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I migliori alleati del diavolo? In molti casi sono i vescovi: il caso del parroco che critica il brano ‘Bacia il diavolo’, punito dal Vescovo

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Nella Catholica i segni dell'apostasia dilagante, che ha ormai colpito i pastori sono allarmanti. Vi regna sovrano il conformismo a tal punto che non si può neppure affermare scomode verità e cioè che il gruppo musicale che si esibiva al teatro parigino Bataclan fosse dichiaratamente satanista e che il brano, che si stava cantando allorché avvenne l’irruzione dei terroristi islamici, era un chiaro inno a Satana (v. qui, qui e qui). Anzi, gli sventurati son stati uccisi mentre pronunciavano le parole I met the Devil and this is his song (v. qui). Anzi, il leader del gruppo "musicale" Jesse Hughes (soprannominato “il diavolo”), le cui canzoni più note sono "Kiss the devil" (Bacia il diavolo) e "Chase the devil" (Segui il diavolo), in un’intervista di pochi anni fa, dichiarava di adorare il diavolo, di abusare di droghe pesanti, di partecipare ad orge e di essere omosessualista: “sono profondamente religioso, ho sentito che il diavolo in persona mi ha dato una canzone, io l’ho scritta ed è stato un successo” (v. qui).
Jean-Paul Mathieu
Ora, "vescovi", lontani dalla fede e dalla Verità, assumono atteggiamenti punitivi verso coloro che, anche in maniera blanda, ricordano come le vittime son morte mentre inneggiavano al diavolo! Costoro anziché difendere il loro clero contro gli attacchi del principe di questo mondo perpetuati attraverso le autorità laiciste, lo assecondano, mostrandosi ad esso proni. 
È il caso di mons. Jean-Paul Mathieu, “vescovo” di Saint-Dié, che – afferma l’agenzia Riposte Catholique (v. anche qui– promuove, di fatto, l’anticultura satanica!
Addirittura il "cardinal" Barbarin, secondo La Croix, sarebbe rimasto inorridito non per il testo della canzone, ma addirittura per la denuncia che quel parroco ha fatto e cioè che, a quel concerto, si stava inneggiando a Satana. Ed il "vescovo" di Bourges avrebbe sollecitato il prete a ritirarsi ad un periodo di penitenza e riflessione!!! Siamo davvero al paradosso!!!
Rilancio questa notizia. Sconvolgente.

Critica il brano ‘Bacia il diavolo’, parroco punito dal Vescovo

Ha detto una verità scomoda. Per questo è stato punito. Non dai detrattori, bensì dai suoi superiori. Domenica 29 novembre, chiesa della Santissima Trinità a Wisembach, nei Vosgi: il parroco, mons. François Schneider, nel corso dell’omelia, ha parlato degli attentati avvenuti a Parigi sedici giorni prima. Precisando come, a suo giudizio, lo spettacolo musicale in corso al teatro Bataclan, prima dell’irruzione dei terroristi islamici, fosse «ispirato da satana».
Queste parole sono state immediatamente riferite al Vescovo, mons. Jean-Paul Mathieu, alla guida della Diocesi di Saint-Dié. Il quale ha, a sua volta, ordinato al suo prete di presentare pubblicamente le proprie scuse, sempre nel corso della S. Messa. Cosa che mons. Schneider ha regolarmente fatto, lo scorso 20 dicembre: al termine della funzione liturgica, ha fatto «auto-critica» e letto un comunicato, che l’agenzia Riposte Catholique ritiene scritto dallo stesso Vescovo, comunicato in cui ha espresso rammarico circa l’accaduto alla quarantina di fedeli presenti, allibiti per l’accanimento mediatico scatenatosi contro il loro parroco. Secondo il quotidiano Vosges Matin, le autorità, tramite la Prefettura, sarebbero addirittura intervenute per far sì che il sacerdote venisse colpito da sanzioni: «Qui si vuole mettere il morso al Cristianesimo e renderlo asettico!», hanno commentato.
La notizia ha suscitato prevedibilmente grande sconcerto. Molti coloro che hanno espresso a mons. Schneider il proprio sostegno per iscritto. Al giornale locale è giunta una lettera dei parrocchiani, in cui si legge: «È un buon sacerdote e lo abbiamo sempre apprezzato. Ciò che sta attraversando non cambia minimamente il nostro giudizio. A criticarlo, è chi non viene quasi mai a Messa». In sua difesa si è levata anche la voce di Emmanuel Delhourne, responsabile dell’organizzazione «Cristiani in politica» di Parigi, che ha dichiarato: «Quanto da lui detto è vero. I testi delle canzoni del gruppo Eagles of Death Metal [quello esibitosi sul palco quel terribile 13 novembre…-NdR] sono ispirate al satanismo».
Il giornalista Yves Daoudal sente puzza di regime in tutto quest’episodio. Anche Riposte Catholique scrive: «La dittatura marxista-leninista non si ferma, finché il nemico di classe non venga ridotto in briciole, annientato». Così ecco l’annuncio del Vicario generale della Diocesi: «Il nostro primo obiettivo era che mons. Schneider facesse questa dichiarazione. Ora ci si ritroverà, per esaminare ulteriormente la vicenda. E’ troppo presto per dire qualcosa». Lasciando presagire che, per loro, la questione non sia affatto conclusa. Innanzi tutto, un sacerdote della Mosa, estremamente attivo nel campo della musica metal, dovrebbe tenere presto un intervento nella sua parrocchia, quella della Santissima Trinità, per una sorta di “rieducazione” collettiva. Poi si vedrà.
Che la Chiesa amasse autodemolirsi sino a questo punto, neppure gli avversari più accaniti avrebbero potuto sperarlo. Per la cronaca: al momento dell’attentato gli Eagles of Death Metal (nella foto, poco prima della sparatoria) stavano cantando la canzone dal titolo «Bacia il diavolo», che ripete ossessivamente le seguenti strofe: «Chi amerà il diavolo? Chi canterà la sua canzone? Io amerò il diavolo e la sua canzone! Chi bacerà la lingua del diavolo? Io bacerò il diavolo sulla sua lingua!». Parole, che non necessitano di eccessivi commenti. Di certo, non da educande o da sagrestia. A voi il giudizio.


Cattolici praticanti e praticanti non cattolici in un aforisma del card. Biffi

“Quos Heródis impíetas lactántes matrum ubéribus abstráxit; qui jure dicúntur Mártyrum flores, quos in médio frígore infidelitátis exórtos, velut primas erumpéntes Ecclésiæ gemmas, quædam persecutiónis pruína decóxit” (Sermo sancti Augustíni Epíscopi – Lect. VI – II Noct.) - SANCTORUM INNOCENTIUM MARTYRUM

