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Da qui ascese al cielo …

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“Viri Galilaéi, quid statis aspiciéntes in cælum? Hic Jesus, qui assúmptus est a vobis in cælum, sic véniet, quemádmodum vidístis eum eúntem in cælum” (Act. 1, 11 – Intr.) - IN ASCENSIONE DOMINI

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La solennità liturgica dell’Ascensione, meno antica della Pentecoste, è tuttavia tra le più antiche del ciclo, e benché essa la si trovi tra le testimonianze documentarie prima d’Eusebio (De solemnitate paschali, cap. V, in PG 24, col. 699B-700B), nondimeno pure allora la festa era già così universale che sant’Agostino poté attribuirne la prima istituzione agli Apostoli stessi. Nell’antichità la caratteristica della festa odierna era una solenne processione che si faceva verso mezzogiorno in ricordo degli Apostoli, quando accompagnarono Gesù fuori della città, sul monte degli Ulivi. A Roma, era il Papa che, dopo gli uffici notturni e la messa celebrata sull’altare di san Pietro, era incoronato dai cardinali, e verso l’ora di sesta si recava, accompagnato dai vescovi e dal clero, al Laterano.
Oggi Gesù s’è involato alla vista dei suoi discepoli fedeli, i quali stanno tuttavia con gli occhi rivolti al cielo, sforzandosi di rivedere ancora una volta il divin Maestro. Ma questa vita contemplativa, tutta assorta nella visione beatifica del paradiso, è riservata agli eletti della Chiesa trionfante. Quelli sì che hanno il loro premio in mercede contemplationis, come si esprime sant’Agostino in una celebre omelia che la liturgia ci fa leggere nel Breviario il giorno di san Giovanni Evangelista. La nostra vocazione, al contrario, dev’essere in opere actionis; per cui, oggi, la liturgia, nell’introito, con una melodia che è tra le più superbe della raccolta gregoriana, ci ripete le parole degli Angeli agli Apostoli: «O uomini di Galilei, perché ve ne state a guardare in cielo? Quel Gesù che si è involato in cielo al vostro sguardo, ritornerà di nuovo in eguale maestà».
Ita veniet. Ecco la nostra consolazione nei dolori e nell’isolamento della vita. Gesù si è allontanato, ma Egli certamente ritornerà. Quest’attesa di Gesù deve determinare, per dir così, tutto il ritmo della nostra vita interiore, col cuore palpitante e cogli occhi della fede che fissano lassù il cielo.
La suprema glorificazione del Capo che oggi va ad assidersi alla destra del Padre in cielo, si trasfonde nelle membra, al pari di quel balsamo profumato che, secondo il Sal. 133 (132), dal capo di Aronne discese sulla sua fluttuante barba e sulle sue splendide vesti pontificali. Quest’unzione spirituale è il carisma dello Spirito Santo, che oggi Gesù dal cielo impetra sulla Chiesa. Il nesso quindi tra l’Ascensione e la Pentecoste è assai intimo. L’una non si spiega senza l’altra.

Ercole Ramazzani, L'Ascensione, 1594


Paolo Veronse - Pietro Damini, Ascensione del Signore, 1575, Arcivescovado, Olomouc


Giuseppe Bartolomeo Chiari, Ascensione di Gesù, XVII sec., Concattedrale dei SS. Marziale e Alberto, Colle Val d'Elsa


Ambito veronese, Ascensione di Gesù, 1683 circa, museo diocesano, Trento 

Francisco Camilo, Ascensione, 1651, Museu Nacional d'Art de Catalunya, Barcellona

Benjamin West, Ascensione, 1801, Denver Art Museum, Denver


Gebhard Fugel, Ascensione di Cristo, 1893-94, chiesa parrocchiale di S. Giovanni Battista, Obereschach


Viri Galilaei (Introito dell'Ascensione)

«La santità parla arabo». Domenica saranno canonizzate Marie e Mariam, «speranza per la Terra Santa»

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Delle due prossime sante arabo-cristiane, originarie che saranno canonizzate domani nella domenica nell’Ottava dell’Ascensione, abbiamo già avuto modo di parlare in passate occasioni (v. qui e qui) e la cui santità ha ancora oggi molto da dirci .... soprattutto riguardo alla testimonianza di martirio data da tanti cristiani nelle terre del sedicente califfato (v. da ultimo qui).
Oggi, memoria di S. Giovanni Nepomuceno, presbitero e martire, rilanciamo questo contributo tratto da Tempi.



Jan Brokoff, Statua di S. Giovanni Nepomuceno, 1683, Ponte Carlo, Praga

Luogo del parapetto da cui fu martirizzato S. Giovanni Nepomuceno, Ponte Carlo, Praga


Lorenzo Mattielli, Martirio di S. Giovanni Nepomuceno con la Madre di Dio, Chiesa di S. Pietro (Peterskirche), Vienna

Giuseppe Maria Crespi, Sacramento della confessione ovvero la regina di Boemia si confessa da S. Giovanni Nepomuceno, 1742, Pinacoteca, Torino

Ignaz Stern, S. Giovanni Nepomuceno, collezione privata


Pompeo Batoni, S. Giovanni Nepomuceno dinanzi alla Vergine col Bambino, 1743 circa, Pinacoteca vaticana, Città del Vaticano, Roma

«La santità parla arabo». Domenica saranno canonizzate Marie e Mariam, «speranza per la Terra Santa»

di Leone Grotti

Mariam venne perseguitata perché cristiana. Quando un musulmano le ordinò di convertirsi all’islam, rispose: «Musulmana io? Mai! Sono figlia della Chiesa cattolica». Lui la sgozzò ma lei non morì


Domenica 17 maggio, a Roma, papa Francesco canonizzerà due sante provenienti dalla Palestina: la beata madre Marie Alphonsine e la beata Mariam Baouardy. Si tratta delle prime due persone di questa terra araba martoriata a diventare sante nell’era moderna. Il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, ha commentato entusiasta: «Mariam e Marie dimostrano che in questa terra straziata dalla violenza la santità è possibile. È come se, con il loro esempio, ci dicessero: sì, la Terra Santa può essere feconda e può dare frutti di santità».

DONNE ARABE. Entrambe sono vissute nella metà dell’Ottocento. Madre Marie Alphonsine è nata a Gerusalemme il 4 ottobre 1843. A 17 anni vestì l’abito delle suore di San Giuseppe ma a Betlemme le apparve la Madonna e le chiese di fondare una congregazione locale, con il nome di Suore del Rosario, riservata a donne arabe. La Congregazione, nata nel 1880, esiste ancora. La beata ha speso la sua vita per i poveri e per l’educazione.

RIFIUTO DELLE NOZZE. Mariam Baouardy è nata in un piccolo villaggio vicino a Nazaret il 5 gennaio 1846 e a 19 anni è entrata nel Carmelo di Pau, sui Pirenei francesi. Rimasta orfana, venne adottata da uno zio, che la portò con sé ad Alessandria d’Egitto, dove cercò di maritarla a 13 anni secondo l’usanza. Ma lei si ribellò e dopo aver litigato con un sacerdote e un vescovo, venne rinchiusa in casa dagli zii come una schiava, per punirla del suo rifiuto. Per cercare aiuto dal fratello, che viveva ancora in Palestina, si recò da un musulmano che sapeva in procinto di partire per Nazaret per consegnargli una lettera.

«MUSULMANA IO? MAI». Questo, dopo aver sentito il suo racconto, si irritò e le ordinò di convertirsi all’islam. Lei rispose: «Musulmana io? Mai! Sono figlia della Chiesa cattolica e spero di restare tale per tutta la vita». Innervosito dalla risposta, l’uomo le tagliò la gola con una scimitarra. Credendola morta, Mariam fu avvolta in un lenzuolo e depositata in un’oscura stradina. Cosa accadde poi, lo rivelò molti anni dopo lei stessa: come in un sogno le sembrò di essere in Paradiso, dove rivide i suoi genitori e dove una voce le disse: «Il tuo libro non è ancora tutto scritto».

«UN DIO CI DEVE ESSERE». Risvegliatasi, si era trovata in una grotta assistita e curata da una giovane donna, che come una suora portava un velo azzurro. Dopo circa quattro settimane, quella donna l’aveva condotta alla chiesa dei Francescani lasciandola lì. Maria Baouardy raccontò sempre che per lei era la Vergine che l’aveva curata e mostrava la lunga cicatrice che le attraversava il collo. In effetti, 16 anni dopo, un celebre medico non credente che l’aveva visitata, constatò che le mancavano alcuni anelli della trachea, e disse: «Un Dio ci deve essere, perché nessuno al mondo, senza un miracolo, potrebbe vivere dopo una simile ferita». Mariam tornò poi in Palestina, dove fondò il Carmelo di Betlemme, prima di morire a 32 anni.

«SANTITÀ PARLA ARABO». Uno dei miracoli attribuiti alla beata Mariam dopo la morte è la guarigione di un bambino di Siracusa. «Questo dimostra che le nuove sante intercedono non solo per la Terra Santa, ma per tutta la Chiesa», commenta a Aid to the Church in Need William Shomali, vescovo ausiliario responsabile per i territori palestinesi. «Queste due sante danno speranza a tutti i cristiani della Terra Santa. Soprattutto migliorano l’immagine del nostro popolo, mostrando che possiamo produrre anche santi, non solo terroristi». «La santità – conclude – parla arabo, sono arabe, ma sono sante per tutti. Andremo a Roma per celebrare ma anche per pregare perché si ricordino di noi, e lo faranno».

