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“Quod institútum, quam foret Deo accéptum et animárum salúti profícuum, sanctus Philíppus Nérius, qui Camíllo a sacris confessiónibus erat, comprobávit, dum ejus alúmnis decedéntium agóni opem feréntibus Angelos suggeréntes verba sæpius se vidísse testátus est” (Lect. V – II Noct.) - SANCTI CAMILLI DE LELLIS, CONFESSORIS, ET CLERICORUM REGULARIUM MINISTRANTIUM INFIRMIS FUNDATORIS

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La gloria e l’importanza storica di san Camillo de Lellis, consiste nel formar parte di quel gruppo scelto d’uomini apostolici, dotati d’una carità sublimemente eroica, che nel XVI sec., mentre dappertutto si sentiva il bisogno e si discorreva talora in senso meno cattolico d’una generale riforma della Chiesa, essi invece la operarono nel seno della Chiesa stessa, a lei umilmente soggetti ed in nome suo.
San Camillo, dopo una vita operosamente spesa nell’assistenza degli infermi nei pubblici ospedali di San Giacomo degli Incurabili e di Santo Spirito in Sassia, morì a Roma il 14 luglio 1614. San Filippo Neri, che fu già suo confessore, aveva visto gli Angeli stessi porre sulle labbra dei religiosi istituiti da san Camillo le parole più adatte a confortare i moribondi, trattandosi questo di un pietoso ufficio assai gradito agli angeli e detestato dal demonio.
Si racconta negli Atti del Processo Romano sulla vita di san Filippo che, mentre moriva in Roma il patrizio romano Virgilio Crescenzi, padre del cardinale Crescenzi, lo assistevano i camilliani e vi si trovava anche san Filippo Neri, il quale, rivolgendosi ad uno di essi, di nome Claudio Vincenzo, gli disse: «Attendete, o Padre, di buon animo a fare questo Santo officio di Carità verso i moribondi, perché io per vostra consolazione vi dico, che ho veduto gli Angeli del Signore mettere le parole in bocca ad uno dei vostri, mentre raccomandava l’anima ad un altro moribondo, dove anch’io mi ritrovavo presente» (Sanzio Cicatelli – Pantaleone Dolera, Vita di San Camillo de Lellis, Fondatore della Religione de’ Chierici Regolari Ministri degl’Infermi, Roma, 1837, pp. 212-213).


Così papa Leone XIII proclamò san Camillo quale celeste Patrono degli agonizzanti.
Roma cristiana ha dedicato due templi al nostro Santo. Il primo è la chiesa di San Camillo al Casaletto, edificata nel 1772 ed eretta in Parrocchia nel 1781. Essa sorge nel quartiere Gianicolense, in via Portuense.
La seconda chiesa è San Camillo de Lellis agli Orti Sallustiani, sorta nel 1910 in via Sallustiana, nell’omonimo rione (cfr. Massimo Alemanno, Le chiese di Roma moderna, vol. I, Il centro e i quartieri di Roma nord, Armando editore, Roma, 2004, pp. 41-45). La sua prima pietra fu benedetta da san Pio X. Essa è officiata dai camilliani e fu elevata da Paolo VI al rango di basilica minore nel 1965, che ne fece anche titolo cardinalizio.
Esiste poi un oratorio moderno, in via Veneto, quartieri Ludovisi, nel rione Colonna, inaugurato nel 1890 (cfr. Mariano Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, p. 304).
Il corpo del Santo riposa nell’edificio sacro, risalente al XV sec., affidata da Gregorio XV ai camilliani, i quali vi costruirono la chiesa attuale, dedicata nel 1727 a Santa Maria Maddalena (Santa Maria Maddalena prope Rotundam) (cfr. Ch. Huelsen, Le Chiese di Roma nel medio evo, Firenze 1927, p. 379). Vicino sorge il convento dello stesso Ordine religioso, nel quale si venera la stanza adoperata da san Camillo, trasformata in devotissima cappella (Mariano Armellini, op. cit., p. 318). 
La messa s’ispira tutta al concetto del sublime merito della carità cristiana, la quale raggiunge il suo apice più eroico quando, come impose il Santo alla Congregazione da lui fondata, sprezza la propria vita per venir in soccorso del fratello pericolante.

Leonardo Antonio Olivieri (attrib.), Immacolata tra i SS. Antonio da Padova e Camillo, 1750 circa, collezione privata

Ambito romano, S. Camillo de Lellis, XVIII sec., museo diocesano, Pitignano


Ambito dell'Italia centrale, S. Camillo, XIX sec., Città di Castello




18 luglio 1870 - proclamazione del dogma dell'Infallibilità Pontificia

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Il 18 luglio 1870 il Concilio Vaticano I, con il voto favorevole di 535 padri contro 2, approva la costituzione apostolica Pastor Aeternus sulla "istituzione, la perpetuità e la natura del sacro Primato apostolico, in cui sta la forza e la solidità di tutta la Chiesa". Pio IX sanzionò immediatamente il testo e si cantò il Te Deum di ringraziamento.




Te Deum in ringraziamento per il dogma dell'infallibilità pontificia proclamata il 18 luglio 1870

“Nullum fuit calamitátis genus, cui patérne non occúrrerit. Fidéles sub Turcárum jugo geméntes, infántes expósitos, júvenes díscolos, vírgines periclitántes, moniáles dispérsas, mulíeres lapsas, ad trirémes damnátos, peregrínos infírmos, artífices inválidos, ipsósque mente captos, ac innúmeros mendícos subsídiis et hospítiis etiámnum superstítibus excépit ac pie fovit” (Lect. VI – II Noct.) - SANCTI VINCENTII A PAULO, CONFESSORIS ET CONGREGATIONIS PRESBYTERORUM MISSIONIS ET PUELLARUM CARITATIS FUNDATORIS

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In lode di questo Santo, che nei secoli a noi più vicini fu uno di quelli che più si studiarono d'esprimere in sé medesimi le virtù di Cristo, basti dire che quando la peste, la fame e la guerra desolavano la Francia, la Provvidenza sembrò quasi d'aver affidato a Vincenzo le sue veci.
Per le mani di questo povero signor Vincenzo, Monsieur Vincent, come lo chiamavano, passarono somme enormi e soccorsi d'ogni genere, che venivano distribuiti alle affamate turbe.
L'autorità di san Vincenzo era immensa ed indiscussa in tutto il regno. Egli faceva parte, dal 1643, del c.d. Consiglio reale di coscienza, chiamatovi da Anna d’Austria, vedova di Luigi XIII; cosicché le nomine ai vescovadi ed ai benefici più pingui della Chiesa di Francia, sottostavano al controllo del Santo (cfr. André Frossard, Votre très humble serviteur Vincent de Paul, Paris 1960, trad. it. di Andrea Marchesi (a cura di), Il vostro umile servitore Vincenzo de' Paoli, Roma, Città Nuova, 19954, pp. 135-136), suscitando l’ostilità del potente card. Mazzarino. E lo stesso re di Francia, Luigi XIII, qualche ora prima di morire il 14 maggio 1643, gli dirà «Ah! Monsieur Vincent, se vivessi, ordinerei che i vescovi facessero ritiro da voi per tre anni prima di prendere possesso della loro diocesi» (ibidem, p. 124).
Eppure Vincenzo, mite ed umile di cuore, con la medesima semplicità evangelica e veste esteriore povera e dimessa, con la quale si aggirava per Parigi e raccoglieva per la strada gli orfanelli abbandonati e i malati derelitti, saliva poi le scale magnifiche della reggia e prendeva parte ai consigli della Corona.
San Vincenzo de’ Paoli fondò la Congregazione dei Preti della Missione e la società delle Figlie della carità, e morì in età avanzata il 27 settembre 1660.
Roma cristiana ha dedicato due chiese al nostro santo. La prima è San Vincenzo all’Aventino, edificata nel 1893 alle falde del colle Aventino, nel rione Ripa, ed a cui è annessa la Casa Generalizia delle Suore della Carità, figlie di Santa Giovanna Antida Thouret (cfr. Massimo Alemanno, Le chiese di Roma moderna, vol. III, I Rioni Ripa e Testaccio e i quartieri del quadrante sud-est, Armando editore, Roma, 2007, pp. 29-31). La seconda è Santa Maria Immacolata e San Vincenzo de’ Paoli, costruita nel 1950, in via Tor Sapienza (ibidem, pp. 143-144).
Di san Vincenzo de’ Paoli, rileviamo soprattutto una virtù da imitare. Si narra che a questo caro Santo nulla piacesse, se non in Gesù Cristo, nel quale egli viveva e conformemente al cui spirito egli agiva. Perciò, nei casi un po' dubbi, si fermava un istante e rifletteva: in quest'occasione, cosa avrebbe fatto Gesù? e secondo come lo Spirito Santo lo illuminava interiormente, così egli operava. L’esercizio di san Vincenzo de’ Paoli era, quindi: «Se Cristo fosse al mio posto, cosa penserebbe, cosa direbbe o farebbe?»  e così pregava: «Si tu étais à ma place, que ferais-tu, Seigneur ?».



Pietro Gagliardi, La carità di S. Vincenzo, XIX sec.

Andrés Cortés y Aguilar, La carità di S. Vincenzo, XIX sec.

Autore anonimo, S. Vincenzo de' Paoli, XVIII sec., Casa provinciale vincenziana, Madrid

Autore anonimo, S. Vincenzo con la stola, XVII sec., Mondovì

Simon François de Tours, S. Vincenzo de' Paoli, XVII sec., Casa Madre vincenziana, Parigi

Simon François de Tours, S. Vincenzo de' Paoli, XVII sec., Cappella dell'Ospizio, Moutiers-Saint-Jean

Simon François de Tours, S. Vincenzo de' Paoli, XVII sec.

Anonimo, S. Vincenzo col Crocifisso, XIX sec., Casa delle Figlie della Carità, Gumpendorf

Anonimo, S. Vincenzo mentre predica, XIX sec., Casa vincenziana, Bisceglie

Scandalo in Argentina: il "cardinal" Ravasi partecipa attivamente ad un rito di adorazione della divinità pagana Pacha Mama, la dea Madre Terra: un atto di idolatria ed apostasia

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"Colui che offre un sacrificio agli dèi, oltre al solo Signore, sarà votato allo sterminio" (Es. 22, 19)

"... i sacrifici dei pagani sono fatti a demòni e non a Dio. Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demòni; non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni" (1 Cor. 10, 20-21)

20 luglio 1903 - Pio transito del Sommo Pontefice Leone XIII

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Leone XIII sul letto funebre, dopo l'imbalsamazione, esposto con baldacchino per la prima esposizione semipubblica per il personale vaticano, nella sala del Trono. Indossa abiti regolari (camauro e mozzetta ermellinati). Dai tempio di Pio IX solo i papi possono fruire di un'esposizione pubblica. Verosimilmente, infine, con papa Pecci non si svolse, per la prima volta, il rito del martelletto battuto sulla fronte del pontefice defunto

Il corpo del papa, integralmente imbalsamato con l'asportazione dei c.d. precordi (sarà l'ultima imbalsazione in questo senso), esposto su catafalco obliquo nella Cappella del Sacramento nella Basilica vaticana per la venerazione dei fedeli. Con  la morte di papa Pecci, i precordi furono sepolti per l'ultima volta nella ormai ex chiesa palatina del Quirinale, cioè la chiesa - oggi in mano agli ortodossi (che affronto per i veri papi!!!) - dei Santi Vincenzo ed Anastasio al Quirinale





Tomba di papa Pecci al Laterano. Prima di essere traslato, nel 1928, al Laterano, come aveva lasciato scritto, il corpo del Papa fu conservato nel c.d. loculo dei provvisori, in San Pietro, sulla c.d. Porta della Cantoria, oggi occupata e tappato dalla statua di San Pio X. Per queste ed altre notizie, v. qui

Le radici storiche del dissenso dal Vaticano II al Sinodo sulla Famiglia

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Nella memoria liturgica di Santa Prassede di Roma, vergine e martire, rilancio quest’interessante relazione – in inglese – del prof. De Mattei.


