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I veri amici del popolo in un aforisma di S. Pio X

Previous: “Diutúrnæ valetúdinis incómmoda hílari vultu constantíque ánimo pértulit; de uno tantum cónqueri audíta est, quod, cum cibum cápere ac retinére nullo modo posset, ab Eucharística mensa ob sacraménti reveréntiam arcerétur. Verum, his in angústiis constitúta, sacerdótem rogávit ut allátum divínum Panem, quem ore súmere nequíbat, péctori saltem extérius admovéret. Précibus illíus morem gessit sacérdos; et mirum! eódem témporis moménto divínus Panis dispáruit, et Juliána seréno ac ridénti vultu exspirávit. Res supra fidem támdiu fuit, donec vírgineum de more curarétur corpus; invénta enim est circa sinístrum péctoris latus carni véluti sigíllo impréssa forma hóstiæ, quæ Christi crucifíxi effígiem repræsentábat” (Lect. VI – II Noct.) - SANCTÆ JULIANÆ DE FALCONERIIS, VIRGINIS, INSTITUTRIX SORORUM ORDINIS SERVORUM BEATÆ MARIÆ VIRGINIS

Persecuzione, veri credenti in un aforisma di Robert H. Benson

Immagini per meditare: nella festa di S. Giuliana Falconieri, il Viatico nell'arte

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Francisco de Zurbáran, Viatico di S. Bonaventura, 1629, Palazzo Bianco o Palazzo Doria Brignole - Musei di Strada Nuova, Genova

Daniel Hallé, S. Benedetto riceve il Viatico, 1664, chiesa di Saint-Ouen, Rouen

Mariano Guerrero, S. Junipero Serra riceve il Viatico, 1785





Alexey Venetsianov, Viatico ad una morente in Russia, 1839, Galleria Tret'jakov, Mosca

Leonardo Alenza y Nieto, Il Viatico, 1840, museo del Prado, Madrid

Bruno Chérier, Il viatico, XIX sec., Chiesa Notre-Dame de Fives, Lille

Ferdinand Georg Waldmüller, Il Viatico o l'Estrema Unzione, 1846

Pablo Pardo Gonzalez, Viatico di S. Teresa d'Avila, 1870, museo del Prado, Madrid


Aimé Perret, Il Santo Viatico in Borgogna1879, Musée de la Vie bourguignonne Perrin de Puycousin, Digione

Ex voto, 18 maggio 1879 con immagine di Viatico

Enrique Martínez-Cubells y Ruiz Diosayuda, Il Viatico in un villaggio delle Asturie, 1899, museo del Prado, Madrid 


Javier Ciga Echandi, Viatico nelle montagna della Navarra, il Baztán, 1917, Museo de Navarra, Pamplona

Gonzalo Bilbao, Il viatico a Toledo, 1922, Fundación Banco Santander

Ciò che era sacro per gli antichi e per i moderni in un aforisma di Benedetto XVI

La “Chiesa povera” dal Vaticano II ad oggi

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Nella festa di quel giglio di purezza quale fu san Luigi Gonzaga, si rilancia questo contributo del prof. De Mattei, tradotto in inglese da Rorate caeli.


Giandomenico Tiepolo, S. Luigi, 1760 circa, Pinacoteca di Brera, Milano

Ambito del bergamasco, S. Luigi Gonzaga in venerazione del Crocifisso, XVIII sec., museo diocesano, Bergamo

Ambito del bergamasco, S. Luigi Gonzaga, XVIII sec., museo diocesano, Bergamo

Ambito del bergamasco, S. Luigi Gonzaga in venerazione del Crocifisso, XVIII sec., museo diocesano, Bergamo

Ambito del bergamasco, S. Luigi Gonzaga in venerazione del Crocifisso, XVIII sec., museo diocesano, Bergamo

Ambito del bergamasco, S. Luigi Gonzaga, XVIII sec., museo diocesano, Bergamo

Ambito del bergamasco, S. Luigi Gonzaga in venerazione del Crocifisso, XVIII sec., museo diocesano, Bergamo

Autore anonimo, S. Luigi, XVIII sec., Museo Nazionale di Palazzo Mansi, Palazzo Mansi, Lucca

Ambito lombardo, S. Carlo Borromeo comunica S. Luigi Gonzaga, XVII sec., museo diocesano, Bergamo