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La stazione di questo giorno, presso la basilica di San Paolo Apostolo, si ispira più che alla tradizione che voleva che le reliquie dei santi Innocenti si conservassero in questo magnifico tempio (oltre che a Santa Maria Maggiore, sebbene portatevi dalla Basilica di San Paolo), piuttosto al concetto, molto delicato dell’antichità liturgica, che celebrava sempre le grandi solennità dei suoi cicli per mezzo di qualche stazione presso le tombe dei santi Pietro e Paolo. Così è, per es., nelle tre settimane precedenti la Quaresima, così all’epoca degli scrutinii battesimali; così a Pasqua ed alla Pentecoste. Doveva, perciò, non essere diversamente per il Natale.
Bisogna anche tener conto, d’altronde, del fatto che questa stazione a San Paolo in questo giorno, dopo quella del 25 dicembre a San Pietro, conserva l’ultimo ricordo di un’antichissima festa in onore dei due principi degli apostoli; festa che ci è attestata da molti calendari e feriali orientali del IV sec.
Le più antiche testimonianze della festa dei santi Innocenti in Occidente, per la verità, sono i sermoni, che san Pietro Crisologo (+ prima del 451) e di san Cesario di Arles (+ 543) hanno loro consacrato, così come il calendario di Cartagine, che li annuncia al 28 dicembre. Non sappiamo a quale epoca Roma accolse gli Innocenti nei suoi fasti liturgici. Qui, verso il 560-570, il sacramentario di Verona fornisce due formulari per la messa del natale Innocentium, che viene dopo quella di san Giovanni (evangelista).
Ignota al Filocaliano, già in questo giorno la festa vi compare nel calendario di Cartagine, nel V-VI sec., e nei Sacramentari leonino e gelasiano, mentre nel calendario siriaco essi sono commemorati il 23 settembre. Si trova anche questa festa nel Geronimiano, e poi in tutti i documenti del VII sec.
I Bizantini ed i copti celebrano il 29 dicembre la memoria dei Bambini massacrati da Erode; i Siriaci lo fanno il 23.
Gli uni e gli altri l’hanno fissata qualche giorno dopo la Natività di Gesù, in cui essi commemorano con la nascita del Cristo anche la venuta dei Magi a Betlemme, leggendo nel corso della liturgia il capitolo 2 del vangelo di Matteo, ivi compreso il testo del massacro dei bambini. Essi tengono conto così della cronologia degli eventi.
La liturgia ispanica fa lo stesso, commemorando l’8 gennaio l’allisioInfantum. Si può dunque pensare che a Roma la festa degli Innocenti (in Oriente, ad Aquilea, in Gallia ed in Spagna, si parla di Infantes; in Africa ed a Roma così come a Ravenna, di Innocentes. Per quanto concerne Ravenna, v. F. Sottocornola, L’anno liturgico nei sermoni di Pietro Crisologo, Ravenna 1974, p. 234) è stata ricevuta dall’Oriente, a meno che essa non risalga ad un periodo anteriore all’adozione dell’Epifania, in cui si sarebbero commemorati il 25 dicembre tutti gli eventi che ruotano intorno al natale Domini (cfr. Pierre Jounel, Le Culte des Saints dans les Basiliques du Latran et du Vatican au douzième siècle, École Française de Rome, Palais Farnèse, 1977, p. 330).
Presso gli Armeni, la festa ricorre il lunedì dopo la II domenica di Pentecoste.
Al di là delle diverse date della festa, quel che è certo è che il Natale ha attirato ad esso la festa degli Innocenti massacrati da Erode, così a Roma questa giornata era contrassegnata dal lutto e dalla penitenza.
Gli Ordines Romani prescrivevano che il Papa ed i suoi assistenti rivestissero i paramenti viola, i diaconi ed i suddiaconi la pænula processionale; il Pontefice, poi, cingesse la sua testa della semplice mitra di tela bianca (Ordo RomanusXIII, § 18, in PL 78, col. 1116B). Nell’Ufficio Notturno si sospendeva il canto del Te Deum, alla messa quello del Gloria e dell’Alleluja, salvo la domenica, ed i fedeli si astenevano dagli alimenti grassi o conditi con grassi (cfr. Ordo RomanusXI, § 26, ivi, col. 1035B). Nel XV sec., la corte pontificia celebrava tuttavia la festa di questo giorno nella cappella papale, dove si aveva anche l’abitudine di fare un discorso di circostanza, ma, come deplorano gli Ordines RomaniXIV e XV (Ordo RomanusXIV, § LXXV, ivi, col. 1195A; Ordo RomanusXV, § XVI, ivi, col. 1281B), poco a poco la tradizione scomparve.
Forse, come ieri si voleva celebrare l’Evangelista di Efeso nella basilica di Sicininus (cioè Santa Maria Maggiore), tra i ricordi del concilio di Efeso, così oggi si scelse di ricordare i pianti di Rachele sui suoi figli in questa basilica dedicata al più illustre germoglio della tribù di Beniamino, quasi per ritrovarsi, per così dire, come nella casa delle vittime innocenti.
Roma cristiana ha dedicato una cappella a pianta circolare, demolita da papa Clemente VII, ai Santi Innocenti. Essa, eretta sotto papa Niccolò V, sorgeva presso il Ponte Sant’Angelo, in ricordo ed espiazione delle vittime del giubileo del 1450, morte schiacciate sul ponte suddetto per la calca delle persone che accorrevano a San Pietro (MarianoArmellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, p. 351; Ch. Huelsen, Le Chiese di Roma nel medio evo, Firenze 1927, p. 269).
L’antifona dell’introito proviene dal Sal. 8, invocato precisamente da Gesù, quando i principi dei sacerdoti lo rimproverarono di aver lasciato i bambini acclamarlo nel Tempio come Messia.
La lettura dell’Apocalisse (16, 1-5), dove si parla di centoquarantaquattromila vergini che cantano in cielo l’epitalamio, il canto nuziale, dello Sposo-Vergine, ha dato adito, nel Medioevo, ad uno strano equivoco, come se questo numero simbolico, che designa in generale le dodici tribù di Israele tra le quali l’Agnello divino coglie i suoi gigli, fosse quello delle innocenti vittime di Beth-lechem. Sebbene il massacro era stato compiuto, in tutto il suo rigore, nella città di Davide ed in tutto il suo territorio, è difficile ammettere che abbia potuto comprendere un così grande numero di bambini. La liturgia non entra per niente in questo equivoco, prodotto da un’interpretazione troppo materiale del Testo sacro.
La lettura del vangelo di Matteo (Mt 2, 13-18) descrive la fuga della santa Famiglia in Egitto ed il massacro degli Innocenti. Quanto corta è la prudenza umana! Mentre tenta di andare di traverso alle vie di Dio, è, invece, quello il momento in cui serve meglio i disegni della divina Provvidenza. Erode vuole uccidere il Messia neonato: non riesce ed, al contrario, manda nel Limbo, per annunciare la sua venuta, uno sciame di innocenti piccoli bambini, mentre il Salvatore va ad illuminare e benedire l’Egitto.
Una particolarità va segnalata. Prima del 1960, la festa dei santi Innocenti, quando non cadeva di domenica, era celebrata con paramenti viola, senza il Gloria né l’Alleluja, “perchè il trionfo degli Innocenti non fu subito completo, avendo dovuto attendere nel Limbo il Salvatore, che loro aprisse la porte del cielo. Se cade di domenica, invece che è la commemorazione settimanale della Risurrezione e perciò il coronamento del trionfo degli Innocenti, si usa il rosso dei Martiri e l’ufficiatura diventa regolare” (Callewaert). La sua ottava era celebrata in rosso, con segni di gioia perché simbolo del compimento della grazia nella beata visione di Dio. La riforma di Giovanni XXIII ha soppresso questa particolarità.
La messa è doppia di II classe con Ottava semplice; l’Ottava fu soppressa nel 1955.


Il re Erode nimbato consulta i sommi sacerdoti e gli scribi sul luogo in cui sarebbe nato il Messia - ed ordina la strage degli innocenti, Arco trionfale, V sec. d.C., Basilica di S. Maria Maggiore, Roma. Sul caso del re Erode nimbato ne abbiamo parlato in occasione della festa di S. Edoardo il Confessore

Guido Reni, Strage degli innocenti, 1611, Pinacoteca Nazionale, Bologna

Nicholas Poussin, Massacro degli Innocenti, 1620 circa, Musee Conde, Chantilly

Nicholas Poussin (attrib.), Strage degli innocenti, musée du Petit-Palais, Parigi




Pacecco de Rosa, Strage degli Innocenti, 1640, Museum of Art, Philadelphia

Luca Giordano, Strage degli innocenti, 1663, Museo del Prado, Madrid

Massimo Stanzione, Massacro degli Innocenti, XVII sec.

Giovan Battista Discepoli (Lo Zoppo da Lugano), La Strage degli Innocenti, XVII sec.

Marco Benefial, Strage degli innocenti, XVIII sec., Galleria degli Uffizi, Firenze



François Joseph Navez, Massacro degli Innocenti, 1824, Metropolitan Museum of Art, New York



Léon Cogniet, Scena del massacro degli innocenti, 1824, musée des Beaux-Arts, Rennes

Angelo Visconti, Massacro degli innocenti, 1860-61, Museo Cassioli, Asciano

Gustave Doré, Il martirio degli innocenti, 1868 circa, collezione privata

Carl Bloch, Strage degli innocenti, 1875



Giacomo Paracca, Strage degli Innocenti, 1587 circa, Cappella XI, Sacro Monte, Varallo

Giovani, spiritualità, silenzio, chiasso, fede in un aforisma di Vittorio Messori

Chiesa, dogmi, salvezza, morale in un aforisma di S. Josemaria Escrivà de Balaguer

Natale: l’ora della fiducia nella notte del mondo

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Rilancio volentieri, in questo periodo di Ottava di Natale e nella memoria di S. Tommaso Becket, vescovo e martire, quest’interessante contributo del sempre impeccabile prof. Roberto de Mattei, tradotto in inglese da Rorate caeli.


S. Tommaso, Chiesa di Saint Gervais, Rouen



Mosaico di S. Tommaso Becket tra i SS. Silvestro, Lorenzo e Nicola, 1180 circa, Cattedrale, Monreale.
Il Santo vescovo ebbe diversi contatti con la Sicilia, che gli rimase legata anche dopo il martirio (v. qui).

