Per la sua passione, morte, risurrezione e ascensione, Cristo ha elevato il sacramento naturale, quale partecipazione dell’Amore divino, al sacramento soprannaturale, conferendo sugli sposati la grazia di vivere fedelmente, sino alla fine, la verità del loro stato matrimoniale”. “Se la Chiesa cambiasse l’insegnamento sull’indissolubilità del matrimonio sacramentale”, dice Burke, “significherebbe attaccare il matrimonio quale sacramento naturale; il matrimonio come Dio l’ha creato dall’inizio”.
Quanto alle critiche che spesso gli sono rivolte, di essere indisponibile a ogni apertura verso le realtà concrete che trascendono l’astratta dottrina, Raymond Burke sorride: “Sono del tutto aperto al mondo e sono pieno di compassione per la situazione del nostro mondo, che è confuso e in errore sulle più fondamentali verità: l’inviolabilità della vita umana, l’integrità del matrimonio e il suo frutto incomparabile, la famiglia, e la libertà religiosa quale espressione del rapporto insostituibile dell’uomo con Dio. Per questo motivo, vado incontro al mondo con la vera compassione che offre al mondo la verità nella carità. Ho scoperto, durante i quarant’anni del mio sacerdozio, che quello che l’uomo (anche secolare) attende da un prete è Cristo, la sua verità, il suo amore. Un prete che – di fronte alla situazione della cultura odierna – non annuncia con chiarezza la verità, non pratica la carità pastorale e manca nella testimonianza inerente al suo ufficio”.

Fonte: Il Foglio, 14.10.2015

"Non abbiamo bisogno di una chiesa che si muova con i tempi, ma di una Chiesa che muova i tempi" in un aforisma di Chesterton

Presentazione del libro di Mons. Laise, Roma, 24.10.2015

Cari cardinali tedeschi, Tommaso Moro e John Fisher sono morti invano?

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Mentre il Sinodo sulla famiglia - voluto dal vescovo di Roma, ed ispirato dal “card.” Kasper e dal “teologo” Giovanni Cereti (v. qui), nonostante, per ironia della sorte, giusto la Scrittura nel giorno di apertura sinodale mettesse in guardia da possibili novazioni (v. Anteprima del sinodo. Il testo integrale del primo intervento, qui, e Sinodo e omosessualità. La parola a san Paolo, senza censurequi) e nei giorni seguenti i Padri della Chiesa ammonissero i pastori della Chiesa dal prurito di voler novare la prassi slegandola dalla dottrina (C'è un padre sinodale in più: san Gregorio Magno, vqui) -, sta per terminare, al di là degli esiti che possa avere, sono rimasti degli evidenti strascichi polemici.
Innanzitutto la polemica dei vescovi belgi nei confronti dei loro confratelli africani, che avrebbe loro impedito di discutere, in sede sinodale, delle aperture nei confronti degli omosessuali, tanto da concludere – con una vena razzista – che nella Chiesa sarebbe cresciuta troppo l’influenza dell’Africa (Cardinal Sarah blocked discussion of gays, says bishop, vqui)! E non c’è da meravigliarsi di ciò, visto che molti vescovi occidentali si sono davvero adoperati per incoraggiare queste “aperture” (vRomanian doctor at Synod says Cupich, others giving encouragement to homosexuality is ‘criminal’, qui).
Pensiamo poi all’atteggiamento del “card.” Marx, che sembra parlare davvero come Lutero (vIl cardinale Marx? Parla come Lutero, qui).
Pubblichiamo, quindi, quest’interessante riflessione.

Cari cardinali tedeschi, Tommaso Moro e John Fisher sono morti invano?


L’arcivescovo di Denver, Samuel J. Aquila, sulla comunione ai divorziati risposati pone qualche domanda a Kasper e Marx.


Pubblichiamo in una nostra traduzione la riflessione sul Sinodo scritta per il Denver Catholic da Samuel J. Aquila, arcivescovo di Denver, e intitolata “Tommaso Moro e John Fisher sono morti invano”?