La “Chiesa povera” dal Vaticano II a papa Francesco

di Roberto de Mattei

I documenti di Papa Francesco, secondo il giudizio prevalente dei teologi, costituiscono delle generiche indicazioni di carattere pastorale e morale, prive di significativa qualità magisteriale. È questa una delle ragioni per cui tali documenti vengono discussi in maniera più libera di quanto sia mai accaduto con i testi pontifici.
Tra le analisi più penetranti di questi testi, va segnalato lo studio di un filosofo dell’università di Perugia, Flavio Cuniberto, dal titolo Madonna Povertà. Papa Francesco e la rifondazione del cristianesimo (Neri Pozza, Vicenza 2016), dedicato in particolare alle encicliche Evangeli Gaudium (2013) e Laudato sì (2015). L’esame a cui il prof. Cuniberto sottopone i testi è quella dello studioso che cerca di comprenderne le tesi di fondo, spesso celate da un linguaggio volutamente ambiguo ed ellittico. Sul tema della povertà, Cuniberto porta alla luce due contraddizioni: la prima di natura teologico-dottrinale, la seconda di carattere pratico.
Per quanto riguarda il primo punto egli osserva che papa Francesco, in contrasto con quanto si desume dal Vangelo, fa della povertà una condizione più materiale che spirituale, per trasformarla quindi in una categoria sociologica. Questa esegesi traspare, ad esempio, dalla scelta di citare, per il discorso sulle Beatitudini, Luca 6, 20 e non il più preciso Matteo 5, 3 (che usa il termine di «pauperes spiritu», ossia coloro che vivono umilmente dinanzi a Dio).
Ma la povertà sembra essere allo stesso tempo un male e un bene. Infatti, osserva Cuniberto, «se la povertà come miseria materiale, esclusione, abbandono, è indicata fin dall’inizio come un male da combattere, per non dire il male dei mali, ed è perciò l’obiettivo primario dell’azione missionaria»il nuovo significato cristologico che gli attribuisce Francesco «ne fa contemporaneamente un valore e anzi il valore supremo ed esemplare». Si tratta, sottolinea il filosofo perugino, di un complicato groviglio. «Perché combattere la povertà e sradicarla quando è al contrario un “tesoro prezioso”, e addirittura la via verso il regno? Nemico da combattere o tesoro prezioso?» (pp. 25-26).
Il secondo nodo riguarda le “cause strutturali” della povertà. Supponendo che essa sia un male radicale, papa Bergoglio sembra individuarne la causa essenziale nella “disuguaglianza”. La soluzione indicata per estirpare questo male sarebbe quella marxista e terzo-mondista della redistribuzione delle ricchezze: togliere ai ricchi e dare ai poveri. Una redistribuzione ugualitaria che passerebbe attraverso una maggiore globalizzazione delle risorse, non più riservata alle minoranze occidentali, ma estesa a tutto il mondo. Ma alla base della globalizzazione sta la logica del profitto, che da una parte viene criticata e dall’altra viene proposta come via per vincere la povertà. Il supercapitalismo, infatti, per alimentarsi, ha bisogno di una platea di consumatori sempre più estesa, ma l’estensione su larga scala del benessere, finisce per alimentare le disuguaglianze che si vorrebbero eliminare.
Il libro del prof. Cuniberto merita di essere letto accanto a quello di uno studioso napoletano don Beniamino Di Martino, su Povertà e ricchezza. Esegesi dei testi evangelici (Editrice Domenicana Italiana, Napoli 2013). Il libro è molto tecnico e don Di Martino smonta, attraverso una rigorosa analisi dei testi, le tesi di una certa teologia pauperista.
L’espressione «contro l’avidità non contro la ricchezza» riassume, secondo l’autore, l’insegnamento dei Vangeli che egli analizza. Ma da dove nasce la confusione teologica, esegetica e morale tra povertà spirituale e povertà materiale? Non si può ignorare il cosiddetto “Patto delle Catacombe”, sottoscritto il 16 novembre del 1965 nelle Catacombe di Domitilla a Roma, da una quarantina di Padri conciliari che si impegnavano a vivere e lottare per una Chiesa povera e ugualitaria.
Il gruppo aveva tra i suoi fondatori il sacerdote Paul Gauthier (1914-2002), che aveva partecipato all’esperienza dei “Preti operai” del cardinale Suhard, condannata dalla Santa Sede nel 1953, e poi, con l’appoggio del vescovo di cui fu teologo in Concilio, mons. Georges Hakim, aveva fondato in Palestina la famiglia religiosa de I compagni e le compagne di Gesù carpentiere. Gauthier era accompagnato dalla sua compagna di lotta Marie-Thérèse Lacaze, che divenne la sua convivente quando lasciò il sacerdozio.
Tra coloro che appoggiarono il movimento furono mons. Charles M. Himmer, vescovo di Tournai (Belgio), che ospitava le riunioni nel Collegio belga di Roma, dom Helder Camara che era ancora vescovo ausiliare di Rio e poi divenne vescovo di Recife, e il card. Pierre M. Gerlier, arcivescovo di Lione, in stretti contatti con il card. Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna, che si faceva rappresentare dal suo consigliere Giuseppe Dossetti e dal suo vescovo ausiliare mons. Luigi Bettazzi (cfr. Il patto delle Catacombe. La missione dei poveri nella Chiesa, a cura di Xabier Pikaza e José Antunes da Silva, Edizioni Missionarie Italiane 2015).
Mons. Bettazzi, l’unico vescovo italiano oggi vivente presente al Vaticano II, fu anche l’unico italiano ad aderire al “Patto della Catacombe”. Bettazzi, oggi 93enne, partecipò a tre sessioni del Vaticano II e fu vescovo di Ivrea dal 1966 al 1999, quando si dimise per limiti di età.
Se Dom Helder Camara fu il “vescovo rosso” brasiliano, mons. Bettazzi entrò nella storia come il “vescovo rosso” italiano. Nel luglio del 1976, quando sembrava che il comunismo potesse prendere il potere in Italia, Bettazzi scrisse una lettera all’allora segretario del Partito Comunista Italiano Enrico Berlinguer, al quale riconosceva la tendenza a realizzare: «un’esperienza originaria di comunismo, diversa dai comunismi di altre nazioni», e chiedeva di «non osteggiare» la Chiesa, ma di «stimolarne»piuttosto «l’evoluzione secondo l’esigenza dei tempi e le attese degli uomini, soprattutto dei più poveri, che forse voi potete o sapete più tempestivamente interpretare». Il leader del PCI rispose al vescovo di Ivrea con la lettera Comunisti e cattolici: chiarezza di princìpi e basi di intesa pubblicata su Rinascita del 14 ottobre 1977.
In questa lettera Berlinguer negava che il PCI professasse esplicitamente l’ideologia marxista, come filosofia materialistica ateistica, e confermava la possibilità di un incontro tra cristiani e comunisti sul piano della “de-ideologizzazione”. Non si tratta di pensare allo stesso modo, ma di fare insieme la stessa strada – affermava in sostanza Berlinguer – nella convinzione che marxisti non si è nel pensiero, ma si diviene nella prassi.
Il primato marxista della prassi è penetrato oggi nella Chiesa come assorbimento della dottrina nella pastorale. E la Chiesa rischia di divenire marxista nella prassi anche falsando il concetto teologico di povertà.
La vera povertà è il distacco dai beni di questa terra, in modo che essi servano alla salvezza dell’anima e non alla sua perdizione. Tutti i cristiani devono essere distaccati dai beni, perché il Regno dei Cieli è riservato ai “poveri in spirito”, ed alcuni di essi sono chiamati a vivere una povertà effettiva, rinunciando al possesso e all’uso dei beni materiali. Ma questa scelta ha valore perché è libera e non viene imposta da nessuno.
Le sette eretiche, fin dai primi secoli, hanno preteso invece di imporre la comunione dei beni, al fine di realizzare in questa terra una utopia ugualitaria. Su questa linea si pone oggi chi vuole sostituire alla categoria religiosa dei poveri in spirito quella sociologica dei materialmente poveri. Mons. Luigi Bettazzi, autore del volumetto La chiesa dei poveri dal concilio a Papa Francesco (Pazzini 2014) ha ricevuto, il 4 aprile 2016, la cittadinanza onoraria di Bologna e potrebbe ricevere la porpora da papa Francesco, sotto il cui pontificato secondo lo stesso ex-vescovo di Ivrea, si è sviluppato il Patto delle Catacombe, «come un seme di frumento messo sotto la terra e cresciuto pian piano fino a dare i suoi frutti».

Credenza di Dio, preghiera e cose davvero importanti per la vita in un aforisma dell'attore Carlo Pedersoli (Bud Spencer) (1929-2016)

Il pericolo di una "canonizzazione" di Lutero durante il Concilio Vaticano II in un aforisma del card. Siri

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Fonte: Il Card. Siri: in Concilio ci fu il pericolo di una canonizzazione di Lutero, Paolo VI ne ebbe paura, in Il Timone, 28.6.2016

“Uscite da essa [Babilonia], o popolo mio, affinché non siate complici dei suoi peccati e non siate coinvolti nei suoi castighi” (Apoc. XVIII, 4). Sulla Brexit, il punto di vista cattolico

