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Don Nicola Bux: Introduzione alla Conferenza del cardinal Raymond Leo Burke

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Su questo blog avevamo già dato conto della presentazione a Brindisi e Lecce, da parte del card. Raymond Leo Burke, il 7 e l’8 maggio scorsi, del libro Permanere nella Verità di Cristo (v. qui e qui).
A presentare le relazioni del porporato ci ha pensato don Nicola Bux, il quale gentilmente ci ha girato – e lo pubblichiamo in anteprima qui, su questo blog – il testo della sua Introduzione.


Introduzione alla Conferenza del cardinal Raymond Leo Burke

Brindisi-Lecce, 7-8 maggio 2015

di don Nicola Bux


In vista del Sinodo ordinario del prossimo ottobre, a che punto siamo?
Adesso c’è una discussione molto più estesa sui temi trattati dal Sinodo e questo è un bene. C’è un numero maggiore di cardinali, vescovi e laici che stanno intervenendo e questo è molto positivo. Questo si deve anche al libro “Permanere nella Verità di Cristo”, a cui il card. Burke ha contribuito insieme ad altri 4 cardinali e 4 specialisti sul matrimonio, edito da Cantagalli. Un libro che presenta quello che la Chiesa ha sempre insegnato e praticato sul matrimonio e sulla comunione. È certo che il libro è stato scritto come aiuto in vista del Sinodo per rispondere alla tesi del cardinale Kasper. Ma non è polemico, è una presentazione fedelissima alla tradizione, ed è anche della più alta qualità scientifica possibile.
Una delle giustificazioni teologiche a sostegno del cardinale Kasper che oggi viene molto ripetuta è quella dello sviluppo della dottrina”. Non un cambiamento, ma un approfondimento che può portare a una nuova prassi.
Qui c’è un grande equivoco. Lo sviluppo della dottrina, come è stato per esempio presentato dal beato cardinale Newman o da altri buoni teologi, significa un approfondimento nell’apprezzamento, nella conoscenza di una dottrina, non il cambiamento della dottrina. Lo sviluppo in nessun caso porta al cambiamento.
Non si può mai ammettere nella Chiesa un contrasto tra dottrina e prassi perché noi viviamo la verità che Cristo ci comunica nella sua santa Chiesa e la verità non è mai una cosa fredda. È la verità che apre a noi lo spazio per l’amore, per amare veramente si deve rispettare la verità della persona, e della persona nelle situazioni particolari in cui si trova. Così stabilire un tipo di contrasto tra dottrina e prassi non rispecchia la realtà della nostra fede. Chi sostiene le tesi del cardinale Kasper – cambiamento della disciplina che non tocca la dottrina – dovrebbe spiegare come sia possibile. Se la Chiesa ammette alla comunione una persona che è legata in un matrimonio ma sta vivendo con un’altra persona un altro rapporto matrimoniale, cioè è in stato di adulterio, come si può permettere questo e ritenere nello stesso tempo che il matrimonio sia indissolubile? Quello tra dottrina e prassi è un falso contrasto che dobbiamo rigettare (Intervista al card. Burke, 1 aprile 2015, di R. Cascioli).
Servendomi di uno studio del prof. Antonio Livi, richiamo solo alcuni criteri per impostare il rapporto tra dottrina, magistero e disciplina, che sarebbe poi il vero nome della cosiddetta ‘pastorale’.

1. Quanti hanno la responsabilità, per dovere di ufficio ecclesiastico, di evitare il disorientamento dottrinale tra i fedeli devono saper rifiutare ogni opinione che abusivamente si presenti come teologica, quando in realtà è meramente umana. Non si tratta quindi di criticare un’opinione umana a partire da un’altra opinione umana, né si tratta di contrapporre a un’ideologia un’altra ideologia: si tratta piuttosto della necessità pastorale di non riconoscere come “teologica” una tesi che, quale che sia l’autorità scientifica (filosofica, esegetica, sociologica, psicologica, storiografica) di chi la propone, risulti basata su presunte verità umane e non sulle verità rivelate da Dio. Un caso frequente di presunte verità umane che servono da premesse di false argomentazioni teologiche miranti a cambiare la dottrina della fede è la categoria immaginaria del cosiddetto “uomo di oggi”, categoria basata su superficiali analisi psicologiche o socioculturali che ignorano le sostanziali differenze tra la cultura occidentale e quella orientale o africana, e identifica ingenuamente l’uomo di oggi con le manifestazioni esteriori della coscienza umana quali sono elaborate dall’industria dei media. Le congetture circa ciò che dovrebbero essere le aspettative e le pretese del cosiddetto “uomo di oggi” non possono portare il teologo a ignorare quello che ha detto Cristo stesso, redentore dell’uomo, stabilendo i principi morali fondamentali sulla sessualità e sul matrimonio, principi che la Chiesa non può che considerare come assolutamente validi per gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo.

2.In questo senso, nella nozione teologica di “dottrina cattolica” vanno distinti due livelli. Il primo livello è il “nucleo dogmatico”, costituito da vari elementi dottrinali, che vanno dalla predicazione degli Apostoli e dalla dottrina unanime dei Padri della Chiesa, alle “formule dogmatiche” definite dai concili ecumenici o dal solo Romano Pontefice quando parla ex cathedra, finoal magistero ordinario e universale del medesimo Romano Pontefice; il “nucleo dogmatico” della dottrina cattolica esprime dunque la verità della divina rivelazione, la quale è stata sì donata da Dio e recepita dagli uomini nella storia - nella storia della salvezza e nella storia della Chiesa - ma è di per sé soprastorica, e quindi universale e immutabile. Il secondo livello è invece quello che si deve intendere come “interpretazione ecclesiastica” e che per sua natura è relativo alla storia e alle diverse circostanze sociali che ne determinano la varietà di contenuti e di forme espressive. Quando si parla di “interpretazione ecclesiastica” non ci si riferisce alle tante forme di libera interpretazione che, entro precisi limiti di contenuto, è consentita ai semplici fedeli, siano essi studiosi di teologia, artisti, letterati o maestri di spiritualità. Questa interpretazione “privata” ha un suo ruolo nell’economia della salvezza, e la Chiesa le riconosce un grande valore come sussidio della catechesi, come potenziamento dei “santi segni” nel culto divino (arte sacra), come edificazione del Popolo di Dio nella ricerca della santità personale (ascetica e mistica) e nella missionarietà, soprattutto quando si tratta dei carismi apostolici e dell’esperienza spirituale dei santi. Non è però tale da sviluppare il dogma con dottrine nuove, come invece avviene nel caso dell’interpretazione ecclesiastica, i cui risultati impegnano i cattolici all’assenso interno dell’intelletto e anche all’obbedienza esterna quando si tratta di disposizioni ecclesiastiche obbliganti. Alla categoria logica dell’interpretazione ecclesiastica appartengono: (a) la catechesi nelle sue diverse forme, tra le quali ha un particolare valore ecclesiale la redazione dei catechismi per la Chiesa universale, come il Catechismus ad parochos, redatto dopo il Concilio di Trento, e il Catechismo della Chiesa Cattolica, redatto dopo il Vaticano II; (b) la sacra liturgia, le cui variazionio riforme rispondono sempre all’esigenza di adattare ilo rito alle diverse epoche e situazioni sociali, mantenendo sempre immutata la funzione di “lex orandi” come fedele espressione della “lex credendi”; (c) le norme di diritto ecclesiastico, rapportate tutte al criterio pastorale per cui “salus animarum suprema lex esto”.

3. In entrambi i livelli – quello del dogma e quello dell’interpretazione – è impossibile che possa o addirittura debba essere creduto un enunciato che risulti essere in chiara contraddizione logica con quelli che la Chiesa ha già definito come irriformabili. Pertanto, il vaglio critico delle proposte che sono state presentate in occasione del Sinodo deve portare a respingere – in quanto teologicamente infondate e dunque irricevibili – tutte quelle che con il pretesto di presunte urgenze di tipo “pastorale” esercitano sul magistero un’indebita pressione perché accondiscenda a quella che in realtà sarebbe una vera e propria “riforma” della dottrina della Chiesa, a cominciare proprio da quelle dottrine che sono da considerate irriformabili; ciò vale in particolare per l’indissolubilità naturale del matrimonio e la sua sacramentalità per i battezzati, come pure per le condizioni che consentono l’accesso all’Eucaristia). Mai comunque la Chiesa può enunciare delle proposizioni di fede che risultino in contraddizione con quelli precedentemente formulati. Ma più frequentemente il Magistero, invece di enunciare nuovi dogmi, si limita a interpretare autorevolmente il contenuto del nucleo dogmatico, traendone talune conseguenze dottrinali che ritiene pastoralmente opportune in vista della catechesi e dell’evangelizzazione in un dato momento storico (questo è il caso delle dottrine contenute nei documenti del Vaticano II, la cui ermeneutica, secondo papa Benedetto XVI, è quella di una «riforma nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa»).

4. Per questo ha ragione chi, come il cardinale Raymond Burke, va ripetendo che, quando si parla di “sviluppo della dottrina”, non si deve pensare a “una modifica” ma solo a «una comprensione più profonda» delle verità della fede. Invece, non ha alcuna giustificazione teologica la proposta di sostanziali modifiche della prassi liturgica e delle leggi canoniche che taluni presentano come provvedimenti meramente “pastorali”. Nessuna prassi pastorale può essere lecita e valida se risulta in contraddizione con la dottrina della fede, perché – come ho spiegato più sopra – ogni scelta pastorale altro non è se non un’interpretazione (esplicitazione, applicazione, adattamento) del dogma.

In conclusione: la vera riforma della Chiesa, dipende dal ‘permanere nella verità di Cristo’, altrimenti è falsa. È vero che tutti i cristiani si riferiscono a Gesù Cristo, ma «secondo la persuasione dei cattolici – ricordava Giovanni Paolo II agli evangelici di Germania – il dissenso verte su “ciò che è di Cristo”, su “ciò che è suo”: la sua Chiesa e la sua missione, il suo messaggio, i suoi sacramenti e i ministeri posti al servizio della parola e del sacramento» (Incontro con il consiglio della chiesa evangelica di Germania, Magonza, 17 novembre 1980, in Insegnamenti, vol. III, t. 3, p. 1256).