Jan o Johannes Vermeer van Delft, S. Prassede, 1655, Collezione privata

Jacques de Létin, S. Prassede raccoglie il sangue dei cristiani suppliziati, XVII sec., Musée départemental, Vic-sur-Seille

In essa, il relatore fa una sintesi del suo ultimo testo pubblicato, Il primo schema sulla famiglia e sul matrimonio del Concilio Vaticano II (v. qui).


The historical roots of dissent, from Vatican II to the Synod on the Family

Editor’s note: This talk was originally given May 2015 in Rome during the Rome Life Forum.

ROME, July 1, 2015 (LifeSiteNews-- The past helps us to understand the present. If we want to understand the causes of the current cultural and moral crisis, we need to go back at least half a century to the beginning of the 1960s.
In the first half of the twentieth century, Europe had experienced two terrible world wars and the horrors of Communist and National Socialist totalitarianism. Families paid for this in blood, but the family remained a strong social and moral bulwark.
Marriage was the indissoluble bond between a man and a woman, directed towards the formation of a stable family. Adultery was a sin which was socially frowned upon. It was even mentioned in the penal code. The great majority of women were virgins when they got married. They dreamed of starting a family and they had a strong sense of modesty and a spirit of sacrifice.
It would not be right, however, to idealise the situation. If everything had been perfect then it would not have changed so quickly. Hypocrisy was widespread: official respect for the family hid the reality of practices which tended towards free love. It was this gap between professed morality and actual practice which prepared the ground for the Cultural Revolution of the 1960s.

The 1968 revolution

The great change occurred in 1968. 1968 was a cultural revolution which went deeper than any political revolution. It presented itself as a revolution in domestic affairs which aimed to “liberate” the instincts of the individual and of the masses from the yoke of centuries of culture and civilisation.
The slogans of 1968 expressed a radical hatred of the family, which was accused of being the means for the transmission of those values which opposed the communist social revolution. It was said that the workers were revolutionaries in the factory and reactionaries in the family. The revolution had to be transferred from the factory to the family. 1968 was the attempt to bring the concept of revolution out of the socio-political domain into the domain of private life, that is from society to man himself.
In the years of the student revolution, Agnes Heller, the most famous disciple of the Hungarian communist, György Lukacs, published a book with the significant title “The sociology of daily life” in which she affirmed that in 1968, “It was neither political systems nor economic arrangements which changed, but instead the way of life. From this came the sexual revolution and the change in educational systems.” Sexual revolution and the change in educational systems: family and school, the two pillars on which education is based, were the principal victims of 1968. In those years the works of the Austrian psychoanalyst, Wilhelm Reich, were widely disseminated: he presented the family as the repressive social institution par excellence and claimed that “the core of happiness lies in sexual happiness.”
Sexual liberation was the weapon used to destroy the family. Nineteenth century Romanticism had fought reason in the name of sentiment. The revolution of 1968 fought reason in the name of the sexual instincts. The first step was the introduction of divorce, the second was the separation of the concept of marriage from the concept of starting a family. Sexual liberation was embodied in the feminist movement. Women demanded their social role and put themselves in the place of the proletariat as an actor of revolution.
In May 1960, the contraceptive pill, Enovid, came onto the market in the United States. It was produced by a doctor, Gregory Pinkus, thanks to massive financial support from Margaret Sanger and Katharine McCormack, the two apostles of contraception, abortion and eugenics. The pill became the instrument par excellence of sexual liberation.
What was the attitude of the Catholic Church towards the 1968 Revolution?
We can find an answer to this question by looking at what happened before, during and after the Second Vatican Council, the 21st Council of the Church, which took place between 1962 and 1965.
According to the teaching of the Church, marriage is an institution which is one and indissoluble, instituted by God for the propagation of the human race. Its primary purpose is procreation, which is not a purely biological act but which also includes the natural and supernatural education of children. The secondary purposes of marriage are the mutual help the spouses give one another and the remedy of concupiscence. Chastity, within and outside marriage, was considered to be a Christian value: sexual union outside the sacrament of marriage is a grave sin.
Until the 1960s, all Church moralists taught this doctrine and all pastors and confessors referred to it as expressed in the encyclicals Arcanum of Leo XIII and Casti connubi of Pius XI, and in the teaching of Pius XII in numerous speeches given to married persons, doctors and to the Roman Rota.


But in the 1950s and 1960s, a process began by which traditional morality was subverted. The protagonists of the change were theologians like the German Jesuit Josef Fuchs (1912 - 2005), a professor at the Gregorian University, and above all the German Redemptorist, Bernard Häring (1912-1998), professor at the Alphonsian Academy. They applied to moral theory the theses of the nouvelle théologie which had only recently been condemned by Pius XII in his encyclical, Humani generis. This nouvelle théologie, a product of modernism, believed in the principle of the evolution of dogma. The new moralists extended this principle to the moral domain, denying the existence of an absolute and immutable natural law.
The key point of the innovators was and remains the substitution of the concept of nature with the concept of person. According to classical philosophy, man, before becoming a person who is the holder of rights and duties, has his own nature, a human nature which distinguishes him from animals and angels. To say that there exists such a thing as human nature is therefore to say that there exists an objective and immutable natural order which precedes our birth and transcends us. This order presupposes a law, natural law, which is not external to man but which is instead written into his very heart.
Moral personalism, influenced not only by existentialism but also by evolutionist theories, propagated by Teilhard de Chardin, turned this traditional doctrine on its head. A moral code rooted in natural law was replaced by an evolutionary ethic based on the subjective choice of the person. This re-foundation of morality on the person, rather than on the objective reality of nature, meant giving a dominant role to human conscience. If the person precedes nature, then it is based on its own self-awareness and will. The moral rule is no longer objective and rational but affective, personal and existential. Individual conscience becomes the sovereign norm of morality. Conjugal morality constituted, and continues to constitute, the privileged area in which this new anthropology is deployed.

Vatican II convened

On October 9, 1958, Pius XII died. On 25 January 1959, only three months after his election to the throne of Peter, Giovanni XXIII announced the opening of the Second Vatican Council. This caused a great deal of surprise but the groundwork for the Council was undertaken scrupulously and carefully by means of a pre-preparatory phase of one year and a preparatory phase of two years.
In the spring of 1960, the consilia et vota were collected, that is the 2,150 responses received from bishops, from all over the world, who had been asked about the subjects to be raised at the forthcoming assembly. This material was handed over to ten committees appointed by the Pope who worked under the supervision of Cardinal Ottaviani, Prefect of the Holy Office. In 1962, the first seven schemes for the Council’s constitutions were submitted to the Pope. These documents, on which ten committees had worked for three years, gathered together the best of 20th century theology. They were texts which went to the very heart of the problems of the age, and they did so in a clear and persuasive language. Giovanni XXIII studied them attentively and made annotations in his own hand: “On all the schemes,” records Mgr. Vicenzio Fagiolo, “the same expressions are often repeated in the margins - ‘Good’, ‘Excellent’.” The Pope approved these drafts and on 13 July, three months before the Council opened, he ordered that they be sent to all the Council Fathers as the basis for the discussions in the general congregations.
One of the most important schemes was called “Draft of a Dogmatic Constitution on Chastity, Marriage, the Family and Virginity.” The authors believed rightly that it was not possible to discuss marriage without discussing chastity.
The draft reaffirmed not only the principle of the unity and indissolubility of marriage but also the principle of the hierarchy of the aims of marriage. The text stipulated that, “The primary end of marriage is only the procreation and education of children, even if a particular marriage is not fruitful” (Section 11). “The other objective ends of marriage, which arise from the nature of marriage itself but are secondary, are the mutual help and solace of the spouses in the communion of domestic life and what is called the remedy for concupiscence.” Among the errors condemned in the document are (Section 14) “the theories by which, in an inversion of the right order of values, the primary purpose of marriage is esteemed less than biological and personal values and conjugal love, in the objective order itself, is proclaimed to be the primary purpose.”
In the second chapter, devoted to the rights, obligations and virtues proper to Christian marriage, the draft - in line with the traditional Augustinian doctrine of the three goods - distinguishes between the “bonum prolis”, the Good of Children, the “bonum fidei”, the Good of Fidelity, and the “bonum sacramenti”, the Good of the Sacrament. From the bonum prolis derives the right and the duty of spouses to procreate, but artificial fertilisation is prohibited as is the use of contraception, therapeutic abortion and any other manner of terminating a pregnancy.
From the Good of the Sacrament derives the indissolubility of marriage. As the document emphasises, “Those who are deceitfully and invalidly married against the laws of the Church are rightly considered as public sinners, and the Church has the right publicly to declare them to be publicly sinning and to inflict canonical penalties upon them.” (Section 19). Civil divorce is condemned (section 20), free love (section 22) and the position is proclaimed mistaken “which maintains that a marriage can be declared invalid or dissolved solely because of a failure of love.”
In the third part, finally, sacred virginity is praised. The document recalls the condemnation of “those who dare to maintain that the marital state is to be preferred to the state of virginity or celibacy” (section 38). Christian parents are invited to foster sacred vocations by “prayer, purity of life, and veneration for the priestly and religious state.”

The drafts rejected

Giovanni XXIII was convinced that the Council, being pastoral, would conclude very quickly. When Mgr Pericle Felici, secretary of the Council, presented him with the draft documents for the Council, Pope Roncalli commented enthusiastically, “The Council is done, we can conclude by Christmas!” In reality, by Christmas of that year all the drafts approved by Giovanni XXIII had been rejected by the assembly. The Second Vatican Council was to last not three months but three years.
What happened? A group of Council Fathers from Central Europe and Latin America, who had the principal representatives of the “nouvelle théologie” as their experts, had decided to reject the schemes prepared by the Roman commissions because they thought them too traditional.
Vatican II was officially opened on 11 October 1962. On 13 October, the first general congregation was inaugurated. But at the opening of the session, there was an unexpected and dramatic turn of events. The role of bishops’ conferences, which had not been foreseen in the rules of procedure, was given official sanction. The bishops’ conferences were guided not so much by the bishops who belonged to them, but instead more by their experts, theologians, many of whom had been condemned by Pius XII and who were preparing to play a decisive role in the Council.
The schemes approved by Giovanni XXIII were excellent working drafts. They could certainly have been improved but they did not deserve to be turned upside down and re-written. Yet this is what happened. The schemes were thrown into the bin and revised in a completely different spirit and length. The draft on marriage underwent a tormented revision.
The original draft on marriage and the family was absorbed into a text which was initially called Scheme 17, later Scheme 13, before being entitled Gaudium et Spes.
Father Bernard Häring, who had been appointed an expert of the Council and then secretary of the Commission on the modern world, was one of the primary architects of this document. Father Häring and the other authors of Gaudium et Spes were mainly interested in the problem of birth control.
A colleague of Pinkus, the medic John Rock, in a book which was widely discussed, The Time Has Come, argued that the Catholic Church needed to adopt a new approach towards the issue of birth control. These arguments found favour with the new moralists and with Council Fathers from the progressive minority. These people rejected the teaching of the Church, according to which the use of contraceptives is a grave sin, and they called instead for the Church to accept the pill. Within the halls of the Council a decisive battle was waged between the progressive and traditional minorities. This battle went beyond the pill to include the ends of marriage. At issue was the very basis of natural law itself.
The speech which caused the greatest sensation was that of Cardinal Leo Suenens, Archbishop of Brussels, on 29 October 1964, who referred to birth control with these vehement words: “It could be that we have accentuated the words of Holy Scripture, ‘Go forth and multiply’, to the extent that the other divine words have been overshadowed, ‘The two will become one flesh’. Let us follow the progress of science. I implore you, brothers: let us avoid a new trial of Galileo. One is enough for the Church.”
These words caused indignation among those Council Fathers who remained faithful to the teaching of the Church. They disconcerted Paul VI who decided to delete the issue of birth control from Gaudium et Spes, reserving discussion of it to the committee which Giovanni XXIII had created in 1963, on the advice of Suenens.
After long discussions, the pastoral constitution, Gaudium et Spes, was approved on 7 December 1965, by 2,309 votes in favour and 75 against. Only paragraphs 47 to 52 deal with marriage and the family, far less space than that given to the issue in the original draft. The most surprising aspect of Gaudium et Spes, however, is the lack of any presentation of the traditional order of the ends of marriage, the primary and the secondary. In paragraph 48 it is said that in marriage an “intima communitas vitae et amoris coniugalis” is created between the spouses. The institution of marriage, therefore, is defined without any reference to children and only as an intimate community of conjugal life. Moreover, in the succeeding paragraphs, conjugal love is discussed first (paragraph 49) and procreation second (paragraph 50).
The document avoided reaffirming the hierarchy of the ends of marriage. Like many other texts, it is an ambiguous document because it refuses to define a hierarchy of ends: it thereby leaves open the possibility that doctrine can be inverted. Moreover, logic teaches that two different values cannot be absolutely equal to one another. In case of a conflict, one or other of the equated values is bound to prevail. The majority of Council Fathers voted for the document intending that the primary end of marriage would remain procreation, based on the objective nature of the institution of marriage. The progressive Fathers, on the other hand, understood that equating the two ends meant denying the primacy of procreation. They also understood the implicit claim that conjugal love has primacy, based not on nature but on the person. It was this interpretation which prevailed in the post-conciliar period.