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Il 23 giugno scorso è stata davvero una data memorabile. Consultato il popolo inglese sulla permanenza nell’Unione Europea, questo ha detto chiaramente, a larga maggioranza, di non volerne più far parte. Deo gratias.
Il popolo si è voluto esprimere in maniera chiara, contro ogni previsione della vigilia, che dava il fronte a favore dell’Unione in netto vantaggio soprattutto dopo l’uccisione, da parte di un esaltato (sebbene ci siano alcuni profili oscuri su questa morte) della deputata laburista Jo Cox.
Il popolo ha rifiutato un’Unione delle lobbies a scapito dei popoli.
Quale dev’essere la posizione cattolica al riguardo?
Non può dirsi questa rappresentata da alcuni “alfieri” dell’Unione, le cui dichiarazioni sono state riportate, con enfasi, da alcuni organi di stampa. Se si guarda a fondo, questi personaggi son tutto fuorché cattolici e, dunque, incapaci di esprimere un punto di vista cattolico.
Tanto per citare alcuni di questi “alfieri”:
- Timothy Radcliffe, definito da taluno “una delle figure cattoliche più eminenti del Regno Unito” è un “domenicano” dalle notorie posizioni eterodosse o, comunque, volendo essere benevoli, "eccentriche" rispetto al depositum fidei, soprattutto in campo etico. In una recente occasione aveva affermato persino che «the homosexual activity can be expressive of Christ’s self gift» (vPete Baklinski, Eucharistic Congress speaker claims Catholics too focused on what homosexuals are ‘doing in bed’, in Lifesitenews, Jan 28, 2016. Per un riferimento alle opere del suddetto personaggio si rinvia qui) … ;
- l’arcivescovo “cattolico”, cardinal (si fa per dire …) Nichols, anche lui contrario alla Brexit, ha manifestato posizioni in materia di etica talora non molto dissimili da quelle del “domenicano” ora ricordato (vNick Donnelly, Cardinal Nichols, the Synod and the Gay Agenda, in Catholic Voice, Sept. 18, 2015);
- e che dire del quotidiano “Avvenire”? Il giornalista Andrea Lavazza si è espresso decisamente a favore delle ben note lobbies … (Per questo ed i precedenti riferimenti, v. Aleteia, 24.6.2016).
Ma simili “alfieri”, che hanno il giudizio morale compromesso dall'ideologia del mondo, possono esprimere una serena valutazione cattolica sul punto??? Se hanno un giudizio compromesso, chi ci assicura che possano offrire un punto di vista cattolico anche su questo tema????
Il dubbio è più che legittimo ed il cattolico, allora, quale metro di giudizio dovrà adoperare?
Semplice: la regola aurea dell’albero e dei frutti. Orbene, basti vedere quali sono i frutti di questa Unione Europea, retta da sentimenti chiaramente anticristiani, e che agisce etsi Deus non daretur. Ed infatti, questi frutti mefitici quali sono? La promozione delle unioni omosessuali e di tutto ciò che è riprovevole moralmente (aborto ed eutanasia in primis), l’avvilimento ed annientamento della cultura religiosa e dell’identità dei popoli, la realizzazione del completo dominio ed asservimento economico dei popoli europei, l’attenzione a tutto ciò che è anti-umano o non-umano (ha fatto discutere, infatti, la recente proposta al Parlamento europeo di riconoscere la “personalità elettronica” ai robot: cfr. Anne Dolhein, Al Parlamento europeo si discute per riconoscere la “personalità elettronica” dei robot, in Il Timone, 28.6.2016) ecc.
Se l’Unione ha dimenticato Dio, ha dimenticato anche l’uomo, guardando ad esso come ingranaggio di un meccano e non come essere umano, dotato di un’anima da salvare. E per non far percepire la riduzione degli individui in una sostanziale schiavitù, l’ha occultata sotto una coltre di “diritti”, asseritamente umani, ma che in verità sono espressione delle sue passioni più disordinate. Per un cattolico vale sempre il principio: «In qualsiasi tipo di Stato i principi devono soprattutto tener fisso lo sguardo a Dio, sommo reggitore del mondo, e proporsi Lui quale modello e norma nel governo della comunità». Questo lo diceva quel “medievale”,  nostalgico ed utopista di Leone XIII nell’enciclica Immortale Dei. E se ciò vale per gli Stati, varrà anche, a maggior ragione, per le aggregazioni di Stati di cui l’U.E. ne è un tipo.
Per cui, per il cattolico, non riscontrando in quest’Unione alcun elemento cristiano o di fondamento in Dio, vale l’invito dell’Apocalisse: «Uscite da Babilonia, o popolo mio, affinché non siate complici dei suoi peccati e non siate coinvolti nei suoi castighi, perché i suoi peccati si sono accumulati fino al cielo e Dio si è ricordato delle sue iniquità» (Apoc. XVIII, 4-5).
In assenza di qualsiasi fondamento in Dio, alcun edificio, in fondo, può reggersi a lungo, memori dell’insegnamento della Scrittura: «Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori. Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode» (Sal. 127 (126), 1).

Vittoria di un giorno di libertà


Non si tratta di fare gli euforici, né di immaginare che da oggi cambia tutto immediatamente, né di fare del sensazionalismo. Anzi, chi scrive sa bene che molti, pur ostili alla UE, troveranno le più svariate motivazioni per non esultare, anzi, per mettere in guardia. Alcune saranno anche giuste, altre solo in parte, altre del tutto insensate o fuorvianti.
Chi scrive sa bene che non sta tornando Carlo Magno…. Né può approvare esultanti quanto ridicoli commenti di futura restaurazione della civiltà cristiana… (figuriamoci…). E condivide pure in parte il fatto che le forze della dissoluzione sapranno comunque trarre vantaggio anche da una sconfitta.
Eppure… è fuori discussione che i signori camerieri di Bruxelles, quelli mai votati da nessuno e agli ordini di qualcuno che nessuno conosce, come le comparse note al grande pubblico (da Schult, Napolitano e Monti in giù),  abbiano ricevuto una sventola fenomenale in faccia.
È fuor di dubbio che oggi è accaduto un evento democratico – e lo dice uno che non è certo un assertore della democrazia moderna –, nel senso che è stata punita con libero voto del popolo una oligarchia antidemocratica mai votata da nessuno.
Quel che è certo, è che finalmente un popolo che ha potuto esprimersi liberamente e non solo ha condannato la UE, ma, come ammesso da tutti, ha condannato anzitutto l’immigrazionanismo (sebbene proprio in Gran Bretagna questo non sia prodotto dalla UE, come per esempio da noi… Ma di cui comunque la UE è simbolo anche quando non ne è causa diretta).
Quel che è certo, è che ora il vento della libertà e della ribellione dei popoli europei soffia un po’ più forte di prima, e tutto il mondo sinarchico e mondialista non potrà non tenerne conto.
Quel che è certo è che ora si presenta una grande occasione per risvegliare le coscienze assopite, e poniamo la nostra speranza in questo risveglio non nel popolo più assopito e stupido, ovvero il nostro, ma nei francesi, negli austriaci, nei danesi, nei popoli slavi, perfino nei tedeschi. Poi, i belli addormentati nel bosco della schiavitù economica e politica (ovvero noi), potrebbero anche svegliarsi. Ora, si comincia.
Anche dal punto di vista della fondamentale lotta antigender e profamily, si tratta di un’importante vittoria indiretta. Chi ha perso oggi sono gli stessi che comandano e conducono la distruzione della famiglia, dei bambini, dell’ordine naturale.
Stamane presto, ai primi commenti televisivi, un docente universitario di economia commentava: “Basta parlare di finanza, bisogna tornare agli ideali fondanti del 1957: pace, democrazia e valori”. Appunto: quali valori? Quelli proclamati a Nizza nel 2001, che distruggono ogni ordine naturale per la costruzione dell’”uomo nuovo” e la distruzione della famiglia e dell’essere umano? O i valori cristiani di sempre, radice, fusto, foglie e frutti dell’albero della civiltà europea? Ecco un’altra sfida per tutti noi e anche in questo la giornata di oggi può essere di importanza capitale.
Non per niente, a parlare è la stizza incontenibile di Napolitano, Monti e gentaglia come Saviano, la paura dei democristiani usuali, il timore silenzioso della Merkel e di Hollande, così come l’entusiasmo dei popoli.
Si parla ora di Frexit. Quasi sicuramente non permetteranno altri referendum (come appunto auspicato da Napolitano e Monti, portavoci del Sauron bruxellese), ma se dovessero farlo, e lo facessero in Francia, il pericolo del collasso definitivo della UE diverrebbe concretissimo. Affidiamoci a Dio, che può sconvolgere i piani umani in un istante e rovesciare il corso della storia quando vuole.


