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Uno scheletro di messa per una chiesa scheletrica - Editoriale di agosto di "Radicati nella fede"

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Nella memoria liturgica di S. Alfonso Maria de’ Liguori, vescovo, confessore e dottore della Chiesa, rilancio quest’editoriale di Radicati nella fede.


V. Zingaropoli, Il beato Alfonso mostra la sua Theologia Moralis, XIX sec., casa redentorista, Francavilla Fontana

Autore anonimo, Benedetto XIV approva il 25 febbraio 1749 l'istituto dei Redentoristi, XVIII sec., museo alfonsiano, Pagani

G. Gagliardi, S. Alfonso interroga S. Gerardo Maiella, XX sec.

Autore anonimo, S. Alfonso appare a Mons. Amici, avvocato nella causa di canonizzazione del Santo, XIX sec., museo alfonsiano, Pagani

Urna col corpo di S. Alfonso, Basilica di S. Alfonso, Pagani



UNO SCHELETRO DI MESSA PER UNA CHIESA SCHELETRICA

Editoriale "Radicati nella fede" 
Anno VIII n. 8 - Agosto 2015


Attendevano una nuova Chiesa, per questo si sono messi a cambiare la messa.
Volevano una chiesa con nuovi dogmi e nuova morale, allora hanno dovuto ritoccare la messa cattolica, così tanto da renderla uno scheletro di se stessa.
E a messa scheletrica, corrisponde uno scheletro di Chiesa, fatta di una dogmatica e una morale scheletriche.
Lo dicevamo il mese scorso: la nuova liturgia ha preteso di saltare due millenni di storia cristiana, con l'illusione di ricollegarsi ad un mitico inizio del cristianesimo. Hanno detto, i signori della riforma post-conciliare, che occorreva semplificare, per far emergere la nobile essenzialità del rito cattolico. Hanno ritenuto sostanzialmente negativo tutto il lavoro di secoli e secoli che la Chiesa aveva fatto, per rendere sempre più limpido ed educativo il rito cattolico. Hanno tolto e tolto, considerando quasi tutto aggiunta negativa, e ne è venuto fuori uno scheletro di messa. Una messa piena di vuoti e di non-detto, vuoti e non-detto riempiti dalla fantasia del celebrante e dei fedeli. E le fantasie si sono moltiplicate quante sono le chiese del mondo, perché si sa che non si può vivere di uno scheletro: gli uomini lo rimpolpano lo scheletro, ma la carne e il sangue che gli danno non sono quelli di Dio, ma quelli normalmente della dittatura della mentalità comune. Così, a seconda delle stagioni, abbiamo avuto le messe socialiste, le messe impegnate, le messe intimiste, le messe allegre, le messe verbose, le messe catechistiche, le messe di guarigione, le messe carismatiche, le messe missionarie, le messe veloci e cosi via... insomma, la messa la costruisci tu, perché corrisponda a te e al tuo cristianesimo.
La messa così impoverita non ha nutrito più, e ci si è dovuti volgere alle varie ideologie del momento per rimpolparla. Togliendo molto di Dio, la messa la si è dovuta riempire molto dell'uomo, per ritenerla ancora utile: una tragedia, la perdita del cuore cattolico, cioè la redenzione operata da Cristo Crocifisso.
E la tragedia si propaga a tutto l'organismo cattolico: la messa nuova, scheletrica, piena di vuoti, è diventata così tanto ambigua da produrre un cristianesimo scheletrico, dal dogma e dalla morale scheletriche; un cristianesimo ambiguo.
I sacerdoti, ridotti a celebrare uno scheletro di messa, non sono stati più nutriti e difesi dalla messa stessa, così che a loro volta non hanno nutrito e difeso il popolo.
Dicevamo di un Cristianesimo dal dogma scheletrico:
cosa è rimasto, nella maggioranza dei cristiani di oggi, del dogma cattolico che sorge dalla Divina Rivelazione? Quasi nulla. Forse resta che esiste Dio, e che alla fine ci salverà: non c'è che dire, di tutta la Rivelazione, di tutto il dogma, di tutto il catechismo non resta quasi nulla, nel vissuto della maggioranza dei cristiani; ma allora, perché Dio si è rivelato, perché ha parlato nell'Antico e nel Nuovo Testamento, perché ha portato a compimento la Rivelazione in Gesù Cristo? Certamente non lo ha fatto per vedersi “semplificare” orrendamente nel cristianesimo moderno.
Qualcuno dirà che dimentichiamo la ricchezza biblica della riforma liturgica! Certo, di Bibbia se ne è letta tanta, ma ha vinto la messa scheletrica anche sulla Bibbia, tanto è vero che mai i cristiani sono stati tanto ignoranti come oggi nella Storia Sacra e nella Sacra Scrittura. Hanno letto sì la Bibbia in ogni occasione, ma sono stati formati come mentalità dall'ideologia di turno, che rimpolpava la messa scheletrica.
Dicevamo di un Cristianesimo dalla morale scheletrica:
cosa resta, nella maggioranza dei cristiani di oggi, della ricchezza morale cattolica? Sanno forse che Dio è amore, che dobbiamo volerci bene, e poco più: non c'è che dire, resta un po' poco. Della Morale Cattolica, della legge e della grazia, non si sa quasi più nulla. Ecco perché siamo terribilmente indifesi di fronte alla dilagante immoralità e di fronte, soprattutto, all’ideologia dell'immoralità, che vuole ammettere tutto sotto la scusa del voler bene. Assisteremo al compimento dell’apostasia: saranno varate le leggi più immorali con il silenzio dei cattolici, con il plauso di alcuni, e con la falsa prudenza dei pastori, che taceranno in nome della libertà e del rispetto umano. Più che morale scheletrica, è la sua morte vera e propria.
Tutto è cominciato con la scarnificazione della messa, svuotandola delle sue difese dogmatiche nelle parole e nei gesti.
E la rinascita inizierà con il ritorno alla vera e totale messa cattolica.
I riformatori post-conciliari volevano un nuovo cristianesimo più libero, più umanamente accattivante, per far questo hanno privato la messa delle sue difese, e non hanno voluto difendere il Cristianesimo di Dio.
Forse Paolo VI non aveva previsto questa tragedia, forse si era illuso di fermare la semplificazione e l'ammodernamento al solo linguaggio, forse... ma il linguaggio è contenuto; e i vuoti di linguaggio sono vuoti di contenuto, che il mondo si premura di riempire come vuole.
Forse Paolo VI non aveva immaginato tanto, ma è certo che oggi un Papa non potrà più fermare la deriva, senza accettare il martirio. Sì, dovrà accettare il martirio, perché se tenterà veramente di porre rimedio, sarà attaccato dal mondo e da quel mondo che si è infiltrato nella casa di Dio. Ma se non accetterà il martirio, rischierà di non fare il Papa.


“Romæ autem duo instítuit monastéria, álterum virórum, mulíerum álterum. Tres étiam mórtuos ad vitam revocávit, múltaque ália édidit mirácula, quibus ordo Prædicatórum mirífice propagári cœpit” (Lect. V – II Noct.) - SANCTI DOMINICI, CONFESSORIS, FUNDATORIS ORDINIS PRÆDICATORUM