Humanae Vitae and dissent

The Second Vatican Council concluded on 8 December 1965. However, the committee on birth control, which had been set up by Giovanni XXIII and confirmed in existence by Paul VI, continued its work. Towards the end of June 1966 it presented its conclusions to the Pope. Public opinion widely believed that Paul VI had changed the traditional doctrine of the Church under pressure from the feminist movement. Almost everywhere, family planning was presented as a necessity in the modern world and the contraceptive pill as an instrument of women’s “liberation”. Between 1966 and 1968, Paul VI seemed to waver before taking a tormented and belaboured decision. Finally, on 25 July 1968, the Pope promulgated the encyclical, Humanae Vitae. In this document, and in spite of the opinion of the majority of experts he consulted, Paul VI reaffirmed the condemnation of artificial contraception.
A few days later, on 30 July 1968, under the headline “Against the encyclical of Pope Paul,” the New York Times published an appeal signed by more than 200 theologians which called on Catholics to disobey Paul VI’s encyclical. The main promoter of the text, Don Charles Curran, a theologian at the Catholic University of America, had been a pupil of Father Häring.
A group of protagonists of the Council who were against Paul VI’s encyclical, including the cardinals Suenens, Alfrink, Heenan, Döpfner and König, met in the German city of Essen to coordinate their opposition to Humanae Vitae. On 9 September 1968, during the Katholikentag, a resolution was voted by an overwhelming majority calling for the encyclical to be revised. This was something which had never happened before in the long and tormented history of the Church. The exceptional fact is that open dissent from the Pope, and from the traditional doctrine of the Church, did not come only from theologians and priests, but even from some episcopates, including the Belgian, headed by the cardinal primate Leo Suenens, and the German, chaired by Cardinal Julius August Döpfner.
The origins of the dissent by the German episcopate in recent months lie in this event.
Paul VI was traumatised by this dissent as it came from some of the people who had been closest to him in the Council. In the ten years after Humanae Vitae, he did not publish any further encyclicals, after having published seven between 1964 and 1968. The Vatican did not oppose the cultural revolution of 1968 but instead compromised with it. It was especially priests from the North who were involved in the contestation of 1968, above all those who as chaplains had come into close contact with the world of universities: the Faculty of Sociology at the University of Trent is a case in point.
As a result, the post-conciliar period did not follow the instructions of Humanae Vitae, but instead those of Cardinal Suenens and the dissident theologians.
In universities and pontifical seminaries, Father Häring’s views, and those of his disciples, came to predominate. Even today he is considered to be “the father of modern moral theology”. The new moralists argued that it was necessary to move from a biologist and physicist conception of morality to an open and evolutionary ethic. They replaced the objectivity of natural law with the will of the “person” immersed in “situational ethics”. Since sex constitutes an integral part of the person, they argued for the role of sexuality, defined as “a primary function of personal growth”, and quoted Gaudium et spes (No. 24), according to which it is only in a relationship of dialogue with others that the human person achieves fulfilment.

The triumph of situational ethics

The encyclical, Veritatis Splendor, of John Paul II reaffirmed the existence of the natural law and of moral absolutes. But in practice, situational ethics and the ethics of the lesser evil prevailed. Pontifical teachings were disobeyed and today contraception is widely used by Catholic couples with the support of confessors, moralists, bishops and even bishops’ conferences. After contraception, abortion, extra-marital cohabitation and homosexuality spread among Catholics. These were often justified by theologians and bishops who argued for the need for a new pastoral approach, brought up to date and adaptable to circumstances. No less a body than the Extraordinary Synod of Bishops on the Family, which took place in 2014, seemed to welcome the arguments of Cardinal Kasper, according to which doctrine had to adapt to practices which were common among Christians in matters of sexual morality, rather than rectifying their behaviour according the immutable natural and divine law.
This is the result of a moral relativism which comes from a long time ago and whose origins it is necessary to recall.
If the primary end of marriage is not procreation, then marriage’s highest expression lies in the love between the spouses. But the love of spouses comes from an act of will and an act of will can decree the purpose of it. If morality is not rooted in nature, but instead in the person, then the relationship between the spouses prevails over the objective good of the family. And if it is claimed that the interpersonal relationship has primacy, it is inevitable that the same principle will be extended to extra-marital relationships including homosexual ones.
The original draft of Vatican II, so imprudently abandoned, reminds us that marriage and the family are not realities subject to historical evolution. They are natural realities which are regulated by immutable laws. This means that every attempt to destroy them is destined to fail because every man who is born, and every generation which arises, carries with it the need for a family. And the greater the crisis within society, the greater this need for the family.
The historian, Alberto Melloni, in a recent paper entitled “Love without an end, love without ends,” is consistent when he launches an unprecedented attack against the family. Melloni is the most famous exponent of the Bologna school, the follower of Giuseppe Alberigo. In order to stop this attack, one would need courageously to open a debate on the Second Vatican Council, or at least to discuss some of its documents, starting with Gaudium et Spes, distinguishing what is pastoral from what is doctrinal, what is in conformity with tradition and what claims to innovate, what must be believed and what can be rejected. Progress consists also in such critical re-examinations of the past.

The synod must dispel confusion

We cannot hide from the fact that a battle is underway. Cardinals, bishops, priests, lay people, men of letters and ordinary faithful, are called to assume their responsibilities and to be witnesses of the faith. Today one can and one must be a witness of the truth of the Gospel of Christ, not only in far-flung parts of the world where a violent persecution has been unleashed against Christians, but also in the centre of the world, in the very heart of a Synod in which not the physical life of Christians will be under attack but the living word of Jesus Christ, the source of life for souls in society and in the Church.
The Synod is devoted not to theological issues but to a moral one which concerns the daily life of many Christians. What do we expect from this Synod, as Catholics? We expect that the Synod dispel confusion. It can do this only by reviving the notions of good and evil, notions which have been extinguished from the souls of the faithful.
It is essential to know with certainty what is just and what is unjust, what can be done and what cannot be done, what forms of behaviour are just, and what are mistaken.
We expect that the rules of Catholic morality will be recalled in such a way as to direct our behaviour. We expect that errors will be condemned, and that their catastrophic consequences for souls and society will be demonstrated. It is necessary to explain that divorce is illicit, that it has ruinous consequences for the family and that, above all, it leads to the perdition of souls. It is necessary to recall that it is not licit for remarried divorced people to accede to the sacraments of the Church if they do not remove the root cause of their sinful situation.
To demonstrate error helps to illuminate truth. The greater our revulsion against evil, the greater will be our love for the good. This good needs to be illustrated by speaking of the value of virginity, chastity and continence.
A Synod devoted to family which attacks natural law, which pays no attention to the primary end of marriage, which draws a veil of silence over sin, and which does not promote the value of chastity both within and outside of marriage, is condemned to pastoral failure. Above all, it risks disowning the principles of Catholic morals.

Roberto de Mattei is a Professor in the European University of Rome. He has founded and oversees the Lepanto Foundation; directs the magazine Radici Cristiane and the News Agency Corrispondenza Romana.

Magdala: la città di Maria Maddalena

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La negazione della Legge di Dio ed i Suoi diritti

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All’indomani delle due discusse pronunce, rispettivamente della Corte Europea dei diritti dell’uomo (per un commento a questa sentenza, vqui) e della Suprema Corte di Cassazione, I sezione civile, n. 15138/2015 (per la vicenda, v. qui), nella memoria della Santa penitente Maria Maddalena, rilancio questo contributo – in inglese – quantomeno indicato, tratto dal consueto Rorate Caeli.

Juan Correa, La conversione di Maria Maddalena, 1671 circa, Museo Nacional de Arte, Città del Messico

The Denial of the Law of God
and His Rights


In his great encyclical letter Libertas Praestantissimum, Pope Leo XIII explains that it is not man’s place to dictate to God what man owes Him, but rather humbly and obediently to receive from God the law that must be followed if we are to please Him and attain the happiness for which He created us:
If the human mind be so presumptuous as to define the nature and extent of God’s rights and its own duties, reverence for the divine law will be apparent rather than real, and arbitrary judgment will prevail over the authority and providence of God. Man must, therefore, take his standard of a loyal and religious life from the eternal law; and from all and every one of those laws which God, in His infinite wisdom and power, has been pleased to enact, and to make known to us by such clear and unmistakable signs as to leave no room for doubt. And the more so because laws of this kind have the same origin, the same author, as the eternal law, are absolutely in accordance with right reason, and perfect the natural law. These laws it is that embody the government of God, who graciously guides and directs the intellect and the will of man lest these fall into error. (Libertas 17)

We see in these luminous words the confidence of a pope and of a church convinced of the reality and primacy of God, the existence of absolute truth, the ability of reason and faith to know that truth—and the ability of even fallen men to live according to that truth with the help of God’s grace (as Pope Leo develops at greater length elsewhere in the same encyclical, and as John Paul II was to do so masterfully in Veritatis Splendor).
Monsignor Robert Hugh Benson, too, proclaimed with inimitable eloquence the same fundamental truth in regard to the condemnation of heresy, which, together with the reconciliation of the repentant heretic, is one of the greatest exercises of mercy of which the Church is capable:
The Catholic Church then is, and always will be, violent and intransigent when the rights of God are in question. She will be absolutely ruthless, for example, towards heresy, for heresy affects not personal matters on which Charity may yield, but a Divine right on which there must be no yielding. Yet, simultaneously, she will be infinitely kind towards the heretic, since a thousand human motives and circumstances may come in and modify his responsibility. At a word of repentance she will readmit his person into her treasury of souls, but not his heresy into her treasury of wisdom; she will strike his name eagerly and freely from her black list of the rebellious, but not his book from the pages of her Index. She exhibits meekness towards him and violence towards his error; since he is human, but her Truth is Divine. (Palm Sunday Homily, Paradoxes of Catholicism)

How far we have lost this conception of the Church’s primary obligation to God, His truth, and His holiness, and how far we have settled for a worldly compromise with sin and error, can be seen if we consider an astonishing passage from Cardinal John Henry Newman, which, were it written today, would be considered offensive, outrageous, imbalanced, and possibly a form of hate speech:
The Church aims, not at making a show, but at doing a work. She regards this world, and all that is in it, as a mere shadow, as dust and ashes, compared with the value of one single soul. She holds that, unless she can, in her own way, do good to souls, it is no use her doing anything; she holds that it were better for sun and moon to drop from heaven, for the earth to fail, and for all the many millions who are upon it to die of starvation in extremest agony, so far as temporal affliction goes, than that one soul, I will not say, should be lost, but should commit one single venial sin, should tell one wilful untruth, though it harmed no one, or steal one poor farthing without excuse. She considers the action of this world and the action of the soul simply incommensurate, viewed in their respective spheres; she would rather save the soul of one single wild bandit of Calabria, or whining beggar of Palermo, than draw a hundred lines of railroad through the length and breadth of Italy, or carry out a sanitary reform, in its fullest details, in every city of Sicily, except so far as these great national works tended to some spiritual good beyond them. Such is the Church, O ye men of the world, and now you know her. Such she is, such she will be; and, though she aims at your good, it is in her own way,—and if you oppose her, she defies you. She has her mission, and do it she will, whether she be in rags, or in fine linen; whether with awkward or with refined carriage; whether by means of uncultivated intellects, or with the grace of accomplishments. Not that, in fact, she is not the source of numberless temporal and moral blessings to you also; the history of ages testifies it; but she makes no promises; she is sent to seek the lost; that is her first object, and she will fulfil it, whatever comes of it. (Difficulties of Anglicans, lecture 8)