IN FESTO SANCTORUM APOSTOLORUM PETRI ET PAULI

Religione e uomini in un aforisma dell'agostiniano Egidio da Viterbo O.S.A.

Le Osservazioni sull’Amoris laetitia di don Alfredo Morselli

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Torniamo sul tema dell’esortazione Amoris laetitia: un documento che pone seri problemi, presentando delle criticità sia laddove preso nel suo complesso sia nelle sue singole parti.
Tra l’altro curiosamente sinora ci si è soffermati quasi esclusivamente, nei commenti, sul cap. VIII dell’esortazione – quello afferente l’accesso alla Comunione dei c.d. divorziati  risposati – ma esso è seriamente problematico anche altrove.
A titolo esemplificativo valga questa “pillola”, tratta dal § 149 di AL:
«Alcune correnti spirituali insistono sull’eliminare il desiderio per liberarsi dal dolore. Ma noi crediamo che Dio ama la gioia dell’essere umano, che Egli ha creato tutto “perché possiamo goderne” (1 Tm 6,17). Lasciamo sgorgare la gioia di fronte alla sua tenerezza quando ci propone: “Figlio, trattati bene […]. Non privarti di un giorno felice” (Sir 14,11.14). Anche una coppia di coniugi risponde alla volontà di Dio seguendo questo invito biblico: “Nel giorno lieto sta’ allegro” (Qo 7,14). La questione è avere la libertà per accettare che il piacere trovi altre forme di espressione nei diversi momenti della vita, secondo le necessità del reciproco amore. In tal senso, si può accogliere la proposta di alcuni maestri orientali che insistono sull’allargare la coscienza, per non rimanere prigionieri in un’esperienza molto limitata che ci chiuderebbe le prospettive. Tale ampliamento della coscienza non è la negazione o la distruzione del desiderio, bensì la sua dilatazione e il suo perfezionamento».
Il paragrafo è inserito nella parte relativa all’«Amore appassionato» e segnatamente nella sezione «Dio ama la gioia dei suoi figli», immediatamente prima di quella concernente «La dimensione erotica dell’amore». Dunque, il tema considerato dal § 149 attiene propriamente alla dimensione di piacere del rapporto di coniugale.
Tuttavia, nel discorso si vede emergere una categoria insolita per la teologia cattolica, vale a dire quella dell’«allargamento della coscienza»; una categoria poco comprensibile nell’ottica del Cristianesimo, ma che trova la sua collocazione perfetta all’interno delle filosofie indù ed in quelle di stampo New Age (salvo il supporre malignamente che qui si sia voluto far riferimento al pensiero di Jung o a personaggi come Jim Morrison dei Doors, che era notoriamente “maestro” nella pratica dell’«allargamento della coscienza»). Sta di fatto che nel menzionato paragrafo si accolgono di fatto queste pratiche, legate al tantrao al kama-sutra o al taoismo, il cui fondamento ultimo non è nella fede cristiana bensì nella Gnosi e nella tradizione esoterica orientale. L’aspetto drammatico, e per certi versi paradossale, è che vengano suggerite da un lato – alle coppie cristiane – tali pratiche per uscire quasi dalla “noia della quotidianità” o, come si legge nel testo, per “non rimanere prigionieri in un’esperienza limitata” («… si può accogliere la proposta di alcuni maestri orientali che insistono sull’allargare la coscienza, per non rimanere prigionieri in un’esperienza molto limitata che ci chiuderebbe le prospettive …») e, dall’altro, tali pratiche volte all’ampiamento della coscienza sarebbero quasi perfezionamento e coronamento dello stesso piacere di coppia («tale ampliamento della coscienza non è la negazione o la distruzione del desiderio, bensì la sua dilatazione e il suo perfezionamento»).
Affermazioni che, prese nel loro significato, destano non pochi interrogativi circa la loro compatibilità con il depositum fidei.
Accogliamo volentieri perciò le osservazioni di don Morselli, il quale esorta al ritiro del documento.
Nella festa del Preziosissimo Sangue di N. S. G. Cristo e nell’Ottava della Natività del Battista rilanciamo volentieri questo contributo.

Anonimo fiammingo, Fons vitae, 1515-17,  Museu da Misericórdia do Porto, Porto

Jean Bellegambe, Trittico del Bagno mistico, XV sec., Palais des Beaux-Arts de Lille, Lille