Immagini per meditare: la liturgia, opera della SS. Trinità

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Michele Damasceno, Divina Liturgia, Θεία Λειτουργία, XVI sec., Museo delle Icone e delle Sacre Reliquie dell'Arcidiocesi di Creta, Candia

“Porro erga sanctíssimum Eucharístiæ sacraméntum diffícile dictu est quam ardénti tenerétur devotiónis afféctu; quem defúnctus étiam in cadávere retinére visus est, dum, jacens in féretro, ad sacræ Hóstiæ elevatiónem bis óculos reserávit et clausit, magna ómnium, qui áderant, admiratióne” (Lect. VI – II Noct.) - SANCTI PASCHALIS BAYLON, RELIGIOSI ORDINIS SANCTI FRANCISCI ET CONFESSORIS

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San Pasquale Baylon Yubero, Serafico in ardore  (Dante, Paradiso, XI, 37. Quest’espressione si applica a san Francesco d’Assisi nel testo della Divina Commedia, ma può ben applicarsi pure al nostro santo odierno), morto il giorno di Pentecoste del 1592, continuò davvero la tradizione agiografica dell’Ordine dei Minori, e meritò di essere considerato come uno dei più illustri modelli della devozione al Santissimo sacramento. Si può applicargli questo versetto del Salmista: Cor meum et caro mea exultaverunt in Deum vivum (Sal. 84 (83), 3); poiché, anche dopo la sua morte, il suo corpo trasalì ed i suoi occhi si aprirono in un atto di adorazione, quando, alla messa delle sue esequie, il sacerdote alzò la santa Ostia.
La sua festa risale ai tempi di Pio VI. La messa è del Comune: Os justi, salvo la prima colletta che è propria.
A Roma, due chiese portano il nome di quest’umile fratello laico, che la Santa Sede ha dichiarato celeste Patrono di tutti i congressi e le assemblee eucaristiche. La prima di queste chiese si erge presso il titulus Callisti; essa era originariamente dedicata ai Quaranta Martiri di Sebaste, ma verso il 1735, gli Alcantarini spagnoli vi unirono, dandogli la precedenza, il nome del loro celebre compatriota (Cfr. MarianoArmellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, p. 663; Ch. Huelsen, Le Chiese di Roma nel medio evo, Firenze 1927, p. 427). Questa chiesa è nota anche come chiesa delle zitelle, in quanto il nostro Santo sarebbe protettore delle fanciulle e delle donne in cerca di marito.
La seconda chiesa si trova presso la basilica di Santa Cecilia, sulla via Anicia, ed una casa religiosa vi è annessa, nella quale le fanciulle si preparavano alla prima Comunione (MarianoArmellini, op. cit., p. 683).
Come la calamita attira il ferro così Gesù Eucarestia attira le nostre anime. Una forza irresistibile ci spinge incessantemente verso il tabernacolo, non potendo trovare riposo altrove che ai piedi del Re di gloria, nascosto per amor nostro sotto i veli dell’Ostia.

Juan Antonio de Frias y Escalante, Apparizione dell'Eucaristia a S. Pasquale mentre pascolava le pecore, XVII sec., collezione privata

Jerónimo Jacinto de Espinosa, S. Pasquale Baylon adora l’Eucarestia, XVII sec., Museu Nacional d’Art de Catalunya, Barcellona

François Claude, S. Pasquale adora l'Eucaristia, XVII sec., Metropolitan Museum of Art, New York

Giovanni Battista Tiepolo, Visione di S. Pasquale Baylon, 1767-69, Museo del Prado, Madrid


Giovanni Battista Tiepolo, Visione dell’Eucarestia di S. Pasquale Baylon, 1767, Courtauld Institute of Art, Londra

Claudio Ridolfi, Crocifisso con i SS. Giacomo della Marca, Francesco d’Assisi, Caterina da Siena e Diego, Chiesa Santa Croce, Ostra vetere


Bernardo López Piquer, S. Pasquale Baylon adora l’Eucarestia, 1811, Museo de Bellas Artes San Pio V (Museu Sant Pius V), Valencia

Croci abbattute dall’Iraq, alla Cina, alla Francia. L’iniquità dilaga, Gesù l’aveva predetto

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Avevamo già parlato dell’ondata di odio verso i simboli della fede cristiana sia in Europa sia al di fuori di essa (v. qui e, da ultimo, qui).
È solo notizia di questi giorni della studentessa di Terni aggredita da un suo compagno di scuola perché a causa della Croce che aveva al collo e che non voleva togliere (v. qui, qui, quiqui, quiqui, nonché l'articolo di Riccardo Cascioli), o gli insulti ai cattolici durante la processione della Vergine da parte di un gruppo di immigrati islamici (v. qui e qui), o ancora la reprimenda ricevuta da una classe studentesca perché, desiderando un Crocifisso in aula, l’hanno disegnato sulla parete e, per questo, sono stati puniti dall’istituzione scolastica (v. qui e qui).
All’estero non può trascurarsi la vicenda della statua di Giovanni Paolo II, che un tribunale ha ordinato di rimuovere perché contraria alla laicità. Curioso è che quest’effige si è offerta di ospitarla una città ungherese (v. qui).
C’è poco da fare …. quando si eliminano i simboli cristiani, altri hanno il sopravvento. Se si rifiuta il giogo dolce e soave del Signore, altri gioghi, molto più pesanti, ci aspettano. Del resto la storia e la Scrittura insegnano. I Giudei che rifiutarono il Cristo quale loro re, preferendo in sua vece Cesare, come finirono? Dopo pochi anni, proprio l’imperatore romano distrusse il Tempio e Gerusalemme, gettando l’abominio della desolazione sul monte Sion. Nolumus hunc regnare super nos! Non habemus regem nisi Caesarem! Rifiutarono Cristo quale loro Re ed il suo Regno. Ma Cristo regnò e regna malgrado i suoi nemici e lo fece, lo fa e lo farà mediante la sua giustizia. Verumtamen inimicos meos illos, qui noluerunt me regnare super se, adducite huc: et interficite ante me (Luc. 19, 27).

Croci abbattute dall’Iraq, alla Cina, alla Francia.
L’iniquità dilaga, Gesù l’aveva predetto

di Renato Farina

Com’è dura però non far raffreddare l’amore


Cose di democrazia, diritti, giudici e politici premono perché ci si scriva sopra. E lo farò, sono ligio ai doveri. Eppure mi pare tutto distrazione, intervallo per la merendina, rispetto al grande tema. Da russo anarchico e furibondo di sentimenti in questo spazio dove faccio quello che mi pare, prima di tirar su il muro del mio gulag in cui rinchiudere quattro stupide parole, in questa dittatura delle cazzate, dico l’unica cosa che preme quando esco dalle proporzioni fasulle del bene e del male di questo tempo accidioso.
La notizia permanente, la casa che brucia adesso, è la persecuzione dei cristiani, cioè la persecuzione di Cristo. Ovvero. La persecuzione di Cristo, cioè la persecuzione dei cristiani. Finché c’è persecuzione di Cristo vuol dire che è vivo adesso. Finché è ucciso, vuol dire che risorge ora. Ma intanto ricordiamolo, stringiamoci intorno al Signore che sono quei nostri fratelli. Francesco insiste ogni giorno nella denuncia. Seguiamolo.
In Cina ora hanno stabilito di estirpare le croci dai campanili e dalle cupole, come ha già fatto il Califfo a Mosul e a Raqqa. Così come in Francia, a Rennes, estirpano la statua di Giovanni Paolo II dato che è diventato santo, e potrebbe rompere l’equilibrio infame della laicità su cui si regge la République. Avrei una proposta. Mettetegli in testa un cappello d’asino, a Karol Wojtyla, incidetegli una svastica sulla fronte: in questo modo diventerebbe una statua satirica, e la satira è sacra, ma nello stesso tempo anche laica, dunque nessuno avrà nulla da dire, e potremo pur pregare sotto la statua, ovviamente specificando che è una parodia dissacrante, e ce lo lasceranno fare. O mangeranno la foglia?

La Sua carezza al persecutore

Sono arrivato alla tesi estrema, che è meglio la bestemmia della condanna all’invisibilità. E beninteso questa invisibilità non è una congiura degli atei, ma il compromesso voluto dai cristiani di etichetta, i quali espellono Cristo dagli ambiti della loro vita, per avere il permesso di coltivarne il santino innocuo a latere, come quei giudici di tribunale che non contano niente, sono a latere, non rompono.
Di certo Gesù di Nazaret non è mai stato così tanto odiato. Non la sua figura antica, quella con il dovuto maquillage piacerà sempre, ma quella di Lui che è adesso presente e insopportabilmente vivo. E cammina per strada con le facce spesso da pirla dei cristiani, che senz’altro qualche spazzolata se la meritano. Ma qualche volta Cristo è offeso e maciullato perché i volti che lo rendono presente adesso – gli occhi di un bambino davanti all’Ostia, di una madre vecchia e pietosa – sono insopportabili. Dicono quei bambini e quelle madri, e tanti come loro dappertutto sul pianeta, che l’umano è sin d’ora nella sua pienezza. Non domani, alla fine della conquista islamica o al culmine del progresso della medicina e della genetica, ma ora, nel dolore schizzato di escrementi; ma adesso, divinamente .
Accadono cose sorprendenti, anche. Ed ora alcuni dismettono la loro persecuzione, come Raúl Castro, il quale senza dichiarare il minimo pentimento per i dissidenti cristiani incarcerati e fucilati, ora, forse, siccome le parole del Papa gli aggradano, minaccia di mettersi a pregare. E sono belle notizie. Come no? Avete colto un certo sarcasmo, suppongo. Eppure sbaglio. Non sappiamo come si fa largo lo Spirito, né come e quando scatti il «Domine non sum dignus, Deo gratias». Bisogna respingere la tentazione che dinanzi alla persecuzione si debba odiare o diventare gelosi della propria fede, come se fosse più preziosa della carezza di Cristo a un persecutore che dice: però, magari.
Valgano la parole del Risorto nel Vangelo: «Per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà» (Matteo 24,12). Per favore, il dilagare dell’iniquità non ci faccia raffreddare l’amore, la gratitudine, il perdono. E i magistrati, il diritto, la giustizia, la democrazia? La prossima volta.

Immagini del Pontificale del Card. Burke a Trieste, Chiesa della Beata Vergine del Rosario, 17 maggio 2015


Il miracolo del Sole a Fatima

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Il 13 maggio scorso il prof. Salvatore Canto, un fisico, ha pubblicato un articolo dedicato al miracolo del Sole verificatosi a Fatima il 13 ottobre 1917.
Egli prova a darne una spiegazione fisica e naturale, per giungere alla conclusione che, quand’anche si fosse trattato di un fenomeno “naturale”, Dio, che è il Creatore, ben poteva – come ha fatto – piegare al suo volere le leggi della natura e della fisica di cui Egli ne è, peraltro, l’Autore.  Insomma, quand’anche possa ascriversi – in ipotesi – alla categoria dei fenomeni “naturali”, nondimeno esso deve pur sempre considerarsi davvero miracoloso, visto che ha comportato – considerate le circostanze di tempo e di luogo e la concomitanza con l’evento soprannaturale dell’Apparizione della Vergine – in ogni caso la sospensione, sebbene per pochi minuti, delle ordinarie leggi della fisica e della natura.
Avelino de Almeida
D’altronde dell’evento miracoloso furono testimoni, oltre ai numerosi fedeli raccolti a Cova da Iria, a Fatima, anche chi era lontano diversi chilometri dal luogo e che, quindi, non poteva in alcun modo subire qualsiasi suggestione. A ciò si aggiunga che lo stesso fu riportato dal quotidiano locale, liberale, anticlericale e verosimilmente massonico, O Século, in un celebre articolo, scritto il 13 e pubblicato il 15 ottobre, del redattore capo, Avelino de Almeida, presente al miracolo. Per cui non può dubitarsi che l’evento fu reale e non frutto di suggestione (l’articolo originale può leggersi qui).
L’articolo del prof. Canto è stato rilanciato anche da Chiesa e post concilio.