“Prophetíæ dono fuit illústris, et in animórum sénsibus penetrándis mirífice enítuit. Virginitátem perpétuo illibátam servávit; idque assecútus est, ut eos qui puritátem cólerent, ex odóre, qui vero secus, ex fœtóre dignósceret. Abséntibus intérdum appáruit, iísque periclitántibus opem tulit. Ægrótos plúrimos et morti próximos sanitáti restítuit. Mórtuum quoque ad vitam revocávit. Cæléstium spirítuum et ipsíus Deíparæ Vírginis frequénter fuit apparitióne dignátus, ac plurimórum ánimas splendóre circumfúsas in cælum conscéndere vidit” (Lect. VI – II Noct.) - SANCTI PHILIPPI NERII, CONFESSORIS

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Questo santo sacerdote (+ 1591), che, durante quasi mezzo secolo, esercitò a Roma il ministero apostolico e, in mezzo a leggerezze e corruzioni, divenne l’oracolo dei Pontefici, dei cardinali e dei personaggi più insigni del suo tempo, ha ben meritato dalla Sede apostolica che, fino a questi ultimi anni, la sua festa fosse assimilata alle domeniche nella Città eterna, ed il Pontefice stesso, in corteo di gala, andava a celebrare i divini misteri sul sepolcro del Santo a Santa Maria in Vallicella.
È quasi impossibile parlare brevemente dei meriti di san Filippo e del ruolo importante che ebbe nella riforma ecclesiastica del XVI sec. 
Amico di san Carlo e del cardinale Federico Borromeo, confessore del san Camillo e di sant’Ignazio, padre spirituale del Baronio, confessore di Clemente VIII, si può dire che la sua influenza salutare si distese a tutti i diversi aspetti della riforma, in modo che, quand’anche se si potesse fare astrazione della sua santità, l’attività di san Filippo gli avrebbe meritato senza dubbio un posto di onore nella storia del XVI sec.
Per la fondazione della Congregazione dei Sacerdoti dell’Oratorio, Filippo, in un campo probabilmente molto più ristretto e con le vedute un po’ diverse, si propose anche lo stesso scopo di sant’Ignazio: quello di riportare alla fede religiosa la società cristiana, mediante la frequentazione dei Sacramenti e l’insegnamento del catechismo.
Mentre in Germania i protestanti accusavano la Chiesa cattolica di avere sottratto la Bibbia al popolo, san Filippo ordinava che, nella sua chiesa di San Girolamo, si commentasse l’epistola di san Paolo ai Romani; rispose alle centurie di Magdeburgo imponendo a Baronio di esporre a cinque o sei riprese nelle sue conferenze della sera la storia della chiesa, poi di pubblicare questi studi che riempiono dodici grossi volumi.
L’eresia luterana, coi suoi errori sulla grazia ed il libero arbitro, aveva prosciugato le sorgenti stesse della gioia; san Filippo, mediante le sue serate musicali e poetiche, che presero allora il loro nome di oratoriodal luogo dove il santo li faceva eseguire; per le sue ricreazioni sul Gianicolo, dove, all’ombra di una quercia, si faceva saggiamente bambino coi bambini; per i suoi pellegrinaggi ai sepolcri dei martiri ed alle sette principali chiese della Città eterna, restituì alla vita cattolica la sua vera tonalità, quella che esigeva tanto san Paolo quando scriveva ai suoi fedeli: Gaudete in Domino semper; iterum dico: gaudete.
Molto penitente e duro con se stesso, Filippo era dolce con gli altri ed, all’occorrenza, anche burlesco, anticipando nella pratica ciò che, qualche tempo più tardi, doveva insegnare san Francesco di Sales, vale a dire che un santo triste è un triste santo. Quando vi era l’occasione, san Filippo sapeva risuscitare anche i morti, ascoltare la loro confessione, chiacchierare con essi, e, a loro domanda, renderli, con un segno di croce, all’eternità. Ed affinché la novità di tali prodigi non gli conciliasse l’ammirazione del popolo, amava comportarsi in modo da rendersi disprezzabile e farsi passare per insensato; è così che, ad es., il giorno della festa di san Pietro in Vincoli, si mise a danzare davanti alla basilica che aveva questo nome.
All’offerta della porpora cardinalizia, che gli era stata fatta tante volte dai papi, Filippo oppose sempre un rifiuto senza replica; egli seppe ispirare sì felicemente a quello stesso spirito di umiltà i suoi discepoli, specialmente il Tarugi ed il Baronio, che, quando quest’ultimo fu creato cardinale del titolo dei Santi Nereo ed Achilleo dal papa Clemente VIII del quale era confessore, si dovette spogliarlo con la forza dei suoi vecchi vestiti di oratoriano, nella stessa sagrestia della Vallicella, per rivestirlo, suo malgrado, della tonaca rossa e del rocchetto, secondo gli ordini del Pontefice.
Morto a Roma il 26 maggio 1595, giorno del Corpus Domini, fu canonizzato da Gregorio XV nel 1622 ed iscritto nel calendario romano nel 1625 da Urbano VIII come festa semidoppia ad libitum. Lo stesso papa ne introdusse l’ufficio nel Breviarioromano. Alessandro VII elevò la sua festa al rango di semidoppia di precetto nel 1657 e Clemente XI l’elevò a rito doppio nel 1669. Alessandro VIII dotò la festa di una messa propria nel 1690.
La messa ha certe parti proprie, ma quest’eccezione fu fatta a proposito, per introdurre, per colui che aveva tanto e ben meritato della santa liturgia e che, nell’incendio del divino amore che liquefaceva il suo cuore, aveva costume di impiegare tre ore a celebrare i divini Misteri.
L’Introito è lo stesso del sabato dopo la Pentecoste; contiene un’allusione evidente al prodigio verificatosi, nel 1544, nel cimitero ad Catacumbas, mentre Filippo, pregando durante la notte in queste cripte dei martiri, lo Spirito Santo scese su lui. Da allora, il cuore arroventato del Santo cominciò a battere così fortemente per Dio che molte delle sue costole si sollevarono e si arcuarono.
Il versetto alleluiatico torna sul miracolo del cimitero ad Catacumbas.
Pure l’antifona dell’offertorio torna sul fenomeno della dilatazione e della curvatura delle costole di san Filippo, conseguenza dei violenti battiti del suo cuore. Per questa dilatazione del cuore di cui parla il Salmista, bisogna intendere questo: ciò che si trova difficile all’inizio, nella vita spirituale, lo si fa poi senza pena, ed anche con un’inesprimibile gioia, grazie alla buona abitudine contratta, ed alla divina carità sparsa nell’anima dallo Spirito Santo. Difatti, è nella natura dell’amore di lavorare, di sacrificarsi, senza stancarsi mai.
Una sentenza di san Filippo è memorabile tra tutte: mettendo due dita sulla fronte dei suoi discepoli, diceva che la santità è tutta compresa in questo piccolo spazio, perché tutto consiste nel mortificare la ragione.

Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino, S. Filippo Neri, 1656, Museo di Stato, San Marino


Guido Reni, Visione di S. Filippo Neri, 1614, Cappella di S. Filippo Neri, Chiesa Nuova (Basilica di S. Maria in Vallicella), Roma

Carlo Maratta, La Vergine appare a S. Filippo, 1675, Palazzo Pitti, Firenze

Giuseppe Passeri, Visione di S. Filippo, 1700 circa, Fitzwilliam Museum, Cambridge

Gaetano Lapis, S. Filippo Neri e l'angelo, 1745, chiesa di S. Nicola, Scheggino

Gaetano Lapis, Estasi di S. Filippo Neri, 1754

Liberale Cozza, San Filippo Neri invita i fanciulli a venerare la Madonna, 1811, chiesa di S. Giacomo, Brescia

Ambito pesarese, S. Filippo Neri, XIX sec., museo diocesano, Pesaro

Joan Llimona, S. Filippo Neri durante la consacrazione della Messa, 1902, chiesa di San Felipe Neri, Barcellona





Cappella di S. Filippo Neri con tomba del Santo, Basilica di S. Maria in Vallicella, Roma


Tomba del Santo, Cappella di S. Filippo Neri, Basilica di S. Maria in Vallicella, Roma

Dal film "State buoni se potete"

Conferenza di don Nicola Bux a Staggia Senese - 4 giugno 2015

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LO SPLENDORE DELLA LITURGIA

Come accostarsi ai sacramenti senza ridurli a show

Don Nicola Bux, liturgista
Staggia Senese (SI)

Giovedì 4 giugno 2015

Il Centro Culturale “Amici del Timone” di Staggia Senese organizza per giovedì 4 giugno ore 21.00 un incontro dal titolo “Lo splendore della liturgia: come accostarsi ai sacramenti senza ridurli a show”.
Ospite speciale Don Nicola Bux, liturgista. Professore di liturgia orientale e di teologia dei sacramenti. Consulente della rivista “Communio”, consultore delle Congregazioni per la Dottrina della Fede e per le Cause dei Santi e dell’Ufficio delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice. Dirige sul Timone la rubrica “Il mondo del sacro”. Conduce su Radio Maria la trasmissione “Chiesa e Liturgia”.
Nell’occasione saranno disponibili il libro “Nardo ed Alabastro” (Lalli Editore) di cui don Nicola Bux ha firmato la prefazione e il Cd-Workshop “Un Giubilo nel Cuore” (ed. Shelve).

L’incontro si svolgerà nei locali con accesso da Piazza Grazzini, 5 - Staggia Senese. Ingresso gratuito.