L’idea che ai cattolici dovrebbe essere concesso di risposarsi e ricevere la comunione non è stata avanzata per la prima volta nella lettera firmata dal cardinale Kasper e da altri membri dell’episcopato tedesco nel 1993. L’episcopato di un altro paese, l’Inghilterra, ha fatto da pioniere in questo campo della dottrina cristiana circa 500 anni fa. Al tempo non ci si chiedeva appena se un cattolico potesse risposarsi, ma se il re potesse farlo, dal momento che sua moglie non gli aveva generato un figlio.
Come nel caso di coloro che chiedono la comunione per chi si risposa civilmente, così anche i vescovi inglesi non volevano autorizzare apertamente il divorzio e le nuove nozze. Così, scelsero di piegare la legge alle circostanze individuali del caso che dovevano affrontare e il re Enrico VIII ottenne “l’annullamento” su basi fraudolente e senza il permesso di Roma.
Se “l’eroismo non è per il cristiano medio”, per dirla con il cardinale tedesco Walter Kasper, certamente non lo era per il re di Inghilterra. Al contrario, la felicità personale e il benessere di un paese costituivano due forti argomenti a favore del divorzio di Enrico. Ed era difficile che il re si prendesse il disturbo di saltare la comunione come conseguenza di un matrimonio irregolare.
Il cardinale di Inghilterra Wolsey, insieme a tutti i vescovi del paese, con l’eccezione del vescovo di Rochester, John Fisher, appoggiarono il tentativo del re di cancellare il suo primo e legittimo matrimonio. Come Fisher, anche Tommaso Moro, laico e cancelliere del re, gli rifiutò il suo sostegno. Entrambi vennero martirizzati e in seguito canonizzati.
Difendendo pubblicamente l’indissolubilità del matrimonio del re, Fisher sostenne che «questo matrimonio del re e della regina non può essere dissolto da alcun potere, umano o divino che sia». Per questo principio, disse, era disposto a dare la vita. Continuò facendo notare che Giovanni il Battista non aveva trovato «causa più gloriosa per cui morire che quella del matrimonio», nonostante allora il matrimonio «non fosse così sacro come lo è diventato dopo che Cristo ha versato il Suo sangue».
Come Tommaso Moro e Giovanni il battista, Fisher fu decapitato e come loro fu chiamato “santo”. Al Sinodo sulla famiglia che si sta svolgendo in questi giorni a Roma, alcuni vescovi tedeschi insieme ai loro sostenitori stanno facendo pressione perché la Chiesa permetta a chi ha divorziato, e poi si è risposato, di ricevere la comunione. Al contrario, altri vescovi da tutto il mondo insistono che la Chiesa non può cambiare l’insegnamento di Cristo. Questa situazione impone una domanda: credono i vescovi tedeschi che san Tommaso Moro e san John Fisher abbiano sacrificato invano le loro vite?
Gesù ci ha mostrato lungo tutto il suo ministero che per seguirlo è necessario un sacrificio eroico. Quando si legge il Vangelo con cuore aperto, un cuore che non mette il mondo e la storia al di sopra del Vangelo e della Tradizione, si scorge il costo della sequela che tutti i discepoli sono chiamati a pagare. I vescovi tedeschi farebbero meglio a leggere “Il costo dell’essere discepoli” del martire luterano, Dietrich Bonhoeffer. Infatti, ciò che loro promuovono è una “grazia a poco prezzo” invece che una “grazia onerosa”, e sembrano anche ignorare le parole di Gesù: «Chi mi vuol seguire rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc. 8: 34, Lc. 14: 25-27, Gv. 12: 24-26).
Pensiamo, ad esempio, all’adultera che i Farisei presentarono a Gesù per coglierlo in fallo. La prima cosa che fece fu proteggerla dai suoi accusatori e la seconda cosa che fece fu richiamarla. «Va’», comandò, «e non peccare più». Seguendo le parole di Cristo in persona, la Chiesa cattolica ha sempre insegnato che il divorzio e le nuove nozze sono solo un altro modo per chiamare l’adulterio. E poiché la comunione è riservata ai cattolici in stato di grazia, coloro che vivono in una situazione irregolare non possono partecipare a questo aspetto della vita della Chiesa, anche se devono sempre essere accolti all’interno delle parrocchie e anche a Messa.
A maggio, il cardinale Kasper, in un’intervista a Commonweal Magazine, ha affermato che «non possiamo dire se l’adulterio è in corso» quando un un cristiano divorziato e pentito intrattiene «rapporti sessuali» in una nuova unione. Piuttosto, lui ritiene che «l’assoluzione sia possibile». Ma, ancora, Cristo ha chiaramente chiamato adulterio il risposarsi e ha detto che l’adulterio è peccato (Mt. 5:32, Mc. 10:12, Lc. 16:18). Nel caso della Samaritana (Giovanni 4:1-42), Gesù ha anche confermato che risposarsi non può essere valido neanche quando è un gesto dettato da fedeltà e sentimenti sinceri.
Se si aggiunge all’equazione l’alto tasso di fallimenti delle nuove nozze in seguito a un divorzio, nessuno può dire a che cosa potrebbero portare i ragionamenti del cardinale Kasper. Per esempio, la comunione sacramentale dovrebbe essere ammessa solo per coloro che si risposano una volta? E per coloro che si risposano due o tre volte? Ed è ovvio che gli argomenti usati per ammorbidire il divieto di Cristo di risposarsi potrebbero essere utilizzati anche per l’uso dei contraccettivi o per innumerevoli altri aspetti della teologia cattolica, che il mondo moderno e auto-referenziale giudica “difficili”.
Per predire a che cosa porterà tutto questo non serve conoscere il futuro, è sufficiente osservare il passato. Dobbiamo solo guardare la Chiesa anglicana, che ha aperto la porta alla contraccezione (e poi l’ha abbracciata) nel 20esimo secolo e per oltre un decennio ha permesso ai divorziati di risposarsi in alcuni casi.
Il “Piano B” dei vescovi tedeschi, cioè fare “a modo loro” in Germania, anche a costo di andare contro gli insegnamenti della Chiesa, presenta le stesse falle. Ed è “anglicanamente” inquietante. Consideriamo le parole del presidente della Conferenza episcopale tedesca, il cardinale Marx, che secondo la citazione riportata dal National Catholic Register sostiene che mentre la Chiesa tedesca può restare in comunione con Roma per quanto riguarda la dottrina, per quanto riguarda invece la cura pastorale dei singoli casi, «il Sinodo non può prescrivere nel dettaglio ciò che dobbiamo fare in Germania». Enrico VIII sarebbe stato sicuramente d’accordo.
«Non siamo appena una succursale di Roma», ha affermato il cardinale Marx. «Ogni conferenza episcopale è responsabile per la cura pastorale nella sua cultura e deve proclamare il Vangelo a modo suo. Non possiamo aspettare che il Sinodo decida qualcosa, mentre dobbiamo occuparci qui del ministero del matrimonio e della famiglia». Anche gli anglicani hanno ricercato una simile autonomia, anche se questa ha portato come risultato a crescenti divisioni interne e a uno svuotamento delle comunità.
È innegabile che la Chiesa debba raggiungere con misericordia coloro che si trovano ai margini della fede, ma la misericordia parla sempre il linguaggio della verità, non condona mai il peccato, e riconosce che la Croce è al cuore del Vangelo. Si potrebbe richiamare papa san Giovanni Paolo II, citato da papa Francesco alla sua canonizzazione come “il Papa della famiglia”, che scrisse estensivamente della misericordia, dedicandole un’intera enciclica e istituendo la festa della Divina misericordia. Per san Giovanni Paolo II, la misericordia era un tema sì centrale, ma che necessitava di essere letto alla luce della verità e della scrittura, piuttosto che in contrasto con esse.
Per quanto riguarda le nuove nozze, e molte altre questioni, nessuno può dire che gli insegnamenti della Chiesa, che sono quelli di Cristo, siano facili. Ma Cristo stesso non è sceso a compromessi con i suoi principali insegnamenti per impedire ai discepoli di andarsene – che si trattasse dell’Eucaristia o del matrimonio (Gv 6: 60-71; Mt 19: 3-12). Neanche John Fisher è sceso a compromessi per mantenere cattolico il re. Per cercare un modello su questo tema, non dobbiamo andare oltre le parole di Cristo e san Pietro che troviamo nel capitolo 6 del vangelo di Giovanni, un passaggio che ci ricorda che gli insegnamenti sull’Eucaristia sono spesso difficili da accettare per i credenti.
«“È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita. Ma vi sono alcuni tra voi che non credono. (…) Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio”. Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: “Forse anche voi volete andarvene?”. Gli rispose Simon Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”».
Come i discepoli, noi siamo sempre chiamati ad ascoltare la voce di Gesù prima che la voce del mondo, della cultura e della storia. La voce di Gesù illumina le tenebre del mondo e delle culture. Preghiamo affinché tutti prestino ascolto a queste parole di vita eterna, a prescindere dalla loro difficoltà!