Il miracolo del Sole a Fatima

Oggi è il 13 maggio festa della Madonna di Fatima. In quell’apparizione avvenne il cosiddetto ‘miracolo del Sole’. Per l’occasione ripubblico un post che ho scritto qualche tempo fa, in cui ho analizzato la cronaca del fatto tentando così di capire se il ‘fenomeno’ possa essere accaduto veramente. La conclusione è stata positiva a causa della scoperta di un indizio importante e cioè del verificarsi di un particolare evento fisico avvertito dai presenti ma finora considerato secondario...
Ecco come andarono le cose:
Sono le 11,30 antimeridiane del 13 ottobre 1917 e da poco è finito un grosso temporale. La Cova di Iria è colma di uomini e donne, credenti, scettici, semplici curiosi, convenuti a decine di migliaia (si stimarono 70.000 persone) da tutto il Portogallo e dalla Spagna. Sono anche presenti autorità civili e religiose, e giornalisti di Lisbona e Oporto. Tutti in attesa dell’ apparizione (la 6^ e ultima) annunciata dai bambini veggenti e del ‘segno’ che sarebbe stato dato.
A mezzogiorno accade l’incredibile. Per 10 minuti il sole è visto roteare, cambiare colore, ‘danzare’ e pulsare, avvicinarsi e allontanarsi dalla sua posizione abituale, fino al momento cruciale in cui sembra cadere sulla folla.
Riporto in nota (1) il resoconto di alcuni dei testimoni presenti e in nota (2) le spiegazioni fornite da alcuni studiosi, ma che per me non sono molto convincenti ... Parlerò invece qui della “spiegazione” che io personalmente mi sono dato, avvertendo in anticipo che con essa non ho la pretesa di affermare che il fenomeno sia veramente avvenuto in tal modo...

Tentativo di spiegazione


Il punto fondamentale secondo me è la testimonianza dell’avverarsi di un fenomeno fisico che non poteva dipendere da illusioni di sorta, e cioè il fatto che nel suo ‘movimento’ il sole tracciò una traiettoria all’interno della quale ci fu un’asciugatura del terreno e dei vestiti precedentemente inzuppati di pioggia.

Infatti nel libro ‘Intervencao extraterrestre em Fatima’ (1982) degli studiosi portoghesi Joaquim Fernandes e Fina D’Armada si sottolinea il notevole fatto che l’asciugamento quasi istantaneo degli abiti e del terreno bagnati per la pioggia non interessarono l’intera Cova da Iria e tutte le 70.000 persone presenti ma furono avvertiti e constatati soltanto da quella parte di folla che al momento del prodigio era entro una fascia di terreno ben delimitata. Tale fascia, larga una settantina di metri e includente il leccio delle apparizioni, attraversava la Cova di Iria da sud a nord, e corrispondeva alla ‘traiettoria’ tracciata dal sole nella fase di massimo avvicinamento al suolo. Questo fatto dimostra da solo che il ‘miracolo’ fu un evento reale. Infatti questa asciugatura e in una zona ben determinata comporta la presenza di una notevole quantità di calore che non può essere certo fornita da suggestione o inganno psichico: l’energia, e il calore è energia, non si crea dal nulla né si distrugge. Questo è il principio fondamentale della Conservazione dell’Energia.
Ecco perciò la mia ’spiegazione’ su come potrebbe essere avvenuto il fenomeno (spiegazione che ovviamente rimane comunque nell’ambito delle ipotesi anche se ‘plausibili’):
È ben noto dall’Ottica geometrica (branca della Fisica) il fenomeno della rifrazione, cioè il cambiamento nella direzione di propagazione della luce quando da un mezzo trasparente, quale l’aria o il vetro o l’acqua, passa in un altro mezzo trasparente (di differente indice di rifrazione). Siccome l’angolo di questa nuova direzione di propagazione dipende anche dalla frequenza della luce considerata, se la luce non è monocromatica si può anche osservare nel processo il fenomeno della ‘dispersione’, cioè la scomposizione della luce nelle sue componenti colorate, così come avviene ad esempio quando la luce passa attraverso le gocce di pioggia e si forma l’arcobaleno o quando attraversa un prisma di vetro. Sulla rifrazione nel passaggio dall’aria al vetro e viceversa è basato l’ingrandimento o il rimpicciolimento delle immagini fornite da una lente di vetro, convergente o divergente che sia. Il fenomeno dipende quindi essenzialmente dal diverso ‘indice di rifrazione’ dei mezzi trasparenti considerati. L’indice di rifrazione può però cambiare anche nelle diverse parti dello stesso mezzo trasparente a causa di variazioni di densità provocate ad esempio da un gradiente di temperatura: infatti così avviene nel fenomeno del miraggio (nell’atmosfera), questo è provocato dal fatto che la luce viene curvata, sino alla condizione di riflessione totale, dalla differente densità dei diversi strati dell’aria causata dalla variazione ‘spaziale’ della temperatura (più alta vicino al suolo, più bassa man mano che si sale). Tipico esempio di questo fenomeno è l’apparire di ‘acqua’ guardando in lontananza l’asfalto nelle giornate molto calde.
Andiamo dunque alla possibile ‘spiegazione’ del ‘miracolo del sole’:
Se io fossi capace di addensare a comando localmente parti di aria, quella che si trova tra me osservatore e il sole, trasformando così l’indice di rifrazione in maniera di avere l’effetto di una lente convergente o di una lente divergente, ecco che vedrei il sole ingrandirsi quasi da ‘farlo cadere sulla terra’ o rimpicciolirsi facendolo quindi ‘allontanare’. Questo sarebbe quindi solo un fenomeno ottico locale (il fenomeno fu osservato solo fino a 20 km di distanza). Inoltre potrei anche ‘pilotare’ la dispersione della luce solare in maniera tale che in dato momento arrivi al suolo una parte colorata della luce anziché un’altra e allora il sole apparirebbe quindi di diversi colori a seconda anche dell’angolo di osservazione … Si spiegherebbe l’asciugarsi dei vestiti in una particolare traiettoria: infatti focalizzando la luce solare potrei aumentare il calore facendo così evaporare l’acqua (il fenomeno durò 10 minuti…). Il sole osservato da zone molto lontane sarebbe ovviamente visto sempre nella sua posizione abituale, così come hanno riferito gli astronomi dell’epoca che non notarono quel giorno niente di anormale nelle loro osservazioni.
Ma chi può avere un dominio sull’aria tale da trasformarne localmente a piacimento e in maniera coordinata l’indice di rifrazione per provocare tali fenomeni ottici? Lascio a chi legge la risposta…(3)

La posizione della Chiesa

Il 13 ottobre 1930 col documento A Divina Providência, il vescovo di Leira José Alves Correia da Silva dichiarò “degne di credito le visioni dei fanciulli nella Cova da Iria”, autorizzando ufficialmente il culto della Madonna di Fatima col titolo di Nossa Senhora de Fátima. Questo ha portato quindi anche al riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa Cattolica della “natura soprannaturale del miracolo del sole”.


P.S. Chissà perché ma mi è venuto in mente il brano del Vangelo in cui Gesù trovandosi con alcuni discepoli nella barca in tempesta comandò al mare e ai venti di calmarsi cosicché si fece grande bonaccia. I discepoli constatato questo prodigio furono presi da spavento e dissero tra loro: ”Chi è costui a cui perfino il mare ed il vento obbediscono?” (Marco 4, 35-41).
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Note