NATALE: l’ora della fiducia nella notte del mondo

di Roberto de Mattei

Il Santo Natale non è solo una tradizione culturale dell’Occidente o la semplice memoria, cara ai cristiani, di un fatto storico accaduto in Palestina 2015 anni fa. Natale è il momento in cui il Redentore dell’umanità si fa presente a noi in una culla, chiedendoci di adorarlo come Re e Signore dell’universo. La Natività è, sotto questo aspetto, uno dei misteri centrali della nostra fede, la porta che permette di entrare in tutti i misteri di Cristo.
Papa san Leone Magno (440-461) scrive: «Colui che era invisibile nella sua natura si è reso visibile nella nostra. L’incomprensibile ha voluto essere compreso; Lui che è prima del tempo, ha cominciato ad essere nel tempo; il Signore dell’universo, velando la sua Maestà, ha ricevuto forma di schiavo» (Sermo in Nativitate Domini, II, § 2).
La manifestazione nella storia del Verbo Incarnato fu anche l’ora del più grande tripudio degli Angeli. Fin dal momento della loro creazione, all’alba dell’universo, essi sapevano che Dio si sarebbe fatto uomo e lo avevano adorato, abbagliante all’interno della Santissima Trinità. Questa Rivelazione aveva irrimediabilmente separato gli angeli fedeli e quelli ribelli, il cielo e la terra, i figli della luce e quelli delle tenebre. A Betlemme giunge finalmente per gli Angeli il momento di prostrarsi di fronte al Divino Infante, causa e mezzo, come scrive padre Faber, della loro perseveranza.
Le armonie del Gloria in excelsis inondarono il Cielo e la terra, ma furono udite quella notte solo dalle anime che vivevano nel distacco dal mondo e nell’amore di Dio. Tra queste erano i Pastori di Betlemme. Essi non appartenevano alla cerchia dei ricchi e dei potenti, ma nella solitudine e nelle veglie notturne attorno ai loro greggi, conservavano la fede di Israele Erano uomini semplici, aperti al meraviglioso, e non si stupirono dell’apparizione dell’Angelo, il quale facendo sfolgorare su di loro una luce celeste, disse: «Ascoltate che io vi porto una buona nuova, di gran gaudio per tutto il popolo, perché è nato oggi a voi il Salvatore, che è Cristo Signore, nella Città di Davide. Questo sarà per voi il segno per riconoscerlo e riverirlo: che troverete un Bambino appena nato, avvolto in fasce che giace in una mangiatoia» (Lc 2, 11-12).
I Pastori seguirono docilmente le indicazioni dell’Angelo e furono guidati fino alla Grotta, dove trovarono il Bambino nella mangiatoia, con Maria e san Giuseppe: «Invenerunt Mariam, et Joseph et Infantem positum in Praesepio» (Lc 2, 16). Ebbero la grazia di essere i primi, dopo Maria e Giuseppe, ad offrire sulla terra un atto di adorazione esterna al Bambino di Betlemme. Adorandolo, compresero che nella sua apparente fragilità, Egli era il Messia promesso, il Re dell’universo. Natale è la prima affermazione della Regalità di Cristo e la mangiatoia è il suo trono. La mangiatoia era anche lo scrigno della Civiltà cristiana che nasceva e i Pastori ne furono i primi profeti. Il programma di questa Civiltà era raccolto nelle parole che una miriade di Angeli proclamò quella notte: «Sia gloria a Dio nell’alto dei Cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà» (Lc 2, 14).
Con immensa gioia, i Pastori andarono ad annunciare ovunque, nei campi e nei monti, la lieta novella. «Omnes qui audierunt mirati sunt» (Lc 2, 18), tutti rimasero meravigliati, ma non tutti si mossero verso la capanna di Betlemme. Molti erano immersi nelle loro occupazioni e rinunciarono a uno sforzo che avrebbe cambiato la loro vita, nel tempo e nell’eternità. Tanti altri passarono davanti alla Grotta in quei giorni, vi si affacciarono forse incuriositi, ma non compresero, o non vollero comprendere, la meraviglia dell’evento.
Eppure la Regalità del Bambino Gesù fu riconosciuta da alcuni tra gli uomini più sapienti del tempo. I Magi, Re dell’Oriente, erano uomini i cui sguardi erano assorti nelle cose celesti, quando nel Cielo apparve loro una stella. La stella fu per i Magi ciò che l’Angelo era stato per i Pastori: la voce di Dio che dice di sé «Ego sum stella splendida et matutina» (Apoc. 22, 16). Anche i Re Magi, come i Pastori, corrisposero perfettamente all’impulso divino. Essi non furono gli unici a vedere la stella, e forse non furono gli unici a comprenderne il significato, ma furono i soli a mettersi in marcia verso Occidente. Altri forse capirono, ma non vollero abbandonare il loro Paese, le loro dimore, i propri affari.
I Pastori erano vicini, i Magi lontani da Betlemme, ma a entrambi si applica il principio per cui, chi cerca Dio con purezza di cuore non è mai abbandonato. Pastori e Magi recarono doni, di diverso valore, ma sia gli uni che gli altri offrirono il dono più grande che avevano. Essi donarono al santo Bambino gli occhi, le orecchie, la bocca, il cuore, tutta la loro vita; in una parola consacrarono il proprio corpo e la propria anima alla Sapienza Incarnata e lo fecero attraverso le mani di Maria e di Giuseppe, alla presenza di tutta la Corte celeste.
In questo imitarono la perfetta sottomissione alla Volontà di Dio di Gesù Bambino, che da Dio-Verbo si è annientato in forma di schiavo della Volontà divina, e poi si è lasciato condurre per tutti gli stati, fino alla morte di Croce e alla gloria: non ha scelto i suoi stati, ma ci si è lasciato guidare, momento per momento, dall’ispirazione della Grazia, come scriveva un mistico del XVII secolo (Jean-Baptiste Sainte-Jure, Vita di Gaston de Renty, tr. it. Glossa, Milano 2007, p. 254). La devozione al Santo Bambino è una devozione in cui si sperimenta un radicale abbandono alla Divina Provvidenza, perché quel Bambino avvolto nelle fasce è un uomo-Dio che ha annientato la Sua volontà per fare quella del Padre suo che è nei cieli, e la farà sottomettendosi a due creature eccelse, ma a Lui sottomesse: la Beatissima Vergine Maria e san Giuseppe.
Il Santo Natale è il giorno dell’estremo abbandono alla Divina Provvidenza, ma anche dell’immensa fiducia nei piani misteriosi di Dio. E’ il giorno, scrive ancora san Leone Magno in cui «il Figlio di Dio è venuto a distruggere l’opera del diavolo (1 Gv3, 8), il giorno in cui si è unito a noi e ci ha unito a Lui, affinché l’abbassamento di Dio verso l’umanità sollevi gli uomini fino a Dio» (In Sermo in Nativitate Domini, VII, § 2). In questo stesso sermone, san Leone denuncia lo scandalo di coloro che, alla sua epoca, salendo i gradini della Basilica di San Pietro, mischiavano le preghiere della Chiesa con invocazioni rivolte agli astri e alla natura: «Che i fedeli – scrive –rigettino questa abitudine condannevole e perversa, che l’onore dovuto solo a Dio non si mescoli più con i riti di coloro che adorano le creature. La Santa Scrittura dichiara: “Tu adorerai il Signore Dio tuo e non servirai che a Lui solo”(Gen. 1, 3) ».
Come non intendere l’attualità di queste parole, mentre sulla facciata della Basilica di San Pietro si proiettano spettacoli neo-pagani e si celebra il culto panteista della Natura? In queste ore buie, i cattolici fedeli continuano ad avere la stessa fiducia che ebbero i Pastori e i Magi che si avvicinavano al Presepio per contemplare Gesù. Natale giunge, le tenebre in cui è immerso il mondo saranno dissipate, e i nemici di Dio tremano, perché sanno che l’ora della disfatta è per essi vicina. Per questo essi odiano il Santo Natale e per questo noi, con sguardo fiducioso contempliamo il Sacro Bambino che nasce e gli chiediamo di illuminare le nostre menti nel buio, di riscaldare i nostri cuori nel freddo, di fortificare le nostre coscienze smarrite nella notte del nostro tempo.
Bambino Gesù, che venga il tuo Regno!

Mattutino e S. Messa di Mezzanotte, celebrati dal Rev.mo Sig. Card. R. L. Burke - Parrocchia SS. Trinità dei Pellegrini, Roma, 25 dicembre 2015

Chiesa, potere, politica in un aforisma di Alexis de Tocqueville


Te Deum

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Ricordiamo che all'inno "Te Deum" di fine anno ed all'inno "Veni creator" di inizio anno civile è annessa l'indulgenza plenaria prevista dalla Chiesa: v. blog Messa in latino, 31.12.2015

Grégoire Huret, Re Luigi XIII di Francia ed Anna d'Austria presentano il Delfino alla Deipara ed Gesù Bambino, 1638, Metropolitan Museum of Art, New York

La visione natalizia di san Gaetano di Thiene

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Una lettura spiritualmente edificante. Quasi un’oasi quella che ci propone don Marcello Stanzione in questo suo contributo, che fa crescere la devozione verso la Santa Infanzia del Divin Bambino.