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Non si saprebbe fare un più bel elogio di san Domenico che quello che, nel suo Paradiso, nel canto XII, Dante ha posto sulle labbra di san Bonaventura da Bagnoregio. Come al tempo degli Apostoli il grande compito dell’apostolato fu diviso – a Pietro i circoncisi, a Paolo i Gentili – così, nel XIII sec., la Provvidenza sembrò dividere il campo della Chiesa tra san Domenico e san Francesco. Al Poverello di Assisi, le piccole persone, i Minori dell’epoca comunale, presso le quali, grazie all’esempio della povertà evangelica e di una tenera devozione ai misteri dell’umanità del Redentore, bisognava ritardare di alcuni secoli lo scatenamento dell’incendio socialista. A Domenico, al contrario, magister generalisdi un Ordine di sapienti predicatori, la difesa della dottrina cattolica e la guerra contro le eresie nascenti, ovvero «li sterpi eretici» (v. 100). Non a caso il Bonaventura, quasi giustapponendo il matrimonio di san Francesco con Madonna Povertà, porrà in luce le nozze tra san Domenico e la Fede (v. 62).
Fin dai loro inizi, la vita di questi due patriarchi fu una profezia; occuparono rispettivamente il posto provvidenziale che Dio, attraverso i secoli, riservava ai loro Ordini. Il Poverello sostenne sulle sue spalle il Laterano scosso; poi partì pellegrino in Terra Santa per cominciare le missioni d’Oriente. Quanto a Domenico, prima che fosse affidata ai suoi figli la Santa Inquisizione, esercitò dapprima, nello stesso Palazzo apostolico, l’incarico di maestro e di censore.
Roma è ricca di ricordi di san Domenico, in particolare nei titoli di San Sisto (cfr. Mariano Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, pp. 518-520; Ch. Huelsen, Le Chiese di Roma nel medio evo, Firenze 1927, pp. 470-471;1Raimondo Spiazzi, San Domenico e il Monastero di San Sisto all’Appia. Raccolta di studi storici, tradizioni e testi d’archivio, Bologna 1993) e di Santa Sabina, dove visse ed operò splendidi miracoli (cfr. Jaime Rodriguez Lebrato, Itinerario dei miracoli di san Domenicoa Roma, Roma 1995, passim) come ad es. alcune resurrezioni (cfr. Albert J. Herbert, Raised from the dead-true stories of 400 resurrection miracles, trad. it. di Camilla Giacomini (a cura di),I morti resuscitati. Storie vere di 400 miracoli di resurrezione,Tavagnacco 1998, pp. 112-115, partic. pp. 113-114. Sulla chiesa di Santa Sabina, v. Mariano Armellini, op. cit., pp. 581-585; Ch. Huelsen, op. cit., pp. 430-431). 
A Roma, nel 2000, fu dedicata un'altra chiesa al nostro Santo, in zona Tor San Giovanni, la Chiesa di San Domenico di Guzmán. Questa fu elevata a diaconia da Benedetto XVI nel 2012.
Il Santo morì a Bologna il 6 agosto 1221, ma essendo questo giorno dedicato ad un’altra festa, il suo ufficio fu anticipato al 4. In occasione del VII centenario della morte il 29 giugno 1921 papa Benedetto XV dedicò alla figura di san Domenico l’enciclica Fausto Appetente Die.
La messa prende in prestito quasi tutti i suoi canti ed il vangelo da quella dai Confessori.


Giovanni Maria Morandi, Madonna del Rosario col Bambino in gloria con i SS. Domenico e Caterina da Siena, 1686, Museo della Basilica di S. Sabina, Roma



José Gil de Castro, S. Domenico, 1817, Museo Nacional de Bellas Artes, Santiago, Cile

S. Domenico in abiti da canonico regolare di S. Agostino della Chiesa Cattedrale di Osma

4 agosto 1903 - elezione al Sommo Pontificato del Patriarca di Venezia, card. Giuseppe Melchiorre Sarto, che assunse il nome di Pio X

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Il Cardinal Luigi Macchi annuncia l'elezione del Cardinal Sarto il 4 agosto 1903. Il Pontefice eletto sarà incoronato il 9 agosto seguente

Prima benedizione del papa Pio X

Piviale dell'incoronazione 

Tiara pontificia o triregno del beato Pio IX con la quale fu incoronato S. Pio X il 9 agosto 1903.
Lo stesso fu usato per incoronare Giovanni XXIII



Statua del papa S. Pio X, Parrocchia di S. Pio X, Cagliari

Due titani dell’ortodossia cattolica in difesa della famiglia: il card. Burke e Mons. Cordileone

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Nella memoria della dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore, rilancio quest’articolo, in relazione all’intervento nello scorso fine settimana del card. Burke a La Crosse, in Wisconsin, sua antica diocesi prima di essere chiamato a Roma da Benedetto XVI.


Pio XII incorona la Vergine Salus Populi Romani il 1° novembre 1954


Riproduzione dell'icona della Vergine Maria Salus Populi Romani, venerata nella Basilica di Santa Maria Maggiore in Roma, XIX sec., British Museum, Londra


In tale occasione, l’instancabile porporato, che ha partecipato ad un incontro sul tema della famiglia (v. qui) lo scorso fine settimana assieme a Mons. Salvatore Cordileone, arcivescovo di San Francisco, ha avuto modo di avvertire, con parole dure ma vere, che « Error has entered into the Church which is weakening the Church's witness to detriment of the whole of society» (v. qui il servizio di Vortex).


One-Two Punch in La Crosse

Two titans of orthodoxy are defending marriage and the family

by Ryan Fitzgerald


LA CROSSE, Wis., August 3, 2015 (ChurchMilitant.com) - Archbishop Salvatore Cordileone and Cdl. Raymond Leo Burke met in La Crosse, Wisconsin, this weekend and spoke on marriage, the family and the crisis in the Church, among other topics. The event, organized by the Queen of the Americas Guild, was part of the "Remaining in the Truth of Christ" conference at the Shrine of Our Lady of Guadalupe.
In the keynote address, Cdl. Burke, former Prefect of the Apostolic Signatura and current patron of the Sovereign Order of Malta, warned the packed basilica of major problems inside and outside the Church. And it's the weakness crippling the Church, says Cdl. Burke, that ends up harming the rest of society.
He took last year's Extraordinary Synod on the Family as the defining moment when the crisis within the Church became undeniable. He believes the Synod took issues that the Church has always spoken on with clarity and handled them — sometimes erroneously — with no consistent reference to Church Tradition or the Magisterium. Especially telling, says Cdl. Burke, is the way the Synod's discussions overlooked the evil in relationships featuring such grave sins as adultery, premarital cohabitation and sodomy.
In addition, Cdl. Burke thinks many voices in the Church, who want to see Her out in the fringes of the world, are getting ahead of themselves. Right now, he affirms, the Church needs to regain a better understanding of Her own doctrines instead of plunge recklessly into the broader culture with vague, confused messages. Confronting the secular world while withholding the truth from it would exhibit a siginificant lack of charity, says Cdl. Burke.
A rising, subjectivity-centered sentimentalism, or false compassion, is taking hold of both Catholics and non-Catholics alike, he says, and it's distorting the objective truth about marriage and family. The distortion leads those in sin to overlook the state of their souls, giving them the impression that they're fine as long as they have "love." The secular mass media, says the cardinal, are the prime offenders in this regard.
He says without hesitation that the attack on the family today is demonic and that Catholics must be willing and ready to suffer for true, holy matrimony.
Archbishop Cordileone of San Francisco then gave a talk on the Virgin of Guadalupe, in which he lamented the lack of fundamentals in the Church today. The main focus of his talk, however, was on the way Marian devotion can help address the crisis today and heal the wounds of separation. He stressed how Mary is the marriage between God's divinity and our humanity.
God unites and joins things together; it is fallen humanity, Abp. Cordileone points out, that tends to separate them. One such separation, he noted, is the attempt to disintegrate the union of doctrine and discipline in the Church. Yet, he affirms, these two principles can never truly be undone, as discipline exists to reinforce doctrine.
The San Francisco prelate, who has been undergoing his own struggles in the Bay Area lately as he pursues new, more faithful contracts for local Catholic school teachers, implores Catholics to return to a proper practice of penance and fasting.
Explaining the fruits of sacrifice, he observes how the Virgin Mary truly became the Mother of humanity when she joined herself to the Cross.

Danza pagana nella Cattedrale di San Lorenzo in Perugia

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Dopo il "cardinal" Ravasi, partecipante ad una cerimonia pagana (v. qui), ora anche la Cattedrale di Perugia è profanata da una cerimonia-danza altrettanto pagana (sic!!!).
È sconcertante assistere, all'interno della Chiesa cattolica, che è Sposa di Cristo, a questa sorta di gara al paganesimo di ritorno o all'indifferentismo o cosmopolitismo religioso, connotato da un antropocentrismo idolatra e blasfemo!  Anzi la Chiesa, ahimé, agevola oggi simili "esibizioni", con il pretesto che si tratti di realizzazioni artistiche o culturali!
Ci si dimentica così che i defunti vanno suffragati con una preghiera seria, composta e cristiana, ma soprattutto col Sacrificio della Messa, e non con "danze cerimoniali"!!!!

Danza cerimoniale Table of silence 9/11 in occasione del Perdono

Si intitola "Table of silence 9/11" la danza cerimoniale nata dalla collaborazione tra l'artista umbra Rossella Vasta e la coreografa newyorkese Jacqulyn Buglisi. Nel giorno del Perdono d'Assisi, domenica 2 agosto, la danza cerimoniale è "andata in scena" di prima mattina ad Assisi, sul piazzale della basilica di Santa Maria degli Angeli; poi nel pomeriggio a Perugia, prima in piazza IV Novembre poi nella cattedrale di San Lorenzo.