(1) Le testimonianze dei presenti
Il giornalista Avelino de Almeida in un articolo nel giornale di Lisbona “O Século” nell’edizione del 15 ottobre 1917:«COSE FENOMENALI! COME IL SOLE BALLO’ A MEZZOGIORNO A FATIMA [...] Il sole sorge, ma l’aspetto del cielo minaccia temporale. Nuvole nere si ammassano sulla folla di Fatima. [...] Alle dieci il cielo si oscura totalmente e non tarda a piovere una forte pioggia. [...] I fanciulli affermano che la Signora parlò a loro ancora una volta, e il cielo, prima caliginoso, comincia da subito a schiarirsi in alto; la pioggia cessa e si presenta il sole che inonda di luce il paesaggio. [...] L’ora mattutina è la regola per questa moltitudine, che calcoli imparziali di persone colte e di tutto punto rapite come influenza mistica contano in trenta o quaranta mila creature... La manifestazione miracolosa, il segno visibile annunciato sta per essere prodotto - assicurano molti pellegrini... E si assiste a uno spettacolo unico e incredibile per chi non fu testimone di esso. Dalla cima della strada, dove si ammassano i carri e si mantengono molte centinaia di persone, alle quali manca la voglia di mettersi nella terra fangosa, si vede tutta l’immensa moltitudine voltarsi verso il sole, che si mostra libero dalle nuvole, nello zenit. L’astro sembra un disco di argento scuro ed è possibile fissare il disco senza il minimo sforzo. Non brucia, non acceca. Si direbbe realizzarsi una eclissi. Ma ecco che un grido colossale si alza, e dagli spettatori che si trovano più vicini si ode gridare: - Miracolo, Miracolo! Meraviglia, meraviglia! Agli occhi sbalorditi di quel popolo, la cui attitudine ci trasporta ai tempi biblici e che, pallido di sorpresa, con la testa scoperta, fissa l’azzurro (cielo), il sole tremò, il sole ebbe mai visti movimenti bruschi fuori da tutte le leggi cosmiche - il sole ‘ballò’, secondo la tipica espressione dei contadini. José Maria Proença de Almeida Garrett, professore alla facoltà di Scienze naturali dell’università di Coimbra: “Improvvisamente udii il clamore di centinaia di voci e vidi che la folla si sparpagliava ai miei piedi[...] voltava la schiena al luogo dove, fino a quel momento, si era concentrata la sua attesa e guardava verso il sole dall’altro lato. Anche io mi sono rivoltato verso il punto che richiamava lo sguardo di tutti e potei vedere il sole apparire come un disco chiarissimo, con i contorni nitidi, che splendeva senza offendere la vista. Non poteva essere confuso con il sole visto attraverso una nebbia (che non c’era in quel momento) perché non era né velato né attenuato. A Fatima esso manteneva la sua luce e il suo calore e si stagliava nel cielo con i suoi nitidi contorni, come un largo tavolo da gioco. La cosa più stupefacente era il poter contemplare il disco solare, per lungo tempo, brillante di luce e calore, senza ferirsi gli occhi o danneggiare la retina. [Durante questo tempo] il disco del sole non rimase immobile: aveva un movimento vertiginoso [ma] non come lo scintillio di una stella in tutto il suo splendore perché esso girava su se stesso in folli giravolte. Durante il fenomeno solare che ho appena descritto, avvenne anche un cambiamento di colore nell’atmosfera. Guardando verso il sole, ho notato che tutto stava diventando più scuro. Ho guardato prima gli oggetti più vicini e poi ho esteso il mio sguardo ai campi fino all’orizzonte. Vidi ogni cosa assumere il colore dell’ametista. Gli oggetti intorno a me, il cielo e l’atmosfera, erano dello stesso colore. Ogni cosa, sia vicina che lontana era cambiata, assumendo il colore di un vecchio damasco giallo. Sembrava che la gente soffrisse di itterizia e io ricordo di aver provato un senso di divertimento vedendo le persone sembrare così brutte e sgradevoli. La mia stessa mano era di tale colore. Poi, improvvisamente, si udì un clamore, un grido di angoscia prorompere da tutti. Il sole, roteando selvaggiamente, sembrò staccarsi all’improvviso dal firmamento e, rosso come sangue, avanzare minacciosamente verso la terra come per schiacciarci con il suo peso immenso e ardente. Durante quei momenti provai una sensazione veramente terribile. Tutti i fenomeni che ho descritto furono da me osservati in uno stato d’animo calmo e sereno, senza alcun disturbo emotivo. Interpretarli e spiegarli è compito di altri. Debbo dichiarare infine che mai, prima o dopo il 13 ottobre [1917] ho assistito a simili fenomeni atmosferici o solari”. Manuel Nunes Formigão, sacerdote professore del seminario di Santarem:
“Le nuvole si aprirono e il sole al suo zenit apparve in tutto il suo splendore. Iniziò a girare vertiginosamente sul suo asse, come il più magnifico fuoco d’artificio che si possa immaginare, assumendo tutti i colori dell’arcobaleno e lanciando bagliori di luce multicolore. Questo sublime e incomparabile spettacolo, che si è ripetuto per 3 volte, è durato per circa 10 minuti. L’immensa moltitudine, sopraffatta dall’evidenza di tale tremendo prodigio, si gettò in ginocchio”. Joaquim Maria Lourenço, che si trovava a Alburitel, 18 km da Fatima: “Mi sento incapace di descrivere ciò che vidi. Guardai fissamente il sole che sembrava pallido e non feriva gli occhi. Sembrava una palla di sole girante su se stessa. Improvvisamente sembrava scendere a zig-zag minacciando la terra. Terrorizzato, corsi e mi nascosi tra la folla, la quale stava piangendo e aspettava la fine del mondo come imminente”».


(2) Possibili spiegazioni naturali fornite da alcuni studiosi...
Alcuni studiosi contemporanei hanno proposto ipotesi naturali per spiegare l’accaduto. Secondo Kevin McClure, contrariamente a quanto riportato da De Marchi, vi è una notevole disparità nei resoconti dei testimoni: ad esempio, il movimento è descritto da taluni come a zig-zag e da altri come rotatorio; il colore è alternativamente rosso-giallo-porpora o grigio-blu. Inoltre, sempre secondo McClure, solo meno della metà delle persone coinvolte avrebbe visto il sole danzare e roteare nel cielo, staccarsi da esso, cadere sulla terra e tornare su al suo posto. Nel 1989 Stuart Campbell affronta con un articolo nel Journal of Meteorology l’ipotesi di presenza di polvere nella stratosfera; il fenomeno è descritto anche da Paul Simons in un articolo sul Times del 2005. Nel 1993 Joe Nickell, collaboratore del CSICOP (associazione omologa all’italiana CICAP) studia la possibile presenza di un fenomeno noto come paraelio: per motivi di rifrazione ottica, in determinate condizioni atmosferiche, il disco solare può apparire affiancato a circa 22 gradi da una o due immagini speculari. Il fenomeno è però statico e non contemplerebbe movimenti del disco solare. Secondo Joe Nickell, una temporanea distorsione dell’immagine sulla retina causata dalla prolungata esposizione alla luce può comunque provocare l’illusione di un movimento. Secondo lo studioso, si trattò quindi “verosimilmente di una combinazione di fattori, includenti fenomeni ottici e meteorologici (il sole è stato visto attraverso un sottile strato di nubi, facendolo apparire come un disco argenteo; una variazione dello spessore delle nubi ne ha causato variazioni nella luminosità, facendolo apparire avanzante o retrocedente; polvere o umidità in sospensione hanno causato la variazione di colore della luce solare; e/o altri fenomeni)". Queste ‘spiegazioni naturali’ a me appaiono deboli. A mio parere infatti sono una specie di arrampicamento sugli specchi da parte di studiosi che in realtà non sanno dare una spiegazione veramente credibile del fenomeno...

(3) Un’altra possibile spiegazione potrebbe essere la ‘creazione’ di una ‘distorsione’ temporanea nello spazio-tempo, così come spiegato nella Relatività Generale, tale da formare una cosiddetta ‘lente gravitazionale’ nello spazio occupato dall’atmosfera, così come succede in alcune parti dell’Universo a causa dalla presenza di intensi campi gravitazionali. Ma a ben vedere pur non esistendo nulla di impossibile a Dio, e considerando quindi che Lui può avere perfetto dominio anche sulla struttura dello Spazio-tempo e cambiarla a piacere, questa spiegazione alternativa mi sembra ad intuito meno semplice e quindi un po’ meno probabile di quella ‘ottica’.

20 maggio 325/2015 - 1690° Anniversario dell'apertura del I Concilio di Nicea contro l'empio eresiarca Ario e per la proclamazione della Consustanzialità del Figlio

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Cesare Nebbia, Concilio di Nicea, 1590, Biblioteca Apostolica, Città del Vaticano, Roma

Carlo Mannoni, Costantino brucia i libri ariani durante il Concilio di Nicea, XVII sec., Battistero di S. Giovanni in Laterano, Roma


Natalya Klimova, S. Costantino il Grande eguale agli Apostoli, ovvero S. Spiridione di Trimithonte (o Nicola di Myra?) prova al Concilio di Nicea con un miracolo la Divinità del Verbo contro le tesi ariane (c.d. miracolo del mattone),  2012, collezione privata

Oggi la Chiesa ricorda i santi martiri messicani, che diedero la vita per non rinnegare Cristo Leggi di Più: Oggi la Chiesa ricorda i santi martiri messicani

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Rilancio volentieri quest’articolo di Tempi.

Oggi la Chiesa ricorda i santi martiri messicani, che diedero la vita per non rinnegare Cristo

di Emanuele Boffi

Si festeggiano oggi don Cristobal Magallanes Jara e altri suoi 25 compagni, fucilati dal governo massone nel 1927. Qui la storia dei cristeros



Oggi la Chiesa ricorda la figura di don Cristobal Magallanes Jara e di altri suoi 25 compagni, uccisi in Messico durante la persecuzione del governo contro i cristiani nei primi anni del Novecento.

Don Cristobal, nato a Totatiche il 30 luglio 1869, fu un semplice sacerdote e missionario tra gli indigeni “huichole” dove compì il suo apostolato, in particolare tra i giovani, suscitando innumerevoli vocazioni sacerdotali. Quando fu chiuso il seminario di Guadalajara, ne fondò uno nuovo non arrendendosi mai di fronte alle persecuzioni. Proprio per la sua ostinazione e fede fu fucilato il 25 maggio 1927. Giovanni Paolo II ha canonizzato lui e i suoi compagni nel 2000. I lettori di 
Tempi conoscono bene l’eroica storia dei cristeros messicani, di cui vi abbiamo parlato spesso, anche grazie al film Cristiada, portato in Italia anche grazie al nostro contributo.
Qui di seguito vi riproponiamo uno dei nostri articoli, in cui narravamo la storia dei cristeros.

Il grande merito di Cristiada (For Greater Glory) è quello di narrare un evento altrimenti sconosciuto come la rivolta del popolo cattolico contro le leggi del governo messicano negli anni Venti. In realtà, forti limitazioni del culto e della libertà religiosa erano iniziate nel 1914 quando l’esecutivo aveva già cominciato a perseguitare il clero e a limitare i riti. Fu però il 14 marzo 1926 che la repressione del governo guidato dal presidente Plutarco Elía Callés, detto “El turco”, insignito di prestigiose medaglie dalle logge massoniche, ebbe il suo apice. Callés, rivoluzionario filosovietico, in un paese in cui la percentuale dei cattolici era del 95 per cento, fece espellere i sacerdoti nati all’estero, chiuse le scuole, gli ospedali, gli ospizi, gli orfanotrofi cattolici, nonché i seminari i cui studenti furono deportati. Abolì molte diocesi e ogni manifestazione pubblica della fede (persino farsi il segno di croce era rischioso).
Il film di Dean Wright narra la vicenda a partire da questo momento e di ciò che accadde nel paese nei tre anni successivi. È la storia di come un’élite di intellettuali, sacerdoti e laici diede vita il 14 marzo 1925 alla Lega Nazionale per la Difesa religiosa che, dopo gli innumerevoli e vani tentativi di trovare un accordo col presidente, escogitò altri stratagemmi non violenti per opporsi alle sue leggi. Dapprima con una petizione, poi con un boicottaggio delle banche e di tutti i prodotti di Stato che ebbe notevoli effetti (la Banca di Tampico e la Banca inglese fallirono), ma che non fermò le violenze di Callés e dell’esercito.
Fu allora che il Messico insorse e accanto a quell’élite si schierò un popolo che chiedeva solo di poter continuare a professare la propria fede. Questo nel film è mostrato con dovizia di particolari storicamente documentati. Villani, contadini, artigiani equipaggiati inizialmente più di rastrelli che di fucili, riuscirono nell’insperata impresa di tenere testa a una forza governativa militarmente organizzata.
L’esercito dei cristeros era un ben strano esercito. Armati di pistole e croci, si lanciavano in battaglia all’urlo «Viva Cristo rey», parole che apparivano anche sul loro vessillo accanto all’immagine della Madonna di Guadalupe. Gli storici raccontano che questi zotici dalla fede granitica erano soliti organizzare Messe e confessioni tra una battaglia e l’altra, dandosi il cambio quando erano di vedetta in modo che ognuno potesse dedicare qualche ora all’adorazione eucaristica. I cristeros si facevano il segno della croce prima di ogni scontro e si salutavano così: «Preghiamo per noi e per essi».