Michelangelo Buonocore, Visione di S. Gaetano, 1733, collezione privata

Gaetano Gandolfi, Visione di S. Gaetano, 1775, Fondazione Cassa di Risparmio di Cento, Cento

La visione natalizia di san Gaetano di Thiene

di Don Marcello Stanzione

Giovanni Lanfranco, La Vergine appare
a S. Gaetano Thiene
, 1620-30 
San Gaetano di Thiene (1480- 1547) è venerato come il “Santo della Provvidenza” per la sua illimitata fiducia in Dio e perché dedicò la propria esistenza al servizio dei poveri, degli ammalati e degli indifesi tanto da fondare un Istituto con questo scopo. Per il suo zelo per la salvezza delle anime venne anche soprannominato  “cacciatore di anime”.
Discendente della famiglia dei conti di Thiene nei presi di Vicenza, rinunciò alla carica che gli era stata offerta a Roma; ai posti d’onore preferì la compagnia dei poveri e degli esclusi. A Roma egli c’era già stato perché, dopo la laurea in materie giuridiche conseguita a Padova, venne chiamato come segretario particolare del Papa con l’incarico di scrittore delle lettere pontificie, un compito che gli fece conoscere persone importanti. Egli non si lasciò abbagliare dallo splendore della corte pontificia, né si scoraggiò di fronte al disordine diffuso – ripeteva: «Roma un tempo santa, ora è una Babilonia» – anzi, illuminato da Dio, cominciò a riformare prima se stesso e poi la comunità cristiana. …
Egli, oltre ai suoi compiti di Curia, cominciò ad assistere gli ammalati dell’ospedale di san Giacomo e si iscrisse all’Oratorio del Divino Amore, a trentasei anni divenne sacerdote e il giorno di Natale del 1516 celebrò la sua prima Messa nella basilica di S. Maria Maggiore. Durante la celebrazione della Messa, a Gaetano apparve la Madonna che gli depose tra le braccia il bambino Gesù; per questo egli è raffigurato nell’arte e nelle immagini devozionali con Gesù Bambino tra le braccia.
Come vivesse, ce lo dice un testimone oculare, certo don Enrico Danese: «Era irreprensibile, casto, mansueto, misericordioso e pieno di ogni pietà verso gli infermi. Con le sue proprie mani li cibava e custodiva e serviva. In quanto alla sua camera era povera: c’era un povero saccone di paglia dove riposava, con un cuscino, un tavolino con uno sgabello per sedere, con alcuni libretti e una figura di carta. Lo vestire suo era di panno grosso, con calzette di cordicella bianca, con calzoni alla veneziana …».
Don Gaetano svolgeva l’ammirevole azione di assistenza spirituale e materiale nell’ospedale di San Giacomo. Ma egli e i confratelli del “Divino Amore” sapevano e vedevano quanti ammalati, tanto gravi da essere ritenuti incurabili, vagavano schivati da tutti, per la città. Pungolati da don Gaetano, i confratelli, che per le cariche civili e religiose occupate avevano voce presso le autorità, riuscirono, superando mille ostacoli, ad ottenere importanti sovvenzioni da dedicare agli incurabili. Il ricovero offerto ai derelitti, miseri, stracciati e ripudiati, fu una non reclamizzata, ma certo tanto apprezzata, affermazione della confraternita del Divino Amore.
I limiti di questo scritto vietano di dire tutto quanto andrebbe pur detto sul «fuoco bruciante e illuminante», che caratterizzò il primo anno di sacerdozio di don Gaetano. Ma del premio che egli ricevette nella notte di Natale del 1516 non si può tacere. Stava pregando in Santa Maria Maggiore, e precisamente nella cappella del Presepio (dove si conservano, inseriti in una magnifica culla di materiali preziosi, alcuni legni della culla di Gesù) allorquando mosse, con gesto apparentemente illogico, le braccia verso l’immagine di Maria col Figlio. Successe allora l’incredibile: la Vergine Maria posò, sulle braccia tese di don Gaetano, «quel tenero fanciullo, carne e vestimento dell’eterno Verbo». 
Questo fatto straordinario lo apprendiamo da una lettera, che lo stesso protagonista scrisse un mese dopo, alla suora bresciana Laura Mignani, donna di altissimi meriti, tanto che don Gaetano e altri sacerdoti, senza conoscerla di persona, se ne erano fatti figli spirituali. Raccontata la visione, don Gaetano la commenta così: «…Duro era il mio cuor ben lo crederete, perché certo non essendosi in quel punto liquefatto, segno è che è di diamante». E sospirava: «Pazienza!». La visione, sempre su testimonianza del protagonista, si ripeté nelle due feste della Circoncisione e dell’Epifania. Don Gaetano ne fu tanto grato che si confermò e si corazzò nelle «immortal guerra contro i tre pestiferi nemici: la carne, il mondo e il demonio, da superare con l’aiuto della croce».
Poco dopo preferì ritornare a Venezia dove fondò l’Ospedale degli Incurabili. Comprese anche la necessità di ricondurre gli Ecclesiastici nell’alveo della santità di vita consona alla propria vocazione; per questo maturò l’idea di un Istituto religioso sacerdotale, dando personale testimonianza di povertà evangelica ed intenso desiderio d’imitazione del Salvatore. Devoto del presepe e della passione del Signore, con Pietro Carafa, il futuro Paolo IV, fondò la Congregazione dei chierici comunemente detti Teatini, da Teate, il nome latino della città abruzzese di Chieti della quale era Vescovo. Erano chierici che trovavano nella Divina Provvidenza la soluzione ad ogni problema. Coadiuvato da tre compagni prese i voti presso la tomba di san Pietro, in Vaticano, intendendo ricreare lo spirito della primitiva comunità cristiana.
I Teatini ebbero un ruolo significativo nella controriforma e il loro esempio fu molto significativo per la Chiesa in tempi in cui il monaco tedesco Martin Lutero, contemporaneo di Gaetano, stava lacerandola irreparabilmente. Quando a Roma scesero i Lanzichenecchi durante le tragiche giornate del sacco di Roma del 1527 da parte delle truppe di Carlo V, Gaetano fu da loro seviziato e imprigionato nella torre dell’Orologio in Vaticano, mentre il Papa fu costretto a rifugiarsi in Castel S. Angelo difeso dalle Guardie Svizzere.
Poco dopo tornò a Venezia. Qui scoppiò l’epidemia di peste che costrinse i Teatini a propagarsi in altre città dove, insieme ai gesuiti, operarono per la Controriforma cattolica. Nel Veneto moltiplicò le sue opere apostoliche e assistenziali accettando tra l’altro l’invito del noto tipografo veneziano Paganino Paganini di avviare i padri Teatini all’arte della stampa tipografica inventata dal tedesco Giovanni Gutenberg. In seguito si trasferì a Napoli dove svolse una multiforme attività diretta a formare il popolo alla pietà e all’integrità dei costumi nonché alla riforma delle comunità claustrali femminili.
Egli fondò ospizi per anziani, incrementò l’assistenza all’Ospedale degli incurabili, stette accanto al popolo durante le carestie e le ricorrenti epidemie che flagellarono la città in un periodo di sanguinosi tumulti e riavvicinò i fedeli al sacramento della riconciliazione. Si deva a lui la fondazione del famoso Monte di Pietà per giusti prestiti ed elargizioni, un istituto bancario pensato per le vittime degli strozzini e degli usurai, dal quale in seguito ha avuto origine il Banco di Napoli, il più grande Istituto bancario del Mezzogiorno.

Capodanno, giorni in un aforisma di S. Giovanni Crisostomo

"Veni Creator Spiritus": invocazione allo Spirito Santo all'inizio del nuovo anno civile. L'augurio della Scuola Ecclesia Mater

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Al principiare del nuovo Anno civile, non possiamo non invocare lo Spirito Santo, col celebre inno "Veni Creator Spiritus", cui è annessa l'indulgenza plenaria.
Possa lo Spirito del Signore illuminare le menti dei fedeli, affinché rimangano saldi nella fede, nella speranza e nella carità.
Possa a ciascuno dei nostri affezionati lettori giungere il nostro augurio:

Vertente anno grato animo memor omnium qui me votis ac precibus prosequuntur, laetitiae ac pacis auspicia ad festum Nativitatis Salvatoris nostri proferire cupio, gratiae plenitudinem et benedictionis pro anno ineunte intimo ex corde exoptans. Dilectissime in Christo, Καλή Χρονιά! Buon Anno!

Buon Anno!