Note that for Newman, the seeking of the lost means nothing other than the mission to save sinners from sinning—to induce them, however she can, by God’s grace, to follow His law, and thus to cease from lying, stealing, or any other action that can harm the soul, including the slightest venial sins. What, then, would Newman have said about the legalization of divorce, serial polygamy and polyandry (i.e., “remarriage”), contraception, sterilization, abortion, sodomy? Let us not kid ourselves: we are looking at the progressive dehumanization of man, the escalating asphyxiation of society, and the accelerating decomposition of the Church, with the concomitant loss of countless souls to eternal damnation—and there are still bishops who dare not to speak up in defense of God’s truth and His immutable rights, or who absurdly claim that “the law of the land is the law of the land,” or who are just hoping that if they sit still and do nothing, no one will raise a hand against them? It is like the apostasy of the Church in England under Henry VIII. We will have our heroic St. John Fishers and our St. Thomas Mores, along with a greater number of cowards, opportunists, apostates, and traitors.
Leo XIII, Cardinal Newman, and Msgr. Benson, like so many of their age, knew that the Catholic Church was locked in mortal combat with the irreligious and libertine spirit of modernity. They did not parley with it, they did not create committees for joint endeavors, they did not stand on their heads and squint with one eye until they could see something vaguely positive in it. They condemned it as poison, warned against it ceaselessly, and fought its dreadful effects with all their powers. They lost the fight, but only because their cause was betrayed by their own clerical brethren in the twentieth century. The crisis in the church is a crisis of bishops—whenever the Church is in turmoil, this will always be at the source of it. St. Gregory Nazianzen bears witness to this sobering fact when he writes:
The light and eye of the Church is the Bishop. It is necessary then that as the body is rightly directed as long as the eye keeps itself pure, but goes wrong when it becomes corrupt, so also with respect to the Prelate: according to what his state may be, must the Church in like manner suffer shipwreck, or be saved. (cited in St. Thomas, Catena aurea on Luke 11)

Nevertheless, it was Cardinal Newman who, in his Arians of the Fourth Century, offered a well-documented and timely reminder that it was primarily the laity, under the guidance of a few stalwart bishops, who kept the true Faith in the horrible time of the Arian crisis. Today it is and will be no different. Let us glory in our baptismal privilege of having and keeping the true Faith, in union with Christ crucified and risen; let us glory in our Confirmation that enlisted us in the ranks of our blood-stained victorious King, to bear Him witness and fight His battles on earth. “Thus saith the Lord to you: Fear ye not, and be not dismayed at this multitude: for the battle is not yours, but God’s” (2 Chronicles 20:15).

Fonte: Rorate caeli, Jul. 21, 2015

L'apostasia e l'idolatria dilagano nella Chiesa come fiume limaccioso .......

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Non bastavano cardinali (v. qui) e vescovi (v. qui) che partecipavano attivamente a riti pagani, di cui abbiamo dato conto nel blog. Ora, si cerca anche di paganizzare, in un certo qual modo, anche la Santa Messa, cantando ed inneggiando al termine della stessa a Gaia, cioè la madre terra …. come capitato in questi giorni in una messa domenicale nella diocesi di Toronto.
La notizia è riportata in Italia dal Timone.

Archdiocese of Toronto: Televised Mass for Shut-Ins features Hymn to Earth goddess Gaia!

For those of us that work to ensure that the music in the Holy Sacrifice of the Mass is focused on the true worship of God and with the dignity that befits the sacred liturgy, the introduction of hymns has been a challenging exercise. 
I contend that the single worst problem with Catholic worship today as it relates to what is ridiculously considered to be sacred or liturgical music resides in the 1967 document, Musicam Sacram. For the first time in the history of the Church; hymns were used to supplant the antiphons, liturgical texts from Holy Scripture structured in the Mass for over 1,500 years. This was right out of Luther's Mass. How diabolical! More often than not, we see these sacred texts in the Ordinary Form of the Mass, the Entrance, Offertory (yes, it exists) and Communion antiphons, replaced by hymns of dubious quality and theology. Hymns replacing scripture. The whole premise seems counter to the increased reading of scripture in the Mass that the reformers (I prefer to call them what they were, revolutionaries) allegedly wanted; or was it?
Less control of course is given over the recessional hymn which is certainly not necessary as technically speaking, Mass has ended just before with the Ite. Yet, this is a time, should a hymn be chosen, for glorious singing of praise or thanksgiving to God or perhaps the Blessed Mother or Saint of the Day.
For those poor souls trapped inside and unable to attend the Holy Mass in Toronto, they often choose to be subjected to the liturgical banality of a televised Mass for Shut-Ins which does not substitute for the Sunday obligation.
Is that not bad enough?
No, it seems.
How about this hymn to the pagan earth goddess, gaia at the end of the Holy Sacrifice of the Mass. You can listen to it yourself at 27:30.
This is a disgrace. How hard, some of us have worked for proper liturgy to the glory of God and the edification of his people. How disgusting it is to see this priest and these laymen and women and these musicians do such a disgrace.
So unprofessional; so scandalous to the faithful held hostage by these liturgically incompetent musicians and priests who permit this right under their noses. Have they no faith? 
There is no excuse for this in Toronto, not with the presence of St. Michael's Choir School and the outstanding work done there for over eighty years. Msgr. Ronan would not be amused but I think, they all hated him anyway.
Let nobody tell you that the liturgy in the Archdiocese of Toronto, except for a few minor exceptions, is not impoverished, banal, self-serving and narcissistic. Those are harsh words, this is a condemnation and I am tired of preaching and working for something better when ecclesiastics really don't seem to give a damn. 
A few months ago, a bishop stopped to question me about the book, the Simple English Propers and his questioning of the existence of the Offertory Antiphon. I had to explain to a bishop, what it was. Who the hell am I to explain liturgy to a bishop?
I have over 25 years as a Cantor in the Ordinary Form. I find this liturgical bile reprehensible and insulting to Our Lord and to the work that those of us faithful have done. Frankly, I think there is simply no hope for the reformed liturgy. I am becoming more convinced than ever that the future of the Church is back to its past. 
Pagan gaia worship, and on the official Archdiocese of Toronto YouTube page!
Enough!
Cardinal Collins, you need to fix this!


Gaia in Greek mythology is the goddess who personified the Earth generates divine races. Second born after Chaos and before Eros. He was revered, especially in Attica, as the goddess of the dead and the underworld. In late period it is to merge with the various figures of the Universal Mother and the Mother of the Gods. It was identified by the Romans with Tellus.
The global environmental movement has spread the name, and in some even the worship of Gaia, arguing that the earth is a sentient super-organism, which lives in the spirit of the ancient goddess worship and reverence it deserves.

The British chemist and environmentalist guru James Lovelock's book "Gaia: a new look at life" (Gaia: new ideas on ecology) writes that "all forms of life on the planet are a part of Gaia - part of the spirit the goddess that sustains life on earth. From the beginning of this transformation in a living system, the actions of Gaia have created diversity in evolution of living creatures on the planet earth. "
A hymn to Gaia was sung at the end of the Mass broadcast on Sunday by the television channel CTV Toronto, Mass and entrusted to the archdiocese Canadian television space (in the video above per minute 27:30).
The song is titled "Beautiful Gaia" and was written by American Carolyn McDade, feminist and composer of songs spiritualeggianti often used in the liturgies Protestant and Catholic unfortunately.

Card. Burke: "La forma straordinaria: un tesoro per tutta la Chiesa"

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Nella vigilia della festa di San Giacomo Maggiore, che veneriamo col titolo di Matamoros, e nella memoria liturgica di Santa Cristina, Vergine e Martire, volentieri rilancio quest’intervista al card. Burke da parte di don Claude Barthe, stralci della quale sono stati pubblicati in esclusiva da Paix liturgique.

Vicente Carducho, S. Giacomo alla battaglia di Clavijo, 1605 circa, museo del Prado, Madrid

Corrado Giaquinto, La battaglia di Clavijo, 1755-56, museo del Prado, Madrid

Carlo Dolci, S. Cristina di Bolsena, 1650-55, Kedleston Hall, Derbyshire

La forma straordinaria: un tesoro per tutta la Chiesa

Nell’autunno del 2015 uscirà la traduzione francese (*) del libro del cardinale Raymond Leo Burke “Divine Love Made Flesh” (L’Amore divino si è fatto carne). Quest’edizione comprenderà anche un’intervista inedita con il cardinale patrono dell’Ordine di Malta, realizzata da don Claude Barthe.

Per festeggiare l’ottavo anniversario della pubblicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum da parte di Papa Benedetto XVI, Paix liturgique vi offre in esclusiva qualche selezione di quest’intervista, con la gentile autorizzazione della casa editrice (Via Romana).

(*) Non ne esiste ancora una traduzione italiana, purtroppo.

(Sacra Liturgia 2015)

Don Claude Barthe: Eminenza, il 7 luglio 2015 è l’anniversario del Motu Proprio Summorum Pontificum. È esagerato affermare che questo testo sia particolarmente indicativo del pontificato di Benedetto XVII?

Cardinale Raymond Leo Burke: Direi che in effetti è, in un certo senso, l’espressione più alta del pensiero del cardinale Ratzinger, divenuto poi Benedetto XVI. Mostra ciò che ha rappresentato per lui la comprensione del concilio Vaticano II. Perché sfortunatamente, in seguito al secondo concilio ecumenico del Vaticano, ma certamente non a causa degli insegnamenti del Concilio, si sono verificati numerosi abusi, in particolar modo nella sacra liturgia. Si vede come nella Lettera apostolica Summorum Pontificumè stata trovata dal Papa una forma giuridica che stabilisce un legame organico fra il nuovo e l’antico, tra la forma ordinaria e quella straordinaria.

CB: Questo testo è arrivato dopo cinquant’anni di crisi liturgica, della quale Lei ha parlato nel Suo contributo al convegno Summorum Pontificum, il 13 giugno 2015 a Roma, dicendo che, dal 1970: “il cavallo si è imbizzarrito”. Il Motu Proprio riuscirà ad aprire una strada nuova per la risoluzione di questa crisi?

Card. Burke: Sì, certamente. Benedetto XVI ha vissuto molto dolorosamente tutta la crisi liturgica, come ha raccontato nella sua autobiografia (La mia vita, San Paolo Edizioni 2005). Nella Lettera ai vescovi, che accompagna il Motu Proprio, ha fatto cenno a questa sua esperienza: “in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile. Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni”. Restituendo al culto la liturgia sacra che è stata celebrata per un millennio e mezzo nella Chiesa romana, Papa Benedetto XVI ha consentito di procedere alla correzione degli abusi e al contempo ha consegnato un riferimento essenziale per l’arricchimento della forma ordinaria.
(...)

C.B: Restituendo alla messa la sua condizione tradizionale, quella del messale del 1962 di Giovanni XXIII, Papa Benedetto ha dunque voluto mettere questo riferimento a disposizione di tutta la Chiesa?

Card. Burke: Sì. Dobbiamo guardare a questa forma straordinaria come ad un tesoro conservato dalla Chiesa romana nel corso dei secoli. Questo rito è, in sostanza, identico a quello di Gregorio Magno.

C.B: ... ed è oggi particolarmente adeguato all’azione della Chiesa: Lei insiste spesso sull’applicazione dell’adagio lex orandi, lex credendi alla nuova evangelizzazione o ri-evangelizzazione.