"Regnerò malgrado i miei nemici e tutti coloro che si oppongono" (Gesù a Santa Margherita Maria Alacoque) - IN FESTO D. N. JESU CHRISTI REGIS

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Cristo Salvatore in trono, cattedrale, Kotlovka


Cristo in trono, XIX sec., collezione privata

Cristo in trono tra la Vergine e S. Giovanni Battista o Deesis, XIX sec., collezione privata

Karl Pavlovič Brjullov, Cristo dinanzi al popolo (Иисус перед народом), 1843, Museo di Stato, Saratov

Cristo onnipotente, XX sec., collezione privata





ACTUS DEDICATIONIS HUMANI GENERIS JESU CHRISTO REGI

in sollemnitate D.N. Jesu Christi Universorum Regis
(Indulgentia plenaria)

JESU dulcissime, Redemptor humani generis, respice nos [ad altare] [ante conspectum]tuum humillime provolutos.
Tui sumus, tui esse volumus; quo autem tibi coniuncti firmius esse possimus, en hodie sacratissimo Cordi tuo se quisque nostrum sponte dedicat.

Te quidem multi novere nunquam; te, spretis mandatis tuis, multi repudiarunt. Miserere utrorumque, benignissime Iesu, atque ad sanctum Cor tuum rape universos.

Rex esto, Domine, nec fidelium tantum qui nullo tempore discessere a te, sed etiam prodigorum filiorum qui te reliquerunt; fac hos, ut domum paternam cito repetant, ne miseria et fame pereant.

Rex esto eorum, quos aut opinionum error deceptos habet, aut discordia separatos, eosque ad portum veritatis atque ad unitatem fidei revoca, ut brevi fiat unum ovile et unus pastor.

[Rex esto eorum omnium, qui in tenebris idololatriae aut islamismi adhuc versantur, eosque in lumen regnumque tuum vindicare ne renuas.

Respice denique misericordiae oculis illius gentis filios, quae tamdiu populus electus fuit: et Sanguis, qui olim super eos invocatus est, nunc in illos quoque redemptionis vitaeque lavacrum descendat.]*

Largire, Domine, Ecclesiae tuae securam cum incolumitate libertatem; largire cunctis gentibus tranquillitatem ordinis; perfice, ut ab utroque terrae vertice una resonet vox:

Sit laus divino Cordi, per quod nobis parta salus: ipsi gloria et honor in saecula! Amen.

* Decretum S. Paenitentiariae Apostolicae 18 Julii 1959 a formula consecrationis omittur ex publico pars quae ab Rex esto ut descendat.

* * * * * * * *

CONSACRAZIONE 
AL SACRATISSIMO CUORE DI GESÙ

nella festa di Cristo RE
(Indulgenza plenaria)

O Gesù dolcissimo, o Redentore del genere umano, riguardate a noi umilmente prostrati innanzi al vostro altare.
Noi siamo vostri, e vostri vogliamo essere; e per vivere a voi più strettamente congiunti, ecco che ognuno di noi, oggi spontaneamente si consacra al vostro sacratissimo Cuore.

Molti, purtroppo, non vi conobbero mai; molti, disprezzando i vostri comandamenti, vi ripudiarono. O benignissimo Gesù, abbi misericordia e degli uni e degli altri e tutti quanti attira al vostro Sacratissimo Cuore.

O Signore, siate il Re non solo dei fedeli che non si allontanarono mai da voi, ma anche dì quei figli prodighi che vi abbandonarono; fate che questi, quanto prima, ritornino alla casa paterna, per non morire di miseria e di fame.

Siate il Re di coloro che vivono nell’inganno e dell’errore, o per discordia da voi separati; richiamateli al porto della verità, all’unità della fede, affinché in breve si faccia un solo ovile sotto un solo pastore.

[Siate il re finalmente di tutti quelli che sono avvolti nelle superstizioni dell’Idolatria e dell’Islamismo; e non ricusate di trarli tutti al lume e al regno vostro.

Riguardate finalmente con occhio di misericordia i figli di quel popolo che un giorno fu il prediletto; scenda anche sopra di loro, lavacro di redenzione di vita, il sangue già sopra di essi invocato.] *

Largite, o Signore, incolumità e libertà sicura alla vostra Chiesa, largite a tutti i popoli la tranquillità dell’ordine. Fate che da un capo all’altro della terra risuoni quest’unica voce:

Sia lode a quel Cuore divino, da cui venne la nostra salute; a lui si canti gloria e onore nei secoli dei secoli. Amen.