Il "cardinale" filoluterano Marx propone una chiesa cattolica fluida, mentre Cantalamessa strizza entrambi gli occhi ai luterani, delegittimando il culto di iperdulia della Vergine Maria

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In questi giorni di festa, non possiamo ignorare che i nemici della Chiesa e della fede sono all’opera …, cercando di demolirla, svilendo anche la figura della Vergine Maria, ed anzi addebitando alla Chiesa “preconciliare” la responsabilità per la quale gli eretici protestanti non l’accetterebbero, in quanto sarebbe stata “onorata in maniera esagerata”! A dirlo non è una persona qualunque, ma lo stesso “predicatore della Casa pontificia”, P. Cantalamessa, in un recente suo “comizio” presso la corte dei miracoli dell’hotel Santa Marta, riprendendo le idee del rag. Bianchi (v. qui), come riportato dalla Radiovaticana (v. qui) e che non ha mancato di suscitare legittime proteste in ambito cattolico (v. qui, qui, quiqui, qui).
La sua voce fa eco a quello dello stesso “card.” Marx, il quale avrebbe riunito intorno a sé circa 200 teologi per proporre un cambiamento nella Chiesa. Anzi, la creazione o fondazione di una sorta di Chiesa cattolica liquida, con dogmi … parimenti liquidi, fluidi o vaporosi, che possono essere rimessi in discussione di continuo … . Ma questa neo-chiesa non sarebbe più la Chiesa di Cristo.
La notizia è stata diffusa su vari network internazionali, ivi incluso l’autorevole National Catholic Reporter del 15 dicembre scorso (v. Christa Pongratz-Lippitt, ‘Synodality must once again become a structural practice in the church,’ German cardinals and theologians insist, in NCR, 15 dic. 2015. V. anche Anne Dolhein, Le cardinal Reinhard Marx appelle à des changements fondamentaux dans l’Eglise, in Reinformation.TV, 19 dic. 2015). Noi riportiamo la notizia, con la traduzione dal francese, dal sito Pro Liturgia del 28 dic. 2015.
Nuove battaglie per la fede si profilano.
Tornano in mente le parole profetiche della beata Anna Caterina Emmerich (1774-1824) della sua visione del 12 settembre 1820: «Vidi una strana chiesa che veniva costruita contro ogni regola... Non c’erano angeli a vigilare sulle operazioni di costruzione. In quella chiesa non c’era niente che venisse dall’alto... C’erano solo divisioni e caos. Si tratta probabilmente di una chiesa di umana creazione, che segue l’ultima moda, così come la nuova chiesa eterodossa di Roma, che sembra dello stesso tipo. … Ho visto di nuovo la strana grande chiesa che veniva costruita là [a Roma]. Non c’era niente di santo in essa. Ho visto questo proprio come ho visto un movimento guidato da ecclesiastici a cui contribuivano angeli, santi ed altri cristiani. Ma là [nella strana chiesa] tutto il lavoro veniva fatto meccanicamente. Tutto veniva fatto secondo la ragione umana... Ho visto ogni genere di persone, cose, dottrine ed opinioni. C’era qualcosa di orgoglioso, presuntuoso e violento in tutto ciò, ed essi sembravano avere molto successo. Io non vedevo un solo angelo o un santo che aiutasse nel lavoro. Ma sullo sfondo, in lontananza, vidi la sede di un popolo crudele armato di lance, e vidi una figura che rideva, che disse: “Costruitela pure quanto più solida potete; tanto noi la butteremo a terra”».
In una visione di data imprecisata del 1820: «… Poi vidi che tutto ciò che riguardava il Protestantesimo stava prendendo gradualmente il sopravvento e la religione cattolica stava precipitando in una completa decadenza. La maggior parte dei sacerdoti erano attratti dalle dottrine seducenti ma false di giovani insegnanti, e tutti loro contribuivano all’opera di distruzione. In quei giorni, la Fede cadrà molto in basso, e sarà preservata solo in alcuni posti, in poche case e in poche famiglie che Dio ha protetto dai disastri e dalle guerre».
Nella visione del 22 aprile 1823: «Vidi che molti pastori si erano fatti coinvolgere in idee che erano pericolose per la Chiesa. Stavano costruendo una Chiesa grande, strana, e stravagante. Tutti dovevano essere ammessi in essa per essere uniti ed avere uguali diritti: evangelici, cattolici e sette di ogni denominazione. Così doveva essere la nuova Chiesa... Ma Dio aveva altri progetti».
Che Dio ci preservi dalla genia dei novatori!

Lundi 28/12/2015. Du 6 au 8 décembre dernier, à Munich (D), le Cardinal Reinhard Marx, bras droit du Pape François, a réuni 200 théologiens se réclamant de Vatican II.
Tous ont participé à l’élaboration d’un programme comprenant :
- la liberté de conscience de tous les fidèles pour juger de leur foi,
- l’établissement d’un magistère parallèle à celui des évêques et qui serait exercé par les théologiens,
- la possibilité d’interpréter les enseignements du magistère en fonctions des nécessités pastorales,
- la possibilité de discuter en permanence des articles de la foi,
- la mise en place d’une Eglise essentiellement “synodale” dans laquelle les différentes confessions puissent trouver leurs places respectives,
- la possibilité de célébrer des liturgies évolutives et ouvertes aux exigences de l’œcuménisme ainsi que des communautés locales.
Parmi les signataires de ce programme se trouvent des participants au “Synode de l’ombre” organisé à Rome le 25 mai par les conférences épiscopales de France (Mgr Pontier), d’Allemagne et de Suisse pour mettre en avant les idées les plus étrangères à la foi catholique.
Les loups dont avait parlé Benoît XVI le jour de son élection sortent du bois : ils sortent de partout et sont nombreux !
Sur son tweet, Mgr Marc Aillet, Evêque de Bayonne, pose avec courage la question : “Au nom de quel bilan [ces théologiens] prétendent-ils donner des leçons d’avenir à l’Eglise ?” Et d’ajouter : “Il est fort à gager que la génération JPII et BXVI leur survivra...”
Au regard de ce qui se passe actuellement dans l’Eglise, des fidèles inquiets se demandent : le Pape François est-il manipulé ?
Manipulable ? Ou... manipulateur ?


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Dal 6 all’ 8 dicembre 200 teologi sedicenti “fedeli al Vaticano II” sono stati convocati dal Card. Marx, il braccio destro dal Papa, per elaborare il seguente programma:
- La libertà di coscienza dei fedeli per valutare la propria fede
- Lo stabilimento di un magistero parallelo a quello dei vescovi che sarebbe esercitato dai teologi
- La possibilità di interpretare gli insegnamenti del magistero in funzione delle necessità pastorali
- La possibilità di discutere continuamente degli articoli di fede
- La creazione di una chiesa essenzialmente “sinodale” nella quale le varie confessioni potrebbero trovare il proprio posto
- La possibilità di celebrare liturgie evolutive e aperte alle esigenze dell’ecumenismo nonché delle comunità locali
Tra i firmatari di questo programma ritroviamo i partecipanti al “Sinodo segreto” organizzato a Roma il 25 maggio dalle conferenze episcopali di Francia (Mgr Pontier), di Germania e Svizzera per presentare varie idee estranee alla fede cattolica. I lupi di cui parlava Benedetto XVI il giorno dell’elezione escono dal bosco: escono dappertutto e sono pure numerosi! In un recente tweet, Mons. Marc Aillet, Vescovo di Bayonne, fa con coraggio questa domanda: “In nome di quel bilancio [questi teologi] pretendono dare lezioni di avvenire alla Chiesa?” e aggiunse: “Scommetto che la generazione GP II e B XVI sopravvivrà loro”.
Vedendo cosa succede all’interno della chiesa, molti fedeli sono preoccupati e si chiedono: Papa Francesco sarà manipolato? Manipolabile? O… Manipolatore?