Foto di Giancarlo Belfiore, Corriere dell'Umbria, 2.8.2015

E se Dio stesse usando la Russia per rievangelizzare l'Europa? Perché la statua di San Vladimir a Mosca riguarda anche noi

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Nella festa della Trasfigurazione e nella memoria dei SS. Sisto II, papa, Felicissimo, Agapito, Gennaro, Magno, Vincenzo, Stefano e Quarto, martiri, rilancio questo contributo di Rino Cammilleri, rilanciato anche da Il Timone.


Ambito veneto, S. Sisto II, condotto al martirio, incontra S. Lorenzo, XVIII sec., museo diocesano, Verona

Mentre in Europa ci si vergogna dei simboli cristiani e delle proprie radici, nella Russia di Putin, queste vengono esaltate. E se Dio avesse prescelto quella Nazione, un tempo terra dell'ateismo materialista e militante, per ricordare e rievangelizzare l’antico continente ormai scristianizzato e paganeggiante?

La statua di san Vladimir che farà grande Putin

di Rino Cammilleri

E poi dice che uno tifa Vlad! No, non l’Impalatore vampiresco, ma lui, Vladimir Putin. Che ha annunciato l’erezione di una colossale statua in Mosca a San Vladimiro, Vladimir I il Santo, Gran Principe di Kiev e cristianizzatore della Rus’. Cadono i mille anni dalla sua morte e Putin ha indetto in suo onore un grandioso galà al Cremlino con centinaia di ospiti. Dopo, naturalmente, aver preso parte alla solenne cerimonia religiosa in cattedrale col patriarca Kirill. Putin ha ridato grande lustro alla tradizione religiosa della Santa Russia, premia le famiglie numerose, non vuol sentir parlare di gender e ideologia Lgbt, finanzia e ricostruisce chiese e monasteri, ha perfino richiamato il Papa in mondovisione per essersi distratto dal bacio alla Vladimirskaya, l’icona della Madre di Dio protettrice di tutte le Russie. 

Putin si proclama difensore (come già fu lo zar) dei cristiani balcanici e mediorientali in terra islamica. Ha perfino ripristinato il nome a Sanpietroburgo, la città che cambiava denominazione a ogni regime. E vietato l’adozione di bimbi russi ai Paesi che praticano le nozze gay. Voi direte che fa così non perché gliene importi del cristianesimo e della sua morale, ma per assicurarsi il puntello della potente Chiesa ortodossa. E per differenziarsi sotto ogni aspetto dagli Stati Uniti che, con la loro ostinazione imperialistica, gli hanno di fatto scatenato contro una neo-guerra fredda (è dai tempi della Grande Guerra che gli Usa temono come la morte il sorgere di un asse economico Germania-Russia). Tutto (forse) vero, chi lo nega? Però lo fa. 

Forse davvero Putin intende usare la tradizione cristiana come instrumentum regni, ma chi se ne importa? L’Occidente fa l’esatto contrario e combatte una guerra mai vista contro Cristo e, pur di farGli un dispetto, scarta inorridito anche la sola idea che l’identità religiosa possa servire da antidoto contro il jihadismo. É di questi giorni la notizia che Magdi Cristiano Allam è stato ridotto all’elemosina da Querela Continua, la jihad giudiziaria scatenatagli contro dai musulmani italici. I giudici nostrani gli danno sempre torto, è sotto scorta da una vita, pure l’ordine dei giornalisti gli ha inflitto l’impeachment per “islamofobia”. E qui non c’è un patriarca Kirill che gli offra aiuto, nemmeno sottobanco, manco una pacca sulla spalla. 

Forse anche Vladimir il Grande, nell’anno 988, agì per calcolo politico quando mandò in soffitta il paganesimo di suo padre Svjatoslav e si volse verso Costantinopoli. C’è chi dice che cercava appoggi contro le scorrerie vikinghe. Ma chi qui scrive sa bene che pure delle Crociate generazioni di storici atei hanno cercato col lanternino i “retroscena economici”. E, si sa, quel che non si trova si inventa. Molti sono i Santi che hanno cominciato il loro cammino per paura o per interesse. Solo che, cammin facendo, si sono santificati davvero, perché Dio era più furbo di loro. Si noti che la conversione del Principato di Kiev reca la data del 988. Mille anni dopo, l’impero sovietico crollava e, come predetto dalla Madonna a Fatima, la Russia tornava cristiana. In un mondo che non lo era più. Kiev è oggi capitale dell’Ucraina, e qualcuno si meraviglia ancora che i russi non intendano cederla a Obama e ai suoi zerbini europei. Di più: Vladimir il Santo si fece battezzare a Cherson, l’odierna Sebastopol, nell’attuale Crimea. 

Ed ecco un altro spunto di riflessione per chi paventa l’”espansionismo russo”. Nella geopolitica la religione conta? Chiedetelo all’Arabia Saudita, all’Iran khomeinista e al sedicente Califfato. Chiedetelo all’Occidente, che spende somme spaventose e non esita di fronte ad alcun genere di pressione per imporre ovunque la sua ideologia (i.e. religione laica). Si dice che Vladimir il Grande, giudiziosamente, abbia mandato suoi emissari per analizzare le grandi religioni monoteistiche da cui era circondato: cristianesimo, ebraismo e islamismo. Quest’ultimo, sebbene potente e in espansione, fu scartato subito per amore del popolo: vietava le bevande inebrianti e i rus’ non lo avrebbero sopportato. La scelta tra i culti rimanenti fu vinta da Costantinopoli in via puramente estetica: gli emissari del Gran Principe rimasero abbagliati dallo splendore della liturgia bizantina. Un Dio onorato in tal modo non poteva che essere quello vero, riferirono. Meditate gente, meditate.

“Oratiónem ad octo passim horas júgibus lácrimis protrahébat: sæpe in éxtasim raptus ac prophetíæ dono illústris Romæ, nocte natalítia, ad præsépe Dómini infántem Jesum accípere méruit a Deípara in ulnas suas. Corpus íntegras noctes intérdum verberatiónibus affligébat; nec umquam addúci pótuit ut vitæ asperitátem emollíret, testátus in cínere velle se mori” (Lect. VI – II Noct.) - SANCTI CAJETANI, CONFESSORIS ET CLERICORUM REGULARIUM FUNDATORIS