* Per decreto della Sacra Penitenzieria Apostolica del 18 luglio 1959, dalla formula di consacrazione va omesso dalla proclamazione pubblica, il brano che va da Siate il re a di essi invocato.

Regola, eccezione, "caso per caso" in un aforisma di Chesterton


Sulla questione del velo sul calice ....

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Rilancio questo contributo, in materia liturgica, del blog Cantuale Antonianum, risalente al 2012, su una questione ancor oggi attuale, che concerne la questione del velo sul calice. Al tema, lo stesso blog aveva dedicato una serie di contributi Il velo del calice e il senso del sacro (v. qui), nonché – a firma di don Nicola Bux - Il velo del calice e la benedizione dell’incenso (v. qui). A volte i non cattolici sono di esempio agli stessi cattolici quanto a dignità liturgica. E non solo .... .

La Santa Sede ha già risposto nel 1978:
Il velo sul calice ci va

Tovaglie e velo per il calice in stile moderno - Chiesa luterana di Honolulu

Grazie ad un attento lettore che mi ha passato le seguenti informazioni a proposito del post di ieri (vedi qui), possiamo affermare con certezza: il velo che copre il calice e la patena, e viene rimosso all’offertorio per tornare a coprire il tutto dopo la purificazione, NON E’ DA INTENDERSI COME FACOLTATIVO, anche nel rito di Paolo VI, nonostante molti, pur in chiese insigni, non lo usino per trascuratezza o dimenticanza.
Infatti, già nel 1978 era stato indirizzato un quesito alla Congregazione per il Culto Divino. Evidentemente si tratta della “forma ordinaria”, cioè del rito post-conciliare. La risposta può essere riassunta così: “niente è stato mutato rispetto a questo punto, controllate le rubriche”. Il testo che vi cito è ripreso dalla rivista ufficiale della Congregazione: Notitiae 14(1978), pag. 594, n. 16Qui trovate la fotocopia dell’originale.



De calicis velo 
16. Permultis in locis rare adhibetur velum ad calicem cooperiendum qui in abaco ante Missam paratur. Num normae recentiores datae sunt ad usum huiusmodi supprimendum?
Resp.
Nulla norma ne recens quidem data est, quae n. 80c IGMR immutet, ubi legitur: Calix cooperiatur velo, quod potest esse semper coloris albi.
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A proposito del velo del calice 
16. In parecchi luoghi raramente si utilizza il velo per coprire il calice che viene preparato sulla credenza prima della Messa. Sono state date norme più recenti volte a sopprimere questa pratica? 
Risposta
Nessuna norma, neppure recente, è stata data per mutare il num. 80c dell’Ordinamento Generale del Messale Romano, dove si legge: “Il calice sia ricoperto con il velo, che può essere sempre di colore bianco”.

A parte la norma, è anche una questione di decoro e di bellezza. Veder portare in giro il calice e la patena come fossero stoviglie comuni non è affatto stimolo alla preghiera e alla devozione. Non parliamo poi quando in una messa solenne gli accoliti portano “senza tante cerimonie” il calice dalla credenza all’altare...

Come dovrebbe essere... anche nella Chiesa cattolica

Card. Burke: "La ‘Relatio finalis’ manca di chiarezza sulla indissolubilità del matrimonio"