Cristo eucaristico nella coppa di salvezza



Le Osservazioni sull’Amorislaetitia di don Alfredo Morselli

di Emmanuele Barbieri

Mentre si moltiplicano le dichiarazioni sconcertanti di papa Francesco, si vanno moltiplicando le analisi critiche dei suoi principali documenti. Tra gli studi più seri e interessanti, va segnalato quello di don Alfredo M. Morselli, un dotto e pio sacerdote bolognese che sarebbe improprio catalogare come “tradizionalista”.
Il 29 settembre 2015 don Morselli firmò con l’abbé Claude Barth e mons. Antonio Livi, una serrata critica dell’Instrumentum Laboris predisposto per la XIV Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi (http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351141). Successivamente è intervenuto con delle accurate Osservazioni su alcuni punti controversi dell’Esortazione apostolica Amoris laetitia, apparse nel mese di maggio sul blogMessainlatino (http://blog.messainlatino.it/2016/05/osservazioni-su-alcuni-punti_43.html).
Dopo un’ampia introduzione, in cui espone l’attuale  stato di dubbio e di disorientamento dei fedeli, don Morselli ribadisce una serie di verità irrinunciabili, proposte a credere in modo definitivo dal Magistero della Chiesa.
La prima e la più importante è che esistono atti intrinsecamente cattivi che nessuna circostanza e nessuna situazione possono rendere buoni, e che quindi, se compiuti con piena avvertenza e deliberato consenso, sono sempre peccato grave. Su questo assioma si fonda l’oggettività della legge naturale e morale.
Papa Francesco afferma, al § 304 di Amoris laetitia, che «è vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari». Alla luce dei testi tomistici citati dallo stesso Pontefice, don Morselli dimostra che, se è vero che dai princípi della morale non si possono dedurre a priori tutte le valutazioni di ogni minima situazione particolari, è pur vero che gli stessi princípi consentono di valutare in ogni caso come intrinsecamente cattive determinate azioni, quali l’adulterio e la fornicazione: chi compie questi atti con piena avvertenza e deliberato consenso pecca mortalmente.
Nel § 301 di Amoris Laetitia si afferma che  «un soggetto… si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa». Don Morselli ribatte che «un soggetto… non potrà mai trovarsi in condizioni concrete che lo obblighino a prendere decisioni senza una nuova colpala via di uscita c’è: è una via divina però, non una soluzione umana che, ammettendo ai sacramenti dei vivi chi è in stato di peccato, distrugge contemporaneamente la dottrina cattolica del matrimonio, dell’Eucarestia, della confessione e i fondamenti della morale naturale e cristiana». L’uomo, infatti, non può essere né tentato sopra le proprie forze, né essere lasciato in una situazione dove non abbia altra scelta che peccare.
Don Morselli affronta quindi la questione centrale: un cattolico che sceglie di convivere more uxorio, senza che tale convivenza sia stata benedetta dal sacramento del matrimonio, può ricevere validamente l’assoluzione sacramentale? La risposta è negativa, per fede divina e cattolica. La Chiesa ha sempre proposto a credere che non si può ricevere l’Eucarestia in stato di peccato mortale; di conseguenza, chi convive con una persona che non sia il proprio legittimo coniuge, vivendo in stato di peccato mortale, non può accostarsi all’Eucarestia. Infatti come dice il Catechismo della Chiesa cattolica (§ 1650): «Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione».
Difficilmente accettabile è anche l’affermazione contenuta nel § 301 di Amoris laetitia, secondo cui «…non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante». Le persone che vivono nelle situazioni difficili o irregolari – a meno che non si astengano dagli atti propri del matrimonio – sono sempre in stato di peccato. Di conseguenza, l’unica condizione per cui diventa accettabile l’affermazione di Amoris laetitia presa in esame è: le persone in situazione difficile o irregolare possono restare in stato di grazia se vivono come fratello e sorella.
«Posto dunque che 1) la fornicazione e l’adulterio sono sempre peccati mortali, 2) che le circostanze non ne possono attenuare la malizia, 3) che non manca mai l’aiuto di Dio per non peccare, 4) che non esiste una situazione in cui non ci sia altra possibilità che peccare, 5) che non si ammette ignoranza in materia (o, se ci fosse, va immediatamente rimossa), possiamo concludere – scrive don Morselli – che le persone che vivono nelle situazioni difficili o irregolari – a meno che non si astengano dagli atti propri del matrimonio – sono sempre in stato di peccato».
L’unica condizione per cui diventa accettabile l’affermazione di Amoris laetitia presa in esame è che le persone in situazione difficile o irregolare possono restare in stato di grazia se vivono come fratello e sorella, ma non sembra questo  il senso del documento.
Sul piano pastorale, non è possibile assolvere chi non ha il vero e fermo proposito di emendarsi, né  è lecito ammettere alla recezione della SS.ma Eucarestia chiunque si trovi in stato di peccato mortale. Il desiderio della grazia sacramentale, l’impossibilità di interrompere la convivenza a motivo dei figli o di altri gravi fattori, l’affetto consolidatosi nel tempo, la fedeltà reciproca dei conviventi, il matrimonio civile già celebrato, l’impossibilità di ricevere la dichiarazione di nullità del precedente matrimonio rato e consumato, la convinzione soggettiva che il precedente matrimonio sacramentale fosse invalido, conclude l’autore dello studio, «non sono circostanze che rendano legittima e valida l’assoluzione sacramentale».
Di conseguenza, il sacerdote che negasse l’assoluzione sacramentale ai conviventi more uxorio, nonostante l’insistenza del penitente, e il dolore di quest’ultimo per l’assoluzione negata, non può in alcun modo esser considerato come un “duro di cuore” e, perciò, rimproverato per la sua mancanza di misericordia e, magari, punito dal suo Ordinario. Al contrario, il sacerdote che, commosso per la sofferenza del penitente, o per altri motivi, concedesse l’assoluzione, compie un atto sacrilego, e perciò è meritevole di rimprovero e, di  provvedimenti correttivi, da parte del suo Vescovo.
Le affermazioni di don Morselli sono ampiamente argomentate e si fondano sui testi di san Tommaso d’Aquino, sulla enciclica Veritatis Splendor e altri documenti di Giovanni Paolo II, sui Catechismi della Chiesa cattolica  e sui più sicuri moralisti. La sua analisi costituisce un’eccellente antidoto alla “morale della situazione” condannata da Pio XII e Giovanni Paolo II e oggi riemergente, dietro la maschera della “misericordia divina”.
«La morale oggettiva, che dichiara la realtà del peccato, non occultandolo nella situazione e nelle circostanze, ne rende possibile l’accusa e quindi ne rende possibile il perdono», osserva don Morselli, è la vera «mano tesa della misericordia divina»L’etica della situazione «è invece la negazione della misericordia, perché, con falsa compassione, lascia l’uomo nel pantano del suo peccato; la nuova morale non ha niente da farsi perdonare; anzi, nasconde a Dio proprio ciò che Dio vuole perdonare».
Le Osservazioni su alcuni punti controversi dell’Esortazione apostolica Amoris Laetitia del sacerdote bolognese costituiscono un atto coraggioso e coerente che sembra suonare come una risposta all’appello del filosofo tedesco Robert Spaemann: «Ogni singolo cardinale, ma anche ogni vescovo e sacerdote è chiamato a difendere nel proprio ambito di competenza l’ordinamento sacramentale cattolico e a professarlo pubblicamente».

Per i 500 anni di Lutero ora è la Chiesa ad autoaccusarsi

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Sembra, in questi ultimi tempi, che la Chiesa stia correndo sempre più, con incredibile accelerazione, verso il suo cupio dissolvi… nel protestantesimo (cfr. Irma Trombetta Marzuoli, Cattolicesimo in dissolvimento, con tante scuse, in Riscossa cristiana, 1.7.2016).
Rilanciamo volentieri, in questa festa della Visitazione della B. V. Maria a S. Elisabetta, quest’interessante contributo.


Federico Barocci, Visitazione, 1583, Chiesa nuova, Roma.
Dinanzi a questa tela, S. Filippo Neri amava pregare e spesso entrava in estasi

Andrea Michieli detto Il Vicentino, Visitazione, 1590-1610, Galleria degli Uffizi, Firenze

Philippe de Champaigne, Visitazione, 1643-48, Princeton University Art Museum (PUAM), Princeton

Alessandro Turchi, Visitazione, 1631-35, museo del Prado, Madrid

José Moreno, La Visitazione, 1662, museo del Prado, Madrid

Francisco Rizi, Visitazione, 1663, museo del Prado, Madrid

Jean-baptiste Jouvenet, Il Magnificat, 1716 circa,, museo del Prado, Madrid

Louis Jean François Lagrenée detto Lagrenée l'Ainé (Lagrenée il primogenito), Visitazione, XVIII sec., museo del Prado, Madrid


Francesco de Mura, Visitazione, 1750 circa, Cornell Fine Arts Museum at Rollins College, Orlando