Card. Burke: La lex orandiè sempre legata alla lex credendi. Secondo la maniera in cui l’uomo prega, bene o male, egli crede, bene o male, ed egli si comporta, bene o male. La sacra liturgia è assolutamente il primo atto della nuova evangelizzazione. Se noi non adoriamo Dio in spirito di verità, se noi non celebriamo la liturgia con la più grande fede possibile, specialmente nell’azione divina che si svolge nel corso della messa, allora non possiamo avere l’ispirazione e la grazia necessaria per partecipare all’evangelizzazione. La sacra liturgia contiene la forma stessa dell’evangelizzazione, nella misura in cui essa è un incontro diretto con il mistero della fede, che noi dobbiamo favorire per le anime che Dio ci avvicina. 
Essa può anche guidare verso la conoscenza dei misteri della fede, proprio attraverso sé stessa. Se la liturgia è celebrata in modo antropocentrico, se non si tratta che di una semplice attività sociale, essa non può avere un impatto durevole sulla vita spirituale. Uno dei modi per riportare gli uomini alla fede, è quello di rendere dignità alla liturgia. Celebrare una messa con venerazione ha sempre attirato gli uomini verso il mistero della redenzione. Penso infatti che la celebrazione della messa nella forma straordinaria possa avere un ruolo molto importante nella nuova evangelizzazione, per via dell’importanza data alla trascendenza nella liturgia. L’azione di Cristo attraverso i segni del sacramento, attraverso i sacerdoti, strumenti di Cristo, è evidentissima nella forma straordinaria. E, d’altra parte, ci aiuta anche ad essere più rispettosi nella celebrazione della forma ordinaria.
Tutti vedono la necessità di quest’evangelizzazione in questo mondo che vive oggi come se Dio non esistesse.
È importante legare questa nuova evangelizzazione alla celebrazione, la migliore possibile, della liturgia. Ho incontrato molte persone atee o non cristiane alle quali ho visto sperimentare la presenza dell’azione di Dio attraverso la conoscenza della messa nella forma straordinaria. E, in seguito, quest’esperienza ha permesso loro di ricevere l’insegnamento della religione. Gli uomini devono capire che il sacerdote agisce in persona Christi. Devono capire che è Cristo stesso che scende sull’altare per rinnovare il sacrificio della Croce. Devono capire che è necessario unire il proprio cuore al Suo Cuore trafitto, per purificarlo dal peccato e far crescere dentro di sé l’amore di Dio e l’amore del prossimo. Dobbiamo dunque catechizzare gli uomini con le profonde realtà della messa, in particolare attraverso la forma straordinaria del rito romano.

C.B: A proposito del rapporto fra la dottrina e la liturgia, notiamo spesso che i seminaristi che sono attratti dalla forma straordinaria, sono anche desiderosi di conseguire una preparazione teologica particolarmente strutturata. Bisogna dire che in Francia la forma tradizionale attira molti seminaristi.

Card. Burke: Ma anche in Germania, negli Stati Uniti e in Italia. Si diceva che gli Italiani non fossero attirati dalla liturgia tradizionale: è assolutamente falso. Per i seminaristi, quando ero arcivescovo di Saint Louis, e Benedetto XVI promulgava il Summorum Pontificum, ho immediatamente chiesto che nel seminario tutti fossero istruiti sulla forma straordinaria, sul rito, sulla sua spiritualità e che fosse celebrata una volta alla settimana. Ho chiesto anche che i seminaristi che avevano le capacità per imparare il latino fossero formati per celebrare nella forma straordinaria. Queste nuove regole sono state ben accolte e mi sembra che abbiano prodotto dei buoni frutti nell’arcidiocesi.

C.B: Dunque, questa messa piace ai giovani.


Card. Burke: Sì. Papa Benedetto XVI diceva ai vescovi che mentre si era immaginato che la richiesta della messa antica riguardasse solo la generazione più matura, si vedeva però sempre più chiaramente che delle persone più giovani scoprivano questa forma liturgica, si sentivano attratte e vi trovavano una forma di incontro con il mistero dell’eucaristia che gli si confaceva particolarmente. Anch’io, quando celebro la messa tradizionale, vedo assistere molte famiglie belle e giovani e con molti figli. Io non penso che quelle famiglie non abbiano problemi, ma è chiaro che così si sentono più forti per affrontarli. Io sono sempre stato colpito dalla quantità di giovani che sono attratti dalla forma straordinaria della messa. E questo non perché la forma straordinaria sia più valida di quella ordinaria. Sono attratti perché è molto articolata e cattura l’attenzione su ciò che sta per avvenire presso l’altare. (...)

“Qui odit ánimam suam in hoc mundo, in vitam ætérnam custódit eam” (Johan. 12, 26 – Laud.) - SANCTI CHRISTOPHORI MARTYRIS

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Oggi, oltre alla festa di san Giacomo, la Chiesa celebra la gloria del martire Cristoforo.
Questi,  Κυνοκέφαλος, il cinocefalo, cioè l’uomo dalla testa canina, come lo chiamano i Bizantini, è molto venerato in Oriente.
I Bizantini ed i Siriani lo festeggiano il 9 maggio, mentre gli Armeni gli dedicano il giovedì della IV settimana dopo la Trasfigurazione.
Il più antico monumento datato, attestante il culto di san Cristoforo, è un’iscrizione del 22 settembre 452, che menziona la dedicazione della chiesa del martire in Calcedonia, compiuta dal vescovo Eulalio. Il Martirologio Geronimiano fa di Cristoforo un martire della Licia: In Licia, civitate Samo, natale Christophori.
Egli patì sotto Decio, ma i suoi atti non incontrano molto credito. Una piccola chiesa, dedicata a san Cristoforo, esisteva un tempo in Trastevere, presso la basilica di santa Maria. Ciò è bastato affinché questo quasi-domicilio nella Città eterna valesse al Megalomartire l’onore di una commemorazione nel Messale romano.
La messa è dal Comune In virtúte, come per san Valentino, il 14 febbraio; però le collette sulle oblate e per il ringraziamento dopo la Comunione, si prendono dalla messa di sant'Ermenegildo, il 13 aprile.
Nella Roma cristiana esiste una cappella, dedicata al nostro Santo, in via di Villa Spada, nel territorio della Parrocchia dei Santi Innocenzo I papa e Guido vescovo.
Giovanni Battista De Rossi credette di trovare le tracce del culto di cui san Cristoforo sarebbe stato, in antico, oggetto nel Titolo di Anastasia, perché l’epigrafe sepolcrale di una tale Blatta (+ 688), madre del papa Giovanni VII, denominata Epitafio di Platone (fatto eseguire dal figlio e futuro papa, all’epoca «rector Appiæ»), vi fa allusione. Lì sarebbe uno dei più antichi monumenti che attestano il culto del Santo nell’Urbe:

ET • QVIA • MARTYRIBVS • CHRISTI • STVDIOSA • COHÆSIT
CHRISTIGERI • MERVIT • MARTYRIS • ESSE • COMES

Probabilmente la defunta, così come Platone, suo marito ed alto funzionario della corte imperiale di Costantinopoli, fecero restaurare non solo il palazzo imperiale sul Palatino, ma anche la chiesa della Corte, Sant’Anastasia, dove i due sposi eressero forse un oratorio o un altare, dedicati a san Cristoforo.


Tiziano Vecellio, S. Cristoforo, 1524, Palazzo Ducale, Venezia


Lorenzo Lotto, SS. Rocco, Cristoforo e Sebastiano, 1532-33, Museo Antico Tesoro della Santa Casa, Loreto

Lorenzo Lotto, S. Cristoforo, 1531, Staatliche Museen, Berlino

Adam Elsheimer, S. Cristoforo, 1598-99, Hermitage, San Pietroburgo

Pittore veneziano, S. Cristoforo, XVI sec., The Walters Art Museum, Baltimora

Orazio Borgianni, S. Cristoforo, XVII sec.


Pieter Paul Rubens, S. Cristoforo e l'eremita, pannelli di chiusura della pala della Discesa dalla Croce, 1612-14, Cattedrale, Anversa

Jusepe de Ribera. S. Cristoforo, 1637, museo del Prado, Madrid

William Frederick Yeames, S. Cristoforo o Il portatore di Cristo (The Christ-Bearer), 1887, Ferens Art Gallery, Kingston upon Hull

Documentario su Sant'Anna (in francese): Sainte Anne

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Autore anonimo, S. Anna con la Vergine Bambina, XVII sec., Pinacoteca del Templo de la Profesa, Città del Messico

Sefforis, il paese di origine di Sant'Anna

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Cantique à sainte Anne d'Auray: "Sainte Anne, Ô bonne Mère"

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SAINTE ANNE, Ô BONNE MÈRE,
VERS TOI MONTENT NOS CHANTS,
ENTENDS NOTRE PRIÈRE ET
BÉNIS TES ENFANTS.












Se Lutero si traveste da santo e dottore ....

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Nella memoria liturgica dei SS. Nazario e Celso, martiri, rilancio quest’interessante studio ricevuto:


Se Lutero si traveste da santo e dottore

di Gaetano Masciullo

Il pensiero agostiniano è stato di importanza capitale per lo sviluppo della teologia cristiana nei primi secoli, sia per difendere l’ortodossia dalle numerose e perniciose eresie che volevano introdurre “novità” nel pensiero cristiano (si pensi alle battaglie teologiche che Agostino rivolse contro manichei, pelagiani, donatisti, semipelagiani…), sia per approfondire meglio alcuni dogmi, come quello della Trinità.
Sant’Agostino di Ippona si avvalse ben presto del titolo, riconosciutogli dalla Chiesa, di Dottore, cioè di autorità indiscussa in teologia, e difatti fece scuola per buona parte del medioevo cristiano, fino a quando non prevalsero l’aristotelismo e la scolastica di san Tommaso d’Aquino.
Tuttavia, soprattutto a partire dal XX secolo, è prevalsa in ambito accademico una corrente esegetica del pensiero agostiniano in verità erronea, che non rende giustizia alle originarie intenzioni del santo vescovo di Ippona. In particolare, Odilo Rottmanner (1841-1907) con la sua opera Agostinismo (1892) affermò che il pensiero di sant’Agostino è da ricondurre fondamentalmente alla “dottrina della predestinazione incondizionata e della volontà salvifica particolare che sant’Agostino ha perfezionato di preferenza nell’ultimo periodo della sua vita”, cioè dal 418 in poi. In cosa consisterebbe dunque questa dottrina?  Tutti gli uomini nascerebbero peccatori e meritevoli della dannazione, a causa del peccato originale, ma Dio sceglierebbe per un atto di misericordia proveniente esclusivamente dalla sua volontà (detta per questo volontà salvifica) chi sottrarre a questa inevitabile e giusta condanna. Da parte degli eletti, cioè dei predestinati alla salvezza, non ci sarebbe alcun merito, sia per quanto riguarda la fede (che è dono esclusivo della grazia divina) sia per quanto riguarda le opere, che sono conseguenze della fede. Dio dunque non vorrebbe salvare tutti gli uomini, ma solo pochi eletti: per questo motivo la volontà salvifica di Dio sarebbe particolare, non universale. Lo scandalo del cristianesimo non consiste nel fatto che la maggioranza degli uomini si dannino, ma nel fatto che pochi riescano a salvarsi. La salvezza degli eletti è un dono gratuito di Dio, assolutamente immeritato.
A questo punto ci chiediamo: questa tesi della predestinazione così esposta non ci ricorda forse la tesi di un altro teologo, vissuto molti anni dopo sant’Agostino? Non furono forse Martin Lutero e Calvino ad affermare che Dio salva per sola grazia pochissimi uomini da lui eletti e che l’uomo senza la grazia è inevitabilmente condannato a compiere il male? Non fu forse Giansenio a muovere contro s. Agostino le stesse accuse dei pelagiani, ormai mutate in lodi? Dunque, Lutero non avrebbe “radicalizzato il pensiero agostiniano”, come si è soliti dire, ma al contrario avrebbe semplicemente ribadito quanto s. Agostino insegnò nelle sue opere. Ma allora, ci chiediamo, perché uno è stato proclamato santo e dottore e l’altro condannato come eresiarca e rivoluzionario contro Dio? Evidentemente, i conti non tornano.
Secondo l’esegesi di Rottmanner, per sant’Agostino la libertà dell’uomo non esiste, se non nei limiti della perseveranza che l’uomo adopera per rimanere nella grazia divina e quindi per conservare la fede donatagli. Padre Agostino Trapé (1915-1987), priore generale dell’Ordine agostiniano, difese a spada tratta la corretta esegesi del pensiero del vescovo ipponate dalle strumentalizzazioni moderniste e “protestantizzanti”. Egli, in un articolo pubblicato nel 1963 sulla rivista Divinitas, dal titolo A proposito di predestinazione: S. Agostino e i suoi critici moderni, scrive: “Si sa quali critiche e quali accuse suscitasse a suo tempo questa dottrina da parte dei pelagiani. Possiamo ridurle a quattro capi, tutti e quattro gravissimi. L'agostinismo - dicevano - nega il libero arbitrio, nega che il battesimo rimetta il peccato originale, proclama il fatalismo, e riduce il pensiero cristiano al manicheismo. S. Agostino rispose, dimostrò l'infondatezza, anzi la malafede, di quelle accuse e ribadì, chiarendola, la sua dottrina. L'agostinismo trionfò. La Chiesa riconobbe come valida, nelle linee essenziali, quella difesa e annoverò il vescovo d'Ippona tra i suoi maestri migliori: inter magistros optimos. Le accuse, anche quelle mosse dai semipelagiani, non tardarono a cadere, ed i teologi, da allora in poi, guardarono a S. Agostino come al Dottore della grazia, la cui autorità era venerabile presso tutti. Con il protestantesimo e con il giansenismo quelle accuse si trasformarono in lodi, lodi non vere, che la Chiesa respinse e S. Agostino aveva respinto ante litteram. Oggi, qua e là, si preferisce tornare alle accuse. Di tanto in tanto, infatti, si propongono interpretazioni di S. Agostino che sono molto vicine, quando non siano proprio identiche, a quelle che ne davano i pelagiani; e non solo da parte dei razionalisti, che fanno del vescovo d'Ippona - com'è noto - il creatore dei dommi del peccato originale e della grazia, ma anche - e la cosa riveste un carattere di particolare gravità - da parte di studiosi cattolici”.
Sant’Agostino fu per secoli chiamato Doctor Gratiae et Libertatis. Per il santo vescovo il rapporto tra libertà e grazia non si trasforma in un dilemma, in una scelta esclusiva tra le due, ma in un binomio, una coesistenza. La grazia non annulla la libertà umana, né la libertà umana annulla la libertà divina, che si manifesta appunto nella grazia. San Tommaso d’Aquino bene spiega nell’opera Contra errores graecorum il motivo per il quale alcune opere dei Padri della Chiesa possano sembrare ambigue (come ambiguo potrebbe sembrare, ad una superficiale lettura, il pensiero di s. Agostino sul rapporto tra libertà e grazia): “Ci sono, a mio avviso, due ragioni per cui alcune affermazioni degli antichi Padri Greci risultano ambigue se paragonate alle nostre contemporanee. Primo, perché una volta che gli errori riguardanti la fede si manifestavano, i santi Dottori della Chiesa divenivano più circospetti nel modo di esporre i punti della fede, così da escludere tali errori. È chiaro, per esempio, che i Dottori che sono vissuti prima dell’eresia ariana non parlavano così espressamente dell’unità dell’essenza divina come hanno fatto invece i Dottori successivi. E lo stesso si è verificato nel caso di altri errori. Ciò è abbastanza evidente non solo riguardo ai Dottori in generale, ma anche riguardo ad un Dottore in particolare, Agostino. Nei libri che questi pubblicò dopo l’ascesa dell’eresia pelagiana, si parla molto più cautamente della libertà della volontà umana rispetto a quanto se ne parla nei libri pubblicati prima dell’ascesa di tale eresia. In queste prime opere, mentre Agostino difendeva il concetto di volontà contro i manichei, egli ha adoperato affermazioni che i pelagiani, che rigettavano la grazia divina, hanno poi usato in supporto ai propri errori”.
Qual era dunque il pensiero, pienamente cattolico, di sant’Agostino?
Già i pelagiani accusarono s. Agostino di aver sostenuto che il libero arbitrio è perito nell’uomo con il peccato di Adamo, ma lo stesso s. Agostino risponde: “Chi di noi poi direbbe che per il peccato del primo uomo sia sparito dal genere umano il libero arbitrio? Certo per il peccato sparì la libertà, ma la libertà che esisteva nel paradiso di possedere la piena giustizia insieme all'immortalità. Per tale perdita la natura umana ha bisogno della grazia divina, secondo le parole del Signore: Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero” (Contro le due lettere dei pelagiani, I, 2.5). Si va dunque delineando una differenza fondamentale per il pensiero agostiniano tra libertà intesa come libero arbitrio, che è il mezzo della vita umana, e la libertà vera, ossia il fine della vita umana, che è la libertà di aderire pienamente alla verità e di fare il bene. Quest’ultimo tipo di libertà era presente prima del peccato originale (S. Agostino la definisce con la formula posse non peccare, ossia “poter non peccare”) e sarà confermata nell’eternità del paradiso (definita con la formula non posse peccare, ossia “non poter peccare”). La realtà attuale, intermedia, successiva al peccato originale e alla redenzione, ma antecedente al giudizio personale ed universale, non è priva del libero arbitrio, ma della libertà come sopra intesa. Tuttavia, ciò non impedisce all’uomo di cercare la verità ed il bene. Qui interviene la grazia, ossia l’azione gratuita di Dio che sopperisce alle mancanze della “giustizia piena ed immortalità”, presenti nell’eden. Con la grazia l’uomo si santifica (gratia gratum faciens, dirà san Tommaso successivamente), nonostante le imperfezioni psico-fisiche, conseguenze della caduta dei progenitori. Il primo ed importante dono che Dio fa dunque all’uomo è la fede. In seguito, il battesimo e i sacramenti in generale, che sono i mezzi ordinari con cui la grazia divina agisce nell’uomo. “Ripeto che nessuno fu o può essere giusto se non è giustificato dalla grazia di Dio per mezzo di N. S. Gesù Cristo, e questo crocifisso. Difatti la stessa fede, che ha salvato i giusti nell'antichità, salva anche noi, la fede nel Mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, la fede nel suo sangue, la fede nella sua croce, la fede nella sua morte, la fede nella sua resurrezione. Avendo dunque lo stesso spirito di fede, anche noi crediamo, ed è per questo che parliamo”, scrive s. Agostino in De natura et gratia, 44,51. 
Ma Dio conosce dall’eternità chi intraprende questo cammino di redenzione e si salva e chi rimane reprobo e si danna (prescienza)? Oppure egli stesso, da sé, decidedall’eternità, senza il consenso dell’uomo, chi salvare, riducendo il numero degli eletti a pochissimi? In quest’ultimo caso, Dio non vorrebbe la salvezza di tutti gli uomini, ma solo di una ristretta èlite.
Per comprendere bene il pensiero agostiniano riguardo al peccato originale e alla giustificazione bisogna metterlo a confronto con quanto sostenevano pelagiani e semipelagiani.
Agostino schiaccia Pelagio,
Katholische Pfarrkirche Maria Rosenkranzkönigin,
Schretzheim
Pelagio affermava che il peccato originale colpì solamente Adamo e che non è trasmesso biologicamente a tutti gli uomini. Pertanto il battesimo non cancella il peccato originale, ma semplicemente ammette nella Chiesa. Da qui la polemica che i pelagiani mossero contro sant’Agostino sulla necessità del battesimo per i bambini e sul destino dei bambini morti senza di esso. Pelagio affermava che i bambini morti senza battesimo si salvano in quanto privi di qualsivoglia peccato, sia originale sia personale, ma sant’Agostino obiettava che i bambini morti senza battesimo non possono salvarsi, in quanto il peccato originale ha definitivamente rotto il legame tra l’uomo e Dio, legame ricostituito dal sacrificio di Cristo, che pertanto è Salvatore dell’umanità, anche dei bambini. “Non può appartenere a Cristo – scrive il santo Dottore – chi non ha bisogno di essere salvato”. L’uomo da sé liberamente decide se credere in Dio e può salvarsi anche fuori dalla Chiesa, compiendo opere buone.
Giovanni Cassiano e i monaci provenzali, iniziatori del semipelagianesimo, per conciliare Agostino e Pelagio, affermavano che l’uomo liberamente sceglie se credere e dunque l’inizio della fede e della giustificazione non esige il dono della grazia, così la perseveranza finale è frutto delle opere dell’uomo. La grazia divina serve a sostenere l’uomo in questo cammino, dal momento in cui l’uomo aderisce alla fede fino a quando muore. Analogamente a quanto sostenuto da Pelagio, il peccato originale colpì solamente Adamo e i bambini morti senza battesimo si salvano egualmente.
Sant’Agostino, Dottore della grazia e della libertà, sosteneva che il peccato originale è trasmesso biologicamente da Adamo a tutti gli uomini. Dunque sono trasmesse sia la colpa sia le conseguenze spirituali (impossibilità di accedere in paradiso dopo la morte) e temporali (mortalità, caducità, propensione al vizio) del peccato originale. Per cancellare la colpa e le conseguenze spirituali del peccato originale è necessario il battesimo, che attua i meriti della redenzione di Cristo salvatore, ma rimangono le conseguenze temporali. L’uomo da sé sceglie con il libero arbitrio se cercare o meno la verità e dunque il bene, ma la fede (ossia l’adesione ai meriti del sacrificio di Cristo che redime) e dunque l’inizio della giustificazione, così come la perseveranza finale, sono doni gratuiti di Dio, che si ottengono con la preghiera propria o altrui. Del resto, lo stesso sant’Agostino diede il merito della propria conversione alle preghiere e alle lacrime della madre, santa Monica. I meriti personali accrescono la grazia. Dio predestina alla salvezza coloro che liberamente aderiscono alla Chiesa, ricevono da Dio la fede e accrescono i meriti per grazia. Dio vuole la salvezza di tutto il genere umano, ma condanna coloro che ostinatamente perseguono il male.
Martin Lutero e Calvino ripresero le accuse di Pelagio e dei semipelagiani, tramutandole in lodi. Vi fu dunque una errata esegesi del pensiero di sant’Agostino, oggi tornato in voga presso alcuni autori. Per costoro, la fede è dono di Dio e i meriti personali non esistono. Senza il battesimo, tutti sono inevitabilmente condannati all’inferno. Dio ha già predestinato dall’eternità il numero di coloro che si salveranno, condannando il resto degli uomini. Il libero arbitrio non esiste, che è servo del peccato originale. Ma già dal V secolo, il prete Lucido della Gallia meridionale, credendo di seguire la dottrina di sant’Agostino, giunge a sostenere che “Cristo, Signore e Salvatore nostro, non è morto per la salvezza di tutti” e che “la prescienza di Dio spinge l’uomo violentemente verso la morte, e chiunque si perde, si perde per volontà di Dio”. Ma questa tesi fu confutata da san Fausto di Riez, discepolo dello stesso Dottore, e condannata dai concili di Arles (473, 574), ricondannata al II concilio di Orange (529) e dal papa Adriano I (785/791).
Gli errori di Pelagio furono condannati da papi e concili (cfr. DS 222, 238, 371, 1520, 2616), gli errori dei semipelagiani dal II concilio di Orange (529), gli errori dei protestanti dal concilio di Trento (1545-1563).