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Questo caro Santo, così dolce ed umile che chiese a Dio che il suo sepolcro, dopo la sua morte, non fosse conosciuto da nessuno († 1547), ha il merito di essere stato, prima ancora di sant’Ignazio, uno dei rappresentanti più autorevoli della riforma ecclesiastica compiuta nel XVI sec.
Roma cristiana lo venera come uno dei suoi cittadini di elezione. La basilica liberiana rievoca ancora il ricordo della sua prima messa, che celebrò nel Natale del 1516 dopo averla ritardata per quasi tre mesi dalla sua ordinazione sentendosi inadeguato, e quella, soprattutto, al Presepio del Signore, celebrata, col fervore di un Serafino, il giorno in cui meritò di accogliere tra sue braccia il Divin Bambino dalla stessa Vergine. Era il 25 dicembre 1517 (Bollandisti, De S. Caietano Thienæo Conf., Commentarius prævius, cap. II, Aula Romana Caietani moribus illustrata, munns in ea gestum; sacerdotium, Pueri Jesu amplexus, Cœlitum patrocinium matri impetratum, praeclara de sodalitio Vicentino merita, § 20, in Acta Sanctorum, Augusti, t. II, vol. 36, Die Septima, Parigi-Roma, 1867, p. 244). In effetti, stava pregando in Santa Maria Maggiore, e precisamente nella cappella del Presepio (dove si conservano, inseriti in una magnifica culla di materiali preziosi, alcuni legni della culla di Gesù) allorquando mosse, con gesto apparentemente, illogico, le braccia verso l’immagine di Maria col Figlio. Successe allora l’incredibile: la Vergine Maria posò, sulle braccia tese Santo, “Quel tenero fanciullo, carne e vestimento dell’eterno Verbo”. Questo fatto straordinario lo apprendiamo da una lettera, che lo stesso protagonista scrisse un mese dopo, alla monaca agostiniana bresciana suor Laura Mignani (1482-1525), donna di altissimi meriti, tanto che il nostro Santo ed altri sacerdoti, senza conoscerla di persona, se ne erano fatti figli spirituali. Raccontata la visione, San Gaetano la commenta così: “… Duro era il mio cuor ben lo crederete, perché certo non essendosi in quel punto liquefatto, segno è che è di diamante”. E sospirava: “Pazienza!”. La visione, sempre su testimonianza del protagonista, si ripeté nelle due feste della Circoncisione e dell’Epifania. Il santo ne fu tanto grato che si confermò e si corazzò nelle “immortal guerra contro i tre pestiferi nemici: la carne, il mondo e il demonio, da superare con l’aiuto della croce”.
La confessione del Principe degli Apostoli conserva anche il ricordo del giorno memorabile - era il 14 settembre 1524 – nel quale Gaetano da Thiene e l’ardente Gian Pietro Carafa, futuro Paolo IV, istituirono il nuovo Ordine dei Chierici Regolari, emettendo il difficile voto di affidarsi interamente alla divina Provvidenza per vivere soltanto delle elemosine che sarebbero state loro spontaneamente offerte dai fedeli.
Presso la Chiesa dei SS. Silvestro e Dorotea in Trastevere, il nostro Santo aderì, e probabilmente fondò, l’oratorio del Divino Amore, partecipando attivamente alle sue opere volte all'edificazione spirituale dei confratelli ed a un diffuso impegno assistenziale, soprattutto nei confronti di persone emarginate ed a rischio. Come altri membri dell'oratorio, perciò, lo troviamo più tardi - nel 1524-25 - fra i custodi dell'ospedale di San Giacomo degli Incurabili, uno degli istituti caritativi promossi a Roma, come altrove, dai confratelli del Divino Amore. Nella chiesa dei SS. Silvestro e Dorotea, ricorda l’Armellini, il nostro Santo, come più tardi fece anche il Calasanzio, gettò le fondamenta del suo ordine (cfr. Mariano Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, p. 692).
Nel rione Campomarzio, presso Villa Medici al monte Pincio, esiste poi un casino in cui il Santo, assieme ai suoi primi discepoli, si rifugiò durante il sacco di Roma del 6 maggio 1527 sotto papa Clemente VII. Scoperto dai lanzichenecchi il Santo fu catturato, imprigionato nella Torre dell’Orologio in Vaticano e torturato perché rivelasse il luogo in cui aveva nascosto i suoi tesori. Alla fine, la soldataglia lo lasciò libero perché comprese che non aveva beni da depredare. In ricordo di quest’episodio fu posta nel 1704 una lapide sull’ingresso della cappelletta (ibidem, pp. 341-342).
Al Santo è dedicata a Roma, nel quartiere Tor di Quinto, una chiesa sulla via Flaminia Nuova officiata dai Teatini ed eretta nel 1962, sebbene dedicata nel 1979.
San Gaetano ebbe una parte notevole nella riforma del Breviario sotto Clemente VII.
Canonizzato nel 1671 da Clemente X, la sua festa entrò nel Messale nel 1673 come semidoppia; Innocenzo XI l’elevò al rango di rito doppio nel 1682.


Andrea Vaccaro, S. Gaetano offerto alla Vergine da sua madre, XVII sec., Museo del Prado, Madrid

Andrea Vaccaro, Il disinteresse di S. Gaetano, XVII sec., Museo del Prado, Madrid

Andrea Vaccaro, S. Gaetano dinanzi alla Sacra Famiglia, XVII sec., Museo del Prado, Madrid

Andrea Vaccaro, Morte di S. Gaetano, XVII sec., Museo del Prado, Madrid

Scuola austriaca, La gloria di S. Gaetano, XVIII sec.

Matteo Rosselli, I SS. Gaetano Thiene, Andrea Avellino, Francesco d’Assisi adoranti la Trinità, con la Madonna ed i SS. Giovanni Battista e Michele arcangelo, XVIII sec., Chiesa dei Santi Michele e Gaetano, Firenze

Giambattista Tiepolo, S. Gaetano da Thiene, 1710-36, Museu Nacional de Belas Artes, Rio de Janeiro

Sebastiano Ricci, S. Gaetano conforta un moribondo, 1727, Pinacoteca di Brera, Milano

Giovanni Battista Piazzetta, Angelo custode tra i SS. Antonio da Padova e Gaetano Thiene, 1729 circa, San Vitale, Venezia


Salvatore Postiglione, Affettuosità ovvero S. Gaetano, XX sec.

Pietro Gagliardi, Visione di S. Gaetano, 1882, Chiesa parrocchiale di S. Gaetano, Hamrun, Malta




Statua della Vergine che porge a S. Gaetano (Gejtanu) il divin Bambino, Hamrun, Malta

Dio ed il peccato presi sul serio in un aforisma del card. Ratzinger

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Nella vigilia anticipata di san Lorenzo, arcidiacono e martire, rilancio quest'insegnamento dell'allora card. Ratzinger:

Ambito ferrarese, S. Lorenzo, XVII sec., museo diocesano, Ferrara



L’anima è il carro cherubico che porta Dio

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Come l’anno scorso, non dimentichiamoci, durante la pausa estiva, dell’aspetto spirituale della nostra esistenza e della nostra anima. Per ricordarlo attingiamo ad un testo della tradizione spirituale patristica e monastica di san Macario il Grande.

L’anima è il carro cherubico che porta Dio 

di San Macario il Grande

Fadi Mikhail, Icona copta dei Santi Macario il grande con i suoi discepoli Massimo e Domezio, XXI sec.

1. Il beato profeta Ezechiele contemplò una visione, un’apparizione divina e gloriosa, e ne fece la narrazione descrivendo una visione colma di ineffabili misteri(1). Vide, nella pianura, un carro di cherubini, quattro esseri viventi spirituali, di cui ciascuno aveva quattro volti: uno di leone, uno di aquila, uno di vitello e uno d’uomo. E per ogni volto avevano delle ali, sicché non v’era parte posteriore o rivolta all’indietro; e il loro dorso era colmo di occhi, e il loro ventre similmente era colmo di occhi, e non vi era parte che non fosse colma di occhi. E ogni volto era provvisto di ruote, una ruota dentro l’altra, e nelle ruote vi era lo Spirito. E vide come un trono e, seduto su di essi, una figura dalle sembianze umane e sotto i suoi piedi c’era come uno zaffiro lavorato. Il carro portava il cherubino e gli esseri viventi il Signore, assiso su di essi; ovunque volesse andare, era sempre in direzione di un volto. E vide, sotto il cherubino, come una mano d’uomo che lo sorreggeva e lo portava.

2. E ciò che il profeta vide nella sua sostanza era vero e certo. Indicava tuttavia qualcos’altro e prefigurava una realtà mistica e divina, un mistero nascosto in verità da secoli e da generazioni(2), ma svelato negli ultimi tempi(3) con la manifestazione di Cristo(4). Contemplava infatti il mistero dell’anima che avrebbe accolto il suo Signore e sarebbe divenuta per lui trono di gloria. Poiché l’anima resa degna di avere parte allo Spirito, fonte della sua luce(5), e illuminata dalla bellezza dell’ineffabile gloria del Signore, che l’ha preparata quale trono e sua dimora, diventa tutta luce(6), tutta volto, tutta occhio(7); non vi è in essa parte alcuna che non sia ricolma degli occhi spirituali della luce, cioè non vi è in essa nulla di tenebroso, ma è trasformata tutta intera in luce e spirito ed è tutta colma di occhi; non ha alcuna parte posteriore o che stia a tergo, ma è volto in ogni lato, poiché su di essa è assisa l’ineffabile bellezza della luminosa gloria di Cristo. E come il sole è identico a se stesso in ogni sua parte e non ha lato posteriore o difettoso, ma è tutto interamente glorificato dalla luce ed è tutto luce, uguale in tutte le sue parti, o come il fuoco, la luce stessa del fuoco, è tutta uguale e non ha in sé qualcosa di primo o di ultimo, di maggiore o di minore, così anche l’anima, che è stata perfettamente illuminata dall’ineffabile bellezza della gloria luminosa del volto di Cristo(8), che è in piena comunione con lo Spirito Santo ed è fatta degna di diventare dimora e trono di Dio, diventa tutta occhio, tutta luce, tutta gloria, tutto spirito. Tale la rende il Cristo, che la conduce, la guida, la sostiene, la trasporta e così la prepara e adorna di bellezza spirituale. È detto infatti: Una mano d’uomo stava sotto il cherubino(9), poiché Colui che in essa è trasportato è anche Colui che guida.