Il più grande seminario del mondo

Questo è un particolare rivelatore dell’animo dei cristeros: non combattevano un regime per imporne un altro. La loro non fu una battaglia rivoluzionaria per rovesciare un potere e sostituirlo. La loro fu una guerra per poter continuare a professare pubblicamente quello che erano: cattolici. Tant’è vero che, quando nel 1929 si arrivò a un accordo per il cessate il fuoco, i cristeros, in obbedienza alla Chiesa di Roma, deposero malvolentieri le armi, ben sapendo, come poi accadde, che il governo avrebbe ricominciato a impiccarli ai pali delle luce.
Nella pellicola è mostrata la figura di José Luis Sánchez del Rio, che a 14 anni divenne portabandiera dei cristeros. Catturato e torturato, José si rifiutò di pronunciare la frase: «Muerte a Cristo rey». Ucciso il 10 febbraio 1928 mentre urlava «viva Cristo rey» è stato beatificato nel 2005 da papa Benedetto XVI. Il luogo in cui si tenne la cerimonia è Guadalajara, la città più perseguitata del Messico. Tertulliano ha scritto che «il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani». Oggi a Guadalajara c’è il più grande seminario del mondo, con oltre 1.200 seminaristi.

Fonte: Tempi, 21.5.2015

Martirio del Beato José Sánchez del Río dal film "Cristiada"

Card. Sarah: “L’Occidente è ripiegato sulle sue illusioni. Coraggio è andare controcorrente”

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Parole chiare dal prefetto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti!

“L’Occidente è ripiegato sulle sue illusioni. Coraggio è andare controcorrente”. Parola di cardinale

di Matteo Matzuzzi

Il cardinale Robert Sarah è prefetto della congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti

“Se si considera l’eucarestia come un pasto da condividere, da cui nessuno può essere escluso, allora si perde il senso del Mistero”. Così ha detto il cardinale Robert Sarah, da pochi mesi prefetto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti, intervenuto al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia in occasione della presentazione della collana “Famiglia, lavori in corso”, una raccolta di saggi editi dalla casa editrice Cantagalli, in vista del prossimo Sinodo ordinario di ottobre. Una collana che ha l’obiettivo di stimolare il confronto e di toccare tutti i temi “caldi”: omosessualità, sessualità, divorzio, procreazione assistita, eutanasia, celibato. Tre volumi hanno aperto la collana, due dei quali scritti da docenti presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia: ”Eucaristia e divorzio: cambia la dottrina?” di José Granados (che è anche stato nominato consultore del Sinodo dei vescovi) e ”Famiglie diverse: espressioni imperfette dello stesso ideale?” di Stephan Kampowski. Il terzo, ”Cosa ne pensa Gesù dei divorziati risposati?” è opera di Luis Sanchez Navarro, ordinario di Nuovo Testamento alla Università San Damaso di Madrid. Il Foglio aveva anticipato ampi estratti dei libri dei professori Granados e Sanchez il 15 aprile scorso.
“L’Occidente – ha detto Sarah rispondendo a braccio ad alcune domande che gli sono state poste dall’uditorio – si sta adeguando sulle proprie illusioni”. Il problema di tutto, ha rimarcato più volte il porporato di cui Il Foglio ha anticipato per l’Italia lo scorso 13 marzo un lungo estratto del libro ”Dieu ou rien” uscito in Francia presso Fayard, è nella fede. “Se si pensa che anche nel rito del Battesimo non si menziona più la parola ‘fedÈ, quando ai genitori viene domandato cosa si chiede per il bambino alla Chiesa di Dio, si comprende l’entità del problema”, ha aggiunto il cardinale guineano, che ha anche biasimato il senso che viene dato oggi al Catechismo: “I bambini fanno disegni e non imparano nulla, non vanno a messa”. Quanto al Sinodo prossimo venturo, l’invito è a non farsi illusioni su cambiamenti epocali: “La gente crede che ci sarà una rivoluzione, ma non potrà essere così. Perché la dottrina non appartiene a qualcuno, ma è di Cristo”. Dopo l’appuntamento dello scorso ottobre, ha osservato Sarah presentando i tre volumi, “fu chiaro che il vero fulcro non era e non è solo la questione dei divorziati risposati”, bensì “se la dottrina della Chiesa sia da considerare un ideale irraggiungibile, irrealizzabile e necessitante quindi di un adattamento al ribasso per essere proposta alla società odierna. Se così stanno le cose, si impone necessariamente una chiarificazione se il Vangelo sia una buona notizia per l’uomo o un fardello inutile e non più proponibile”. La ricchezza del cattolicesimo – ha aggiunto – “non può essere svelata da considerazioni dettate da un certo pragmatismo e dal sentire comune. La Rivelazione indica all’umanità la via della pienezza e la felicità. Disconoscere questo dato significherebbe affermare la necessità di ripensare i fondamenti stessi dell’azione salvifica della Chiesa che si attua attraverso i sacramenti”.
Il problema è anche di quei “sacerdoti e vescovi” che contribuiscono con le loro parole a “contraddire la parola di Cristo”. E questo, ha detto Sarah, “è gravissimo”. Permettere a livello di diocesi particolari quel che ancora non è stato autorizzato dal Sinodo (il riferimento era alla prassi seguita in molte realtà dell’Europa centro-settentrionale) significa “profanare Cristo”. Poco vale invocare la misericordia: “Inganniamo la gente parlando di misericordia senza sapere quel che vuol dire la parola. Il Signore perdona i peccati, ma se ci pentiamo”. Le divisioni che si sono viste lo scorso ottobre, “sono tutte occidentali. In Africa siamo fermi, perché in quel continente c’è tanta gente che per la fede ha perso la vita”. Un appello, il cardinale, l’ha anche lanciato contro chi – membro del clero – usa un linguaggio non corretto: “È sbagliato per la Chiesa usare il vocabolario delle Nazioni Unite. Noi abbiamo un nostro vocabolario”. Una puntualizzazione, poi, l’ha voluta fare su una delle massime che vanno per la maggiore dal 2013, e cioè l’uscita in periferia. Proposito corretto, naturalmente, ma a una condizione: “È facile andare nelle periferie, ma dipende se lì portiamo Cristo. Oggi è più coraggioso stare con Cristo sulla croce, il martirio. Il nostro dovere è quello di andare controcorrente” rispetto alle mode del tempo, a “quel che dice il mondo”. E poi, “se la Chiesa smette di dire il Vangelo, essa è finita. Può farlo con i modi d’oggi, ma con fermezza”. Infine, un appunto sul calo delle vocazioni sacerdotali nel mondo: “Il problema non è che ci sono pochi preti, quanto capire se quei preti sono davvero sacerdoti di Cristo”.

Don Nicola Bux, Ettore Gotti Tedeschi e Riccardo Cascioli a Terni - 27 maggio 2015 "Se a dominare è un pensiero non cattolico"

“Quod ait, Rogábo Patrem, et álium Paráclitum dabit vobis: osténdit et seípsum esse Paráclitum. Paráclitus enim Latíne dícitur advocátus: et dictum est de Christo: Advocátum habémus ad Patrem, Jesum Christum justum” (Homilía sancti Augustíni Epíscopi – Lect. VII – III Noct.) – SABBATO IN VIGILIA PENTECOSTES

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Sebbene il sacramento del battesimo sia affatto distinto da quello della cresima, pure questa si chiama Confirmatio, in quanto la discesa dello Spirito Santo nell’anima del fedele integra l’opera della sua rigenerazione soprannaturale. Mediante il carattere sacramentale si conferisce al neofito una più perfetta rassomiglianza a Gesù Cristo, imprimendo l’ultimo suggello o ratifica alla sua unione col divin Redentore. La parola confirmatio era usata in Spagna anche ad indicare la preghiera invocatoria dello Spirito Santo nella messa (Confirmatio Sacramenti); onde l’analogia che corre tra l’epiclesi – che nella Messa impetra dal Paraclito la pienezza dei suoi doni su quanti si appressano alla santa Comunione – e la Confermazione – che gli antichi amministravano immediatamente dopo il battesimo – illustra molto bene il significato teologico assai profondo che si cela sotto questa parola Confirmatiodata al sacramento della Cresima.
Il nesso che unisce i due sacramenti rende perciò ragione del motivo per cui le antiche liturgie, e la romana in particolare, sin dal tempo di Tertulliano abbiano riservata alla loro solenne amministrazione le vigilie notturne di Pasqua e della Pentecoste.
Nell’antichità, il sacro rito si svolgeva durante questa notte al Laterano, precisamente come nella vigilia pasquale; nel XII sec. tuttavia, quando già la cerimonia soleva anticiparsi nel pomeriggio del sabato, sul volgere del tramonto il Papa si recava a celebrare i vespri e i mattutini solenni a San Pietro.
Nelle messe private si omettono le lezioni (letture), la litania, ecc., e si recita l’introito come il mercoledì dopo la IV domenica di Quaresima, in occasione dei grandi scrutinii battesimali. Il testo è di Ezechiele dove chiaramente si annuncia il battesimo cristiano e l’effusione dello Spirito Santo sui credenti. Letteralmente il vaticinio riguarda la futura sorte d’Israele, destinato anch’esso ad entrare a far parte del regno messianico: ubi intraverit plenitudo gentium tunc Israel salvus fiet, «Quando saranno entrate tutte le nazioni, allora Israele sarà salvato» (cfr. Rom. 11, 25-26: «donec plenitudo gentium intraret, et sic omnis Israël salvus fieret»), ma può anche applicarsi a ciascun’anima credente, cioè a quelle che l’Apostolo, per distinguerla dall’Israele secondo la carne, chiama Israel Dei, l’Israele di Dio.
Come l’effusione dello Spirito Santo è l’atto supremo d’amore di Dio verso gli uomini, così l’allontanamento supremo e definitivo dell’anima da Dio viene specialmente chiamato peccato contro lo Spirito Santo. Il divin Paraclito è quello che determina in noi lo svolgimento della nostra vita soprannaturale, secondo il divino modello Gesù; ogni volta dunque che si arresta questo sviluppo si resiste allo Spirito Santo, onde l’Apostolo ammoniva in questo senso i primitivi fedeli a non contristare il divino Spirito che abita nell’anima, anzi ne è la vita stessa soprannaturale (Schuster, Liber Sacramentorum, IV, pp. 145-146).