Conferenza di don Nicola Bux a Firenze - venerdì 5 giugno 2015

“Cæléstis doctrínæ prædicatióne plúrimis firmáta miráculis, ac vitæ exémplo sic insulános illos demúlsit, ut eórum plerósque ad christiánam fidem perdúxerit, ac demum regem ipsum, quem, cum innúmero suórum comitátu, sacro fonte lustrávit, summa cum lætítia Berthæ régiæ uxóris, quæ Christiána erat” (Lect. V – II Noct.) - SANCTI AUGUSTINI A DUROVERNUM CANTIACORUM, EPISCOPI ET CONFESSORIS

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Negli ultimi giorni di maggio ricorrono due feste vicine di santi legati alla cattolicità anglosassone. Ieri abbiamo celebrato, in effetti, la memoria di san Beda il Venerabile. Oggi quella del fondatore della Chiesa primaziale di Canterbury, divenuta – ahinoi – dal XVI sec. occupata dagli scismatici anglicani, cioè laici vestiti da vescovi, che non possono vantare – come appurò e dichiarò infallibilmente e dogmaticamente papa Leone XIII con la Lettera Apostolica Apostolicae curaedel 13 settembre 1896 – alcuna valida successione e legittimità apostolica, essendosi quella fonte – un tempo così ricca di santità (sulla cattedra di Canterbury, tanto per citare due nomi, sedettero sant'Anselmo e san Tommaso martire) – completamente prosciugata e seccata. E la miglior riprova di tale prosciugamento è l’«ordinazione» (in realtà invalida e vera e propria carnevalata), conferita nell’ambito di quella congregazione, alle donne.
La festa odierna fu introdotta nel calendario da Leone XIII e, nell’intenzione di questo grande Pontefice, era come un grido di immenso amore ed un tenero appello dalla Chiesa Madre a questa gloriosa isola Britannica così feconda un tempo in santi. Sant’Agostino era un monaco romano, e fu mandato in Inghilterra da san Gregorio Magno, con quaranta dei suoi compagni, per convertire questo regno alla fede. Il successo superò di molto le attese del Papa, perché Dio autenticò la predicazione di Agostino con un così grande numero di miracoli che pareva si fosse tornati al tempo degli Apostoli. Il re della Kent, Etelberto, accompagnato dai grandi della sua corte, ricevé il battesimo dalle mani del Santo che, un giorno di Natale, battezzò in un fiume migliaia di persone. A coloro che erano malati, le onde battesimali donarono la salute dei corpi ed allo stesso tempo quella delle anime. Su ordine di san Gregorio, Agostino fu consacrato primo vescovo degli inglesi da Virgilio di Arles. Ritornato poi nel Gran Bretagna, consacrò altri vescovi per altre sedi e stabilì la sua sede primaziale a Canterbury, dove eresse anche un celebre monastero. Morì il 26 maggio 604 o 605 e ricevette immediatamente il culto dei santi.
Come durante la sua vita san Gregorio aveva condiviso la consolazione del suo discepolo Agostino all’epoca della rigenerazione cristiana di tutto questo fiorente regno, dopo la sua morte fu associato anche ai suoi meriti, ed è soprattutto dagli Inglesi che fu proclamato l’Apostolo dell’Inghilterra; questo titolo onorifico si trova anche nell’epigrafe tombale di san Gregorio:

AD • CHRISTVM • ANGLOS • CONVERTIT • PIETATE • MAGISTRA
ADQVIRENS • FIDEI • AGMINA • GENTE • NOVA

Gli Inglesi attribuiscono anche la gloria della loro conversione al patriarca san Benedetto la cui Regola fu introdotta presso loro da Agostino e dai suoi compagni. Ecco come si esprime questo proposito sant’Adelmo: Hujus (Benedicti) alumnorum numéro glomeramus ovantes … A quo iam nobis baptismi gratia fluxit Atque Magistrorum (Agostino ed i 40 monaci) veneranda caterva cucurrit.
La lettura evangelica, nella festa di questo grande apostolo dell’Inghilterra, non può essere altra che quella che si presenta al tempo della solennità dei primi compagni degli apostoli: Marco, Luca, Tito, ecc. La predicazione di Agostino, come quella dei primi Apostoli a cui Gesù, nel vangelo di questo giorno, ordina di fare dei miracoli e di guarire i malati, fu autenticata dal Signore con numerosi prodigi. La fama di questi giunse fino a san Gregorio a Roma e si ama vedere l’umilissimo Pontefice, scrivendo al suo discepolo, esortarlo a conservare la virtù di umiltà, malgrado la grandezza dei miracoli che operava (Registr. XI, Ep. 28, in PL 77, col. 1138).
Significativa, nella colletta sulle oblazioni di quest’oggi, la chiara allusione alla conversione, tanto desiderata dalla Chiesa, dell’Inghilterra alla fede dei suoi padri ed all’invalidità dell’eucaristia e delle ordinazioni presso gli Anglicani.
Non sapremmo separarci oggi da sant’Agostino senza rievocare la scena suggestiva ed impressionante del suo primo approdo in Inghilterra. Mentre i Barbari mettevano sottosopra l’Italia, bruciavano le chiese e massacravano i vescovi, Gregorio Magno decise un colpo audace. Mandò le sue pacifiche truppe conquistatrici nella lontana Bretagna, là dove i Cesari stessi non avevano potuto stabilire mai solidamente le aquile romane. Il gruppo salmodiante dei quaranta monaci missionari pose dunque, coraggioso, il piede sul suolo inglese, e prendendo possesso nel nome della Chiesa cattolica, si mise in ordine di processione. Il devoto corteo è preceduto da una croce d’argento e da un’immagine del Divin Salvatore seguito da Agostino e dai monaci che cantavano questa bella preghiera romana della processione dei Robigalia: Deprecamur te, Domine, in omni misericordia tua, ut auferatur furor tuus et ira tua a civitate ista et de domo sancta tua, quia peccavimus tibi. Ci fu mai conquista più pacifica di quella?




Cappella dei SS. Gregorio Magno ed Agostino, Cattedrale cattolica di Westminster, Londra

Non Angli sed Angeli si Christiani. S. Agostino istituisce i pueri cantores, Cappella dei SS. Gregorio Magno ed Agostino, Cattedrale cattolica di Westminster, Londra 

  

Card. Raymond Leo Burke: “Sul matrimonio cristiano il Papa esercita il suo potere con totale obbedienza a Cristo e non può prendere provvedimenti contro la verità di Cristo, appellandosi ad una potestà assoluta e perciò arbitraria”

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Avevamo, in precedenti post, dato la notizia dell’intervento del card. Burke a Trieste. Di quest’evento avevamo anche postato alcune fotografie tratte dal triestino Il Piccolo (v. qui).
Ora abbiamo a disposizione il testo del suo intervento, che è stato pazientemente registrato e sbobinato e diffuso dall’immancabile Chiesa e post concilio. Ne pubblichiamo solo uno stralcio, rinviando per il testo intero al suddetto sito (il link è indicato a fondo pagina).
Significativa è comunque la denuncia del rischio di sentimentalismo, ovvero di quell’idea distorta di misericordia, attenta più alle esigenze terrene (la felicità in questa vita) che alla vita eterna (la felicità nell’altra!).

Il card. Raymond Leo Burke a Trieste: “Il matrimonio cristiano nella dottrina e nella pastorale”

Il testo che segue è frutto del paziente sbobinamento di uno dei nostri collaboratori: Silvio Brachetta, che ringraziamo di cuore. Silvio è anche autore di un articolo, riguardante l'evento, apparso su Vita Nuova del 22/5/2015 (cfr. immagine: cliccare per ingrandire).


Vedi anche la galleria d'immagini del solenne Pontificale di Domenica 17 marzo nella Chiesa della Beata Vergine del Rosario sulla nostra pagina Fb.
Può essere interessante confrontare il testo del Card. Burke con l'altro suo esaustivo intervento a Chester, da noi tradotto qui.
Qui il testo dell'articolo. La relazione del Cardinale a seguire.

La Chiesa deve insegnare la verità sulla bontà del matrimonio e famiglia

Dopo che del cardinale Walter Kasper è stata resa pubblica la conferenza da lui tenuta al Concistoro straordinario dei Cardinali (20-21 febbraio 2014), in preparazione al Sinodo dei Vescovi sulla famiglia, cinque cardinali assieme ad altri quattro studiosi hanno dato alle stampe “Permanere nella verità di Cristo” (Cantagalli), dove le tesi di Kasper sono state formalmente criticate.
Ne ha parlato a Trieste il cardinale americano Raymond Leo Burke - uno degli autori del libro e membro del Sinodo - durante la conferenza del 16 maggio titolata “Il matrimonio cristiano nella dottrina e nella pastorale”, su iniziativa del Coordinamento nazionale del Summorum Pontificum. Il libro - spiega Burke - è stato scritto dopo che Kasper ha inteso mettere «in questione la costante prassi della Chiesa» proponendo, a certe condizioni, l’ammissione al sacramento dell’Eucaristia ai cosiddetti divorziati risposati: tutto ciò è stato da molti percepito come «una rivoluzione nella Chiesa», che non si concilia con l’insegnamento di Benedetto XVI, il quale indicava nel 2005 come errata questa ermeneutica e corretta quella della «riforma nella continuità».
Burke e gli altri coautori non esitano a considerare le tesi di Kasper come una «rottura con la prassi costante della Chiesa in materia», che concede perdono e misericordia in abbondanza, ma solo a coloro che si pentono del male fatto e hanno fermo proposito di abbandonare il peccato. E questo atteggiamento non si trova in genere nei divorziati, che spesso contraggono illecitamente un nuovo matrimonio. La proposta di Kasper, che vorrebbe trovare una via più spedita alle procedure di nullità matrimoniale o una sorta di accettazione dello stato di adulterio, è troppo fondata - a parere di Burke - sul «sentimentalismo» che, pur sembrando «compassionevole» della sofferenza altrui, è invece «profondamente nocivo per la sua mancanza di rispetto per l’oggettiva situazione della persona».
In altre parole, l’ammonimento di Gesù di non dividere ciò che Dio ha unito, non può in alcun modo essere annullato in nome di un mal compreso senso di carità. Al contrario - insiste il cardinale americano - «la Chiesa deve sempre esprimere la carità nella verità» e chiamare, dunque, «le cose con il loro proprio nome». Non solo, ma la gente «ha sete della verità» e desidera l’ordine e la luce, soffocate spesso dalla «confusione e dall’errore». Proprio oggi, in cui «viviamo il tempo di un attacco veramente feroce al matrimonio», la famiglia deve avere un posto centrale nella «nuova evangelizzazione» - già inaugurata da san Giovanni Paolo II - e testimoniare «la bellezza sublime dello stato matrimoniale». Il Papa polacco, nella “Familiaris consortio” (1981), affermava difatti che non ci sarà nessuna evangelizzazione nella società e nella Chiesa medesima (anch’essa fortemente secolarizzata), se prima non sarà la famiglia ad evangelizzare se stessa. Quanto più dovrà farlo, per il fatto che «ora più che mai la Chiesa deve dire la verità».