Note

1 Cf. Ez 1,4-28.

2 Col 1,26.

3 Cf. 1Pt 1,20.

4 Cf. 2Tm 1,10

5 Il senso di queste parole viene chiarito al § 6: “…quanti possiedono l’anima della luce, cioè la potenza dello Spirito santo, sono dalla parte della luce”.

6“l’anima vede la luce e diventa tutta luce” afferma Gregorio di Nazianzo (Carmina dogmatica 32, PG 37,512). È l’esperienza della trasfigurazione sovente attestata negli Apophtegmata patrum: di abba Arsenio si dice che era “tutto come di fuoco” (Arsenio 27, PG 65,96C) e il volto di abba Sisoès risplendeva come il sole (cf. Apophtegmata patrum, alph.: Sisoès 14, PG 65,396BC; cf. anche Pambo 1 e 12). Abba Giuseppe di Panefisi affermava “Non ti è possibile diventare monaco, se non diventi tutto di fuoco!” (Apophtegmata patrum, alph. Giuseppe di Panefisi 6, PG 65, 229C). Su questo tema nelle Omelie dello Pseudo-Macario vedi anche: Om. 8,3 e Om. 15,38.

7 I cherubini ricoperti di occhi nella tradizione cristiana sono diventati simbolo della vita contemplativa. Abba Bessarione diceva: “Il monaco deve essere come i cherubini e i serafini: tutto occhi!” (Apophtegmata patrum,alph.: Bessarione 11, PG 65,141D).

8 Cf. 2Cor 4,6.

9 Cf. Ez 1,8; 10,8.

(tratto da: Macario il Grande, Omelia 1, Pseudo-Macario, Spirito e fuoco, a cura di Lisa Cremaschi, ed. Qiqajon, Magnano 1995)

Fonte: Nati dallo Spirito, 2.6.2015

E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi … (Apoc. 7, 17) - Nagasaki, 9 agosto 1945 - 2015

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9 agosto 1945: le "democratiche" bombe americane colpivano Nagasaki, la città, guarda caso, con la più numerosa comunità cattolica del Giappone .... 

Et Dieu essuiera toutes les larmes de leurs yeux (Nagasaki – 9 août 1945)

par Henri Adam de Villiers


Ruines de la cathédrale de Nagasaki en 1945

Ils se sont écriés en voyant la place de son embrasement : Quelle ville, disaient-ils, a jamais égalé cette grande ville ? Ils se sont couvert la tête de poussière, jetant des cris accompagnés de larmes et de sanglots, et disant : Hélas ! hélas ! cette grande ville, qui a enrichi de son opulence tous ceux qui avaient des vaisseaux en mer, se trouve ruinée en un moment ! Apocalypse 18, 18-19.

Photo : ruines de la cathédrale Sainte-Marie d’Urakami de Nagasaki en 1945.

Le 9 août 1945, le B-29 Bockscar piloté par Charles Sweeney, parti de Tinian dans les îles Mariannes du Nord, largua la bombe atomique Fat Man sur la ville de Nagasaki. La bombe explosa à 580 m d’altitude, à la verticale du quartier majoritairement catholique d’Urakami, quasiment à la verticale de la cathédrale. Ce fut la seconde explosion nucléaire au Japon, trois jours après celle d’Hiroshima.
75 000 des 240 000 habitants de Nagasaki furent tués sur le coup, et au moins autant décédèrent des suites de leurs maladies ou de leurs blessures.
Nagasaki est liée dès son origine à l’arrivée de la foi chrétienne au Japon. Ce lieu fut concédé aux Portugais en 1571 par le daimyo Ōmura Sumitada comme port de commerce, avant de le leur être retiré et confié aux missionnaires de la Compagnie de Jésus en 1580. A la suite d’une révolution politique, les missionnaires sont chassés et le christianisme interdit en 1587. Malgré d’ignobles persécutions, les chrétiens de Nagasaki conservent leur foi et la pratiquent en secret, jusqu’au retour des missionnaires au XIXème siècle. Ainsi, le village d’Urakami, proche de Nagasaki (plus tard englobé dans la ville) est alors composé uniquement de crypto-chrétiens lorsqu’il est découvert en 1865 par le RP Bernard Petitjean, des Missions étrangères de Paris.

Nagasaki : juin 1949 – messe pontificale célébrée dans les ruines de la cathédrale en l'honneur des 400 ans de l'arrivée de saint François-Xavier au Japon
Parce que l’Agneau qui est au milieu du trône, sera leur pasteur, et il les conduira aux sources vives des eaux, et Dieu essuiera toutes les larmes de leurs yeux. Apocalypse 7, 17.

Photo : Messe pontificale célébrée dans les ruines de la cathédrale Sainte-Marie d’Urakami à Nagasaki en juin 1949.

Cette extraordinaire – et prophétique – photo d’une messe pontificale célébrée dans les ruines de la cathédrale de Nagasaki est une belle image de la reconstruction spirituelle sur les ruines de la Cité catholique.

Nagasaki : juin 1949 – messe pontificale célébrée dans les ruines de la cathédrale en l'honneur des 400 ans de l'arrivée de saint François-Xavier au Japon

Quiconque sera victorieux, je le ferai asseoir avec moi sur mon trône ; de même qu’ayant été moi-même victorieux, je me suis assis avec mon Père sur son trône. Apocalypse 4, 21.

Photo : Messe pontificale au trône dans les ruines de la cathédrale Sainte-Marie d’Urakami à Nagasaki en juin 1949.

Cette messe pontificale célébrée au trône en 1949 célébrait alors le 4ème centenaire de l’arrivée de saint François-Xavier au Japon et à la fondation de la première communauté chrétienne de ce pays.
Lorsqu’il eut ouvert le cinquième sceau, je vis sous l’autel les âmes de ceux qui avaient souffert la mort pour la parole de Dieu, et pour le témoignage qu’ils avaient rendu. Apocalypse 6, 9.

Photo : Messe pontificale dans les ruines de la cathédrale Sainte-Marie d’Urakami à Nagasaki en juin 1949. Procession des reliques de saint François-Xavier.

Afin de célébrer le 400ème anniversaire de la venue de la foi véritable au Japon par l’arrivée de saint François-Xavier, la relique insigne de son bras avait alors été emmenée de Rome (où elle est conservée à l’église du Gesù) à Nagasaki.
Voici d’autres photos de cette cérémonie prises par Carl Mydans en 1949 pour le compte de Life. Nous y avons adjoint une photographie d’un requiem à la mémoire des fidèles morts dans l’explosion de la bombe, messe célébrée devant les ruines de la cathédrale le 23 novembre 1945.
En cet anniversaire, prions.









Oscar Wilde: una vita per la Bellezza, un incontro con la Verità

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Abbiamo già parlato in passato della conversione di Giosué Carducci (v. qui).
Oggi parliamo della conversione di un altro scrittore: Oscar Wilde.
Il percorso che ha portato il dandy d’origine irlandese  Wilde alla fede cattolica non è stato piano e privo di ostacoli. Esso, al contrario, è stato intriso di diverse difficoltà, non foss’altro perché egli – almeno da principio – era attratto dal cattolicesimo unicamente perché, da esteta qual era, attratto dalla bellezza dei riti cattolici. Come, però, spesso accade in questi casi, «per tutta la vita cercò la Bellezza e finì per incontrare la Verità», come nota Paolo Gulisano. Del resto è significativo che, benché battezzato solo sul letto di morte, ammettesse la forza rigeneratrice della fede cattolica, tanto da voler aderire alla Chiesa cattolica, «dove – come dirà Chesterton – tutte le verità si danno appuntamento». Con tono scherzoso, disse ad un amico: «La Chiesa cattolica è soltanto per i santi e i peccatori. Per le persone rispettabili va benissimo quella anglicana».
Tre settimane prima di morire, dichiarò ad un corrispondente del Daily Chronicle: «Buona parte della mia perversione morale è dovuta al fatto che mio padre non mi permise di diventare cattolico. L’aspetto artistico della Chiesa e la fragranza dei suoi insegnamenti mi avrebbero guarito dalle mie degenerazioni. Ho intenzione di esservi accolto al più presto» (R. Ellmann, Oscar Wilde, Rizzoli, Milano 1991, p. 669). Il padre, noto oftalmologo dell’epoca, nonché massone ed anti-cattolico, proibì al giovane Oscar quando era studente universitario di battezzarsi nella fede cattolica, minacciandolo di tagliargli i viveri. Nonostante ciò, nel 1877, incontrò in segreto Papa il beato Pio IX , che ammirava fortemente, a cui dedicò persino un sonetto, e per il quale nutriva profondo rispetto - e all’epoca non era certo di moda stimare Pio IX - tanto che, a quanti gli chiedevano della sua fede, rispondeva: «Non sono cattolico, sono solo papista». Da allora Wilde divenne apertamente sostenitore della causa di Papa Pio IX, quella del potere temporale dei papi su Roma e sullo Stato Pontificio. Altrettanta venerazione ebbe verso il successore, Leone XIII, alla cui benedizione pasquale attribuì la guarigione da una grave forma di dermatite: «Quando vidi il vecchio bianco Pontefice, successore degli Apostoli e padre della Cristianità, portato in alto sopra la folla, passarmi vicino e benedirmi dove ero inginocchiato, io sentii la mia fragilità di corpo e di anima scivolare via da me come un abito consunto, e ne provai piena consapevolezza». Riguardo alla guarigione dichiarò: «Il Vicario di Cristo ha fatto tutto». Da quel momento iniziò ad andare molto spesso, durante il suo soggiorno romano, alle udienze pontificie. Per approfondimenti, v. Oscar Wilde: un'icona gay?;  La conversione di Oscar Wilde; La conversione di Oscar Wilde; Lo strabiliante cattolicesimo di Oscar Wilde
Volentieri rilancio questa recensione di Luca Fumagalli su un testo dedicato ad Oscar Wilde nella festa di san Lorenzo arcidiacono e martire.