La sacra veglia di Pentecoste

Il rito vigiliare della Pentecoste, giusta il tipo originario romano, constava, come nella notte pasquale, di dodici lezioni scritturali. Queste venivano ripetute tanto in greco che in latino, ed erano intercalate dal canto delle Odi profetiche e delle collette recitate dal Pontefice.
San Gregorio Magno però ridusse le letture soltanto a sei, il cui numero fu conservato intatto, anche quando, nell’VIII sec., in seguito alle influenze del Sacramentario Gelasiano tornato a Roma con onore durante il periodo franco, le lezioni della grande vigilia di Pasqua furono nuovamente riportate al primitivo numero simbolico di dodici.
Le collette che seguono le letture sono quelle stesse del Sacramentario Gregoriano: solo però che l’ultima è fuori di luogo, giacché originariamente essa veniva recitata dopo il Sal. 43 (42), il quale cosi poneva termine alla vigilia propriamente detta. La colletta invece che seguiva da principio la lezione sesta di Ezechiele, è andata in disuso, per negligenza degli amanuensi.

Nella messa

Il Vangelo (Gv. 14, 15-21) è tutto incentrato sulla venuta dello Spirito Santo, e sul suo ministero di consolatore e di maestro delle anime nella via della verità. Gesù chiama il Paraclito Spirito di Verità, ad indicare che egli non solo procede dal Padre, ma procede altresì dal Verbo, la verità del Padre, il quale dice perfettamente il Padre; tanto che san Luca, negli Atti degli Apostoli, lo chiama semplicemente lo Spirito di Gesù. È noto che i Greci scismatici negano questa processione d’amore del Paraclito dal Padre e dal Figlio, come da un unico principio spirante, il che è contro il manifesto insegnamento del Vangelo – Egli riceverà del mio– e dei Santi Padri tanto orientali quanto occidentali. La Chiesa per molti secoli mise in opera ogni mezzo, concilii ecumenici, apologisti, legazioni, per richiamare i Greci all’unità cattolica, ma tutto fu invano. Quando però il peccato contro lo Spirito Santo raggiunse la sua ultima misura, la giustizia di Dio non tardò a colpire la Chiesa e l’impero bizantino. Il giorno di Pentecoste del 1453 l’esercito di Maometto II, infatti, penetrò a Costantinopoli, e vi trucidava l’imperatore, il patriarca, il clero e gran numero di popolo affollato in Santa Sofia. Riempita di stragi quella splendida basilica giustinianea, che per circa nove secoli fu testimone di tante perfidie contro la fede cattolica, venne convertita in una moschea turca.
Nella preghiera sacerdotale che raccomanda a Dio coloro che presentano le oblazioni e mette fine alla prima partita dei dittici – prius ergo oblationes commendandæ sunt, scriveva il papa Innocenzo I nella famosa lettera a Decenzio (Decentius) di Gubbio (Innocenzo I, Ep. XXV, A Decenzio, vescovo eugubino, in PL 20, coll. 551-561) – si fa memoria dei neofiti ammessi questa notte al battesimo ed alla confermazione, e che dovranno partecipare di conseguenza durante la messa, per la prima volta, alla santa Eucarestia.

Gustave Doré, Discesa dello Spirito Santo, XIX sec.


Hymnus VENI CREATOR SPIRITUS

“Spíritus Dómini replévit orbem terrárum, allelúja: et hoc quod cóntinet ómnia sciéntiam habet vocis, allelúja, allelúja, allelúja” (Sap. 1, 7 – Intr.) - DOMINICA PENTECOSTES

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Quest’oggi, mediante l’effusione dello Spirito Santo, Gesù risorto da morte ed assiso alla destra del Padre, comunica alle membra del suo mistico corpo la sua vita divina. Così la Chiesa che fino ad oggi vagiva come in culla tra le ristrette mura del cenacolo, conseguita ormai la sua integrale perfezione, tutta radiante di santità e di verità, fa la prima apparizione al mondo. Lo Spirito Santo, che fluisce quest’oggi nelle sue vergini membra, le comunica la vita di Gesù, associandola ai suoi ideali, all’opera sua redentrice; onde Paolo ha potuto ben dire che le fatiche apostoliche degli operai evangelici fanno parte dell’opera della Redenzione; anzi, il Salvatore stesso, sulla via di Damasco, ha dichiarato al medesimo apostolo che Egli appunto era colui che veniva perseguitato e soffriva nelle membra della sua Chiesa.
Il protagonista della prima Pentecoste cristiana è Pietro, intorno al quale si stringe il piccolo gregge del Sion: egli inizia quest’oggi l’esercizio del primato pontificio annunziando per il primo la novella evangelica ai rappresentanti delle varie nazioni, senza distinzione di patria e d’origine, senza differenza di confini di regni o di città; a nome della Chiesa intera, è parimente Pietro che protesta contro la volgare calunnia di ebrietà apposta agli apostoli; è egli infine che in quella prima predica converte e battezza i primi tremila neofiti, che aumentano la famiglia del Nazareno.
Perciò l’odierna stazione, a differenza del giorno di Pasqua, è nella Basilica vaticana, dove una volta il Papa celebrava i primi vespri, le vigilie notturne e la messa. Secondo il rito romano delle maggiori solennità dell’anno, questa notte l’ufficio vigiliare era doppio; dapprima si celebrava nell’ipogeo sotterraneo, dove si venerava l’arca sepolcrale dell’Apostolo, poi un secondo all’altare maggiore. In quest’ultimo, che era il più solenne, i canonici cantavano la prima lezione, i cardinali la seconda e il Papa stesso la terza. Dopo la messa il pontefice veniva incoronato col regnum, e ritornava processionalmente in Laterano (cfr. SchusterLiber Sacramentorum, IV, pp. 152-153).
La sequenza che figura oggi nel Messale è attribuita da alcuni ad Innocenzo III; in ogni caso, ne sostituisce un’altra che era molto bella: Sancti Spiritus adsit nobis gratia, menzionata negli Ordines Romani del XV secolo e di cui l’autore è il famoso monaco Notker I di San Gallo, noto anche come Notkero il balbuziente (*840 - + 6 aprile 912), sebbene alcuni l’attribuiscano all'arcivescovo di Canterbury dell'inizio del XIII sec., Stephen Langton. Si racconta che, quando, nel 1215, Innocenzo III sentì questa composizione melodica piena di una sì grande devozione, si stupì che il suo autore non fosse stato ancora canonizzato. Bisogna notare come sia una prosa musicale e ritmica, ad imitazione delle composizioni dello stesso genere di origine bizantina. Il testo solo non dice grandi cose, bisogna tenere conto, però, del suo rivestimento melodico (la traduzione offerta dal beato Schuster, però, ha delle varianti rispetto al testo latino). 
Durante tutta l’Ottava di Pentecoste s’inseriscono nel Canone consacratorio le commemorazioni dello Spirito Santo che abbiamo già riferite nella messa vigiliare. Questa volta tali rievocazioni della primitiva Pentecoste cristiana nel Cenacolo sulla collina di Sion, riescono tanto più commoventi quando si pensa alla funzione speciale che compì lo Spirito Santo sul Calvario. Allora egli negli ardori della sua ineffabile santità consumò la divina vittima, la quale per Spiritum Sanctum semetipsum obtulit immaculatum Deo, «Con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio» (Eb 9, 14). Onde i Padri invocando il Paraclito nelle antiche epiclesi eucaristiche, lo invitavano a discendere sull’altare e ad adombrare le sacre oblate quale testis passionum Christi tui, «Testimone delle sofferenze di Cristo» (1 Pt 5, 1). È sempre questa la funzione dello Spirito Santo: Ille testimonium perhibebit de me, «Egli mi renderà testimonianza» (Gv 15, 26). Egli che era ben conscio dell’ineffabile martirio del Crocifisso, giacché l’aveva santificato nei suoi ardori, deve ora renderne testimonianza al mondo. E in qual modo? Assicurando nelle anime gli effetti della redenzione mediante l’effusione dei doni carismatici.
Tertulliano ha definito il Cristiano come composto di corpo, d’anima e di Spirito Santo. La frase ha un po’ del paradossale, ma dev’essere spiegata nel senso inteso dall’autore. È lo Spirito Santo che, con la sua grazia, eleva interiormente l’anima all’essere soprannaturale di figlia adottiva di Dio. La mozione del Paraclito è dunque quella che determina tutti i nostri atti meritori: di modo che, quando invochiamo Gesù, quando gemiamo ai suoi piedi, quando soffriamo, quando operiamo per Dio, è sempre lo Spirito Santo che prega, che geme, che opera in noi. Egli inoltre testimonium reddit spiritui nostro quod sumus filii Dei, «Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio» (Rm. 8, 16); anzi è precisamente lo Spiritum Filii sui, «Lo Spirito del suo Figlio» (Gal. 4, 6), che Dio ci ha infuso per metterci a parte insieme con Gesù del carattere di figli suoi prediletti. Questo medesimo Spirito, che durante la vita abita in noi e c’imprime l’impulso verso il cielo, non termina l’opera sua con la morte. Egli all’ultimo giorno esige la riedificazione del suo mistico tempio formata nell’anima credente, e questo propter inhabitantem Spiritum eius in nobis, «per mezzo del suo Spirito che abita in noi» (Rm 8, 11).
La Pentecoste, espressione greca che vuole dire cinquantesimo giorno, è l’ottava doppia e giubilare della festa di Pasqua (7 x 7 +1). È, allo stesso tempo, il secondo punto culminante del ciclo festivo di Pasqua. La Pentecoste non è una festa indipendente dunque; è il completamento e la conclusione della festa di Pasqua. Potremmo dire forse che la Pentecoste è per Pasqua ciò che l’Epifania è per Natale. Bisogna tenere tuttavia conto della differenza essenziale. I due cicli festivi dell’anno liturgico sono costruiti alla stessa maniere: c’è dapprima una salita che è la preparazione, poi un avanzamento sulle altezze durante il tempo delle feste, poi una discesa nella pianura durante il tempo che conclude il ciclo. Il tempo di preparazione del ciclo invernale è l’Avvento. Terminato questo tempo, restiamo stupiti davanti alle ricchezze di poesia simbolica e drammatica che la Chiesa ha riunito. La stessa liturgia ci parla di ciò nei suoi canti e le sue lezioni. Possiamo affermare che nessuno tempo dell’anno liturgico possiede una tale sovrabbondanza di cantici, di versetti, di canti come quello natalizio. Come un corno di abbondanza la liturgia ci versa la profusione variegata dei suoi canti.
Segue, senza soluzione di continuità, come un’emanazione naturale dell’Avvento, la festa del Natale. Il tempo festivo dei due cicli ha ancora questo di comune che comprende, nell’uno e nell’altro caso, due grandi feste che sono come i piloni del ponte che sopportano sempre i tempi festivi. Nel ciclo d’inverno, abbiamo il Natale e l’Epifania; nel ciclo d’estate, la Pasqua e la Pentecoste. C’è tuttavia una differenza tra queste due coppie di feste. Pasqua e Pentecoste rappresentano un sviluppo organico dello stesso pensiero di salvezza, il Natale e l’Epifania sono la ripetizione dello stesso pensiero. La celebrazione di queste due feste si spiega soltanto per ragioni storiche. Natale è la festa della Natività nell’Occidente e l’Epifania quella nell’Oriente. L’Occidente ha adottato l’Epifania e l’Oriente il Natale. Queste due feste dell’Oriente e dell’occidente sono un monumento venerabile dell’unione che regnava una volta tra le due Chiese, unione che vorremmo vedere rinascere, dopo una separazione millenaria.
Le circostanze storiche che hanno fatto di queste due feste dei doppioni c’aiuteranno a comprendere molte particolarità ed a risolvere bene delle difficoltà che risultano da questo doppio impiego. Per noi Occidentali, la festa di Natale sembrerà sempre più importante di quella dell’Epifania, malgrado il rango più elevato di questa ultima. Il Natale è e rimane la nostra festa, l’Epifania ci tocca meno da vicino. Dopo quattro settimane dove il desiderio ha teso fortemente il nostro spirito, Natale è il vero compimento dell’Avvento. Bisogna confessare tuttavia che tra l’Avvento e l’Epifania la parentela di pensieri è più stretta. Natale è tuttavia la chiusura dell’Avvento. È sufficiente percorrere i testi della Vigilia notturna. Riprendiamo sempre questo canto: Domani il peccato originale sarà distrutto. Il Natale è la festa della Redenzione. Invece, c’occorre aspettare fino all’Epifania per vedere realizzarsi la gloriosa visita del Re il cui pensiero domina l’Avvento.
Del resto il Natale e l’Epifania non sono dei semplici doppioni. La Chiesa occidentale ha ricevuto dalla Chiesa orientale la sua festa della Natività col suo contenuto spirituale orientale e l’ha sviluppata secondo il suo genio proprio. L’ha fecondata magnificamente e l’ha arricchita. Il suo sguardo si è alzato dal circolo storico ristretto della nascita del Signore fino ad abbracciare la prospettiva della monarchia del Cristo che domina i tempi. L’Avvento dell’Occidente e la sua festa di Natale hanno beneficiato di quest’allargamento di visuale. Finalmente le due feste della Natività sono diventate due solennità distinte con un oggetto indipendente ed una progressione interiore.
Abbiamo qualche cosa di analogo a quello che vediamo nel ciclo di Pasqua. A Pasqua il sole della Risurrezione si alza ed illumina il mondo con i suoi raggi brillanti. Alla Pentecoste, questo sole è al suo mezzogiorno, è al suo zenit, e la sua calda luce crea la vita e la fecondità, scalda e fa maturare. A Natale, il sole della Natività si alza sulle pianure di Betlemme, all’Epifania “la gloria del Signore” è raggiante su Gerusalemme. A Natale nasciamo e rinasciamo col Cristo nostro fratello, all’Epifania il Cristo celebra con la Chiesa e l’anima le sue nozze mistiche. A Natale “il Cristo c’è nato”; è come una festa intima di famiglia alla quale partecipano soltanto alcuni privilegiati con Maria ed i pastori; all’Epifania, “il Cristo c’è apparso”, cioè ha manifestato la sua apparizione al mondo.