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All’indomani del Sinodo ordinario sulla famiglia, si sono affacciate pressoché immediatamente, sia da parte ortodossa sia da parte novatrice, attestati di vittoria (cfr. i commenti di Chiesa e postconcilioqui, qui, qui, qui e qui; di Rorate caeli qui, qui, qui e qui e di Riscossa cristiana, v. qui). Così ha fatto il “card.” Kasper, a cui ha ribattuto il card. Pell ascrivendo la "vittoria" al suo schieramento (v. qui).
C’è anche chi si è dilettato in calcoli matematici per arguire – forse con un eccesso di semplicismo – la “vittoria” della frangia ortodossa all’interno dell’assise sinodale (v. qui).
Quel che si può dire è che non è andato benissimo per i novatori. Ma non è andata, per altro verso, per loro, neppure troppo male. A conti fatti. Certo, non è stato inserito il richiamo e la legittimazione della c.d. affettività omosessuale e gender. Ed è quasi un miracolo se si considera la gaia macchina da guerra messa in campo da alcuni episcopati, soprattutto del Nord Europa (Germania e Belgio, ma non solo), contro cui si è opposta, avendo la meglio, con decisione e convintamente pressoché tutta la Chiesa d'Africa, ed in special modo il card. Sarah, tanto da suscitare una reazione piccata dei vescovi belgi (v. qui) e la convinzione che, oggi, l'Africa ben possa essere la nuova patria del Cristo come afferma sempre il card. Sarah (v. qui).
Certo, i novatori hanno dovuto mandar giù un documento vago e generico sui divorziati risposati, dove non è menzionata expressis verbis la Comunione per questi, benché la si lasci intendere attraverso un giro di locuzioni verbali (la qualificazione, ad es., per i divorziati risposati, di «membra vive» della Chiesa o il fatto che ricevano addirittura doni e carismi dallo Spirito Santo e facciano persino esperienza feconda del Corpo di Cristo; terminologia, che, teologicamente parlando, implica il ritenerli in stato di Grazia e, dunque, con la possibilità, per loro, di accedere anche all’Eucaristia!). Certo, tutto questo è vero. Ma non possiamo tacere che questa relazione va in ogni caso nel senso di un ribaltamento della prassi. Va ben al di là di quanto Giovanni Paolo II aveva ammesso nella Familiaris consortio. Sebbene fosse vero che lì il papa polacco parlava di valutazione “caso per caso”, questo, però, era riferito alla partecipazione alla vita ecclesiale (all’essere o no padrini di battesimo o cresima, al poter far battezzare il figlio nato dall’unione in seconde nozze, ecc.). Ma lo stesso Giovanni Paolo II non ammetteva alcuna eccezione “caso per caso” per i divorziati risposati («La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia. C’è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio»). I sinodali si son guardati bene dal citare e richiamare integralmente il par. 84 della Familiaris Consortio! Ne hanno riportato, in maniera fuorviante, solo un pezzo, per darne un particolare significato: quello da loro desiderato. Non dimentichiamo, a questo riguardo, che il testo della relazione era stato approvato all'unanimità da una speciale commissione nella quale sedevano per lo più novatori, come aveva ricordato in conferenza-stampa lo stesso P. Lombardi (v. qui)! Dunque, il “caso per caso”, in cui si richiama discutibilmente il magistero di Giovanni Paolo II, è decisamente arbitrario e rappresenta un’alterazione del pensiero di quel Pontefice. Si è andati ben al di là di quello che aveva sancito papa Wojtyla!
Non è vero che nulla è mutato. Ora, nulla sarà come prima.
Ha ragione, dunque, quanto afferma il prof. De Mattei, in un suo recente commento, secondo cui chi ha perso davvero, in sede sinodale, è stata la morale cattolica (v. Il Sinodo fallito: tutti sconfitti, a cominciare dalla morale cattolica, qui), essendosi preferita una formula compromissoria, vaga e generica e, come tale, insoddisfacente dal punto di vista cattolico, che apre evidentemente al seguito … . Ha ragione a questo proposito il blog Rossoporpora che afferma come i vescovi conservatori, che erano in maggioranza, hanno accettato il compromesso, cioè i paragrafi della Relazione finale riguardanti i divorziati risposati, mossi dalla preoccupazione «di mostrare pubblicamente una Chiesa sostanzialmente ancora unita», sebbene, per loro, l’intendimento era quello di non ammettere i divorziati risposati alla Comunione (v. qui). Preoccupazione non si sa sino a che punto legittima, visto che qui è in ballo la Verità e si sa che si deve obbedire a Dio piuttosto che agli uomini (Act. 5, 29), anche se questo avrebbe potuto compromettere un'unità che, ormai, è solo fittizia, essendo emerse, proprio in sede sinodale, drammaticamente due chiese: una cattolica ed unita ed una, diversa, non cattolica, novatrice, impregnata dello spirito di questo mondo.
Del resto, se alcuni sacerdoti, parroci e vescovi, pur in buona fede, forse seguendo alcuni primi commenti di "esperti"normalizzanti e tranquillizzanti e, per questo, minimizzanti (v. quiqui, qui, qui, qui, quiqui e qui), hanno affermato di primo acchito, fondandosi su un’interpretazione approssimativa e, probabilmente frettolosa, del testo sinodale, che nulla sarebbe stato innovato; a costoro, si diceva, bisognerebbe, però, domandare che spiegassero, da parte l'utilità di due assisi sinodali sul tema (a che pro due sinodi se tutto è rimasto tale e quale?), perché ben 80 Padri sinodali abbiano votato contro il par. 85 del documento (se nulla sarebbe stato cambiato, perché questi hanno votato contro?) e bisognerebbe che spiegassero anche il motivo per il quale la Sala Stampa vaticana non si sia affrettata a smentire il senso dei vari titoli giornalistici, interpretazione portata avanti pure da giornalisti vicini all’attuale Curia romana, che, al contrario, hanno parlato di “apertura” nei confronti dei divorziati-risposati (v. qui, qui, qui, qui e qui). Rimarrebbe da spiegare ancora anche il fatto che se tutto fosse rimasto come prima, cosa bisognerebbe valutare “caso per caso”. Interrogativi che è giusto che i pastori di anime si pongano in maniera critica. 
La Chiesa, come ricorda anche il prof. De Mattei nell'articolo sopra citato, ha sempre difeso, invece, l’oggettività della legge e l’eternità della Verità contro ogni soggettivismo di sorta. Ma se l’accedere o meno alla Comunione per essere, dunque, “membra vive” della Chiesa, deve essere valutato “caso per caso” (v. qui e qui), si assiste, invece, al trionfo del soggettivismo, del relativismo e dell’eresia della c.d. etica della situazione, riprovata più volte dal venerabile Pio XII ed inoltre, da ultimo, dal decreto del Sant’Uffizio del 2 febbraio 1956 (in AAS, vol. 48, 1956, pp. 144-145).