Verità sull’amore sponsale, sulla castità matrimoniale, sui danni della coabitazione prematrimoniale o, peggio, sul tentativo di equiparare il rapporto omosessuale al matrimonio. Burke è del tutto intenzionato a contrastare la piaga del divorzio, ad esempio, non con la severità, ma ostacolando il relativismo a livello culturale e proponendo la retta formazione della propria coscienza. È soprattutto da evitare, poi, l’atteggiamento di coloro che, «nel nome della tolleranza rimangono zitti», trascurando così di testimoniare il Cristo. (Silvio Brachetta)

Card. Burke: "L’Irlanda ha sfidato Dio votando a favore del matrimonio gay”

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Esattamente una settimana fa si consumava la tragedia irlandese, ovvero di un Paese ex cattolico – e che magari cattolico sino al midollo non lo è mai stato davvero come ci ricorda lo stesso Messori in una recente intervista (vqui e qui), sebbene non siano mancate autentiche e straordinarie conversioni come quella di Oscar Wilde (v. qui) ed apparizioni della Vergine pure nel XIX sec. (vqui)  – che ha deciso, in maniera schiacciante, di virare verso il riconoscimento a pieno titolo delle nozze omosessuali, dopo che – su iniziativa del governo guidato da  Enda Kennym, che pur si professa “cattolico praticante” (non osiamo immaginare “praticante” in che cosa, visto il suo allontanamento dalla fede! vqui) – era stata varata, ad inizio 2015, la normativa che consentiva alle coppie omosessuali persino di poter adottare. Dicevamo di questo referendum, per la verità, in se stesso, un po’ farsesco (come pure è stato notato: vqui), ma che tuttavia – e questo è stato trascurato – assumeva dei profondi significati politici (vqui e qui). Non solo per quel paese, ma per tutta l’Europa. Italia compresa, che forse è il vero obiettivo della campagna (vquiqui e qui). 
In effetti, se si fosse trattata di una vicenda solo interna, non si comprende il motivo di uno spiegamento di propaganda così intenso, tanto da indurre gli emigrati irlandesi a tornare in madrepatria per esercitare il sacrosanto diritto di voto (v. qui) e da indurre ad una manipolazione della campagna elettorale (v. qui), in cui è stato impedito ai contrari al referendum di svolgere la propria campagna (v. qui e qui), in cui ha inciso pure la questione pedofilia nella Chiesa (v. qui) ed in cui la stessa Chiesa non si è mostrata molto determinata e decisa come avrebbe dovuto (v. quiquiqui l'analisi del prof. De Mattei, tradotta anche in inglese qui). Insomma, uno spiegamento di forze così massiccio non può essere occasionale, ma deve rispondere a precise logiche. Politiche. Da invocare peraltro anche in altri Stati: Italia in primis, dove, non a caso, subito, nel commentare l’esito di quel referendum, ci si è affrettati a dire che presto si sarebbe accodata ai paesi che riconoscono giuridicamente queste unioni (un’esigua minoranza in tutto il globo!) (v. qui e qui).
Sempre in questa settimana, peraltro, dopo una timidissima ed occasionale, quanto isolata presa di posizione verbale del Segretario di Stato (v. qui e qui) – che certi giornalisti vorrebbero quasi “concordata” con più alte sfere od esprimente il pensiero altrui (v. qui) – e dopo un’altra presa di posizione, ambigua ed equivoca, di mons. Galantino, attuale segretario generale della CEI, che, in stile cerchiobottista, invitava a "né arroganze né ritirate" (v. qui), è giunta quella chiara e decisa del card. Burke. Dio sa quanto ne avevamo bisogno! Del resto, proprio in questa ultima settimana di maggio si è appreso di una sorta di “conciliabolo” segreto, per pochi eletti ed illuminati, tenutosi a porte chiuse all’Università Gregoriana (la notizia era stata data qui. L'elenco dei "sovvertitori della Parola di DioquiV. anche quiquiqui e qui. Per un commento simpatico, v. qui), con l'intento di orientare il prossimo sinodo e che rafforza l'orientamento germanico, sebbene non più unanime (v. qui); e di un articolo su Avvenire che dettava il manuale per la legittimazione delle unioni omosessuali in Italia - a condizione che non si usi l'etichetta "matrimonio" (sic!) (v. qui).
In questo contesto di grande confusione, in cui chi dovrebbe parlare preferisce  invece denunciare i mali sociali (povertà …. economica, ed altri mali affini: v. qui) e non già come la corruzione morale di cui questo referendum e ciò che si è svolto sono espressione, dicevamo in questo contesto giungono salutari le parole – le uniche chiare – del card. Burke, che, nell’odierna ricorrenza dei SS. Ferdinando III il Cattolico, re di León e Castiglia, e la Pucelle d'Orléans, Giovanna d’Arco – due santi combattenti – volentieri rilanciamo in lingua inglese, rinviando – per il testo italiano – al consueto Chiesa e post concilio.

Anonimo, S. Ferdinando III di Castiglia, 1620 circa, Ayuntamiento de Sevilla, Siviglia

Francisco Pacheco, S. Ferdinando ottiene le chiavi della città da Axafat, ultimo governatore moro di Siviglia, e dai giudei, 1634, Cattedrale, Siviglia

Charles-Joseph Flipart, La riconquista di Siviglia da parte di S. Ferdinando III, XVIII sec., Museo del Prado, Madrid

Bartolomé Esteban Murillo, S. Ferdinando III, 1672, Museo del Prado, Madrid


Juan de Miranda, S. Ferdinando riceve gli ambasciatori di Mohamed re di Baeza, 1760, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid


Jean-Auguste-Dominique Ingres, Giovanna d’Arco all’incoronazione di Carlo VII, 1854, Musée du Louvre, Parigi

Hermann Anton Stilke, S. Giovanna d’Arco muore sul rogo, 1843, Hermitage, San Pietroburgo

Louis Cazottes,Trionfo di Giovanna D’Arco, 1929, collezione privata

A queste salutari parole del cardinale, si aggiungano le notizie positive, che ci fanno ben sperare, che ci pervengono dalla Polonia, dove ha vinto le elezioni presidenziali un candidato autenticamente cattolico, Andrzej Duda, contrario all'agenda omosessualistica europea (tanto da schoccare l'Europa!!!! v. qui) e che, da vero cattolico praticante (non alla maniera del premier irlandese, s'intende!), appena eletto, si è recato ad onorare Dio ed impetrare il suo aiuto per questo suo ufficio (v. qui). Che Dio lo assista!




Ireland ‘defied God’ by voting for gay ‘marriage’: Cardinal Burke

Pete Baklinski


OXFORD, May 28, 2015 (LifeSiteNews.com) -- Cardinal Raymond Burke lamented how formerly Catholic Ireland has gone further than the pagans in the pre-Christian days of old and “defied God” by calling homosexual behavior “marriage” in the referendum last week.
“I mean, this is a defiance of God. It’s just incredible. Pagans may have tolerated homosexual behaviours, they never dared to say this was marriage,” he told the Newman Society, Oxford University’s Catholic organization, in an address Wednesday about the intellectual heritage of Pope Benedict XVI. The Tablet, Britain’s liberal Catholic newspaper, reported his remarks.
On Friday, 1.2 million Irish people voted to amend the country’s constitution to say: “Marriage may be contracted in accordance with law by two persons without distinction as to their sex.” A little over 734,000 people voted against the proposal. 
Burke said that he could not understand “any nation redefining marriage.”
The cardinal also emphasized the important role that parents play in protecting their children in a culture increasingly hostile to God’s laws. “The culture is thoroughly corrupted, if I may say so, and the children are being exposed to this, especially through the internet,” he said. One practical piece of advice that he offered families was to put computers in public areas to prevent children from “imbib[ing] this poison that’s out there.”
During the same Oxford visit, but during a homily at a Mass the day before, Burke called marriage between a man and woman a “fundamental truth” that has been “ignored, defied, and violated.”
Burke warned during the homily of the dangers of “various ideological currents” and of “human deception and trickery which strives to lead us into error.”


Film "Giovanna d'Arco" (Joan of Arc) diretto da Victor Fleming del 1948

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(cliccare sull'immagine per il video, per la verità, non di altissima qualità)



(versione in francese)

(versione in inglese)

In onore della SS. Trinità: Te Deum

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Ventura Salimbeni, SS. Trinità con i SS. Pietro e Bruno (?), XVII sec.,  musée Fesch, Ajaccio

Theodoor van Thulden, SS. Trinità con la Vergine e S. Bernardo, 1652

A chiusura del mese mariano

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Francesco Trevisani, Virgo Sapientiae o Madonna che legge mentre tiene il Bambino, XVIII sec., Museo diocesano, Ancona


Giovanni Antonio de L'Aquila, Madonna della Misericordia, XV sec., Santuario Madonna della Misericordia, Petriolo

Perché la mistica non finisca in politica - Editoriale di giugno di "Radicati nella fede"

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Nella memoria liturgica di S. Angela Merici, vergine, rilancio quest’editoriale di Radicati nella fede.




  

Anonimo, S. Angela Merici, XVII sec.