Per i 500 anni di Lutero ora è la Chiesa ad autoaccusarsi

di Mauro Faverzani

Per l’occasione si è scomodato persino il presidente federale di Germania, Joachim Gauck, che, tra l’altro, è anche un pastore protestante. Proprio lui, lo scorso 18 febbraio, ha incontrato la presidenza del Dekt, Convegno dei protestanti, ed il ZdK, Comitato Centrale dei cattolici, nel corso di un lungo colloquio, durato un paio d’ore.
Si è fatto il punto sullo stato dell’ecumenismo nel Paese, sull’impegno socio-politico dei laici di ambedue le confessioni ed anche sul contributo offerto dai cristiani in generale allo stato di coesione interna della società tedesca. Infine, il discorso è caduto lì e non poteva essere diversamente, ovvero sull’anniversario della Riforma, sulla ricorrenza nel 2017 dei 500 anni dall’affissione delle famose 95 tesi sulla porta della cattedrale di Wittemberg ad opera di Martin Lutero.
Ma non ci si è limitati ad un aggiornamento sui preparativi, si è andati oltre: Gauck ha chiesto espressamente quale fosse il grado di collaborazione ecumenica tra cattolici e protestanti. Se il presidente italiano Mattarella o ancor più quello francese Hollande si fossero spinti a tanto, subito si sarebbe sentito urlare contro lo Stato confessionale.
Immancabile l’intervento del card. Walter Kasper, che non ha mancato di dare alle stampe un libro, Martin Lutero. Una prospettiva ecumenica (Queriniana, Brescia 2016), in cui, nella scia di un iperecumenismo spinto, ha sposato assolutamente la linea del monaco agostiniano, giungendo a definire la sua come un’azione di «nuova evangelizzazione», con toni di feroce biasimo anzi verso la Chiesa cattolica sorda alle sue proposte ed alle sue “innovazioni”.
Il card. Kasper ha collocato anche Lutero nel calderone della misericordia, ormai distribuita a pioggia, ritenendo che il suo «problema esistenziale» di religioso fosse: «Come posso trovare un Dio misericordioso?». E non si capisce come questo possa in alcun modo legittimare l’eresia derivatane, Sua Eminenza non lo spiega, ma tant’è.
Stupiscono anche i toni del comunicato congiunto, licenziato lo scorso primo giugno dalla Federazione luterana mondiale e dal Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, per confermare il coinvolgimento cattolico nelle celebrazioni dei «doni della Riforma» col culmine, che sarà rappresentato dal viaggio di papa Francesco a Lund, in Svezia, il prossimo 31 ottobre. Ma proprio del Pontefice è stato l’ulteriore, convinto passo verso l’ecumenismo col discorso da lui rivolto alla delegazione del direttivo della Comunione mondiale delle chiese riformate, ricevuta in Vaticano lo scorso 10 giugno.
Riferendosi alla conclusione della quarta fase del dialogo teologico in corso tra tale organismo ed il Consiglio pontificio per la promozione dell’unità dei cristiani, ha dichiarato: «In questa comunione spirituale, cattolici e riformati possono promuovere una crescita comune per servire meglio il Signore». Ed ancora: «In base all’accordo sulla dottrina della giustificazione, esistono molti campi in cui riformati e cattolici possono collaborare per testimoniare insieme l’amore misericordioso di Dio, vero antidoto di fronte al senso di smarrimento ed all’indifferenza che sembrano circondarci», smarrimento ed indifferenza pari ad una vera e propria «desertificazione spirituale» di fronte alla quale «le nostre comunità cristiane» sarebbero tenute «ad accogliere e ravvivare la grazia di Dio», evidentemente presente in tutte, indistintamente, al di là di ogni distinzione dottrinale, poiché in quest’ottica basterebbe «la fede in Gesù Cristo».
C’è da chiedersi, se si possa ancora parlare di eretici riformati, di “fratelli separati” da ricondurre nella Chiesa Cattolica, specie di fronte a termini come «comune missione», utilizzato espressamente da papa Francesco: «V’è urgente bisogno di un ecumenismo», che «promuova una comune missione di evangelizzazione e di servizio», esortando tutti a «fare di più, insieme, per offrire una testimonianza viva “a chiunque domandi ragione della speranza che è in noi”: trasmettere l’amore misericordioso del nostro Padre, che gratuitamente riceviamo e generosamente siamo chiamati a ridonare», concetto su cui è più volte tornato.
A mischiare ancor più le carte ha provveduto la conferenza-stampa, tenuta lunedì scorso da papa Francesco durante il volo di ritorno dall’Armenia: «Io credo che le intenzioni di Martin Lutero non fossero sbagliate – ha dichiarato il Pontefice –. In quel tempo la Chiesa non era proprio un modello da imitare: c’era corruzione, c’era mondanità, c’era attaccamento ai soldi e al potere. E per questo lui ha protestato. Poi era intelligente ed ha fatto un passo avanti, giustificando il perché facesse questo. Ed oggi luterani e cattolici, con tutti i protestanti, siamo d’accordo sulla dottrina della giustificazione: su questo punto tanto importante lui non aveva sbagliato. Lui ha fatto una “medicina” per la Chiesa, poi questa medicina si è consolidata in uno stato di cose, in una disciplina, in un modo di credere, in un modo di fare, in modo liturgico. Ma non era lui solo: c’era Zwingli, c’era Calvino… Poi sono andate avanti le cose. Oggi il dialogo è molto buono. La diversità è quello che forse ha fatto tanto male a tutti noi e oggi cerchiamo di riprendere la strada per incontrarci dopo 500 anni».
Non si riesce ad evitare un certo sconcerto, raffrontando queste parole con quelle, che, ad esempio, si possono leggere sul Catechismo Maggiore di San Pio X, a proposito della «grande eresia del Protestantesimo, prodotta e divulgata principalmente da Lutero e da Calvino»: «Questi novatori – è scritto –, demolirono tutti i fondamenti della fede, esposero i Libri Santi alla profanazione della presunzione e dell’ignoranza ed aprirono l’adito a tutti gli errori. Il protestantesimo o religione riformata, come orgogliosamente la chiamarono i suoi fondatori, è la somma di tutte le eresie, che furono prima di esso, che sono state dopo e che potranno nascere ancora a fare strage delle anime» (nn. 128-129).
Ciò che più impressiona in questa nuova, frenetica brama di “dialogo” über alles coi protestanti è l’approccio molto sociale, anzi sociologico. Quel continuo richiamo al «camminare insieme» calpesta il fatto che sia escluso dalla grazia di Dio chiunque ne neghi anche un solo dogma, chiunque viva nella dimensione del peccato contro la fede. Di tutto questo non v’è traccia. Con un problema: che un’evangelizzazione solo sociale non è autentica evangelizzazione.

Si può parlare oggi di "cattolici" senza aggettivazioni? Ce lo spiega un aforisma di S. Pio X

I “semi” luterani nell'assolutismo e nel totalitarismo

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Chi volesse definitivamente riversare le acque del Tevere (della Chiesa cattolica) nel Reno (cioè nel protestantesimo luterano), dovrebbe ricordare che proprio il luteranesimo è stato all’origine degli assolutismi e totalitarismi del XX sec., il secolo breve: la fede della fede e della forza della Chiesa si riverbera inevitabilmente nel rafforzamento di quegli organismi che da sempre desiderano sostituirsi alla stessa. Ce lo spiega benissimo un’intervista di Francesco Agnoli per la Nuova bussola quotidiana.

I “semi” luterani nell'assolutismo e nel totalitarismo

di Francesco Agnoli

Si avvicinano i Cinquecento anni dall'affissione delle famose tesi di Martin Lutero. Sarà allora interessante ricordare cosa significò la riforma protestante, anche dal punto di vista politico. 
Per farlo la Nuova BQ ha intervistato il professor Rocco Pezzimenti, laureato in Scienze Politiche ed in Filosofia, già docente presso la Facoltà di Scienze Politiche della LUISS e all’Università degli Studi del Molise. Oggi Pezzimenti è Direttore del Dipartimento di Scienze Economiche, Politiche e delle Lingue Moderne della Lumsa. 