Lo sdegno di chi non ha vergogna

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Con due distinte sentenze, depositate l’8 luglio scorso, nn. 14225 e 14226, la V sezione civile della Suprema Corte di Cassazione italiana ha di fatto ribaltato quanto stabilito nei primi due precedenti gradi di giudizio, sentenziando che, poiché gli utenti di una scuola paritaria di Livorno pagano un corrispettivo per la frequenza, tale attività sarebbe da qualificarsi come di carattere commerciale, senza che a ciò osti la gestione in perdita. Ciò fa sì che, secondo la Suprema Corte, sia legittima la richiesta dell’Ici (poi diventata parte integrante dell’Imu dal 2011) avanzata nel 2010 dal Comune di Livorno agli istituti scolastici del territorio gestiti da enti religiosi.
Nel proprio iterargomentativo, il giudice di legittimità ha precisato che, ai fini in esame, è giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro, risultando sufficiente l’idoneità tendenziale dei ricavi a perseguire il pareggio di bilancio. E cioè, il conseguimento di ricavi sarebbe di per sé indice sufficiente del carattere commerciale dell’attività svolta.
Non si è fatta attendere la presa di posizione, inusitatamente dura, della CEI, a nome del suo segretario, Mons. Galantino, che non ha esitato a parlare a tal riguardo di pronunce ideologiche (v. qui, qui, qui, qui e qui). Non sono mancate le prese di posizione anche politiche (v. qui). Questa dura contestazione da parte della CEI ha indotto il governo precipitosamente ad avviare un tavolo di "chiarimento" (v. qui e qui).
Se, però tali prese di posizione, altrettanto forti e veementi, la CEI le avesse prese per temi forse più eticamente sensibili che non quelli riguardanti comunque il denaro e le casse della Chiesa italica …., come ad es. il c.d. d.d.l. Cirinnà in discussione al Parlamento o la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo dei giorni scorsi sui c.d. matrimoni omosessuali o la decisione, sempre della Corte di Cassazione, sul riconoscimento del mutamento di sesso anche in assenza di interventi chirurgici …. forse sarebbe apparsa molto più credibile agli occhi dei fedeli. Ma tant’è …

Lo sdegno di chi non ha vergogna

di Massimo Viglione

Abbiamo appena assistito alla ferma e immediata contrapposizione pubblica della Conferenza Episcopale  Italiana, per voce del suo segretario mons. Galantino, celebre per le sue posizioni aperte a ogni dialogo con il mondo laicista, contro il progetto del governo italiano di imporre l’ICI alle scuole cattoliche.
Fermo rimanendo ovviamente che tutti sappiamo bene che questa è solo l’ennesima trovata per finire di distruggere ogni traccia di libertà educativa in Italia e portare a compimento il piano Gramsci di conquista totale dei cervelli degli italiani (sia chiaro: non che nelle scuole cattoliche italiane si operi in senso contrario, ovvero si insegni la sana dottrina e il senso cattolico della società; ma è ovvio che per i nemici della Chiesa anche solo il principio dell’esistenza di una scuola cattolica, non statale, per quanto prona in ogni modo al laicismo imperante, è cosa intollerabile in sé);
fermo rimanendo che tale volontà laica è oggi rafforzata dall’esigenza di imporre a tambur battente e senza ostacolo alcuno l’omosessualismo e il genderismo di massa nelle scuole;
fermo rimanendo che i nostri vescovi – non parlo singolarmente, in quanto lodevoli eccezioni ci sono sempre, ma come vox unica, come CEI – sono i primi responsabili di tutto questo in quanto sono i primi sostenitori di questo governo e dei suoi mandanti come di quelli precedenti;
anticipato tutto questo, sorge spontanea una domanda: ma i nostri amatissimi e stimatissimi vescovi, a tutti noti per il coraggio e l’abnegazione con cui sono pronti a difendere Dio e i suoi diritti contro i soprusi dei potenti, che sono ora balzati dalla sedia, in primis il fenomenale segretario, alla notizia di dover cacciare i soldi abbandonando repentinamente quella onnipresente prudenza politica che li caratterizza e li rende proni a ogni potere, non potrebbero utilizzare un decimo dello stesso zelo per difendere i bambini dagli orchi e l’ordine naturale come Dio lo ha creato? Per combattere l’aborto, il genderismo, l’omosessualizzazione della gioventù e dell’intera società?
Perché non sono balzati dalla sedia alla notizia che il governo vuole liberalizzare la droga? Dove erano solo pochi giorni or sono?
Non potrebbero alzare la voce anche per difendere gli italiani che ogni giorno si suicidano a causa di una crisi economica fomentata da coloro che sono i veri governanti di questa Italia e che tanto vengono rispettati e ubbiditi dagli stessi vescovi? Non potrebbero alzare la voce per smuovere le coscienze in difesa dei nostri fratelli nella fede ammazzati in massa nel mondo islamico? Non potrebbero tornare ad essere i vescovi anche del popolo italiano impedendo l’invasione della nostra terra e il pericolo della definitiva perdita della fede e della libertà di tutti noi?
Non pensano che se agissero in tal maniera sarebbero anche più credibili quando poi si scagliano, lancia in resta, per difendere gli incassi (sebbene leciti e sacrosanti, come in questo caso)? Non viene loro in mente che per quanto questa loro protesta sia giusta, la vita, l’educazione retta e la libertà stessa dei bambini e anche degli adulti sia infinitamente più importante della cassa?
E allora, reverendissime eccellenze, difendete pure la cassa, ma anzitutto siate pronti fino al sangue – come è vostro dovere – per difendere i valori della fede, della carità, dell’ordine naturale e della volontà di Dio, per difendere i nostri figli e il futuro degli italiani e dell’intera umanità dall’assalto ininterrotto delle forze del male.
Urlate il vostro sdegno e incitate e guidate i fedeli alla giusta e sacrosanta resistenza civile e morale! Scendete in piazza con i vostri fedeli, tutti, nessuno escluso, per difendere la libertà e condannare senza timore alcuno chi vuole distruggere ogni limite fra il bene e il male, chi vuole bruciare la fanciullezza, chi vuole imporci il silenzio tramite il terrore giudiziario, chi è pronto a ogni abominio, chi massacra i fratelli nella fede e vuole islamizzare il nostro paese. Chi combatte la Chiesa e la Fede cattoliche ogni giorno, ovvero chi combatte voi, per quanto proni possiate mai essere e diventare.
Magari, così facendo, poi si scopre che la gente torna in chiesa, che i fedeli diventano molto più pronti alla lotta per difendere il Bene sapendo di avere il vostro appoggio spirituale, morale e materiale e che quindi i governi – di cui siete stati, almeno come CEI, finora sgabello – poi la smettono di distruggere la società a loro piacimento, iniziando a incontrare resistenza di popolo.
E così, di conseguenza, poi salvate anche i vostri soldi e le scuole, oltre alla dignità.

“Ipse autem, misso ad prædicándum Indis Evangélium sancto Francísco Xavério, aliísque in alias mundi plagas ad religiónem propagándam disseminátis, éthnicæ superstitióni hæresíque bellum indíxit; eo succéssu continuátum, ut constans fúerit ómnium sensus, étiam pontifício confirmátus oráculo, Deum, sicut álios áliis tempóribus sanctos viros, ita Luthéro ejusdémque témporis hæréticis Ignátium et institútam ab eo societátem objecísse” (Lect. V – II Noct.) - SANCTI IGNATII LOYOLAENSIS (DE LOYOLA), CONFESSORIS, ET SOCIETATIS JESU FUNDATORIS

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Parlare velocemente dei meriti verso il cattolicesimo di Iñigo López Oñaz de Recalde y Loyola, che prese il nome semplicemente di Ignazio dopo la sua conversione, e che morì a Roma il 31 luglio 1556, è impossibile. Il solo suo nome riassume difatti tutto l’immenso lavoro intrapreso dalla Chiesa nel XVI sec., per opporre alla riforma luterana una vera riforma cattolica, così che la liturgia stessa afferma, a lode di Ignazio, che la Provvidenza lo mandò per opporlo a Lutero.
Anche oggi, il nome del Loyola e della Compagnia, fondata da lui ed un tempo tanto gloriosa, sono sinonimi di vita e di azione cattolica nel senso più elevato del termine; in modo che gli avversari, pur fingendo della tolleranza verso altre congregazioni religiose, nutrono un odio irriducibile contro l’istituto di Ignazio, nel quale riconoscono maggiormente a buon diritto l’esercito agguerrito e più invulnerabile che la Provvidenza abbia posto sotto il comando immediato del Vicario di Gesù Cristo. Si può dire della Compagnia di Gesù ciò che il Vangelo dice del Divin Salvatore; perseguitata fin dalla sua nascita, soppressa e poi ristabilita, oggetto di un odio infinito per gli uni e di fiducia illimitata per gli altri, pertransiit benefaciendo et sanando; «… passò facendo il bene e guarendo» (At. 10, 38). Così era è stato tre cinque secoli fa. Quale paradosso vedere, invece, che l’Ordine stabilito da Dio per abbattere l’eresia riformata ed i suoi servi sia oggi tra i più feroci nella distruzione della santa Chiesa, nell’annientamento della fede, che professava sant’Ignazio! Davvero una punizione divina!
Il corpo di sant’Ignazio si conserva a Roma nel magnifico tempio farnesiano della prima casa professa, presso al titulus Marci, dedicata al Nome di Gesù (Cfr. Mariano Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, pp. 463-465). Nella Città eterna molti altri santuari ricordano tuttavia lo zelo del Santo, a cominciare dalla Basilica di San Paolo, dove egli ed i suoi primi compagni emisero la solenne professione religiosa. Il ricordo di sant’Ignazio si è custodito anche nella chiesa di Sant’Apollinare presso la quale fondò il Collegio germanico (ibidem, pp. 345-347); in quella di Santa Marta, dove raccolse le povere donne sventurate che volevano fare penitenza (ibidem, p. 471); in quella di Santa Caterina dei funari o della rosa, dove istituì un convitto per le ragazze povere (ibidem, p. 567); ed infine al Collegio romano, seminario di tutte le nazioni, come lo chiamò Gregorio XIII, ove si erge la Chiesa di Sant’Ignazio in Campo Marzio (ibidem, pp. 481-482).
Il nostro Santo fu canonizzato nel 1622 da papa Gregorio XV ed inscritto nel calendario nel 1644 da papa Innocenzo X con rito semidoppio. Elevato al rito doppio nel 1667 da Clemente IX ed al doppio maggiore da Pio XI nel 1923.
L’antifona di introito per il Fondatore della Compagnia di Gesù può essere che quella del 1° gennaio, in cui l’Apostolo esalta il potere del Nome santissimo del Salvatore.
Per rimunerare Gesù delle ignominie della Passione, il Padre eterno ha conferito al glorioso Redentore un Nome che è al di sopra di ogni altro nome. Coloro che hanno parte alle pene ed all’ubbidienza di Gesù partecipano anche alla gloria di questo Nome nel quale sono ricompensati largamente delle perdite temporali della loro fortuna, della loro reputazione e della loro vita stessa, perdite che talvolta subiscono per la causa di Dio.
La preghiera colletta evoca il programma di Ignazio: Ad majorem Dei gloriam, che si ricollega, nella tradizione dell’ascesi cattolica, a quello che fu dato un tempo dal Patriarca del monachesimo occidentale ai suoi figli: Ut in omnibus glorificetur Deus, «Perché Dio sia glorificato in tutte le cose», che si ispira a quanto detto dall’Apostolo Pietro (1 Pt 4, 11).
Conosciamo le relazioni di sant’Ignazio coi Benedettini di Montserrat, dove si ritirò immediatamente dopo la sua conversione; coi monaci di Montecassino, dove rimase qualche tempo nella solitudine, e coi cenobiti di San Paolo a Roma dove era stato canonicamente eletto primo Preposito Generale (Præpositus generalis) della novella Compagnia (8 aprile 1541) e dove emise i suoi voti (22 aprile 1541). Non è tuttavia possibile dimostrare che il motto di sant’Ignazio derivi da quello dei monaci benedettini. Un medesimo spirito, quello dei santi, ha adoperato, per esprimersi, delle parole analoghe; e ciò vale parimenti a proposito dei rapporti che esistono tra il piccolo Libro degli Esercizi spirituali e l’Exercitatorium spirituale dell’abate Garcia di Cisneros, il quale fu abate di Montserrat dal 1493 al 1510 (ed era nipote del celebre e più noto cardinale Ximenes de Cisneros, arcivescovo di Toledo dal 1495 al 1517) e di cui il Santo avrebbe avuto conoscenza, si dice, a Montserrat.
Nella prima lettura, l’Apostolo ricorda la sua predicazione ortodossa, le numerose persecuzioni di cui fu l’oggetto, e, da ultimo, le sue catene. Agli occhi dei suoi avversari, passa quasi male operans, e si è voluto anche incatenarlo. Ebbene, osserva san Paolo: il corpo sarà trattenuto dalle manette e dalle catene, ma niente potrà legare la parola di Dio che, simile all’aria ed alla luce, è destinata a spargersi nel mondo ed a trionfare.
La lettura evangelica per la festa del padre di un sì grande numero di apostoli e di missionari, al quale san Francesco Saverio scriveva, dal Giappone, in ginocchio, non può essere altra che quella del 3 dicembre.
La preghiera sulle oblazioni sembra riferirsi ad uno degli aspetti più importanti dell’opera riformatrice di sant’Ignazio. Nel XVI sec., in molti luoghi, il culto cattolico languiva miserabilmente. In Italia, non si trattava solamente di preti grossolani ed ignoranti, che non comprendevano talvolta anche il canone della messa, ma il popolo stesso aveva perso quasi l’abitudine dei sacramenti, così che molte chiese erano lasciate nella sporcizia e nell’abbandono. Ignazio ed i suoi compagni cominciarono dunque la loro riforma liturgica soprattutto con la predicazione e l’insegnamento del catechismo. Mentre, per mezzo degli Esercizi spirituali cercavano di elevare il clero ad una coscienza più alta della sua dignità e della sua missione, riportavano nelle chiese la pulizia, la dignità e la ricchezza. Attirati da queste forme esterne, i fedeli si portavano più facilmente a frequentare la Mensa eucaristica e le cerimonie.
La preghiera dopo la Comunione evidenzia come la divina Eucarestia sia sacrificium laudis, perché Gesù volle che fosse un inno continuo di lode e di azione di grazie alla bontà del Padre. È per questo che, nell’ultima Cena, l’istituì durante il canto di un inno pasquale di azione di grazie, il grande hallel, ragion per cui gli Apostoli la chiamarono Eucharistia, cioè azione di grazie.
Con S. Ignazio, ripetiamo la nostra preghiera di offerta, che egli faceva al Signore: "Prendete Signore, e ricevete tutta la mia libertà, la mia memoria, la mia intelligenza e tutta la mia volontà, tutto ciò che ho e possiedo; Voi me lo avete dato, a Voi, Signore, lo ridono; tutto è Vostro, di tutto disponete secondo la Vostra volontà: datemi solo il Vostro amore e la Vostra grazia; e questo mi basta".