Domenico Caretti, S. Angela Merici, Museo mericiano, Brescia

Luigi Marai, S. Angela Merici, XIX sec., museo diocesano, Verona


Urna di S. Angela Merici col corpo incorrotto della Santa, Santuario di S. Angela Merici, Brescia

PERCHÉ LA MISTICA NON FINISCA IN POLITICA

Editoriale “Radicati nella fede” 
Anno VIII n. 6 - Giugno 2015


Cambierà qualcosa nella Chiesa? Vedremo la fine della crisi modernista? Vedremo il ritorno di tutta la Chiesa alla sua Tradizione?
Umanamente dovremmo rispondere di no.
Da troppo tempo questa crisi va avanti, perché umanamente sia prevedibile una rinascita. La presenza dei cattolici secondo il gusto del mondo è così estesa e la Tradizione così umanamente esigua, da portare, secondo un calcolo umano, allo scoraggiamento.
Per questo, secondo una previsione umana, possiamo dire che non vedremo il ritorno alla Tradizione.
Eppure noi preghiamo e lavoriamo ogni giorno perché la Tradizione torni ad essere patrimonio comune di tutta la Chiesa. Facciamo la Tradizione per questo, la facciamo perché tutti tornino ad essa, e la Chiesa si liberi dal veleno modernista nella sua dottrina e nella sua pastorale.
Sarebbe logico abbracciare la Tradizione, passare alla Messa antica, solo per un gusto personale? Che senso avrebbe fare la Tradizione senza desiderare che questa torni a regnare sulla Chiesa tutta? Sarebbe un gioco senza senso! e noi non vogliamo giocare.
Ma questo desiderio, umanamente infondato, come non è un’utopia?
Non è un’utopia irrealizzabile perché è in gioco la potenza di Dio. È Dio che conduce la storia, è sua l’onnipotenza; “nulla è impossibile a Dio”.
Carissimi, occorre evitare la tentazione del Naturalismo pratico, che può regnare anche in coloro che si dicono Cattolici secondo la Tradizione.
Il naturalismo pratico, quando pensa alle vicende della storia, del mondo o della Chiesa fa lo stesso, calcola in sostanza solo le forze umane in atto. A parole può ancora dire che Dio può tutto, ma questo potere non entra mai nella logica delle sue scelte e azioni.
Quando questo naturalismo pratico entra nell’azione dei cattolici è devastante: li fa agire secondo il possibile umano e non secondo il possibile di Dio.
Sono tanti quelli che amano la Tradizione, che la sentono corrispondente alla verità della fede, e poi agiscono non secondo questa verità, ma secondo il calcolo umano del possibile e realizzabile! Dicono: “Come è vera e bella la Tradizione della Chiesa - e poi aggiungono - ma ormai non può più tornare il suo glorioso passato; siamo dunque prudenti e accontentiamoci di qualcosa di meno realizzabile ora”. Per questi cattolici il possibile e il realizzabile non è poggiato sulla Verità di Dio, ma sul fattibile umano.
Non c’è posto nel loro calcolo per la grazia, sono dei naturalisti.
Non c’è posto per Dio, non c’è posto per il miracolo, che in verità è la normalità della Storia.
I cattolici di duemila anni, quelli veri, non hanno pensato e agito così.
Hanno riconosciuto la Verità di Dio, l’hanno desiderata per la loro vita, hanno faticato e lottato perché il mondo intero la riconoscesse e accogliesse. Per questo il Cristianesimo si è diffuso nel mondo intero.
Hanno posato la loro azione sulla verità della grazia e della onnipotenza di Dio, non hanno calcolato umanamente il realizzabile.
I martiri hanno fatto così.
Loro, che sono i santi per eccellenza, sono morti per affermare la verità di Dio, fidandosi che un giorno Dio avrebbe portato a compimento l’opera. Sono morti senza vedere il trionfo della fede; sono morti sul serio, in una solitudine abitata solo da Dio, lasciando a Dio il futuro. Hanno vissuto dell’unica preoccupazione seria, quella di santificare il presente nella fedeltà assoluta a Nostro Signore Gesù Cristo.
E che dire di tutti quei cristiani, pensiamo al quelli del Giappone, che per secoli hanno resistito fedeli al Signore, con un Pater e Ave, senza più sacramenti, consegnando la loro fede ai figli, lasciando a Dio il futuro, certi che un giorno un missionario sarebbe tornato con i sacramenti che salvano. Fedeli a Dio nel presente, senza calcolo umano, lasciando a Dio l’esito della loro testimonianza.
Cari amici, anche noi dobbiamo fare così, fedeli a Dio nel presente, custodendo la Tradizione che è la natura stessa del Cattolicesimo, lasciando a Dio il futuro. È l’unica posizione ragionevole.
È qui dentro, in una posizione radicalmente anti-naturalista, certa realmente della potenza della grazia, che ha senso e valore il nostro sacrificio, unito a quello di Cristo.
L’alternativa è il pasticciare: volere un po’ di Tradizione, venendo continuamente a patti con mille compromessi in chiesa e in casa, accondiscendendo al peccato o all’errore che ci circonda, sottraendoci al sacrificio del richiamo, dicendoci che non possiamo pretendere tutto. Tanti fanno così: un po’ di tradizione e tanto cedimento alle mode del momento, lasciando a Dio la responsabilità della testimonianza. È l’esatto contrario che occorre fare: la nostra testimonianza dev’essere totale, lasciando alla grazia di Dio i frutti.
Occorre non essere cattolici naturalisti. Il naturalista è sciocco e miope, dice di credere in Dio e poi sottrae a lui la signoria sulla realtà e il tempo.
Occorre essere mistici, cioè cattolici. I mistici vedono Dio all’opera e partono da questo.
Occorre restare mistici, mentre intorno a noi la mistica muore nella politica. Anche quella ecclesiastica.

Pontificale di S. Em.za Card. Raymond L. Burke - Solennità di S. Filippo Neri - Catholic Church of St. Aloysius Gonzaga, Oxford, 26 maggio 2015

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Nella festa liturgica del Corpus Domini, rilancio volentieri questa bell’omelia del card. Burke, dettata in terra inglese e tradotta da quell’idioma da Chiesa e postconcilio. Per le immagini si rinvia qui.

Card. Raymond Leo Burke, Oxford, Omelia nel V centenario della nascita di San Filippo Neri











OMELIA del Card. RAYMOND LEO BURKE - SOLENNITÀ DI SAN FILIPPO NERI, FONDATORE E PATRONO DELL’ORATORIO DI OXFORD 

Pontificale nel V Centenario della sua nascita

OXFORD, INGHILTERRA, 26 MAGGIO 2015


[Traduzione dall'originale inglese a cura di Chiesa e post-concilio]

Sap 7, 7-14
Fil 4, 4-9
Gv 15, 1-8

Sia lodato Gesù Cristo, ora e sempre. Amen.


È fonte di immensa gioia per me il poter officiare la Santa Messa nella Solennità di San Filippo Neri, nel giorno del quinto centenario della sua nascita, nell’oratorio di cui è fondatore e patrono. Voglio esprimere la mia profonda gratitudine al Reverendissimo Padre Daniel Seward, prevosto e parroco, per avermi invitato a celebrare la Messa Pontificale per tale solennità; ringrazio anche tutti i Padri e Fratelli dell’oratorio per la loro calda e generosa ospitalità.
Ringrazio Dio per la straordinaria opportunità di implorare – per mezzo dell’intercessione di Nostra Signora e di San Filippo – le Sue abbondanti benedizioni sull’Oratorio di Oxford e su tutte le sue importantissime attività. In modo particolare, chiedo a Dio di benedire l’Università di Oxford, rinomato centro di formazione da molti secoli, e di renderlo generosamente ricettivo al ministero sacerdotale offerto qui sull’esempio e sotto la protezione di San Filippo Neri.
Sono grato della presenza dei Cavalieri e delle Dame di Malta, di cui sono onorato di essere il Cardinale Patrono. Che la mia visita possa essere per essi, qui a Oxford, la conferma della duplice missione del nostro Ordine: la difesa della fede e la cura dei poveri.
Con la parabola della vite e dei tralci, Nostro Signore ha espresso la realtà della nostra comunione con Lui nella Chiesa sin dal momento del nostro battesimo. Solo Lui è la nostra salvezza, ed è Lui che ha scelto di unire i nostri cuori al Suo glorioso Cuore trafitto. Dal Suo trono alla destra del Padre, infonde incessantemente e senza misura dal Suo Cuore nei nostri cuori i sette doni dello Spirito Santo. Egli rimane in noi perché lo Spirito Santo risiede nella Chiesa, che è il Suo Corpo Mistico, e nei cuori dei suoi membri. Prestiamo di nuovo ascolto alle parole ferme e chiare di Nostro Signore nella parabola:
Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. [1]

L’esortazione di San Paolo a mettere da parte ogni ansietà e rivolgersi a Dio nella preghiera fiduciosa è solidamente radicata nelle parole di Cristo, nella realtà della nostra vita in Lui. Possiamo credere davvero che “la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù”. [2]
Le nostre vite sono scandite e animate dalla loro natura di tralci viventi innestati in Cristo, la Vigna, in modo tale che possiamo produrre i frutti per i quali Dio ci ha creato a Sua immagine e somiglianza. Dio il Vignaiolo, Che ci ha vivificati nel Suo Figlio unigenito, ci pota affinché possiamo rimanere vivi in Cristo e “portare più frutto”. [3] La potatura della sofferenza, del pentimento e della riparazione ci assicurano che – nonostante le nostre paure, i nostri dubbi, errori e peccati – Cristo che vive in noi ci avvicina sempre di più a “tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato”. [4]
Dio Padre ci avvicina a Sé, all’eccellenza del Suo Essere, di cui partecipiamo, grazie al Suo generosissimo e inesauribilmente abbondante amore. Se pensiamo – come ci esorta San Paolo – a ciò che è “virtù”, a “tutto ciò che merita lode”, [5] siamo condotti alla sua fonte in Dio Figlio Incarnato, nostro Signore e Salvatore. Infatti, San Paolo ci chiede di imitare la sua obbedienza alla grazia che scaturisce dal Cuore di Cristo e di vivere in Dio come autentici tralci della Vigna: “Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare. E il Dio della pace sarà con voi”. [6]
In Cristo, il Verbo fatto carne, comprendiamo sempre di più la verità, la bellezza e la bontà di tutte le cose. Il santo scrittore del Libro della Sapienza, predicendo l’Incarnazione del Verbo per mezzo del quale il Padre ha creato tutte le cose e ne sostiene l’esistenza, narra come la sapienza di Dio gli ha svelato il motivo della sua costante attrazione per le cose create:
L’amai più della salute e della bellezza,
preferii il suo possesso alla stessa luce,
perché non tramonta lo splendore che ne promana.
Insieme con essa mi sono venuti tutti i beni;
nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile.
Godetti di tutti questi beni, perché la sapienza li guida,
ma ignoravo che di tutti essa è madre. [7]
Solo in Cristo, per mezzo della verità del Suo insegnamento e dell’amore per la Sua disciplina, conosciamo la Sapienza di Dio. Solo in Cristo i sette doni dello Spirito Santo – che sono la prima sapienza – vengono infusi incessantemente e smisuratamente nei nostri cuori.
San Filippo Neri fu innestato da Dio Padre nella viva Vigna del Suo Figlio unigenito in modo notevole, a un grado eroico. Celebrando il quinto centenario della sua nascita, riflettiamo sulla corruzione del mondo del Rinascimento in cui egli nacque. Giovane virtuoso e buono, avrebbe potuto benissimo abbandonare la bontà di Cristo e seguire uno stile di vita mondano, secondo le aspettative della cultura in cui viveva. Ma conobbe Cristo, la fonte di ogni dono buono, e quando ricevette la chiamata di Cristo lasciò la sicurezza del suo futuro economico per abbandonarsi completamente a Cristo. Pur essendo molto portato allo studio della filosofia e della teologia, egli comprese che la sua chiamata era quella di evangelizzare direttamente per condurre il prossimo a Cristo offrendogli le verità della fede e la sua bellezza nella vita della preghiera e – soprattutto – del culto divino.
Nel giorno di Pentecoste dell’anno 1544, nelle Catacombe di San Sebastiano, egli ricevette da Cristo non solo la conferma della sua chiamata, ma anche la grazia di compiere la sua missione. Il “globo di fuoco” che San Filippo vide entrare nella sua bocca e che aprì il suo cuore a un amore di Dio e per i figli di Dio ancor più grande si manifestò nella luce che San Filippo portò alla città di Roma in un’epoca in cui essa era avvolta dalle tenebre. [8] Così, Cristo incrementò la vita dello Spirito Santo che risiedeva nel cuore di San Filippo per la salvezza di molte anime, non solo per mezzo della sua attività apostolica, ma anche attraverso la sua continuazione nell’attività apostolica della Congregazione dell’Oratorio, la compagnia dei suoi figli spirituali.
Considerando la grande ricchezza della sua vita apostolica, alla fine si risale sempre alla fonte della sua santità eroica: Gesù Cristo, vivo nel suo cuore per mezzo dell’effusione dello Spirito Santo. Ciò che San Filippo scrisse in una lettera a sua nipote è una riflessione della sua vita quotidiana, durante la quale si sforzava di vivere sempre più pienamente e perfettamente:
Dio ti conceda la grazia di raccoglierti intorno al Suo divino amore, ed entrare profondamente nella Fonte viva di Dio fatto uomo attraverso la ferita del Suo costato, senza trovare più il modo di uscirne, così da  annullare te stessa ed ogni forma di amor proprio. [9]