Tiziano Vecellio, Pentecoste, 1541, Chiesa di Santa Maria della Salute, Venezia


Francesco Silva, Discesa dello Spirito santo, 1604-23, Cappella XIII, Sacro Monte, Varese

Luis Tristán, Pentecoste, XVII sec., Museo delle Belle Arti, Bucarest

Antonio Puglieschi o Agostino Masucci o Francesco Trevisani, Pentecoste, XVIII sec., parrocchiale di S. Vittorino e della SS. Concezione in Acquaviva, Montepulciano

Silvio Consadori, Effusione dello Spirito Santo, XX sec., Basilica nuova, Oropa

El Greco e sue maestranze, Pentecoste, 1600 circa, Museo del Prado, Madrid 

Juan Bautista Maíno, Pentecoste, 1612-14, Museo del Prado, Madrid

Juan Bautista Maíno, Pentecoste, 1615-20, Museo del Prado, Madrid

Acisclo Antonio Palomino y Velasco, Pentecoste, 1696-1705, Museo del Prado, Madrid

Corrado Giaquinto, Pentecoste, XVIII sec., Museo del Prado, Madrid

Jacinto Gómez Pastor, Adorazione dello Spirito Santo da parte degli angeli, 1797, Museo del Prado, Madrid


Interno della Cupola, Chiesa di S. Paolo, Rabat, Malta

La Pentecoste in una serie TV degli anni '80

Veni Sancte Spíritus

“Nam, potens ópere et sermóne, ecclesiásticæ disciplínæ reparándæ, fídei propagándæ, libertáti Ecclésiæ restituéndæ, exstirpándis erróribus et corruptélis tanto stúdio incúbuit, ut ex Apostolórum ætáte nullus Pontíficum fuísse tradátur, qui majóres pro Ecclésia Dei labóres molestiásque pertúlerit, aut qui pro ejus libertáte ácrius pugnáverit” (Lect. V – II Noct.) - SANCTI GREGORII VII, PAPÆ ET CONFESSORIS

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La storia di questo Papa coraggiosissimo, un tempo abate zelatissimo del monastero di San Paolo a Roma, offre numerosi punti di somiglianza con quella del grande sant’Atanasio, poiché, se questi fu, nel IV sec., l’invincibile campione della divinità del Verbo, nell’IX sec., quando la Chiesa giaceva, avvilita, ai piedi del trono germanico, al quale l’aveva asservita l’incapacità, l’incontinenza e la venalità di un gran numero di suoi ministri, Gregorio si levò arditamente e, riponendo la sua fiducia in Dio, solo contro tutti, combatté con coraggio per la libertà della sposa mistica del Salvatore. Atanasio aveva errato sulla terra, senza trovare un luogo sicuro dove sfuggire alle insidie del mondo intero in congiura contro di lui; Gregorio, dal canto suo, detestato dai suoi nemici, incompreso dai suoi stessi amici, senza risorse e senza alcun aiuto umano, s’abbandonò completamente a Dio, portato sulle ali della sua fede e sopportò con coraggio l’incendio della metropoli pontificia, le collere popolari sino alla morte in esilio.
Le ultime parole dell’intrepido Pontefice mostrano bene la tempra energica della sua anima: «Dilexi justitiam et odivi iniquitatem, propterea morior in exilio» «Ho amato la giustizia ed ho odiato l’iniquità: per questo muoio in esilio», sono nella prima parte le parole del Sal. 45 (44). Il salmo prosegue «perciò Dio mi unse con olio di esultanza», ma il Papa concluse con amarezza «per questo muoio in esilio».
Egli non si pente del suo passato; alla soglia dell’eternità, il suo giudizio sugli uomini e sui tempi non differiscono da quello che egli si formò durante la sua vita; Gregorio benedì colui che si prosternò davanti alla sua autorità pontificale, ma, nel momento stesso di entrare in Cielo, ne chiuse risolutamente le porte all’imperatore Enrico IV, ai suoi ministri ed a quelli che negavano di sottoporsi alla sua autorità apostolica (+ 1085).
Roma cristiana conserva ancora molti ricordi di questo Papa energico e coraggioso. Nacque ai piedi del Campidoglio, presso la diaconia di Santa Maria in Porticu, che fece restaurare quando fu pontefice e di cui consacrò l’altare maggiore. Giovane, Ildebrando professò la Regola del patriarca di Montecassino nel piccolo monastero di Santa Maria all’Aventino, laddove si eleva oggi il priorato dei Cavalieri di Malta. Il suo benamato maestro, Graziano, essendo divenuto papa sotto il nome di Gregorio VI, Ildebrando l’accompagnò dapprima al Laterano, poi, dopo la sua abdicazione, lo seguì sul cammino dell’esilio in Germania. Ritornato a Roma con il papa lorenese san Leone IX del quale fu consigliere, Ildebrando, nel 1049, fu nominato da lui abate (Provvisor Apostolicus dell’Abbazia) di san Paolo, dove restaurò la disciplina monastica decaduta, e fece elevare i monaci ad una altezza di virtù che, nelle sue lotte posteriori per la libertà della Chiesa, egli mise un’immensa confidenza nelle loro sante preghiere.
Per onorare la basilica dell’apostolo, Ildebrando, Provvisor Apostolicus, aiutato dal console Pantaleone de Comite Maurone (Mauroni) d’Amalfi (questi apparteneva ad una delle famiglie più importanti di Amalfi, non tanto per il ruolo politico ricoperto quanto per il vasto “impero” commerciale gestito in diverse città del Mediterraneo, tra le quali Costantinopoli, dove addirittura gli amalfitani occupavano un proprio intero quartiere affacciato sul Corno d’Oro. Pantaleone, che già aveva donato al duomo della sua città, dei battenti bronzei analoghi, si fece carico della spesa, nonostante, in quei tempi, i rapporti con Roma non fossero amichevoli), fece fondere, nel 1070, a Costantinopoli due grandi porte di bronzo ricoperte di argento, che esistono ancora. Sui due battenti, in altrettanti scompartimenti (ben 54!), sono rappresentati le differenti scene della vita del Salvatore, degli Atti degli Apostoli e del loro martirio, oltre a figure di profeti. Questo prezioso lavoro fu eseguito, come dice l’epigrafe dedicatoria:

ANNO • MILLESIMO • SEPTVAGESIMO • AB • INCARNATIONS • DNI • TEMPORIBVS
DNI • ALEXANDRI • SANCTISSIMI • PP • QVARTI •ET • DNI • ILDEPRAN
DI • VENERABILI • MONACHI •ET • ARCHIDIACONI
CONSTRVCTE • SVNT •PORTE • ISTE • IN • REGIA • VRBE •CONP
ADIVVANTE • DNO
PANTALEONE •CONSVLEI• QVI
ILLE• FIERI • IVSSIT

L’abbazia di San Paolo conserva un’altra preziosa reliquia di Gregorio VII: la meravigliosa bibbia di Carlo il Calvo, magnificamente miniata, e che Gregorio VII aveva ricevuto in dono da Roberto il Guiscardo, a titolo di omaggio di fedeltà alla sede di san Pietro. In effetti, nella prima pagina, si legge il giuramento del Normanno al Pontefice; questi volle che la custodia di questo importante e prezioso manoscritto fosse affidata ai cari monaci dell’abbazia di San Paolo.
All’interno di questo monastero si trova un grazioso oratorio solennemente consacrato, ricco di indulgenze e di sante reliquie, e dedicato al santo Pontefice. Questo è forse il solo santuario al mondo che sia eretto alla memoria di san Gregorio VII.
Nell’ecclesia Pudentianasi trova un’iscrizione che ci attesta che questa chiesa fu restaurata sotto il pontificato di san Gregorio VII:

TEMPORE • GREGORII • SEPTENI • PRAESVLIS • ALMI

Nella cripta della basilica di Santa Cecilia a Trastevere, si conserva l’iscrizione commemorativa della dedicazione di un altare che lo menziona ugualmente. Il cippo di marmo, piazzato sotto l’altare maggiore dell’antica diaconia inPorticu Gallatorum, è ancora più importante; vi si legge una lunga iscrizione che comincia con i versi seguenti:

SEPTIMVS • HOC • PRAESVL • ROMANO • CVLMINE • FRETVS
GREGORIVS • TEMPLVM • CHRISTO • SACRAVIT • IN • AEVVM

Segue una lunga lista di reliquie deposte in questa circostanza nell’altare dal grande Pontefice.
Nella raccolta di iscrizioni di Pietro Sabino, nel XV sec., si trova un’epigrafe copiata in domo cujusdam marmorarii ad radices caballie che menziona anche Gregorio VII:

TEMPORE • QVO • GREGORIVS • ROMANAE • VRBIS • SEPTIMVS
AD • LAVDEM • MATRIS • VIRGINIS • SIMVLQVE • ALMI • BLASII

È difficile identificare questa chiesa di San Biagio, poiché molte erano dedicate a Roma, in quel tempo, a questo celebre martire armeno. Quello che scrive lo storico protestante Ferdinand Gregorovius nella sua Storiadella Città eterna (Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter) è dunque inesatto, quando condanna quasi il nostro Pontefice alla damnatio memoriae, accusandolo di non aver fatto nulla per salvare Roma dalla devastazione della conquista di Enrico IV e dal saccheggio delle truppe “amiche” normanne di Roberto il Guiscardo (contrapponendo così questo Pontefice al predecessore Gregorio Magno, che salvò Roma dai longobardi), e pretendendo che Roma non conservi più nulla di lui. No, essa, al contrario, custodisce ancora di Gregorio dei ricordi preziosi, delle reliquie, una parte del suo Registrum epistolarum, e qualche monumento epigrafico; di più, se il suo corpo giace in esilio a Salerno, lo spirito del grande Papa vola ancora intorno alle basiliche degli apostoli Pietro e Paolo, poiché il pontificato romano continua sempre, incrollabile, la grande missione di Ildebrando, missione di libertà e di santità, per la salvezza dei redenti.
Morto a Salerno il 25 maggio 1085, non fu oggetto di alcun culto prima che il Baronio ne inserisse il suo elogio nel martirologio del 1584: Ecclesiasticam libertatem a superbia principum suo tempore vindicavit, et viriliter pontificia auctoritate defendit. Il Papa Paolo V autorizzerà la celebrazione della sua festa a Salerno nel 1609. Clemente XI l’estese alle basiliche romane ed all’ordine benedettino nel 1719.
L’ufficio di san Gregorio VII fu esteso nel 1728 da Benedetto XIII alla Chiesa universale come rito doppio; incontrò tuttavia una forte opposizione nel nord dell’Italia, in Francia, nei Paesi Bassi e in Austria, opposizione che durò quasi un secolo. Odiato durante la sua vita dai partigiani della supremazia del potere civile e dai nemici della libertà e della santità della Chiesa, Gregorio, più di seicento anni dopo la sua morte, ritrovò dinanzi a lui passioni, rancori ed odi che non erano stati sopiti durante tutto il tempo trascorso. Ma quest’odio incarnato dai nemici della Chiesa contro il grande Pontefice costituisce precisamente la più gloriosa aureola attorno alla sua fronte, poiché il suo stesso nome è il programma ed il simbolo della santità e della libertà della Sposa di Cristo. Questa venera Gregorio tra i santi, mentre gli empi maledicono il suo stesso ricordo.
Anche oggi l’opera di questo vero Vicario di Cristo è misconosciuta ed odiata. Ad es., c’è anche chi, sbagliando, parlando ai nostri tempi del celibato sacerdotale, quasi che si tratti di un “problema da risolvere”, afferma che esso nacque nel X sec., cioè proprio all’epoca del nostro santo. Meglio, il riferimento è giusto al pontificato del nostro papa Ildebrando. All’interno della Chiesa, in effetti, quel santo pontefice dové affrontare – e curare – grazie anche al contributo di san Pier Damiani, due piaghe virulente, generate proprio dalle commistioni del clero col potere laico: il concubinaggio ovvero il fatto che diversi sacerdoti e prelati, in maniera sacrilega, violando le loro promesse, vivevano in maniera illecita con donne; e la simonia, ovverosia la “vendita delle cose sacre”.
Per risolvere questi problemi, Gregorio VII non intervenne allargando le maglie e limitando il celibato sacerdotale. Al contrario, intervenne con grande durezza per riportare la santità del clero e riportare i sacerdoti alla santità, mediante il totale distacco dai beni e dai sensi, affinché fossero consacrati interamente a Dio ed alla sua causa. E ci riuscì.
Quando però salirono al soglio pontificio papi più deboli, e talora dalla condotta di vita personale non esemplare, il problema tornò a presentarsi. San Gregorio, del resto, non impose una legge nuova, ma richiamò all’osservanza della vecchia legge della Chiesa, che era la legge di Dio. Egli conosceva bene la lode riservata dall’Apocalisse a coloro che si dedicano alla sequela totale dell’Agnello: «Questi non si sono contaminati con donne, sono infatti vergini e seguono l’Agnello dovunque va. Essi sono stati redenti tra gli uomini come primizie per Dio e per l’Agnello» (Ap. 14, 4). I sacerdoti, “redenti tra gli uomini”, che “non si sono contaminati con donne”, e sono dunque “vergini”, e “seguono l’Agnello dovunque va”, sono considerati “primizie per Dio e per l’Agnello”.
Le spoglie mortali dell’eroico Pontefice riposano oggi ancora in esilio nella cattedrale di Salerno, poiché nessuno ha mai osato toglierle da quel luogo in cui Gregorio soccombé alle fatiche ed alle prove del suo pontificato. Di fatto, l’esilio è il suo luogo storico; è il fondo del quadro da dove emerge e su cui si stacca mirabilmente la sua nobile figura di atleta della libertà della Chiesa e della santità del sacerdozio.
La messa, anteriore al 1942, era dal Comune dei Pontefici, Statuit, con la lettura evangelica tratta da san Matteo (Mt 24, 42-47). Il Signore ha stabilito i vescovi come sorveglianti della sua casa, durante la sua assenza. Questo è il loro ufficio: vegliare al fine di poter provvedere ai bisogni spirituali dei loro compagni di servizio e di dissipare le insidie di Satana, che senza sosta gira intorno al gregge per massacrarlo. Il Signore tornerà la notte, all’improvviso. Beati coloro che la morte troverà attivi al proprio posto.
La colletta è propria ed evidenzia il segreto di tanta tenacità ed intrepidezza da parte di Ildebrando. Egli confidava in Dio e Dio è più forte di Enrico IV e dei suoi ausiliari. Come osserva l’apostolo san Pietro, il Signore accorda una grazia insigne ad un’anima quando la fa soffrire molto per la causa di Dio. In effetti, poiché tutte le nostre perfezioni consistono nell’imitazione di Gesù Cristo, nulla fa partecipare così intimamente al suo spirito che la croce e la sua sofferenza per Dio stesso.
Dal 1942, la messa è dal Comune dei romani Pontefici.

Eduard Schwoiser, Enrico IV a Canossa, 1852, Stiftung Maximilianeum, Monaco

Saverio Dalla Rosa, S. Anselmo designato vescovo da S. Gregorio VII su indicazione di Matilde di Canossa, 1781, Basilica di S. Benedetto, Polirone

Rudolph Blättler, Enrico IV finge di sottomettersi a S. Gregorio VII, XIX sec.

Luigi Morgari, S. Gregorio VII, 1896-1900, Chiesa di S. Alessandro, Bergamo

Sepolcro originario del papa S. Gregorio VII, Cattedrale, Salerno

Tomba di papa Gregorio VII, Cattedrale, Salerno. Sotto la tomba sono state impresse le ultime parole del papa: “Dilexi iustitiam, odivi iniquitatem, propterea morior in exsilio”.
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