Hans Memling. Trittico Pagagnotti: Madonna col Bambino ed Angeli, tra i SS. Giovanni Battista e Lorenzo, 1480 circa, Galleria degli Uffizi, Firenze (pannello centrale) e The National Gallery, Londra (pannelli laterali)


Guercino, La Vergine col Bambino appare a S. Lorenzo, 1624, Chiesa del Seminario (chiesa di Sant'Agostino), Finale Emilia

Jean Baptiste de Champaigne, Martirio di S. Lorenzo, 1660 circa, National Gallery of Art, Washington


Oscar Wilde: una vita per la Bellezza, un incontro con la Verità


«Il cattolicesimo è la sola religione in cui morirei»
(Oscar Wilde)

Di Luca Fumagalli

Autunno del 1900. Oscar Wilde si trova a Parigi. Un vecchio problema all’orecchio, eredità di due anni di dura prigionia, si ripresenta sotto forma di emorragie che, oltre a spossarlo, lo obbligano ad assidue cure mediche. Ormai è praticamente costretto a letto. L’unico amico che gli rimane è Robbie Ross, una vecchia fiamma degli anni felici della gioventù che, scontati i peccati del passato, si è convertito al cattolicesimo e svolge ora la professione di giornalista. Sentendo prossima la fine anche Oscar decide di compiere il grande passo, quello che aveva rimandato per tutta la vita. Rendendosi conto che l’agonia è iniziata, Ross si precipita a cercare un sacerdote presso il vicino convento dei passionisti. Per un singolare scherzo del destino riesce a trovare un religioso irlandese, padre Cuthbert Dunne, che immediatamente amministra i sacramenti a Wilde. Lo stanco scrittore muore in pace mentre stringe tra le mani un rosario. È il 30 novembre.
Noto comunemente come grande scrittore esponente dell’estetismo, dandy imperituro che con abiti e atteggiamenti anticonvenzionali scosse il perbenismo della società vittoriana, in realtà Oscar Wilde (1854-1900) fu molto di più del poeta maledetto con cui, soprattutto in Italia, la critica ha cercato di etichettare sbrigativamente una personalità sfuggente e contraddittoria. Accanto a immortali capolavori come Il ritratto di Dorian Gray, Il fantasma di Canterville o L’importanza di chiamarsi Ernesto, della suo biografia sopravvivono nell’immaginario collettivo solamente pochi frammenti, legati soprattutto alle relazioni scabrose come quella con Lord Alfred Douglas che, oltre alla carriera, gli costarono anche diversi mesi di detenzione. In altre parole, l’unico Wilde che resiste agli assalti del tempo è il cantore degli eccessi: «Non c’è nulla che faccia bene se usato con moderazione. Non puoi sapere che cosa ci sia di buono in una cosa finché non le avrai strappato il cuore».
Eppure, al di là degli scandali, la vita di Wilde è come attraversata da una sorta di fiume carsico che ha la sua sorgente nella nativa Irlanda. L’isola di smeraldo, patria di miti e leggende, è anche la terra del cristianesimo, dove la fede è stata preservata con singolare tenacia nonostante le calamità che, nel corso dei secoli, si sono abbattute su di essa. Dalle violenze di Cromwell alla carestia di metà ‘800, l’Irlanda è stata sovente vittima dei soprusi della vicina Inghilterra, eppure ha saputo mantenere inalterato quel legame di figliolanza che da sempre ha nutrito nei confronti di Roma.
La biografia di Wilde è dunque una ricerca della Bellezza e della Verità che, a partire dalle circostanze storiche e poetiche, si sostanzia in una conversione che giunge poco prima della morte. “L’arte per l’arte”, celebre motto coniato da Walter Peter e fatto proprio da Wilde, corrisponde solo a una parte – e certamente la meno importante – di un’esistenza condotta sul crinale, sempre in bilico tra la fede e la mondanità.
Del resto la storia del famoso scrittore è simile a quella di altri artisti che, a cavallo tra XIX e XX secolo, trovarono un appagamento al loro disordinato desiderio di felicità proprio nella Chiesa cattolica. John Gray – amico personale di Wilde e ispiratore del personaggio di Dorian Gray che, non a caso, porta il suo cognome – Ernest Dowson, Aubrey Beardsley, Ronald Firbank e Frederick Rolfe sono solo alcuni dei tanti che abbandonarono i riprovevoli costumi giovanili per convertirsi al cattolicesimo, sovente attratti dalla bellezza della liturgia e dal latino, una lingua senza tempo che con il suo carisma costituiva l’unico possibile baluardo alla decadenza della società moderna. Molti di questi exbohémien, compresi diversi amici di Wilde, presero poi i voti, diventando sacerdoti o monaci.
A rendere ancora più ostico il percorso dello scrittore verso la conversione vi era la sua naturale socialità e la disponibilità a venire a patti con qualsiasi tentazione. Questo aspetto è verificabile anche nella distanza che separa il suo Il ritratto di Dorian Gray da A rebours di Karl Huysmans, il primo narratore del decadentismo a diventare cattolico. Se il protagonista del fortunato romanzo del francese si rinchiude in una sorta di prigione dorata, fatta di bellezza e sensazioni amplificate, per sfuggire a un mondo meschino che deplora, Dorian Gray, al contrario, prova un piacere perverso a sguazzare tra i bassifondi esistenziali di un’Inghilterra degradata: «Non mancare mai di rispetto alla buona società… solo chi non riesce ad accedervi lo fa». Tutto sommato, però, anche nel libro che è considerato il manifesto dell’estetismo non sono affatto secondari temi morali come il peccato, la perversione e il tentativo luciferino di sconfiggere la morte venendo a patti con il male. L’arte, in Wilde, non è mai qualcosa di superficiale e scontato. É uno strumento impiegato per sondare l’anima e, anche quando lo scrittore sembra dimenticarsene, il suo attrezzo è così accurato che continua a lavorare indisturbato.
Basterebbe descrivere l’arredamento della sua casa a Londra, nel 1879, per rendersi conto del valore di questa forza operante lungo l’arco esistenziale dell’irlandese. Viveva con l’amico pittore Frank Miles, e quella che più tardi avrebbero ribattezzato come la “Casa del Tamigi” era in realtà un’abitazione trasandata, vecchia e buia. A Wilde toccò il secondo dei tre piani e lo riempì presto di porcellane cinesi, libri, statuette di Tanagra, tappeti greci, ma anche oggetti religiosi come una Madonna di gesso, una foto di Pio IX e una del cardinale Manning. Gli scaffali, stracolmi di esotismo, funzionano come una sorta di correlativo oggettivo dell’animo del poeta, drammaticamente lacerato nel gioco dell’esistenza.
Il ritratto di Oscar Wilde di Paolo Gulisano si incarica dunque di presentare al lettore italiano una biografia a tutto tondo di una delle penne più geniali del XIX secolo. E lo fa con singolare fortuna, coniugando una prosa leggera e godibile a una mole impressionante di dati e annotazioni (chiudendo tra l’altro ogni capitolo con un piccolo elenco degli aforismi più brillanti di Wilde). Per la prima volta il saggio di Gulisano rende giustizia alla complessità caratteriale dello scrittore facendo riemergere dall’oblio quegli elementi religiosi fortemente presenti nella sua vita ma troppo spesso taciuti. Il risultato è un affresco incantevole, la storia portentosa del riscatto di un’anima in limine mortis. Molto probabilmente lo stesso Wilde dovette sentirsi un po’ come il buon ladrone – un fortunato paradosso – quando scrisse: «Il vero stolto è colui che non conosce se stesso».