In questo documento, il Sant’Uffizio ricordava, come è stato opportunamente posto in luce in un interessante saggio del luglio dell’anno scorso (v. qui), che la morale oggettiva e tradizionale ha sempre studiato le circostanze (quis, quid, ubi, quibus auxiliis, cur, quomodo, cioè quando/chi, cosa, dove, con quali mezzi, perché, come, quando), che accompagnano l’atto umano, ma non ha mai posto le circostanze, le esigenze soggettive e situazionali in luogo della legge morale oggettiva, naturale e divina (tutto il contrario insomma dell’invito al discernimento “caso per caso”!). Le circostanze possono mutare la specie del peccato (ad es., se “chi / quis” viene ucciso è una persona che ha fatto il voto di religione ci si macchia anche di sacrilegio, oltre che di omicidio), possono diminuirla ed anche annullarla (se qualcuno è costretto sotto tortura, “con quali mezzi/quibus auxiliis”, a rivelare un segreto) oppure possono aggravarla (se si ruba una materia grave si commette peccato mortale, mentre se si ruba una materia lieve si commette peccato veniale), ma non sono la legge e la morale. La circostanza è qualcosa che sta attorno (“circum-stare”) ad un nucleo essenziale, come suo accessorio. In teologia morale si parla delle circostanze dell’atto umano, le quali sopravvengono a modificare la moralità dell’atto, che è data essenzialmente dall’oggetto, mentre le circostanze ne sono la parte secondaria e accessoria, anche se non insignificante. Con la morale soggettiva della situazione, invece, prevale il significato psicologico, ossia l’uomo cosciente o consapevole di esistere ed agire e che reclama il primato assoluto della coscienza soggettiva sulla legge morale oggettiva. Perciò alle leggi della Chiesa cattolica, giudicate troppo rigide, si oppone la legge semplice e sovrana della coscienza individuale. L’errore consiste nel voler sostituire alle norme oggettive le aspirazioni soggettive e il sentimento personale, o forse dovrebbe dirsi il capriccio e la licenza, ignorandosi che, affinché un’azione possa considerarsi buona da un punto di vista morale, occorre che siano buone tanto l’oggetto dell'azione quanto le circostanze (delle quali è importantissima l’intenzione o il “cur / per quale fine”). Al contrario, se uno di questi due elementi non è buono (ad es., fare l’elemosina per pavoneggiarsi), l’azione è moralmente guasta e cattiva, e perciò riprovevole. Nel caso dei divorziati risposati, sebbene le circostanze possano in taluni casi umanamente comprendersi (ad es. il voler rifarsi una vita dopo un naufragio matrimoniale o porre fine alla solitudine), certamente non può valutarsi positivamente l’oggetto dell’azione (l’essersi risposati), in quanto contrario alla legge divina: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio» (Marc. 10, 11-12. Cfr. Luc. 16, 18 e Matt. 19, 9. Sulla questione del porneia richiamato da Matteo, cfr., in epoca non sospetta, quanto affermava l’allora Mons. Ravasi, qui). San Paolo, d'altronde, ammoniva: «Si sente da per tutto parlare di immoralità tra voi, e di una immoralità tale che non si riscontra neanche tra pagani, al punto che uno convive con la moglie di suo padre. E voi vi gonfiate di orgoglio, piuttosto che esserne afflitti, in modo che si tolga di mezzo a voi chi ha compiuto una tale azione! Orbene, io, assente con il corpo ma presente con lo spirito ho già giudicato come se fossi presente colui che ha compiuto tale azione: nel nome del Signore nostro Gesù, essendo radunati insieme voi e il mio spirito, con il potere del Signore nostro Gesù, questo individuo sia dato in balia di satana per la rovina della sua carne, affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore» (1 Cor. 5, 1-5). Ed aggiungeva sempre scrivendo alla comunità di Corinto: «Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio» (1 Cor. 6, 9-10).
Tornando al nostro discorso, che dire ancora del Sinodo?
Certo, è vero che le determinazioni sinodali non hanno valore normativo nè deliberativo; hanno solo valore consultivo: lo ricordava, in maniera magistrale, pure il card. Burke nel suo intervento all'Angelicum (v. qui). Per cui, bisognerà attendere le determinazioni del vescovo di Roma. Ma senz'altro, ripetiamo, dall'indomani della conclusione del Sinodo (il 24 ottobre), nulla sarà più come prima.

Cardinale Burke: 
La ‘Relatio finalis’ manca di chiarezza sulla indissolubilità del matrimonio

Su NCRegister la reazione del Cardinale Raymond Leo Burke.



La ‘Relatio finalis’ manca di chiarezza

sulla indissolubilità del matrimonio


Il cardinale Raymond Burke, cardinalis patronus dei Cavalieri di Malta ed ex prefetto della Segnatura Apostolica, ha condiviso con il New Catholic Register la sua reazione iniziale alla Relazione finale del Sinodo sulla Famiglia.
Egli si concentra sui punti 84-86 sul divorzio e sul nuovo matrimonio, affermando che questa sezione è di «preoccupazione immediata a causa della sua mancanza di chiarezza su una questione fondamentale della fede: l’indissolubilità del vincolo matrimoniale, che sia la ragione che la fede, insegnano a tutti gli uomini». Egli dice anche che il modo in cui viene utilizzata la citazione di Familiaris consortio è «ingannevole».
Di seguito il commento del cardinale.

* * *

L’intero documento richiede un attento studio, al fine di capire esattamente quali consigli si stanno offrendo al Romano Pontefice, in accordo con la natura del Sinodo dei Vescovi, «nella salvaguardia e nell’incremento della fede e dei costumi, nell’osservanza e nel consolidamento della disciplina ecclesiastica» (can 342).
La sezione intitolata «Discernimento e integrazione» (paragrafi 84-86), tuttavia, è immediatamente fonte di preoccupazione, per la sua mancanza di chiarezza su una questione fondamentale della fede: l’indissolubilità del vincolo matrimoniale, che sia la ragione che la fede insegnano a tutti gli uomini.

In primo luogointegrazione, è un termine mondano teologicamente ambiguo. Non vedo come possa essere «la chiave di accompagnamento pastorale di coloro che vivono unioni matrimoniali irregolari». La chiave interpretativa della loro cura pastorale deve essere la comunione fondata sulla verità del matrimonio in Cristo, che deve essere onorato e praticato, anche se una delle parti del matrimonio è stata abbandonata a causa del peccato dell’altra parte. La grazia del sacramento del santo matrimonio rafforza il coniuge abbandonato a vivere con fedeltà il vincolo matrimoniale, continuando a cercare la salvezza del partner che ha abbandonato l’unione matrimoniale. Ho conosciuto, fin dalla mia infanzia, e continuo a incontrare cattolici fedeli i cui matrimoni, in qualche modo, sono stati rotti, ma che, credendo nella grazia del Sacramento, continuano a vivere nella fedeltà al loro matrimonio. Essi guardano alla Chiesa per questo accompagnamento che li aiuta a rimanere fedeli alla verità di Cristo nella loro vita.