Senza dubbio, San Filippo aveva dedicato il suo cuore – per grazia di Dio – al glorioso Cuore trafitto di Gesù, nel quale trovò la purificazione dei peccati e la fortificazione dell’amore divino. Egli vivette in modo da “non trovare il modo” di uscir fuori dal Cuore di Gesù, così come scrisse nella sua esortazione a sua nipote.
Possiamo comprendere quindi la costante esortazione di San Filippo alla pratica dell’umiltà e alla purificazione da ogni forma di amor proprio, in modo che solo la grazia che proviene dal Cuore di Gesù possa animare il cuore dell’uomo. [10] E possiamo anche comprendere l’importanza che San Filippo prestava agli incontri spirituali in cui venivano ponderate le verità della fede attraverso lo studio delle vite di quei santi in cui tali verità si sono manifestate in modo eroico e attraverso i Sacramenti, specialmente la Penitenza e la Santa Eucarestia, [11] nella quale incontriamo realmente Cristo, la Via, la Verità e la Vita. [12]
Possiamo quindi comprendere anche la particolare forma di vita apostolica che San Filippo stabilì per i suoi fratelli nell’Oratorio. Egli voleva che la loro vita somigliasse il più possibile alla vita comunitaria degli Apostoli durante il pubblico ministero di Cristo. La comunità dell’Oratorio è formata dalla grazia di Cristo nella Cui persona ogni singolo membro dell’Oratorio esercita la Sua carità pastorale nei confronti delle anime di tutti gli uomini. Ci tengo a ricordare le parole di Papa San Giovanni Paolo II, di cui la vita di San Filippo Neri e la sua fondazione dell’Oratorio sono un esempio concreto:
Il principio interno, la forza che anima e guida la vita spirituale del sacerdote nella misura in cui egli è configurato a Cristo, Capo e  Pastore, è la carità pastorale come partecipazione alla carità pastorale dello stesso Gesù Cristo, un dono conferito liberamente dallo Spirito Santo e allo stesso tempo un cómpito e una chiamata che richiede una risposta impegnata da parte del sacerdote[13].

Mi sembra che i modi a volta eccentrici di San Filippo erano mirati a sottolineare sempre il fatto che era Cristo che agiva in lui, affinché i suoi fratelli o i fedeli non pensassero che fosse Filippo – e non Cristo – colui che stava realizzando la missione di salvezza. Analogamente, credo che la semplicità della struttura canonica dell’Oratorio, con la sua insistenza sulla vita comunitaria, sia mirata a mostrare Cristo al prossimo nella maniera più diretta possibile, e a ricordare alla compagnia dei membri dell’Oratorio che, nonostante i doni particolari che a ciascuno di essi sono stati dati, il Capo e Pastore del gregge Che realizza la missione è sempre e solo Cristo.
Nel celebrare il quinto centenario della nascita di San Filippo Neri, prendiamo un esempio particolare dalla maniera in cui egli si misurò con una cultura secolarizzata e – pertanto – corrotta. Imploriamo la sua intercessione, dal momento che anche noi ci misuriamo con una cultura in cui vengono ignorate, sfidate e gravemente violate anche le verità più fondamentali: quelle sulla vita umana e sul fatto che essa ha il suo centro nella famiglia costituita tramite matrimonio. Voglio ricordare le parole con cui il Cardinal Joseph Ratzinger si espresse a proposito della cultura secolare contemporanea durante la Messa per l’Elezione del Pontefice Romano, celebrata prima del conclave in cui egli venne eletto al Soglio di Pietro. Egli sottolineò come, ai nostri tempi, “il pensiero di molti cristiani” sia stato fuorviato da varie “correnti ideologiche”, osservando che siamo testimoni dell’“inganno e della falsità umani, che si sforzano di trascinare l’umanità nell’errore”, e a proposito dei quali San Paolo si espresse nella sua Lettera agli Efesini[14]. Egli fece notare che, ai nostri tempi, coloro che vivono in conformità con “una fede chiara basata sul Credo della Chiesa” sono considerati fondamentalisti ed estremisti, mentre il relativismo, vale a dire “il lasciarsi trascinare da una parte e dall’altra, spinti dal vento di qualsiasi dottrina”, viene esaltato[15]. Parlando della radice dei gravi mali morali dei nostri tempi, concluse: “Si va costituendo una dittatura del relativisimo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”[16].
Chiamati a trasformare il mondo in Cristo, rivolgiamoci, con San Filippo Neri, a Cristo, alla Sua verità e al Suo amore che ci vengono consegnati nel Suo Corpo Mistico, la Chiesa. Pratichiamo l’umiltà, che riconosce che solo la grazia di Dio ci salva dai nostri peccati e ci anima all’amore puro e dimentico di sé che trionfa sul peccato e sulla morte eterna. Seguiamo il consiglio che San Filippo dette a sua nipote. Doniamo i nostri cuori al Sacro Cuore di Gesù, attraverso l’apertura del Suo glorioso Costato trafitto, e sforziamoci – con l’ausilio della preghiera e della penitenza – di non abbandonare la sola casa in cui troviamo perdono, pace e fortezza. Questo non è fondamentalismo. Questo non è estremismo. Questa è la vita in Cristo, nella Sapienza di Dio.
Così come Cristo santificò l’epoca di San Filippo con un’infusione abbondante dei sette doni dello Spirito Santo nel cuore di San Filippo stesso, possa Egli santificare anche la nostra epoca tramite l’infusione dello Spirito Santo nei nostri cuori.
Cristo discende ora dalla Sua residenza celeste per stabilire la Sua dimora in mezzo a noi, per rendere sacramentalmente presente il Suo Sacrificio sul Calvario, tramite il quale ci salva dal peccato e ci rafforza con gli incomparabili frutti del Sacrificio stesso: il Suo Corpo, Sangue, Anima e Divinità. Offriamo ora i nostri cuori, attraverso il Suo glorioso Costato trafitto, al Suo Sacro Cuore. Seguendo l’esempio di San Filippo Neri e con l’ausilio delle sue preghiere, troviamo nel Cuore Eucaristico di Gesù la guarigione e la forza per trasformare le nostre vite, per trasformare una cultura che vorrebbe trascinare i nostri cuori lontano da quel Santissimo Cuore.
Cuore di Gesù, fonte di vita e di santità, abbi pietà di noi. Nostra Signora di Walsingham, prega per noi. San Giuseppe, padre putativo di Gesù e sposo della Vergine Maria, prega per noi. San Filippo Neri, fondatore e patrono dell’Oratorio, prega per noi.

Raymond Leo Cardinal BURKE
_______________________
NOTE

[1] Gv 15, 5.
[2] Fil 4, 7,
[3] Gv 15, 2.
[4] Fil 4, 8.
[5] Fil 4, 8.
[6] Fil 4, 9.
[7] Sap 7, 10-12.
[8] Cf. Paul Türks, Philip Neri: The Fire of Joy, trad. Daniel Utrecht (New York: Alba House, 1995), pp. 16-17, e 112. [Più avanti: Paul Türks].
[9] Paul Türks, p. 113.
[10] Cf. Paul Türks, pp. 117-120.
[11] Cf. Paul Türks, p. 114.
[12] Cf. Gv 14, 6.

[13] “Principium interius, virtus scilicet qua presbyteri vita spiritualis animetur et quasi manuducatur, quatenus is configuratur Christo Capiti et Pastori, ponendum est in caritate pastorali, id est in participatione ipsius caritatis pastoralis Christi Iesu; quae et gratuitum Spiritus Sancti donum erit, et simul munus et liberum responsale presbyteri responsum”. Ioannes Paulus PP. II, Adhortatio Apostolica Pastores dabo vobis, “de Sacerdotum formatione in aetatis nostrae rerum condicione”, 25 Martii 1992, Acta Apostolicae Sedis 84 (1992), 691-692, n. 23.
[14] “Initium Conclavis”, 18 Aprilis 2005, Acta Apostolicae Sedis 97 (2005), 687.
[15] Ibid., p. 3.
[16] Ibid., p. 3.
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

Inni e canti per la festa del Corpus Domini

Immagini devozionali per la festa del Corpus Domini


Il Corpus Domini a Roma. 1928 e 1933. Scortato dai gendarmi pontifici e dalle guardie...