Autore lombardo-piemontese, S. Ignazio, XVII sec., museo diocesano, Novara

Anonimo di Scuola francese, Ritratto di S. Ignazio in abiti militari, XVII sec., castello di Versailles e di Trianon, Versailles


Anonimo, Papa Paolo III approva oralmente la regola di S. Ignazio il 3 settembre 1539, Chiesa del Gesù, Roma




Pieter Pauwel Rubens, S. Ignazio di Loyola, 1620-22, Norton Simon Museum, Pasadena

Ambito di Francesco de Rosa (Pacecco de Rosa), Madonna col Bambino in gloria tra i SS. Ignazio e Francesco Saverio, XVII sec. 

Miguel Cabrera, La conversione di S. Ignazio, XVII-XVIII sec., Museo Nacional de Arte (MUNAL), Città del Messico

Miguel Cabrera, S. Ignazio di Loyola trionfa sull'eresia, XVII-XVIII sec., Museo Nacional de Arte (MUNAL), Città del Messico

Scuola italiana o del Rubens, S. Ignazio, XVII sec., collezione Rochdale Arts & Heritage Service

Claudio Coello, S. Ignazio, XVII sec.

Domenichino, Visione di S. Ignazio a La Storta, 1620, Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles

J.P. Koch, S. Ignazio in gloria, 1780, Galleria Trncia, Stampe Antiche, Roma

Nicola Malinconico, Madonna col Bambino tra i SS. Anna ed Ignazio, 1707, Abazia di S.Maria Maddalena in Armillis, Sant'Egidio del Monte Albino

Francisco Jover y Casanova, S. Ignazio, XIX sec., museo del Prado, Madrid

Per recuperare lo spirito combattivo di Ignazio di Loyola oggi dimenticato .....

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Per recuperare lo spirito combattivo e di miles Jesu, è utile recuperare questa canzoncina, nota per essere cantata durante il film di Luigi Magni “State buoni se potete”; versione più allegra e ritmata della più austera e severa invocazione delle litanie dei Santi: Ut inimícos Sanctæ Ecclésiæ humiliáre dignéris, te rogámus, áudi nos! Altro che ecumenismo ciarliero e buonista!





Capitan Gesù

Capitan Gesù, non stà lassù,
stà quaggiù con la bandiera in mano.
Sempre quaggiù, con la bandiera in mano,
Gesù, mio capitano!
Comanda Santi e fanti
e coglie tutti quanti
gli diavoli in flagrante,
Gesù, mio comandante!

Capitan Gesù, non stà lassù,
ma stà quaggiù a battagliar col male.
Sempre quaggiù a battagliar col male,
Gesù, mio generale!

Lui caccia dalla tana
la feccia luterana
e il popolo giudìo
Gesù è il maresciallo mio!

Capitan Gesù, non stà lassù,
stà quaggiù con la bandiera in mano.
Sempre quaggiù, con la bandiera in mano,
Gesù, mio capitano!
Comanda Santi e fanti
e coglie tutti quanti
gli diavoli in flagrante,
Gesù, mio comandante!

Capitan Gesù, non stà lassù,
ma stà quaggiù a battagliar col male.
Sempre quaggiù a battagliar col male,
Gesù, mio generale!

Lui caccia dalla tana
la feccia luterana
e il popolo giudìo
Gesù è il maresciallo mio!

"Santo Padre, piaccia alla vostra santità concedermi, non anni, ma anime" (S. Francesco a papa Onorio III) - Il Perdono di Assisi

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Dal mezzogiorno del 1° agosto sino a tutto il 2 celebriamo la festa del c.d. Perdono di Assisi, lucrando la celebre indulgenza. È la festa di Santa Maria degli Angeli!

Frans van de Casteele, Perdono della Porziuncola, 1595, Museo diocesano, Velletri

Scuola spagnola del XVI sec., S. Francesco nella Porziuncola, collezione privata

Juan del Castillo ed aiuti, Visione di S. Francesco, XVII sec., collezione privata

Claudio Coello, Giubileo della Porziuncola, XVII sec., Museo de la Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid


Antonio del Castillo, La Porziuncola, XVII sec., Parrocchia di San Francisco, Cordoba

Donato Arsenio Mascagni, Il miracolo della Porziuncola, XVII sec., Cattedrale, Salisburgo

Baltasar de Echave Orio, Apparizione di Cristo e della Vergine a S. Francesco alla Porziuncola, 1609-10, Academia de San Carlos, Città del Messico

Juan Sánchez Cotán, Visione di S. Francesco, 1620, Cattedrale, Siviglia

Francisco de Zurbarán, La Porciúncula, 1661, collezione privata

Francisco de Zurbarán, La Porciúncula, 1630, Museo de Cádiz, Cadice


Szymon Czechowicz, Perdono della Porziuncola, XVIII sec., Lwowska Galeria Sztuki, Lwów

José Campeche y Jordán, Visione di S, Francesco alla Porziuncola, 1801, Museo de San Juan, San Juan

Ludovico Carracci, Il giubileo della Porziuncola, 1601-1603, museo del Prado, Madrid

Félix Castello (attrib.), S. Francesco d'Assisi nella Porziuncola riceve la visione di Cristo e della Vergine, 1646 circa, museo del Prado, Madrid

Francisco Caro, S. Francesco nella Porziuncola, con i donatori Antonio Contreras e Maria Amezqueta, 1659, museo del Prado, Madrid

Antonio de Pereda y Salgado, S. Francesco d'Assisi nella Porziuncola, 1664, museo del Prado, Madrid 

Bartolomé Esteban Murillo, Visione di S. Francesco alla Porziuncola, 1670-80, museo del Prado, Madrid

Luis González Velázquez, La visione della Porziuncola, 1760 circa, museo del Prado, Madrid

Manuel de la Cruz Vázquez, S. Francesco nella Porziuncola, 1789, museo del Prado, Madrid

Antoni Viladomat, Gesù accorda il perdono della Porziuncola, 1729-33, Museu Nacional d'Art de Catalunya, Barcellona


José Benlliure y Gil, Apoteosi di S. Francesco e della Porziuncola, XX sec.

Il perdono di Assisi. «Non anni, ma anime!»

Una notte dell’anno del Signore 1216, Francesco era immerso nella preghiera e nella contemplazione nella chiesetta della Porziuncola, quando improvvisamente dilagò nella chiesina una vivissima luce e Francesco vide sopra l’altare il Cristo rivestito di luce e alla sua destra la sua Madre Santissima, circondati da una moltitudine di Angeli. Francesco adorò in silenzio con la faccia a terra il suo Signore! Gli chiesero allora che cosa desiderasse per la salvezza delle anime.
La risposta di Francesco fu immediata: “Santissimo Padre, benché io sia misero e peccatore, ti prego che a tutti quanti, pentiti e confessati, verranno a visitare questa chiesa, conceda ampio e generoso perdono, con una completa remissione di tutte le colpe”. “Quello che tu chiedi, o frate Francesco, è grande – gli disse il Signore -, ma di maggiori cose sei degno e di maggiori ne avrai. Accolgo quindi la tua preghiera, ma a patto che tu domandi al mio vicario in terra, da parte mia, questa indulgenza”.
E Francesco si presentò subito al Pontefice Onorio III che in quei giorni si trovava a Perugia e con candore gli raccontò la visione avuta. Il Papa lo ascoltò con attenzione e dopo qualche difficoltà dette la sua approvazione. Poi disse: “Per quanti anni vuoi questa indulgenza?”. Francesco scattando rispose: “Padre Santo, non domando anni, ma anime”. E felice si avviò verso la porta, ma il Pontefice lo chiamò: “Come, non vuoi nessun documento?”. E Francesco: “Santo Padre, a me basta la vostra parola! Se questa indulgenza è opera di Dio, Egli penserà a manifestare l’opera sua; io non ho bisogno di alcun documento, questa carta deve essere la Santissima Vergine Maria, Cristo il notaio e gli Angeli i testimoni”.
E qualche giorno più tardi insieme ai Vescovi dell’Umbria, al popolo convenuto alla Porziuncola, disse tra le lacrime: “Fratelli miei, voglio mandarvi tutti in Paradiso!”.
(Da “Il Diploma di Teobaldo”, FF 3391-3397).

Perdono di Assisi

Dal mezzogiorno del primo agosto alla mezzanotte del giorno seguente (2 agosto), oppure, col permesso dell’Ordinario (Vescovo), nella domenica precedente o seguente (a decorrere dal mezzogiorno del sabato fino alla mezzanotte della domenica) si può lucrare una volta sola l’indulgenza plenaria.
Tale indulgenza è lucrabile, per sé o per le anime del Purgatorio, da tutti i fedeli quotidianamente, per una sola volta al giorno, per tutto l’anno in quel santo luogo (Basilica di Santa Maria degli Angeli in Porziuncola) e, per una volta sola, da mezzogiorno del 1° Agosto alla mezzanotte del giorno seguente, oppure, con il consenso dell’Ordinario del luogo, nella domenica precedente o successiva (a decorrere dal mezzogiorno del sabato sino alla mezzanotte della domenica), visitando una qualsiasi altra chiesa francescana o basilica minore o chiesa cattedrale o parrocchiale. 

CONDIZIONI RICHIESTE: 

1. Visita, entro il tempo prescritto, a una chiesa Cattedrale o Parrocchiale o ad altra che ne abbia l’indulto e recita del “Padre Nostro” (per riaffermare la propria dignità di figli di Dio, ricevuta nel Battesimo) e del “Credo” (con cui si rinnova la propria professione di fede).
2. Confessione Sacramentale per essere in Grazia di Dio (negli otto giorni precedenti o seguenti).
3. Partecipazione alla Santa Messa e Comunione Eucaristica.
4. Una preghiera secondo le intenzioni del Papa (almeno un “Padre Nostro” e un’”Ave Maria” o altre preghiere a scelta), per riaffermare la propria appartenenza alla Chiesa, il cui fondamento e centro visibile di unità è il Romano Pontefice.
5. Disposizione d’animo che escluda ogni affetto al peccato, anche veniale.


Le condizioni di cui ai nn. 2, 3 e 4 possono essere adempiute anche nei giorni precedenti o seguenti quello in cui si visita la chiesa; tuttavia è conveniente che la Santa Comunione e la preghiera secondo le intenzioni del Papa siano fatte nello stesso giorno in cui si compie la visita.

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