Professore, il concetto di pessimismo antropologico di Lutero, unito all’idea del servo arbitrio, fanno del monaco tedesco un avversario della concezione antropologica che va da Aristotele (l’uomo come animale politico) a tutta la filosofia cristiana (l’uomo capace di bene, di amore per il prossimo, con l’aiuto della grazia divina). Perché questa visione antropologica ha conseguenze politiche? 
Questa visione antropologica ha conseguenze politiche perché è il presupposto dell’assolutismo moderno. Il pessimismo antropologico è alla base del pensiero che va da Machiavelli a Hobbes passando per tanti altri. È davvero curioso che il Rinascimento, e in genere tutta la prima modernità, mentre presenta un ottimismo quasi sfrenato, che pervade le scienze e le arti in genere, non riesca a dare alla politica quella centralità che, invece, riserva all’uomo ogni altro campo del sapere. La riflessione politica del Cinquecento, Seicento e, nell’Europa continentale, per buona parte del Settecento, è tutta pervasa da un acceso pessimismo, frutto di un crescente clima di insicurezza, che determina riflessioni o utopistiche o assolutistiche. La ragione di tutto ciò, contrariamente a quanto si ripete ormai da tempo in modo acritico, credo vada ricercata nelle Riforme, in tutte le Riforme, che ruppero quell’unità ideale, sulla quale si reggeva da secoli l’Europa, generando un clima di sospetti reciproci e, quindi, di insicurezza, che favorirono il sorgere e l’affermarsi dell’assolutismo visto come sistema politico capace di dare sicurezza e protezione, anche a costo di rinunciare alle più elementari libertà. Il sovrano assoluto viene così visto come il dio artificiale capace di assicurarci la vita. A questo sovrano, in cambio, si deve la più cieca obbedienza. Tutte le teorie sulla resistenza al tiranno e persino la possibilità del tirannicidio, fiorite in tutto il Medioevo, sembrano di colpo dimenticate. 

Lutero, eliminando la Chiesa cattolica, sottomette il potere religioso al potere politico. Per contrastare l’autorità religiosa del papa, esalta e assolutizza il potere temporale; per avere il potere dei principi tedeschi, ingrandisce enormemente il loro potere. È così? 
È così. Diciamo pure che questa è la logica conseguenza dell’eliminazione del dualismo tardo-antico e medievale tra politica e religione. Eliminando il potere religioso non rimane che il potere del principe che non trova nessuna autorità in grado di contrastarlo. Anzi, il potere politico, inglobando in sé anche ogni prerogativa di tipo religioso, annulla persino la libertà di coscienza. Questa, infatti, non trova più alcuna autorità in grado di sostenerla e perde ogni riferimento al quale ancorarsi. Si elimina così persino la possibilità dell’obiezione di coscienza. 

L’episodio che più evidenzia questa nuova concezione del potere è la rivolta dei contadini, in seguito alla quale Lutero invita i principi all’uso della violenza: “Verso i contadini testardi, caparbi e accecati, che non vogliono sentir ragione, nessuno abbia un po’ di compassione, ma percuota, ferisca, sgozzi, uccida come fossero cani arrabbiati…”. Cosa è accaduto? 
È accaduto che Lutero vedeva nella rivolta contadina la ribellione a quei principi che avevano appoggiato la sua Riforma. Una vittoria di quei disperati avrebbe potuto compromettere i risultati ottenuti dalla sua lotta e, per questo, vi si oppose. Lutero dimostra qui tutta la sua intolleranza. Sembra voler mantenere il monopolio della ribellione verso il Papato non rendendosi conto che, una volta rifiutata l’autorità religiosa, invitava chiunque a fare altrettanto, anche verso la sua riforma. Anche se non gli stava bene, questo fu, in fondo, il presupposto dal quale partirono tutti gli altri riformatori. Fu così che si generarono sette a ripetizione e che si frantumò, in modo irreparabile, l’unità del Cristianesimo. 

L’intransigenza cui Lutero invita il potere politico, è la stessa che adotta nei confronti dei suoi oppositori. Ad Erasmo, nel De Servo arbitrio, spiega di avere ragione lui, senza alcun dubbio, nell’interpretare le Sacre Scritture. Lutero legge bene, Erasmo male. Altrove afferma: “Io non ammetto che la mia dottrina possa essere giudicata da alcuno, neanche dagli angeli. Chi non riceve la mia dottrina non può giungere alla salvezza”. C’è contraddizione tra il libero esame (ognuno può legger la Bibbia senza l’ausilio della Chiesa) e questo atteggiamento iperdogmatico? 
Direi di no. Lutero sembra essere consequenziale. Quello che egli definisce il libero esame è il suo libero esame ed è chiaro che il suo è un dogmatismo pari a quello che, secondo lui, pretendevano di avere gli altri riformatori. Accettarli, significava accettare altre vie e possibilità di salvezza e soprattutto avrebbe significato la possibilità di essere giudicato, assieme alla sua dottrina, da altri. Paradossalmente Lutero vuole per sé quel privilegio che, invece, voleva togliere alla Chiesa. Come questa ribadiva extra Ecclesia nulla salus, egli affermava “Chi non riceve la mia dottrina non può giungere alla salvezza”. Solo che la Chiesa sosteneva la sua presa di posizione in base alla sua tradizione e in base all’eredità raccolta dagli apostoli; Lutero, invece, appoggiava questa sua presa di posizione unicamente sulla sua ribellione. Giunti a questo punto, occorre chiarire un argomento cruciale sul quale c’è ancora molta confusione. Un certa cultura antireligiosa sostiene che, con la sua ribellione, Lutero sia alla base della modernità. Ma questo, era proprio quanto egli non voleva. Per fondare la sua Riforma, sostenne che la Chiesa era diventata troppo “moderna” e che occorreva tornare alle origini che, peraltro, da un punto di vista dogmatico non ritrovò. La Chiesa, che non a caso si definisce semper reformanda, era al passo con i tempi ed era questo che non stava bene a Lutero. 

Qual è l’effetto della riforma protestante al livello geopolitico? 
A livello geopolitico gli effetti della Riforma furono devastanti. Non solo si determinò una spaccatura in Europa che causò circa due secoli di guerre di religione, ma tale frattura finì per ripercuotersi nel mondo intero, vista la penetrazione coloniale che le potenze europee ebbero negli altri continenti. 

Dopo Lutero, Thomas Hobbes in Inghilterra e poi Hegel in Germania: c’è un filo rosso che porta dalla politica di Lutero all’assolutismo? 
È questo un punto assai controverso tra gli studiosi. Personalmente penso che il filo rosso di cui lei parla ci sia anche se, per una serie di motivi assai complessi, in Inghilterra il pluralismo religioso, pure grazie alla presenza dei cattolici, sopravvisse determinando anche una ripresa degli ideali liberali. In Germania, invece, la frattura fu più accentuata e la stessa storia politica ne risentì. Non possiamo certo dimenticare che proprio dal paese di Lutero, oltre a venire la prima giustificazione dell’assolutismo, verranno poi le premesse teoriche dei totalitarismi contemporanei. Certo, ho la piena consapevolezza che non tutta la cultura tedesca sia responsabile di ciò – non dimentico quell’altro filo conduttore che va da Schiller a Mann – ma non posso dimenticare quello che lo storicismo dialettico ha significato per la cultura contemporanea per la sua rigidità e intolleranza. 