“Frisónibus ad idololatríam relápsis, Evangélium prædicáre rursus aggréditur, cumque offício pastoráli occuparétur, a bárbaris et ímpiis homínibus juxta Bornam flúvium cum Eóbano coëpíscopo multísque áliis cruénta cæde perémptus martyrii palma condecorátur” (Lect. VI – II Noct.) - SANCTI BONIFATII, EPISCOPI (ARCHIEPISCOPI MOGUNTINI) ET MARTYRIS

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Se per certi aspetti, il grande Apostolo dei Germanici nell’VIII sec. rassomiglia a sant’Agostino di Canterbury: se ne differisce tuttavia parecchio, poiché l’azione apostolica di Bonifacio fu più completa, più vasta, più energica, più lunga e più duratura. Questo coraggioso figlio di san Benedetto, la cui diocesi aveva per limiti, da un lato, l’Olanda e, dall’altro, il Tirolo, ovvero quasi tutto il cuore dell’Europa, per conseguenza, appariva come uno di quei colossi dall’attività multiforme, ma sempre perfetta. Se consideriamo in effetti Bonifacio sia come monaco, sia come vescovo, sia come dottore ed evangelizzatore di popoli, sia come diplomatico, sia come martire, ciò non diminuisce mai la sua grandezza, giacché è sempre perfetto in qualsiasi veste lo si veda.
È tuttavia una nota speciale nell’attività del Santo, che non deve essere dimenticata. Assieme al carattere episcopale, Gregorio II gli aveva dato l’incarico di legato della Sede apostolica presso i germanici ed, in tutta l’attività variegata che esercitò presso i Franchi ed i tedeschi in seguito, fu sempre a nome del Pontefice romano che Bonifacio intervenne ed agì. Si può dire che nessuno comprese meglio di lui a quell’epoca la romanitàdella sua missione; nessuno l’esercitò con una simile fede ed un tale zelo. Si considerò come l’araldo di Pietro e del Pontefice romano e fu in questa qualità che, sulle sue spalle di gigante, sostenne durante i lunghi anni, come un nuovo san Paolo, la sollecitudine di tutte le Chiese della Germania. Una gloria gli mancava: l’aureola del martirio, ed egli pure l’ambì. Curvato già sotto il peso degli anni, si imbarcò per la Frisia, che, nella sua gioventù, era stato il campo delle sue prime battaglie, al tempo di san Willibrordo. Questa volta tuttavia l’apostolo, come prevedendo la sua morte, portò con lui il drappo funebre nel quale doveva essere avvolto ed ordinò che il suo cadavere fosse sepolto nel suo caro monastero di Fulda. Qui si riconosce il monaco che era, giacché, sebbene col suo corpo era fuori della clausura, tuttavia il suo cuore era legato alla solitudine monastica.
Il 5 giugno 755, giorno di Pentecoste, mentre si stavano celebrando i divini misteri, un’orda di pagani frisoni assalirono Bonifacio ed i suoi compagni, tra i quali si trovarono alcuni vescovi ed un gran numero di monaci, che, in odio alla fede, furono massacrati.
L’ufficio di san Bonifacio fu esteso da papa Pio IX alla Chiesa universale.
La messa fu originariamente redatta per i paesi tedeschi, nei quali si celebrava il Santo come l’apostolo ed il patrono della razza germanica. L’estensione di questa messa alla Chiesa intera rende un po’ fuori luogo nel Messale questo particolarismo regionale.
L’antifona per l’Introito è tratta da Isaia (65, 19.23). Le nazioni cristiane potranno, come gli alberi, rinnovare le loro foglie ingiallite, ma non si seccheranno mai completamente, perché i loro differenti apostoli annaffiarono un tempo il seme evangelico con tanti sudori e tanto sangue, che Dio, per riguardo ai meriti dei padri, non priverà mai interamente della sua benedizione anche i loro figli degenerati. La parte cattolica della Germania si ricorda dei prodigi ammirevoli che Dio operò in questo paese al tempo di Bonifacio, di Sturmio di Fulda, di Lullo di Magonza e di Willibrordo, e sente ancor oggi che la magnificenza del passato è la garanzia di questa grazia futura, che, secondo la sacra Scrittura, guarirà le nazioni.
Talvolta la nostra pigrizia ci fa trovare troppo ardua la missione che c’è imposta, o ci nutre l’illusione di avere compiuto già delle grandi cose per Dio. Per dissipare questi pensieri, bisogna considerare quanto i santi abbiano fatto e sofferto, ed allora ci sentiremo tutti piccoli di fronte a questi colossi di attività e di virtù.
Amiamo a riportare qui il bel inno di santo Bonifacio, dovuto alla penna del beato Rabano Mauro:

Præsulis exultans celebret Germania laudes,
Et Bonifatii opus Martyris almificum.
Ordinat hunc Roma, mittit Britannia mater,
Doctorem populis et decus Ecclesiæ,
Pontificem summum, signorum fulmine clarum,
Eloquio nitidum, moribus egregium.
Quem Francus Frisoque simul Saxoque ministrum
Æternæ vitæ prædicat esse sibi.
Quod terra moritur frumentum, plurima confert
Semina, fructumque multiplicare studet.
Sicque Sacerdotis Domini lætissima crescit
Paucis ex granis multiplicanda seges.
Gloria summa Patri, compar sit gloria Nato;
Laus et in æternum, Spiritus alme, Tibi. Amen.





Jan Joesten van Hillegom, Santi benedettini: S. Bonifacio, S. Gregorio Magno, Adalberto di Egmond, Gerone di Noordwijk, 1529-30, Frans Hals museum, Haarlem

Cornelis Bloemaert, S. Bonifacio, 1630 circa


Alfred Rethel, S. Bonifacio costruisce una cappella sul luogo della quercia "Donareiche" abbattuta, XIX sec., Kunstmuseum, Düsseldorf

Alfred Rethel, Predica di S. Bonifacio, XIX sec., Museen der Stadt, Aachen

Johann Michael Wittmer, San Bonifiacio abbatte "Donareiche" l'Albero di Thor, 1861, collezione privata

“Antvérpiam accersítus, in ea urbe Tanchelíni nefáriam hæresim profligávit. Prophético spíritu et miráculis cláruit” (Lect. VI – II Noct.) - SANCTI NORBERTI, EPISCOPI MAGDEBURGENSIS ET CONFESSORIS, ORDINIS CANONICORUM REGULARIUM PRAEMONSTRATENSIUM FUNDATORIS

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La festa di questo santo arcivescovo di Magdeburgo (1126-1134), fondatore dei canonici Premostratensi nel 1121, ed il cui culto fu riconosciuto nel 1582 da Gregorio XIII, entrò dapprima nel calendario, nel 1620-1621, sotto Urbano VIII, col rito semidoppio e, poi, sotto Clemente X, ricevé il rito doppio.

La vita di questo santo, che, sebbene avviato alla carriera ecclesiastica sin da giovanissimo, si dedicava ai piaceri ed alle mollezze di corte dell’imperatore Enrico V, fu segnata nel 1115 da un episodio che, da allora, lo convertì e lo fece dedicare completamente a Dio. Mentre era a cavallo sulla strada per Vreden, in Westfalia, durante un violento temporale in aperta campagna, un fulmine cadde al suo fianco. L’animale, spaventato dal fulmine, lo disarcionò ed egli rimase per un po’ disteso a terra in stato di incoscienza. Ripresa conoscenza le sue prime parole furono le stesse di Saulo sulla via di Damasco: «Che devo fare, Signore?» (At. 22, 10). Sentì dentro di sé una voce che gli diceva: «Sta’ lontano dal male e fa’ il bene; cerca la pace e perseguila» (Sal, 33, 15). Pensando al suo ambiguo comportamento sino ad allora, decise di cambiare vita. Rinunciò alla sua nobile carica e si ritirò a Xanten in solitudine ed con digiuni per meditare quale scelta compiere. Consigliato dall’abate Cenone fece un ritiro nell’abbazia di S. Benedetto di Seiberg, nei pressi di Colonia, preparandosi all’ordinazione sacerdotale, e nel dicembre del 1115 l’arcivescovo di Colonia, Federico, lo ordinò nello stesso giorno diacono e prete (procedura che violava il diritto canonico). Dopo altri quaranta giorni di ritiro tornò a Xanten deciso a condurre «una vita evangelica e di apostolato», ma sembra che il vigore delle sue esortazioni e quello che poteva sembrare un comportamento eccentrico per un uomo del suo rango gli abbiano procurato nemici tra gli altri canonici: uno di loro arrivò perfino a schiaffeggiarlo. Al concilio di Fritzlar del 1118 fu accusato davanti al legato papale di ipocrisia, di essere un innovatore, di predicare senza permesso o autorizzazione. Accompagnato da due discepoli, che si erano rifiutati di lasciarlo, si recò, a piedi scalzi, nella città di St-Gilles in Linguadoca dove si trovava in esilio papa Gelasio II. Ai piedi del pontefice confessò i propri misfatti e l’irregolarità della sua ordinazione dicendosi pronto ad accettare qualsiasi penitenza gli fosse inflitta. Il papa invece gli conferì il permesso di predicare il Vangelo dove avesse voluto.

Anni dopo, quando fu scelto come scelse arcivescovo di Magdeburgo, fece il suo ingresso in città a piedi e con abiti così poveri che il portinaio del palazzo episcopale si rifiutò di farlo entrare ordinandogli di andare a unirsi agli altri mendicanti. «È il nostro vescovo!» urlò la folla. «Non preoccuparti, caro fratello» disse Norberto al portinaio «tu giudichi con più verità di chi mi ha condotto qui.»

La Sede apostolica deve a san Norberto una gratitudine particolare, perché, durante lo scisma dell’antipapa Anacleto II, lavorò attivamente, con san Bernardo ed il devoto abate di Farfa, Adinolfo, a riportare i popoli all’obbedienza verso Innocenzo II. Quando, difatti, nei primi giorni di maggio 1133, gli eserciti del re Lotario III (detto di Supplimburgo) riportarono a Roma il Pontefice esiliato, troviamo con lui, come l’anima stessa di questa spedizione, gli abati di Cîteaux e di Farfa ed il santo arcivescovo di Magdeburgo, che, a quell’epoca, ricopriva anche le funzioni di cancelliere reale.