«Hódie Octávæ Domínici diéi sunt, cessáte a superstitiónibus idolórum et a sacrifíciis pollútis» - SANCTI TELEMACHI SEU ALMACHII MARTYRIS

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Il santo monaco Almachio, noto anche come Telemaco, interviene a far cessare a Roma i giochi gladiatorii. Il 1° gennaio 404 fu la data degli ultimi di tali giochi nell'Urbe ed è anche la data del suo martirio per lapidazione da parte degli spettatori


“Christus caput Mártyrum prior passus est pro nobis, relínquens vobis exémplum, ut sequámini vestígia ejus. Cujus passiónis vestígia prosecútus beatíssimus Stéphanus, confiténdo Christum lapidátus a Judæis, corónam méruit tamquam suo sibi nómine pósitam” (sancti Augustíni Epíscopi , Sermo 2 de S. Stephano – Lect. III – Noct.) - IN OCTAVA S. STEPHANI, PROTOMARTYRIS

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L’uso di prolungare durante otto giorni la solennità pasquale proviene dalla Sinagoga e fu, durante molti secoli, la caratteristica esclusiva della festa della Resurrezione di Cristo. Ma, verso l’VIII sec., si cominciò, a Roma, ad attribuire anche un’ottava al Natale ed alla Pentecoste; in seguito, quest’usanza venne egualmente estesa a tutti i santi. L’Ottava di santo Stefano è la più antica; la si trova già menzionata nel Geronimiano, ma le tre erano celebrate a San Gallo dalla fine del IX sec. (cfr. Pierre Jounel, Le Culte des Saints dans les Basiliques du Latran et du Vatican au douzième siècle, École Française de Rome, Palais Farnèse, 1977, pp. 211-212). Le ottave di santo Stefano, di san Giovanni e dei Santi Innocenti compaiono pure negli Statuti di Cluny dell’XI sec. L’Ordo del Laterano ed il calendario del Vaticano menzionano tre Ottave. Riferendosi indirettamente all’Ottava degli Innocenti, l’antifonario di San Pietro testimonia anch’esso, infatti, della celebrazione delle tre. Gli Ordines Romani del XIV sec. le menzionano esplicitamente: «... Dicuntur tamen ista in Octava eorum» (Ordo Romanus XIV, § LXXV. De officio festi Innocentium, in PL 78, col. 1195A); «In Octava sancti Stephani non fit consistorium. Item in Octava sancti Joannis non fit consistorium. Item in Octava sanctorum Innocentium non fit consistorium» (ibidem, § CI. In quibus diebus et solemnitatibus consueverunt Romani pontifices a consistoriis abstinere, ivi, col. 1228B).
La messa dell’Ottava di santo Stefano è identifica a quella della festa, ad eccezione della colletta, che, nelle antiche ottave romane, doveva regolarmente differenziarsi.
Quest’Ottava fu soppressa nel 1955 (v. Decreto di semplificazione delle rubriche, 23 marzo 1955, § 14). Pertanto si dice normalmente la Messa della feria dal 2 al 5 gennaio, salvo la Domenica che è destinata alla Festa del Santissimo Nome di Gesù.




Domenico Ghirlandaio, SS. Giacomo Maggiore, Stefano e Pietro, 1492-94, Galleria dell’accademia, Firenze

Carlo Crivelli, S. Stefano, 1476, National Gallery, Londra

Michelangelo Anselmi, Vergine con Bambino in gloria tra i SS. Stefano e Giovanni Battista, 1530-40, Musée du Louvre, Parigi

Juan Correa de Vivar, S. Stefano, 1559, Museo del Prado, Madrid

Charles André Van Loo, S. Stefano martire, XVIII sec., Musée des Beaux-Arts, Valenciennes

“Quid ergo dicémus? permanébimus in peccáto, ut grátia abúndet? Absit. Qui enim mórtui sumus peccáto, quómodo adhuc vivémus in illo? An ignorátis quia quicúmque baptizáti sumus in Christo Jesu, in morte ipsíus baptizáti sumus? Consepúlti enim sumus cum illo per baptísmum in mortem: ut quómodo Christus surréxit a mórtuis per glóriam Patris, ita et nos in novitáte vitæ ambulémus” (Rom. 6, 1-5 – Lect. I – Noct.) - IN OCTAVA SANCTI JOANNIS, APOSTOLI ET EVANGELISTÆ

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Quest’Ottava fu soppressa nel 1955 (v. Decreto di semplificazione delle rubriche del 23 marzo 1955, § 14).
Questo ci dà modo di ricordare che nel XX sec. le Ottave erano così classificate:
- Ottave privilegiate di prim’ordine (quelle di Pasqua e Pentecoste);
- Ottave privilegiate di second’ordine (quelle dell’Epifania e del Corpus Domini);
- Ottave privilegiate di terz’ordine (quelle di Natale, Ascensione e Sacro Cuore);
- Ottave comuni (quelle dell’Immacolata Concezione, della Solennità di S. Giuseppe, della Natività del Battista, dei SS. Pietro e Paolo, di Tutti i Santi, dell’Assunzione della Beata Vergine Maria);
- Ottave semplici (quelle di S. Stefano, di S. Giovanni Apostolo ed Evangelista, dei SS. Innocenti).
La messa dell’Ottava è identica a quella della festa, ma si dice il Prefazio degli Apostoli, non dice il Credo e si omette la commemorazione della Natività. Qualora la giornata di oggi cadesse di Domenica, Festa del Santissimo Nome di Gesù, l’Ottava è commemorata, nelle messe private, nella II orazione.
Si dice, invece, normalmente, oggigiorno, la Messa della feria dal 2 al 5 gennaio, salvo la Domenica destinata alla Festa del Santissimo Nome di Gesù.



Orazio Borgianni, S. Giovanni anziano aiutato dai suoi discepoli, XVII sec., Staatliche Kuntsammlungen Gemaeldegalerie Alte Meister, Dresda

Blas de Prado, Sacra Famiglia con i SS. Ildefonso e Giovanni evangelista, con il maestro Alonso de Villegas, 1589, Museo del Prado, Madrid



Nicholas Poussin, SS. Pietro e Giovanni guariscono lo storpio, 1655, The Metropolitan Museum of Art, New York


Bartolomé Esteban Murillo, SS. Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, 1655, Art Institute of Chicago, Chicago

Anonimo, S. Giovanni evangelista e la Venerabile María de Jesús de Ágreda hanno la visione dell'Immacolata e della Mistica Città di Dio, XVII sec.

Gesù bambino tra il Battista e Giovanni Evangelista, XVIII sec.

Pompeo Girolamo Batoni, S. Giovanni evangelista, 1740-43, collezione privata, Londra

Jean-Auguste-Dominique Ingres, Testa di S. Giovanni, 1841 ss., The Metropolitan Museum of Art, New York 





Ramón Cuenca Santo, S. Giovanni evangelista, 2015, Toledo

L’indulgenza non è una tregua - Editoriale di gennaio 2016 di “Radicati nella fede”

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Nella festa del SS. Nome di Gesù e di S. Genoveffa, vergine, nonché nel ricordo che il 3 gennaio 1521, Papa Leone X, con la Bolla Decet Romanum Pontificem, scomunicò il Porcus Saxoniae, Martin Lutero («Decet Romanum pontificem, ex tradita sibi divinitus potestate, poenarum spiritualium et temporalium, pro meritorum diversitate, dispensatorem constitutum, ad reprimendum nefarios conatus perversorum quos noxiae voluntatis adeo depravata captivat intentio, ut, Dei timore postposito, canonicis sanctionibus mandatisque apostolicis neglectis atque contemptis, nova et falsa dogmata excogitare, ac in Ecclesia Dei nefarium scisma inducere [...] contra tales eorumque sequaces acrius insurgere ...»), rilancio quest’editoriale di Radicati nella fede del mese di gennaio 2016, già riportato da Chiesa e postconcilio.



Monogramma JHS, Chiesa del Gesù, Roma



Anonimo, S. Genoveffa dinanzi all'Hôtel de Ville di Parigi, XVII sec., Musee Carnavalet, Parigi



Scuola fiamminga, S. Genoveffa sorveglia il suo gregge, 1575-1600, Musée Carnavalet, Parigi