Molti storici hanno messo in luce un fatto: che i protestanti tedeschi, molto più numerosi e forti dei cattolici, tardarono ben più di costoro ad accorgersi di cosa il nazismo fosse davvero. Tanto che, non pochi di essi, in principio, appoggiarono Hitler. Scrive Emilio Gentile: “Più propense a schierarsi con il nazionalsocialismo, con la sua concezione della nazione e dello Stato e con il suo antisemitismo, erano le chiese luterane, vincolate per secolare tradizione all’obbedienza al potere statale quale espressione della volontà divina”. C’è davvero un legame tra l’idea di nazione e di Stato di Lutero e l’ideologia nazista?
In base a quanto detto sin qui, negare questo legame equivarrebbe a sostenere che Hitler sia quasi il frutto di un caso o di un perverso miracolo. In politica, io non credo né all’uno né all’altro. Le cause del nazismo sono così tante ed evidenti che nessuno può dire che si sia generato all’improvviso. In parte della filosofia tedesca, si pensi a Fichte, c’è la convinzione che Lutero sia il prototipo della nazione tedesca. Queste affermazioni, peraltro ripeto non condivise da tanta cultura tedesca, devono, comunque, farci riflettere. Per quanto riguarda l’inizio della domanda, va ricordato che non sono pochi gli uomini di cultura tedeschi, e tra questi ricordo Mann, che lodarono la resistenza al nazismo operata da tanti cattolici tedeschi. 

Infine, qual è il rapporto “giusto” tra potere temporale e potere religioso per la Chiesa? 
La risposta a questa domanda, quanto mai attuale e importante, ci viene da tutta la riflessione filosofica e politica cristiana. Dalle due città agostiniane e dagli scritti di Giovanni di Salisbury alla riflessione tomista sino a quella di Rosmini. Si tratta di un dualismo necessario che cerca di limitare i possibili abusi e estremismi nei quali può cadere ogni singola parte. L’abolizione di questo dualismo è dovuto sicuramente alle riforme, ma giova ricordare che, anche nei paesi cattolici, si è fatto di tutto per mettersi su questa strada. Voglio ricordare che, quando nell’Ottocento si formulò la famosa espressione libera Chiesa in libero Stato, non furono pochi i pensatori cattolici, da Montalembert a Newman, che la criticarono. Per garantire un reale dualismo, si sarebbe dovuto dire libera Chiesa e libero Stato. Era solo una congiunzione, ma faceva una grande differenza e, mi sembra, che le conseguenze di tale differenza le abbiamo ora sotto gli occhi.

Santi Pietro e Paolo: “fedeltà e testimonianza a Cristo” - la festa degli Apostoli in Terra Santa

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Preghiera, paradiso, inferno, in un aforisma della Beata Elisabetta della Trinità

Contrarietà dei vescovi, consenso dei santi e Dottori della Chiesa in un aforisma di S. Tommaso Moro

Santa Maria Goretti, esempio di moralità e di spirito di sacrificio in un aforisma di Enrico Berlinguer

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Nella festa liturgica della Santa Maria Goretti, possiamo domandarci: cosa unisce la fanciulla martire della purezza ad Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista Italiano?
Nulla. Apparentemente. In realtà, la santa fanciulla (insieme, per la verità, alla partigiana Irma Bandiera) fu additata, proprio da Berlinguer, allora primo segretario della FGCI, ad esempio di moralità alle giovani militanti dello stesso Partito Comunista Italiano. Si trattava, evidentemente, di un altro partito, di un’altra base e di un altro elettorato di riferimento, che aveva conservato – nonostante l’ateismo – certi valori morali ricevuti dalla tradizione e dall’educazione cattolica di quelle generazioni.
Le ragazze italiane, però, disattendendo il suggerimento di Berlinguer, preferirono cambiare non prendendo a modello della loro vita la fanciulla, che aveva anteposto la morte alla perdita di innocenza.



Santa Maria Goretti, la virtù cristiana in un aforisma di papa Pio XII

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Ambito marchigiano, S. Maria Goretti, XX sec., museo diocesano, Senigallia

La messa in latino: riscoperta della sacralità. Parola di Ceronetti. Nel IX anniversario del m.p. "Summorum Pontificum"

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Per ricordare il nono anniversario del Motu proprio Summorum Pontificum, riproponiamo la lettura di questa lettera aperta del filosofo, scrittore, traduttore, giornalista e drammaturgo torinese Guido Ceronetti, scritta alla vigilia del conclave del 2005. È una lettera dai toni profetici, di estrema attualità.

RIPRISTINI LA MESSA IN LATINO RISCOPRIREMO LA SACRALITÀ

di GUIDO CERONETTI

Vorrei rivedere la messa tridentina, e ascoltare un po’ di gregoriano

Filosofo, scrittore, poeta, Ceronetti nasce nel ‘27. Dal latino ha tradotto Marziale, Catullo e Giovenale

GENTILE Santità Ipotetica (che tra un giorno o due, forse, avrà un volto e un nome). Avrei un voto da formulare, per il Vostro pontificato, nella certezza che la risposta dei fedeli sarebbe entusiastica: che sia tolto il sinistro bavaglio soffocatore alla voce latina della Messa,
Mi contenterei che la Messa tridentina, accompagnata da una giusta dose di gregoriano, ricomparisse in alternativa a quella imposta da una riforma liturgica distruttiva, che ha accarezzato i visceri rituali della Chiesa con la grazia di un hara-kiri. Lasciatele entrambe, Santità, non chiedo la soppressione di questa povera amputata chiamata oggi Messa (probabilmente neppure un papa potrebbe deciderla), chiedo che ogni domenica e ogni festività religiosa, segnata o no nel calendario civile, ci sia in tutte le chiese d’Italia e del mondo una, una almeno, sia pure ad un’ora molto mattutina Messa tradizionale completa. E che sia data a parroci istruiti (non li pretendo latinisti, basta che sappiano il senso di ciò che pronunciano latinamente) la facoltà di istituire nella loro chiesa o chiesina una Messa latina anche in altri giorni a richiesta di una maggioranza di parrocchiani un po’ più spirituali degli altri.
Il Vostro Predecessore aveva già concesso qualche rara, eccezionale celebrazione di Messa tradizionale (ce n’è una alle undici della domenica alla Misericordia di Torino, affollatissima sempre) ma l’eccezione - se non si vuol troncare del tutto il legame col Sacro dei misteri cristiani da tempo in coma precario - va trasformata tempestivamente in regola fissa, in raccomandazione forte, in disposizione (non semplice dispensa) pontificia, in parziale sebbene limitato ripristino.
Certamente, Santità di domani, non ignorerete quanto piacque alle autorità comuniste quella riforma conciliare dei riti occidentali: non erano degli stupidi, avevano nella loro bestiale ignoranza del sacro percepito che lì si era aperta una falla, che sul lungo lombrico di quei riti semidissacrati un graduale snervato ateismo di fatto avrebbe strisciato fino ai nuovi altari, bruttura geometrica di ogni chiesa. Quella riforma che, forse (è congettura mia di poco informato) intendeva colmare in parte la distanza dalle chiese protestanti, non ha colmato in profondità niente: in compenso tra cattolicità e ortodossia tradizionale ha allargato l’incomprensione e la totale separazione. Divinum resipiscere!
E tutti quei pulpiti disertati, obbligatoriamente? Quelli di legno se li mangia il tarlo, i marmorei ne fa poggiaschiena il turismo più crasso.
Ridategli voce: anche una predica perfettamente insulsa diventa qualcosa di più, acquista soffio, se proviene dall’alto... Un saluto di lontano.

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