Per riconoscenza dei suoi eminenti servizi resi al papato Norberto fu insignito del pallium e costituito primate di tutta la Germania, e al suo ritorno l’imperatore insistette per farlo suo cancelliere; ma la salute del vescovo declinava, dopo vent’anni dalla sua ordinazione presbiterale spesi in un servizio appassionato.

Quella che aveva condotto a favore del papato fu l’ultima fatica del Santo, poiché, consumato dalle sue dure penitenze e dalle sue fatiche, morì il 6 giugno 1134.

Dopo la sua morte il suo corpo fu portato a turno in tutte le chiese di Magdeburgo e poi sepolto nella chiesa del suo ordine di quella città. Quando Magdeburgo divenne luterana, le reliquie furono traslate nel 1627 dall’imperatore Ferdinando II nell’abbazia premostratense di Strahow a Praga.

Una volta, nella Città eterna, una piccola chiesa eretta dai Premostratensi sul Viminale ricordava la venuta del Santo a Roma. Colpita poi dalla confisca, oggi è distrutta (Cfr. MarianoArmellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, p. 817).

La messa è del Comune dei Confessori Pontifici; solo la prima colletta è propria.

La caratteristica della missione di Norberto fu la predicazione infiammata della parola di Dio. È là una missione tutta apostolica che, troppo spesso, non è apprezzata nel suo valore. La predicazione del verbo evangelico è, difatti, così necessaria che deve precedere l’amministrazione stessa dei Sacramenti, poiché nessuno può credere alla parola di Dio e salvarsi se alcun apostolo non predica.

Ma le anime si rigenerano soltanto nello Spirito Santo, e questo è perché il predicatore deve parlare, non secondo il suo spirito proprio, ma con quello di Dio. I santi Apostoli agirono così; avendo affidato ai diaconi il ministero esterno, si riservarono la preghiera e l’incessante predicazione della parola del Signore. Nos autem orationi et prædicationi verbi instantes erimus; Noi, però, ci dedicheremo interamente alla preghiera, ed alla predicazione della parola (At. 6, 4).

Gli Apostoli fecero della predicazione uno dei doveri più essenziali della vita episcopale, e san Luca dunque c’indicò le disposizioni nelle quali si trovavano per compiere uno sì grande ministero: Repleti sunt omnes Spiritu Sancto, et cœperunt loqui;Essi furono tutti ripieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare (At 2, 4).

F.H.J. Bekker, Visione di S. Norberto, 1900, Amsterdam

Johannes Chrysostomos van der Sterre - Theodoor Galle, Ritratto di S. Norberto, 1622, Rijksmuseum, Amsterdam

Petrus Clouwet-Franz Huybrechts, S. Norberto, 1639-70, Rijksmuseum, Amsterdam 

S. Norberto di Xanten con l’Eucaristia, trionfa su Satana e sull’errore, 1750 circa, stampa, Parigi

Marten Pepijn, S. Norberto adorante l’Eucaristia, 1637, Vrouwekathedraal, Antwerp

Autore anonimo, S. Norberto, XVIII sec., Duisburg

Angelus nella grotta dell'Annunciazione 30/05/2015

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Card. Burke: "Non può esservi vero rinnovamento fino a quando non sia proclamata la verità sull'unione coniugale nella sua interezza"

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Rilancio volentieri una sintesi dell’intervento dell'infaticabile card. Burke, ad Ottawa; un intervento che non ha mancato di suscitare polemiche in alcuni ambienti sedicenti cattolici canadesi, come ci racconta Chiesa e postconcilio.

Western culture can’t be renewed until it gets sexual act right: Cardinal Burke in Ottawa

Pete Baklinski

OTTAWA, June 5, 2015 (LifeSiteNews) -- Addressing the crisis of culture during his first visit to Canada’s national capital, Cardinal Raymond Burke stressed that defending human life and promoting natural marriage is the foundation of any truly human culture. The West’s preoccupation with death and destruction will not be “transform[ed]” until the “truth about the conjugal union [is proclaimed] in its fullness,” he said.
“The defense and promotion of human life and of marriage and the family is at the foundation of a Christian culture, and indeed, of any viable human culture,” he told about 330 people gathered at Ottawa’s Conference and Event Center to celebrate NET Canada’s 20th anniversary.
The National Evangelization Teams (NET) exist to challenge young Catholics to love Christ and embrace the Life of the Church through retreats consisting of personal testimonies, skits, and music led by small groups of young people traveling coast-to-coast.
In his talk, the cardinal praised NET, saying it is “surely a steadfast and brilliant agent of hope and encouragement to our youth who understand in a particularly poignant way the challenge of living in Christ in our times.”


Burke, recognized by pro-life-and-family leaders worldwide as one of the Church’s foremost defenders of truth, morality, and authentic Christianity, laid out a number of “most grievous moral evils” that constitute what he called the “disordered moral state in which our culture finds itself.”
“For instance, the wholesale murder of the unborn in the womb, justified as the exercise of the so-called ‘right’ of the mother to choose whether to bring to term the baby she has conceived. More and more too, we face the abhorrent practices of the artificial generation of human life and then its destruction at the embryonic stage of development, which are justified as the means to find supposed cures for crippling or deadly diseases.”
He mentioned the direct and intentional killing of the weak and the elderly through euthanasia and assisted suicide, which he said is falsely “justified as ‘respect’ for the quality of their lives.”
Burke topped his list with the attack on marriage from various ideological groups.
“One necessarily thinks too of the ever advancing agenda of those who want to redefine marriage and family life to include the unnatural sexual activity of two persons of the same sex, which is justified as tolerance of so-called ‘alternative forms’ of human sexuality, as if there were a true form of human sexuality other than that intended by God, our Creator and Redeemer, as he has written it in our body and soul.”
Burke called the above “great evils which beset the world in our day,” adding that they indicate a way of living “as if God did not exist.”
“They are a manifestation of sin, [which] at its root is pride – the pride of man who fails to recognize that all that he is and has comes from the hand of God who has created us and has redeemed us from the sin of our first parents,” he said.
Despite the bleakness of the West’s moral landscape, Cardinal Burke said Christians “must be full of hope and encouragement in our mission of building a strong Christian culture in our homes, our communities, and our nations.”
He stressed that “holiness of life,” no matter what situation the Christian finds him or herself in, is the real program of the new evangelization and the only answer to combatting the problems.
Burke elaborated on ‘holiness of life’ with respect to living out the “truth of human sexuality.”
He called practicing the virtues of purity, chastity, and modesty as “the living of the truth regarding human sexuality” and therefore as connected to the “practice of justice.”
“What sense does it make for us to speak of our love of God and of our neighbor when we do not practice justice, when we do not respect the order which God has placed in nature and in our hearts, in our relationships with God and our neighbor?” he asked.
He proceeded to layout an understanding of Catholic sexual morality based on the recognition of the purpose of the sexual act, which he said has been created by God to be legitimately used in marriage for the sake of bringing new life into the world.

Over 300 people attended the NET Canada gala with Cardinal Raymond Burke on June

“The respect for human life is related essentially to the respect for the integrity of marriage and the family as they come to us from God. The attack on the innocent and defenseless life of the unborn, for example, has its origin in an erroneous view of human sexuality, which attempts to eliminate by mechanical or chemical means the essentially procreative nature of the conjugal act.”
Continued Burke: “The error maintains that the artificially altered act retains its integrity. The claim is that the act remains unitive and loving, even though the procreative nature of the act has been radically violated. In fact, it is not unitive, for one or both of the partners withholds an essential part of the gift-of-self, which is the essence of the conjugal union. The so-called ‘contraceptive mentality’ is essentially anti-life. Many forms of what is called contraception are in fact abortifacient, that is, they destroy a life which has already been conceived, has already begun.”
Burke said that men, women, and society itself suffer destruction when the real purpose of the sexual act becomes lost.
“The manipulation of the conjugal act, as Pope Paul VI has courageously observed, has led to many forms of violence in marriage and family life through the spread of the contraceptive mentality, especially among the young. Human sexuality is no longer seen as the gift of God which draws a man and a woman together in a bond of lifelong and faithful love, crowned by the gift of new human life, but rather, as a tool for personal gratification.”
“Once sexual union is no longer seen to be — by its very nature — procreative, human sexuality is abused in many ways that are profoundly harmful, and indeed, destructive of individuals and of society itself. One has only to think of the devastation which is daily wrought in our world by the multi-billion-dollar industry of pornography,” he said.
Burke emphasized that a return to the 1968 papal encyclical Humanae Vitae is necessary to help promote the Church’s vision for human sexuality. He referred to Pope Benedict XVI who he said “made it clear that the teaching in Humanae Vitae is not simply a matter of individual morality.”
“Fundamental to the transformation of Western culture is the proclamation of the truth about the conjugal union in its fullness and the correction of the contraceptive thinking which fears life, which fears procreation,” he said.
He called the restoration of the respect for the integrity of the conjugal act “essential” to the future of Western culture and the advancement of a culture of life.
Burke went on to speak about the role of conscience as the “infallible guide” to holiness of life, but only a conscience that is “trained to listen to God's voice alone, and to reject what would weaken or compromise in any way our witness to the truth in which he alone instructs us through the Church, through our daily prayer and devotion, through our knowledge of the Saints with whom we have communion in the Church, and through our study of official Church teaching.”
“Today, we must be attentive to a false notion of conscience which would actually use the conscience to justify sinful acts, the betrayal of our call to holiness,” he said.
Concluding his talk, Burke stated that holiness of life demands a daily martyrdom of “public witness to our faith,” even if that witness demands the "shedding of blood."
“Surely, we face in our thoroughly secularized culture-of-fear some challenge to our faith in the face of the ever advancing anti-life and anti-family agenda of many who are in power in our culture.”
“The hostility, and more pervasively, the indifference to the beliefs we hold most dear, temps us to discouragement and even to avoid the more public witness to our faith. But, the martyrdom to which we are called, and for which we are consecrated and fortified by the sacraments of baptism and confirmation, requires us to offer tirelessly our witness, confident that God will bring forth the good fruit,” he said.
“Given the breakdown in family life and the wholesale attack on innocent and defenseless human lives, and the violation of the integrity of the union of marriage in our society, the call to the martyrdom of witness is even more urgent,” he concluded. 

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