In secondo luogo, la citazione del n. 84 di Familiaris consortio è fuorviante. All’epoca del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia del 1980, come in tutta la storia della Chiesa, c’è sempre stata la pressione di ammettere il divorzio a causa delle situazioni dolorose di unioni irregolari, cioè coloro le cui vite non sono secondo la verità di Cristo sul matrimonio, come Egli chiaramente l’ha annunciata nei Vangeli (Mt 19, 3-12; Mc 10, 2-12). Mentre, nel n. 84, Papa San Giovanni Paolo II riconosce le diverse situazioni di coloro che vivono in una unione irregolare ed esorta i pastori e l’intera comunità ad aiutarli come veri fratelli e sorelle in Cristo in forza del Battesimo, e conclude: «La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati». Lui ricorda poi la ragione della prassi: «dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia». Egli nota giustamente che una prassi diversa indurrebbe i fedeli «in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio».

In terzo luogo, la citazione del Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1735) per quanto riguarda l’imputabilità deve essere interpretata nei termini della libertà «che rende l’uomo responsabile dei suoi atti, nella misura in cui sono volontari» (CCC, n. 1734). L’esclusione dai Sacramenti di coloro che vivono unioni matrimoniali irregolari non costituisce un giudizio circa la loro responsabilità per la rottura del vincolo matrimoniale a cui sono legati. È piuttosto il riconoscimento oggettivo del legame. La dichiarazione del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi del 24 GIUGNO 2000, anch’essa citata, è in completo accordo con l’insegnamento costante e la prassi della Chiesa in materia, citando il no. 84 di Familiaris Consortio. Quella dichiarazione chiarisce anche la finalità della conversazione con un prete in foro interno, e cioè nelle parole di Papa san Giovanni Paolo II, «una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio» (Familiaris Consortio, n. 84). La disciplina della Chiesa già offre assistenza pastorale per coloro che vivono unioni irregolari che per seri motivi - quali, ad esempio, l’educazione dei figli - non possono soddisfare l’obbligo della separazione, «assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» in fedeltà alla verità di Cristo (Familiaris Consortio, n. 84).

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

Fonte: Chiesa e postconcilio, 26.10.2015

La Chiesa, perennità ed indefettabilità in un aforisma di Bruce Marshall

IV Pellegrinaggio "Summorum Pontificum" - Immagini dell'Adorazione eucaristica nella Basilica di San Lorenzo in Damaso, della Processione presieduta da dom Jean Pateau, osb, abate di Fontgombault, e della Solenne Messa Pontificale in San Pietro celebrata da S. Ecc.za Juan Rodolfo Laise, O.F.M. Cap., vescovo emerito di San Luis (Argentina) - Roma, 25 ottobre 2015

Un giudice sotto attacco .... perché cattolico ....

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Cosa c’è di strano che un giudice applichi la legge? Nulla … se non fosse che quel giudice è cattolico! Terribile delitto!
La cosa può avere dei contorni tragicomici ed invece è reale. Accade in Italia. Sì proprio in quel Paese che, a parole, riconosce la libertà religiosa, non discrimina in base al credo religioso, riconosce la libertà di professare la propria fede, ecc. …, sancite addirittura con parole altisonanti nel testo “sacro” della Carta costituzionale. A parole, ovviamente.
Queste, però, cedono allorché si passi ai fatti. Eh sì. In quel caso, quel diritto costituzionalmente tutelato ... cede. Il che, tradotto, vuol dire “libertà per tutti”, purché tutti la pensino e si riconoscano in quel sistema o nel politicamente corretto di quel momento. Chi è liberale, tollerante per essenza, in fondo, si mostra non tollerante con chi non la pensa come lui … . È una questione classica nel pensiero liberale. Chiunque non si uniforma e non pensa come impone il sistema semplicemente non ha diritti e non ci sono carte costituzionali che tengano!!! Come è avvenuto, del resto, nella "patria delle libertà", gli USA, per la sig.ra Kim Davis (v. qui, qui, quiqui, qui, quiqui e qui).
Non desta meraviglia, dunque, se pure la nostra società occidentale arrivi a negare la libertà a chi è al di fuori del fondamento di esse. Solo che in questa nostra società, il fondamento non è più Dio né la sua Legge divina. Per questo, anche un giudice che applichi né più né meno che la legge, sol perché cattolico e favorevole alla famiglia così come voluta da Dio, non sarebbe imparziale e, quindi, la sua sentenza sarebbe “ideologicamente orientata”. E poco importa che magari quella decisione sia stata assunta in un collegio giudicante ed all’unanimità. No. Semplicemente deve colpirsi il giudice cattolico, perché assuntamente “non imparziale”. Per la verità si accusa, anche gli altri giudici, sebbene con minor clamore, facendo una colpa del presidente del collegio giudicante di appartenere all'Opus Dei (v. qui)!
Ecco quindi che nell’Italia libertaria desti scandalo sui giornali che un magistrato sia semplicemente cattolico e sul suo profilo twitter, peraltro privato, manifesti tali suoi convincimenti.