S. Genoveffa, vetrata, église Saint-Étienne, Chanonat





L’INDULGENZA NON È UNA TREGUA

Editoriale di “Radicati nella fede”
Anno IX n. 1 - Gennaio 2016


Perché la Chiesa ha fatto gli Anni Santi, perché ha pensato ai Giubilei con le loro indulgenze plenarie? Semplicemente perché gli uomini devono tornare a Dio, allontanandosi dal peccato che causa loro la morte eterna. Non c’è altra ragione, non ce n’è proprio un’altra!
Si assiste a una strana insistenza sulla misericordia di Dio, che suona straniera, molto straniera ad orecchie cattoliche. Si sente parlare del Signore che perdona sempre, ma questa insistenza non è mai preceduta e accompagnata dal ricordo della gravità del peccato, con le sue mortali conseguenze.
È la solita storia: si prendono verità cattoliche, le si isolano da tutto il resto, trasformandole così in qualcosa d’altro. È la tecnica per fondare una nuova Chiesa, la chiesa dell’umanità che non è più la Chiesa di Cristo.
E tutto questo ha qualcosa di illogico, di non ragionevole: perché mai il Signore ti accoglierebbe con misericordia, se non perché tu hai bisogno di essere strappato dal peccato e dalla morte?
Ma no! oggi va di moda, e proprio nella Chiesa, parlare della bontà accogliente di Dio, senza richiamare la gravità del peccato, di ogni peccato. Anzi, chi ancora nella Chiesa si attarda a denunciare il male e la sua gravità, viene visto come nemico della misericordia di Dio, da eliminare come falso apostolo, affinché la bellezza della “nuova chiesa” possa finalmente risplendere.
Quanti disastri morali si compiranno in questo Anno Santo, se non si tornerà alla Misericordia vera, quella di Cristo, che accogliendoti in pianto per i tuoi peccati, ti perdona e ti dice “d’ora in poi non peccare più”.
La misericordia di Dio, quella di Cristo, non può mai essere disgiunta dalla condanna ferma del peccato, di ogni peccato. Anzi, è proprio insegnando la gravità del peccato che la Chiesa ha sempre aperto i cuori alla vera misericordia di Dio.
Il beato Cardinal Newman ha parole impressionanti proprio sulla necessità della condanna severa del peccato. Parlando del compito dottrinale della Chiesa così si esprime:
Anzitutto, la dottrina del maestro infallibile deve iniziare da una vibrata protesta contro lo stato attuale dell’umanità. L’uomo si è ribellato al suo Creatore. Questa ribellione ha provocato l’intervento divino; e la denunzia della ribellione dev’essere il primo atto del messaggio accreditato da Dio” (Apologia pro vita sua, cap. V).
Non c’è che dire, il grande Cardinal Newman, spacciato troppe volte per anticipatore della confusione conciliare, su questo è chiaro: la ribellione dell’uomo a Dio va denunciata, e questa denuncia sta all’inizio del parlare della Chiesa, viene prima di tutto, con essa incomincia tutto!
Ma continuiamo con Newman:
La Chiesa deve denunciare la ribellione come il più grave di tutti i mali possibili. Non può scendere a patti; se vuole essere fedele al suo Maestro, deve bandirla e anatemizzarla” (ibid.)
Altro che la confusione che ci circonda e ci sommerge! Altro che questa confusione seguita al sinodo sulla famiglia, che ben ha preparato la confusione del giubileo.
La mancanza della denuncia del peccato è di fatto un scendere a patti col peccato; così è percepita dai più.
È colta come una tregua, come una rinuncia della Chiesa alla lotta contro il male e il demonio. È colta come un cambiamento di morale, come un depennare alcuni comandamenti dal decalogo, per far tregua con il mondo che non vuole cambiare.
Sì, si rischia di intendere l’Anno Santo, con la sua misericordia “larga”, come una grande tregua al peccato, che prelude alla nascita di una nuova chiesa pacificata col mondo moderno, che di cambiare non ne ha proprio voglia: che illusione mortale!
Illusione mortale, quella di pensare di conquistare il mondo con un perdono che non richiede il dolore del peccato e il proponimento di non commetterlo più! Illusione mortale, quella di pensare di riempire le chiese non chiedendo più niente alle anime. Illusione mortale, quella di pensare di spalancare le porte a tutti senza chiedere nulla: entreranno forse in molti, ma occuperanno una chiesa debole, che si trasformerà in loro; e dopo averla resa simile alla loro casa confusa da cui provenivano, la rigetteranno per l’ennesima volta come una chiesa inutile.
Ma sì!: cosa se ne fanno gli uomini di una chiesa che benedice senza avere più la voglia di convertire? Cosa se ne faranno di una chiesa che ha rinunciato alla grande opera di Cristo, quella di salvare le anime, suscitando e consacrando con la Grazia la loro vera conversione? Cosa se ne faranno di una chiesa che, infedele al suo maestro, si vergogna di ripetere le sue parole sante: “Va, i tuoi peccati sono perdonati, e d’ora in poi non peccare più, perché non ti capiti qualcosa di peggio” ?
Ma ascoltiamo ancora il grande Henry Newman:
La Chiesa cattolica pensa sia meglio che cadano il sole e la luna dal cielo, che la terra neghi il raccolto e tutti i suoi milioni di abitanti muoiano di fame nella più dura afflizione per quanto riguarda i patimenti temporali, piuttosto che una sola anima, non diciamo si perda, ma commetta un solo peccato veniale, dica una sola bugia volontaria o rubi senza motivo un solo misero centesimo” (ibid).
È ancora così la nostra coscienza cattolica? È inteso ancora così il compito della Chiesa?
Carissimi, il compito della Chiesa non può cambiare, perché Cristo non cambia. Non fidiamoci dei falsi maestri che scambiano il perdono, l’indulgenza plenaria, con una “tregua” dal sapore troppo umano che sa di diabolico.
La Chiesa è stata posta come baluardo per la salvezza delle anime dal male, dall’abisso del peccato.
All’intensità del male che si è impossessato del genere umano, è stato contrapposto un potere capace di fronteggiarlo; e il primo atto di questo potere istituito da Dio è ovviamente una sfida al nemico. Questo preambolo dà un senso alla posizione della Chiesa nel mondo, e dà una chiave per interpretare tutto il suo insegnamento e la sua condotta attraverso i secoli.” (ibid).
Ecco perché una Chiesa che intende la misericordia come “tregua” è un puro non senso, è la distruzione della Chiesa stessa. Una Chiesa così ridotta non avrà più una posizione nel mondo... anzi, non l’ha già più.
Preghiamo il Signore e la Vergine Maria, perché ci concedano pastori secondo il cuore di Dio, che non temano di fronteggiare il peccato, di porsi come sfida al nemico.
E a noi tutti dia l’intelligenza per riconoscere pastori così.

Fonte: Radicati nella fede, 30.12.2015

Latino, lingua volgare, imprecisione, non senso e demagogia in un aforisma di Giovannino Guareschi

“Deus est, qui natus est: Innocéntes illi debéntur víctima, qui venit damnáre mundi malítiam. Agnélli debent immolári, quia Agnus futúrus est crucifígi, qui tollit peccáta mundi. Sed oves úlulant matres, quia agnos perdunt sine voce balántes. Grande martyrium, crudéle spectáculum! Exímitur machǽra, et nulla intérvenit causa: sola stridet invídia, cum qui natus est, nulli fáciat violéntiam. Sed oves cérnimus matres: quæ super agnos lugent: Vox in Rama audíta est, plorátus et ululátus magnus. Pígnora sunt, non crédita, sed creáta; non depósita, sed expósita” (sancti Augustíni Epíscopi, Sermo 1 de Innocentibus – Lect. III – Noct.) - IN OCTAVA SANCTORUM INNOCENTIUM, MARTYRUM

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Come abbiamo ricordato per l’Ottava dei SS. Stefano protomartire e Giovanni Apostolo ed Evangelista, anche quella odierna fu soppressa nel 1955 (v. Decreto di semplificazione delle rubriche del 23 marzo 1955, § 14). La messa dell’Ottava è simile a quella della festa, ma si canta il Gloria e l’inno angelico dell’Alleluja. Secondo l’uso romano, gli ornamenti ed i paramenti liturgici di oggi (ed anche quando la festa degli Innocenti cade di Domenica), in luogo di essere violetti, sono rossi. La ragione di questa particolarità risiede nel fatto che questi bambini furono martirizzati in un momento in cui non potevano giungere alla visione beatifica. Per cui il colore viola usato per la festa era più di compassione, per così dire, verso le madri piangenti di Betlemme; per questo la Chiesa omette durante la Messa della festa sia il Gloriae l’Alleluja. Va anche detto che quest’usanza è sconosciuta alla Chiesa di Francia e di Germania.
Dopo il ‘55, si dice normalmente la Messa della feria dal 2 al 5 gennaio, salvo la Domenica che è destinata alla Festa del Santissimo Nome di Gesù.
Si discute quanti siano i bambini fatti uccidere da Erode.
La liturgia greca afferma che Erode abbia soppresso ben 14.000 bambini (τον αγιον ιδ χιλιαδον Νηπιον), i siriani parlano di 64.000, molti autori medievali di 144.000 traendo il numero da Ap. 14, 3. Gli odierni esegeti riducono il numero in maniera considerevole, dato che Betlemme era una città piuttosto piccola. Secondo Giuseppe Ricciotti, storico biblista, il numero dei bambini nati a Betlemme in quel periodo, essendo circa 1000 gli abitanti adulti della piccola Betlemme, poteva aggirarsi intorno ai 60 individui (da due anni in giù), considerando un tasso di natalità simile a quello dei primi del Novecento; circa 30 nati l’anno. Volendo però Erode uccidere solo i bambini maschi il numero degli uccisi è dunque, approssimativamente, di circa 30 neonati e, considerando che la mortalità infantile nel Vicino Oriente era molto alta, il numero si restringe a circa 20-25 (Giuseppe Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, con Prefazionedi Vittorio Messori, Mondadori, Milano, 2011, pp. 276-277).
Altri autori affermano che sarebbero pure meno: dieci-dodici o persino appena sei.
Ciò spiega, unitamente alla circostanza che gli uccisi sarebbero figli di contadini e pastori e dunque di scarso livello sociale, il motivo per il quale le fonti extraevangeliche non menzionino questa uccisione. Del resto, dinanzi a ben altre atrocità commesse da Erode, questa dové apparire praticamente insignificante. Erode, infatti, mise a morte, tra l’altro, la pur amatissima moglie Marianne e tre figli avuti da lei (Alessandro, Aristobulo e Antipatro), tanto che lo scrittore tardo imperiale Macrobio, nel V sec. d.C., attribuisce una battuta ad Augusto, di cui Erode era sovrano vassallo, secondo la quale era preferibile essere un maiale (in greco ὑς, hus) di Erode piuttosto che suo figlio (ὑιος, huios) (Macrobio, Saturnalia, 2.4.11, de Augusto et jocis eius: (Augustus) cum audisset inter pueros quos in Syria Herodes rex Judæorum intra bimatum iussit interfici filium quoque eius occisum, ait: Melius est Herodis porcum esse quam filium), perché Erode, essendo giudaizzato, non mangiava – secondo la legge ebraica - carne di maiale, però non esitava ad uccidere chicchessia, se il suo potere era in pericolo.
D’altro canto non bisogna dimenticare che se la notizia fosse giunta a Roma, non avrebbe rappresentato motivo di reazione politica da parte dell’imperatore, che non esitava anche lui a soffocare nel sangue possibili rivolte. Svetonio, in un passo in cui utilizza il racconto di Giulio Marato (il quale era un liberto, segretario di Augusto), scrive che pochi mesi prima della nascita dell’imperatore Augusto, avvenne a Roma un prodigio che fu interpretato come presagio di imminente nascita di un re per il Popolo Romano; i senatori tenacemente repubblicani, spaventati, ordinarono di esporre tutti i neonati che nacquero in quell’anno: comunque il decreto non venne depositato e la strage non fu eseguita (Svetonio, Vite dei Cesari, Augusto, 94,1). Si può comprendere quindi quanta scarsa rilevanza ebbe, secondo Ricciotti (Ricciotti, op. cit., p. 277), la strage di Betlemme nella capitale dell’impero, considerando l’esiguità dei numeri e i tempi abbastanza crudeli e violenti.