PAOLO GULISANO, Il ritratto di Oscar Wilde, Milano, Ancora, 2009, pp. 192.

L’Anticristo, una persona perbene. La lezione (inascoltata) del grande Solov’ëv spiegata da Biffi

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Secondo voi come sarà l’anticristo? Nella memoria delle Sante Susanna e Filomena, vergini e martiri, rilancio quest’insegnamento del compianto card. Biffi:


Giuseppe Bezzuoli, Santa Filomena, 1840, Cattedrale, Pistoia

L’Anticristo, una persona perbene. La lezione (inascoltata) del grande Solov’ëv spiegata da Biffi

di Giacomo Biffi

Filantropo, pacifista, vegetariano, animalista, esegeta, ecumenista. Il Nemico descritto dal filosofo russo nel 1900 incarna la crisi del cristianesimo odierno


Il 31 luglio del 1900 (13 agosto secondo il calendario gregoriano) moriva Vladimir Sergeevic Solov’ëv, teologo e filosofo, da molti considerato il pensatore più importante della storia russa. Quello che segue è l’intervento pronunciato a Bologna nel centesimo anno dalla scomparsa dall’allora arcivescovo della città, Giacomo Biffi. Il cardinale, venuto a mancare sabato 11 luglio, è stato un profondo conoscitore ed estimatore del pensiero di Solov’ëv.
Questo testo, pubblicato per la prima volta nel numero 3/2000 de La Nuova Europa, è riproposto nel numero di Tempi in edicola e fa parte della serie “Ragione Verità Amicizia”, il manifesto dei nostri vent’anni e della Fondazione Tempi (una proposta che si può sottoscrivere in questa pagina).
Vladimir Sergeevic Solov’ëv è morto cento anni fa, il 31 luglio (13 agosto secondo il calendario gregoriano) dell’anno 1900. È morto sul limitare del secolo Ventesimo: un secolo del quale egli, con singolare accuratezza, aveva preannunciato le vicissitudini e i guai, un secolo che avrebbe però tragicamente contraddetto nei fatti e nelle ideologie dominanti i suoi più rilevanti e più originali insegnamenti. È stato dunque, il suo, un magistero profetico e al tempo stesso un magistero largamente inascoltato.

Un magistero profetico

Al tempo del grande filosofo russo, la mentalità più diffusa – nell’ottimismo spensierato della belle époque – prevedeva per l’umanità del secolo che stava per cominciare un avvenire sereno: sotto la guida e l’ispirazione della nuova religione del progresso e della solidarietà senza motivazioni trascendenti, i popoli avrebbero conosciuto un’epoca di prosperità, di pace, di giustizia, di sicurezza. Nel ballo Excelsior – una coreografia che negli ultimi anni del secolo XIX aveva avuto uno straordinario successo (e avrebbe poi dato il nome a una serie innumerevole di teatri, di alberghi, di cinema) – questa nuova religione aveva trovato quasi una sua liturgia.
Victor Hugo aveva profetizzato: «Questo secolo è stato grande, il prossimo secolo sarà felice». Solov’ëv invece non si lascia incantare da quel candore laicistico e anzi preannunzia con preveggente lucidità tutti i malanni che poi si sono avverati.
Già nel 1882, nel Secondo discorso sopra Dostoevskij, egli parrebbe aver presagito e anticipatamente condannato l’insipienza e l’atrocità del collettivismo tirannico che qualche decennio dopo avrebbe afflitto la Russia e l’umanità: «Il mondo – afferma – non deve essere salvato col ricorso alla forza (…). Ci si può figurare che gli uomini collaborino insieme a qualche grande compito, e che a esso riferiscano e sottomettano tutte le loro attività particolari; ma se questo compito è loro imposto, se esso rappresenta per loro qualcosa di fatale e di incombente, (…) allora, anche se tale unità abbracciasse tutta l’umanità, non sarà stata giusta l’umanità universale, ma si avrà solo un enorme “formicaio”», quel «formicaio» che in effetti sarebbe stato poi attuato dall’ideologia ottusa e impietosa di Lenin e Stalin.
Nell’ultima pubblicazione – I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo, opera compiuta la domenica di Pasqua del 1900 – è impressionante rilevare la chiarezza con cui Solov’ëv prevede che il secolo XX sarà «l’epoca delle ultime grandi guerre, delle discordie intestine e delle rivoluzioni». Dopo di che – egli dice – tutto sarà pronto perché perda di significato «la vecchia struttura in nazioni separate e quasi ovunque scompaiano gli ultimi resti delle antiche istituzioni monarchiche». Si arriverà così alla «Unione degli Stati Uniti d’Europa».
Soprattutto è stupefacente la perspicacia con cui descrive la grande crisi che colpirà il cristianesimo negli ultimi decenni del Novecento. Egli la raffigura nella icona dell’Anticristo, personaggio affascinante che riuscirà a influenzare e a condizionare un po’ tutti. In lui, come è qui presentato, non è difficile ravvisare l’emblema, quasi l’ipostatizzazione, della religiosità confusa e ambigua di questi nostri anni: egli – dice Solov’ëv – sarà un «convinto spiritualista», un ammirevole filantropo, un pacifista impegnato e solerte, un vegetariano osservante, un animalista determinato e attivo.
Sarà, tra l’altro, anche un esperto esegeta: la sua cultura biblica gli propizierà addirittura una laurea «honoris causa» della facoltà di Tubinga. Soprattutto, si dimostrerà un eccellente ecumenista, capace di dialogare «con parole piene di dolcezza, saggezza ed eloquenza». Nei confronti di Cristo non avrà «un’ostilità di principio»; anzi ne apprezzerà l’altissimo insegnamento. Ma non potrà sopportarne – e perciò la censurerà – la sua assoluta «unicità»; e dunque non si rassegnerà ad ammettere e a proclamare che egli sia risorto e oggi vivo.
Si delinea qui, come si vede, e viene criticato, un cristianesimo dei «valori», delle «aperture» e del «dialogo», dove pare che resti poco posto alla persona del Figlio di Dio crocifisso per noi e risorto, e all’evento salvifico. Abbiamo di che riflettere. La militanza di fede ridotta ad azione umanitaria e genericamente culturale; il messaggio evangelico identificato nel confronto irenico con tutte le filosofie e con tutte le religioni; la Chiesa di Dio scambiata per un’organizzazione di promozione sociale: siamo sicuri che Solov’ëv non abbia davvero previsto ciò che è effettivamente avvenuto, e che non sia proprio questa oggi l’insidia più pericolosa per la «nazione santa» redenta dal sangue di Cristo? È un interrogativo inquietante e non dovrebbe essere eluso.