Ciò che, però, desta scandalo è che ci si scandalizzi per questo e cioè che un magistrato possa avere un credo religioso!!! O meglio, possa essere cattolico e cerchi coerentemente di vivere quella fede professata.
A sollevare lo “scandalo” è stato in Italia il quotidiano, amato dal vescovo di Roma, La Repubblica (v. Nozze gay, dopo il no del Consiglio di Stato è polemica su giudice ‘schierato’. Lui: “Ho solo applicato la legge”, qui), su sollecitazione – evidentemente – delle lobby omosessuali “per i diritti civili” (v. qui e qui) e dal partito del PD (v. qui). Il casus è l’annullamento, da parte della Consiglio di Stato (sentenza del 26.10.2015 n. 4897, v. qui), delle trascrizioni dei c.d. matrimoni omosessuali celebrati all’estero (v. qui, qui e qui), in riforma delle pronunce di alcuni TAR (segnatamente quello del Lazio, qui, e quello lombardo, qui), che, negando le attribuzioni del Ministero dell'Interno, avevano affermato che la questione interessasse il giudice civile e non già il dicastero governativo (v. qui), negando l'ovvietà che la legge italiana consente la trascrizione di matrimoni contratti all'estero sì, ma tra persone di diverso sesso  (cfr. quiqui e qui). Il magistrato aveva semplicemente applicato la legge, come lo stesso ha ricordato (v. qui)! La normativa, tanto costituzionale quanto ordinaria, non permette siffatte trascrizioni. Per cui l'ovvietà sarebbe che se le lobbies desiderano le trascrizioni, non possono ottenerle per via giudiziaria, ma solo mediante la legge e con i meccanismi della legge, sopportando anche gli strumenti che la legge appresta contro le normative incostituzionali e, se necessario, persino il diritto inalienabile all'obiezione di coscienza. Se si accettano i principi della democrazia, deve sottostarsi ai meccanismi da questa permessi, evitando di ... saltare i passaggi ... .
Ed invece nella nostra società l'ovvio non viene colto ... .
Per questo, il giudice è stato fatto oggetto di un grave linciaggio mediatico (v. qui), di vergognosi attacchi, come evidenzia Riccardo Cascioli (v. qui), ovvero di un attacco indecente come sottolinea Avvenire (v. qui). Ed inserito nella lista di .... proscrizione del ... registro italiano dei razzisti e omofobi (v. qui. Su questo "registro", v. qui).

L’impeccabile intervista di Deodato che spiega come si può essere giudici e cattolici

di Redazione

Attaccato per le sue opinioni personali, l’estensore della sentenza sulle trascrizioni delle nozze gay risponde difendendosi dalle accuse.

Oggi sui maggiori quotidiani italiani si parla della sentenza del Consiglio di Stato che ha bocciate le trascrizioni delle nozze omosessuali contratte all’estero. Come vi abbiamo raccontato ieri, subito è esplosa l’assurda polemica intorno alle convinzioni personali dell’estensore della sentenza, il giudice Carlo Deodato. L’accusa è di essere cattolico e di aver condiviso sul proprio profilo twitter alcuni articoli, tra cui tempi.it, la Nuova Bussola quotidiana, il Foglio (a guardar bene ve ne sono anche dell’Huffington Post e de Linkiesta, ma – chissà come mai – loro non fanno parte della “lobby antigender”).
Intervistato oggi da Repubblica, Deodato risponde alle domande della giornalista Liana Milella perché sebbene, da buon giudice, vorrebbe lasciare la parola al testo scritto, tuttavia ha deciso di esporsi per «chiarire il ruolo e la funzione del giudice», augurandosi che «questa conversazione contribuisca a rasserenare il clima generale».

DECISIONE CORRETTA. Dopo la diffusione della notizia e le polemiche, quella di ieri è stata per Deodato una giornata difficile. «Non posso nascondere – spiega – una certa amarezza per i violenti attacchi personali che mi sono stati rivolti. Ma resto comunque sereno perché ritengo di aver fatto il mio dovere». Il giudice difende quanto scritto: «Ritengo che la decisione assunta sia tecnicamente e giuridicamente corretta, senza alcun inquinamento ideologico. Le accuse che mi sono state indirizzate sono tutte riferite a un mio presunto pregiudizio ideologico, ma non al merito della decisione, che invito tutti a leggere con animo sereno e distaccato». Il Consiglio di Stato, prosegue, non ha fatto altro che «confermare quanto aveva già stabilito il Tar del Lazio, nei confronti del quale non mi ricordo che siano state formulate le medesime critiche…».

RISPETTARE LA LEGGE. Già, il problema di Deodato, però, è che è «cattolico». La risposta all’accusa è cristallina: «Le opinioni personali e la formazione culturale che appartengono a ogni giudice, e che possono essere espresse in diverse forme, non incidono in alcun modo sull’esercizio della funzione giurisdizionale. Un buon giudice è quello che applica la legge assumendo decisioni coerenti con essa, senza farsi in alcun modo condizionare dai propri convincimenti di ordine politico, morale, o religioso».
Per questo, è la risposta ovvia di Deodato, il suo compito è limitato a «identificare la norma di legge che disciplina la fattispecie in questione e provvedere alla sua rigorosa applicazione. Con questo modus procedendi non esiste il rischio che le convinzioni personali possano inquinare la correttezza del giudizio. Aggiungo che le decisioni del Consiglio di Stato sono assunte da un collegio di 5 magistrati, in modo da limitare al massimo il rischio che eventuali condizionamenti personali possano inficiare la correttezza della decisione».

«LA RISCRIVEREI». I giornali fanno notare che anche il presidente del collegio, Giuseppe Romeo, è dell’Opus Dei. Ma, anche su questo, la risposta di Deodato è ferma: «Premesso che al di fuori del presidente ignoro le convinzioni religiose degli altri componenti del collegio, ritengo che la decisione assunta fosse l’unica possibile in quanto l’unica rispettosa dell’ordinamento giuridico in vigore in Italia».
Quindi, riscriverebbe così la sentenza? «Mi sta chiedendo se sono disposto a cambiare idea per il solo fatto che la sentenza non è piaciuta ad alcune persone? Allora sì che non sarei un buon giudice. La riscriverei esattamente così. Mi resta però una profonda amarezza per gli attacchi personali molto violenti che non penso di meritare, ma mi auguro che questa conversazione contribuisca a rasserenare il clima generale e soprattutto a chiarire che la soluzione alla questione della disciplina delle unioni omosessuali non deve essere chiesta al giudice, ma alla politica».

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