William Charles Thomas Dobson, I Santi Innocenti, 1858, collezione privata

Stampa ispirata all'opera di Dobson, XIX sec.


William Holman Hunt, Il trionfo degli Innocenti, 1883-84, Tate Gallery, Londra

William Holman Hunt, Il trionfo degli Innocenti, 1870-1903, Fogg Museum, Harvard University, Harvard

Girolamo da Romano, detto il Romanino, Madonna con il Bambino ed i SS. Benedetto, Giustina, Prosdocimo, Scolastica, Luca, Mattia, Massimo, Giuliano da Padova e tre martiri innocenti, 1514, Pinacoteca dei Civici Musei, Padova


Pieter Paul Rubens, Vergine con Bambino circodata da una corona di Santi Innocenti, 1618 circa, Musée du Louvre, Parigi

I divorziati e la Chiesa. Interviene don Nicola Bux: «Il sacerdote non è un notaio e il pentimento non basta»

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Segnalata, rilancio volentieri questa recente intervista di don Nicola Bux sul tema assai dibattuto sulla Comunione ai divorziati risposati e se sia possibile l’assoluzione in foro interno (nella Confessione) al divorziato passato a nuove nozze che non manifesti alcuna intenzione di lasciare il neo-coniuge. Ancora una volta, da parte cattolica, una parola chiara, nonostante non manchino quelli che Riccardo Cascioli, in un suo recentissimo intervento su La Nuova Busssola quotidiana, chiamava "i furbetti del sinodino", che vorrebbero "aprire" la Comunione ai divorziati risposati (v. Riccardo Cascioli, I furbetti del sinodino, in NBQ, 31.12.2015. L'articolo di Cascioli è pure rilanciato da Il Timone del 4.12.2016).

I divorziati e la Chiesa «Il sacerdote non è un notaio e il pentimento non basta»

La Basilica di San Nicola

BARI - Qualcosa è cambiato, nei rapporti tra i fedeli e la Chiesa Cattolica. La vicenda di un uomo divorziato e risposato, recatosi per la confessione a San Nicola alla vigilia di Natale, riaccende il dibattito su un concetto che con il Giubileo è diventato mediatico. In una lettera, che la Gazzettaha pubblicato mercoledì 30 dicembre, l’interessato ha raccontato la propria delusione per l’assoluzione negatagli. E ha rivendicato la misericordia di Papa Francesco.
«Ma il sacerdote non è il notaio che ratifica una decisione già presa dal penitente» commenta don Nicola Bux, teologo, consultore in Vaticano, autore tra i più citati a livello internazionale. Il suo ultimo libro, “Come andare a messa e non perdere la fede”, è stato già tradotto in cinque lingue.

Ma l’assoluzione, ci ha scritto il nostro lettore, «va data a tutti quelli che si confessano».

«È un’affermazione assurda. Qui si confonde il perdono con il condono. Nella confessione, il sacerdote è allo stesso tempo giudice e medico dell’anima. Assolvere vuol dire “sciogliere”, ossia slegare il penitente dal legame con il peccato. È il sacerdote, non il fedele, che valuta se ci sono le condizione per assolvere o meno».

Il pentimento non basta?

«Il pentimento vero implica la disponibilità del fedele a sciogliere quel legame. Nel Vangelo Gesu Cristo dice: Va', e non peccare più. Mica va' e continua a fare di testa tua».

Il sacerdote ha ritenuto che non vi fossero le condizioni di cui parla?

«Certamente. Non si può pretendere l’assoluzione senza il fermo proposito di non peccare più».

E qui entra in gioco il Giubileo della misericordia.

«Concetto parecchio frainteso, negli ultimi tempi. Le regole non sono cambiate e i sacerdoti si attengono alla solita dottrina, tutti allo stesso modo, esattamente come tutti i giudici si attengono alla legge, senza eccezioni. Perché questo concetto è dato per scontato in tribunale e vorremmo sovvertirlo nelle chiese?».

È chiaro da che parte stia don Bux.

«Dalle parte di Gesù Cristo, ovviamente. Nessuno, su questa terra, ha l’autorità di cambiare le regole della sua Chiesa. Tant’è vero che dal sinodo è uscito un documento che non cambia assolutamente nulla, in materia di disciplina dell’eucaristia ai divorziati risposati».

Però, papa Francesco, a molti sembra intenzionato a cambiare rotta.

«Un altro enorme fraintendimento. Lo ha spiegato molto chiaramente il cardinale Muller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, ossia il custode della fede cattolica, il quale afferma: “La dottrina non è una teoria costruita dagli uomini. Il magistero del Papa e dei vescovi non è superiore alla Parola di Dio”».

A giudizio del sacerdote il nostro lettore sarebbe ancor più peccatore in quanto faceva la comunione, nonostante avesse divorziato e si fosse poi risposato.

«E vorremmo fare una colpa al sacerdote? È Gesù Cristo che, nel Vangelo, decreta l’indissolubilità del matrimonio. E San Paolo mette in guardia dal ricevere il sacramento indegnamente. Come si può pretendere di accedere all’eucaristia, se non si è più in comunione con la propria moglie? È una contraddizione in termini. Ed altre ne emergono, da quella lettera».

A cosa si riferisce?

«Innanzitutto il dato di partenza. Il lettore si definisce “cattolico credente”, ma anche divorziato e risposato, il che tradisce l’indissolubilità del vincolo coniugale. Poi parla, testualmente, di uno “schiribizzo”, che lo avrebbe spinto a confessarsi dopo dodici anni di assenza dal confessionale. Ma almeno una volta all’anno, i cattolici hanno l’obbligo di confessarsi e di comunicarsi. È un tipico esempio di “cristianesimo fai da te”, che dovrebbe adattarsi alla nostre esigenze. Un fenomeno dal quale ci aveva messi in guardia il papa Benedetto XVI».

Ultima questione. La porta santa aperta nella Basilica, non rappresenta un percorso penitenziale speciale?

«Anche su questo bisogna fare chiarezza. Il peccato, un po’ come il reato, comporta la colpa ed una pena. La confessione assolve dal peccato, non dalla pena che sarà scontata nell’aldilà a livello soprannaturale. È a questo punto che entra in gioco il Giubileo che, in via straordinaria, serve ad assolvere anche dalla pena. Le porte della misericordia, nella Chiesa, erano, sono e saranno sempre aperte. Ma alle consuete condizioni. E i sacerdoti sanno che non devono cedere, non devono lasciarsi intimorire dalle opinioni dominanti».

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