Un magistero inascoltato

Solov’ëv ha capito come nessun altro il secolo Ventesimo, ma il secolo Ventesimo non ha capito lui. Non è che gli siano mancati i riconoscimenti. La qualifica di massimo filosofo russo non gli viene di solito contestata. Von Balthasar ritiene il suo pensiero «la più universale creazione speculativa dell’epoca moderna» e arriva perfino a collocarlo sullo stesso piano di Tommaso d’Aquino. Ma è innegabile che il secolo Ventesimo, nel suo complesso, non gli ha prestato alcuna attenzione e anzi si è puntigliosamente mosso in senso opposto a quello da lui indicato.
Sono lontanissimi dalla visione solov’ëviana della realtà gli atteggiamenti mentali oggi prevalenti, anche in molti cristiani ecclesialmente impegnati e acculturati. Tra gli altri, tanto per esemplificare: l’individualismo egoistico, che sta sempre di più segnando di sé l’evoluzione del nostro costume e delle nostre leggi; il soggettivismo morale, che induce a ritenere che sia lecito e perfino lodevole assumere in campo legislativo e politico posizioni differenziate dalla norma di comportamento alla quale personalmente ci si attiene; il pacifismo e la non-violenza, di matrice tolstoiana, confusi con gli ideali evangelici di pace e fraternità, così che poi si finisce coll’arrendersi alla prepotenza e si lasciano senza difesa i deboli e gli onesti; l’estrinsecismo teologico che, per timore di essere tacciato di integrismo, dimentica l’unità del piano di Dio, rinuncia a irradiare la verità divina in tutti i campi, abdica a ogni impegno di coerenza cristiana.
In special modo il secolo Ventesimo – nei suoi percorsi e nei suoi esiti sociali, politici, culturali – ha contraddetto clamorosamente la grande costruzione morale di Solov’ëv. Egli aveva individuato i postulati etici fondamentali in una triplice primordiale esperienza, nativamente presente in ogni uomo: vale a dire nel pudore, nella pietà verso gli altri, nel sentimento religioso. Ebbene, il Novecento – dopo una rivoluzione sessuale egoistica e senza saggezza – è approdato a traguardi di permissivismo, di ostentata volgarità e di pubblica spudoratezza, che sembra non avere paragoni adeguati nella vicenda umana.
È stato poi il secolo più oppressivo e più insanguinato della storia, privo di rispetto per la vita umana e privo di misericordia. Non possiamo certo dimenticare l’orrore dello sterminio degli ebrei, che non sarà mai esecrato abbastanza. Ma sarà bene ricordare che non è stato il solo: nessuno ricorda il genocidio degli Armeni a cavallo della Prima Guerra Mondiale; nessuno si avventura a fare il conto delle vittime sacrificate inutilmente nelle varie parti del mondo all’utopia comunista.
Quanto al sentimento religioso, durante il secolo Ventesimo in Oriente è stato per la prima volta proposto e imposto su una vasta parte di umanità l’ateismo di Stato, mentre nell’Occidente secolarizzato si è diffuso un ateismo edonistico e libertario, fino ad arrivare all’idea grottesca della «morte di Dio».
In conclusione, Solov’ëv è stato indubbiamente un profeta e un maestro; ma un maestro, per così dire, inattuale. Ed è questa, paradossalmente, la ragione della sua grandezza e della sua preziosità per il nostro tempo. Appassionato difensore dell’uomo e allergico a ogni filantropia; apostolo infaticabile della pace e avversario del pacifismo; propugnatore dell’unità tra i cristiani e critico di ogni irenismo; innamorato della natura e lontanissimo dalle odierne infatuazioni ecologiche; in una parola, amico della verità e nemico dell’ideologia. Proprio di guide come lui abbiamo oggi un estremo bisogno.

Fonte: Tempi, 10.8.2015

"Iam Sanctae Clarae claritas": prima antifona dei vespri della vigilia della festa di Santa Chiara

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Ant. Iam sancte Clarae claritas splendore mundi cardines mirifice complevit: cuius perfecta sanctitas in devotas propagines velocius excrevit.
Ps. Dixit Dominus Domino meo: * sede a dextris meis.
Donec ponam inimicos tuos, *scabellum pedum tuorum...

Ant. Traduzione: Subito la chiarezza di santa Chiara riempì di splendore straordinario, i punti cardinali del mondo: la sua perfetta santità, crebbe rapidamente, nelle figlie consacrate.
Sal. Il Signore ha detto al mio Signore, siedi alla mia destra
finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi...

Fonte: Cantuale antonianum, 10.8.2015


Clara est, et quæ numquam marcescit sapientia

Su una prossima conferenza in attacco all'insegnamento morale della Chiesa sulla famiglia e sul matrimonio. In vista del Sinodo

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Nella festa di Santa Chiara d’Assisi e nella memoria del beato Innocenzo XI Odescalchi, il papa della battaglia di Vienna del 1683 contro l’esercito turco, rilancio quest’articolo – in inglese – che tratta dei nuovi “turchi”, cioè degli avversari della concezione cattolica del matrimonio e della famiglia all’interno della Chiesa, e della strategia messa in campo da questi contro la dottrina cattolica in vista del prossimo sinodo autunnale (v. anche qui).

Anonimo, S. Chiara con l'Ostensorio scaccia i Saraceni, XVIII sec., Chiesa di S. Chiara, Noto

Ambito campano, S. Chiara, XVII sec., museo diocesano, Vallo della Lucania

Juan Ruiz Soriano, La professione religiosa di S. Chiara, 1734, Ayuntamiento de Sevilla, Siviglia

Juan de Valdés Leal, La processione di S. Chiara, 1652-1653 circa, Ayuntamiento de Sevilla, Sala Capitular Alta, Siviglia

Beato Innocenzo XI

Giovanni Gasparo, Beato Innocenzo XI, 2014

Close papal advisor heads conference attacking Church’s moral teaching

by Maike Hickson

Cardinal Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, a close collaborator of Pope Francis, attends the opening Mass of the Extraordinary Synod on the Family at St. Peter's Basilica on October 5, 2014.

August 10, 2015 (LifeSiteNews) -- On August 5, German Catholic author Mathias von Gersdorff posted some important information about an upcoming event in Rome on his own website: “In the meantime, the liberal camp prepares another conference in Rome, to be held on 10-12 September 2015, and which is to deal with the themes of the Family Synod of this Fall.” And he continues:
However, this time, it is not organized by the Germans, the Swiss, and the French. They had already convoked and hosted a similar conference at the end of May 2015, which had caused noticeable irritations. One even considered it to be a “Shadow Synod” and a “Secret Gathering” with the intent to plan the liberal agenda of the Synod in the Fall of 2015 in Rome. Indeed, there spoke [at that May Conference] some of the sharpest opponents of the Catholic teaching on marriage and the family.
After comparing the upcoming conference with the well-known 25 May “Shadow Council,” von Gersdorff gives us some more information:
The most important Man of the Church at the September 2015 conference will be Cardinal Óscar Rodríguez Maradiaga from Tegucigalpa, Honduras. In spite of [sic] his Latin-American origin, Cardinal Maradiaga represents a strongly liberal position. Numerous speakers defend the abstruse positions of Cardinal Walter Kasper, such as, for example, the German theologian Eberhard Schockenhoff. The conference is being organized by the “International Academy for Marital Spirituality,” a clearly liberal institution. The intention of these new [strategic and tactical] initiatives and statements is arguably to remove the Germans [their liberalizing bishops and laymen alike] out of the line of fire. With their earlier attacks against the Catholic teaching and their partially arrogant advances, the Germans had provoked international resistance and maneuvered themselves into isolation.
The following information is taken from the leaflet of the INTAMS organization itself which now organizes the September 2015 event. After quoting Pope Francis' words that the Church has to grow in the understanding of the Faith of the Apostles and in an understanding of the contemporary situation, the leaflet comments:
This can’t be done, however, without listening to the voices of all the faithful, especially those in families and committed relationships [sic] who day by day live their faith and hope in an authentic way. Attention must also be paid to the “contemplation and study made by believers, who treasure these things in their hearts” – a phrase which the Second Vatican Council uses to describe the work of academic theologians (Dei Verbum, 8). […] This international Symposium, which is open to everyone interested, will provide renewed reflection as well as fresh perspectives on a number of issues that need to be addressed, such as the relation between doctrine and pastoral practice, the sense of the faithful, an ethics of mercy, and indissolubility in the context of a contemporary theology of marriage.
When one considers the list of proposed speakers, three names are prominent: Cardinal Maradiaga, close advisor of the pope himself, as well as two German theologians who are known for their progressive attitudes toward the moral teaching of the Church. The one, Professor Eberhard Schockenhoff, had been a prominent participant at the above-mentioned “Shadow Council” where he already spoke about the “life realities” which the Church purportedly has to take into account. He now will speak at the conference on “Indissolubility and Theology of Marriage.” Professor Jochen Sautermeister, the second German theologian, will speak later at the September 2015 conference on “An Ethics of Mercy.”
Let us first turn to Professor Schockenhoff. After the first Synod of Bishops on Marriage and the Family, he made a statement in defense of an ostensible liberal attitude toward “remarried” divorcees and even toward homosexual couples. He said on May 29, 2015 in an interview with the German Catholic radio, Domradio.de:
As a theologian, I do not expect that everything will be expressed in a fundamentally different and new way [at the October 2015 Synod on the Family]. For me, a positive [sic] outcome of the Synod would be of course desirable, because it would show that the Catholic Church is able to reform itself, and that the following principle is also important for it: namely, that the search for more adequate forms of expression of its Faith will continue. But, for me as a theologian, the substantial reasons for positions which I represent are the ones that count. For example, concerning the question as to how to deal with remarried divorcees; the reasons for a respectful, accepting treatment also of those people who live in same-sex living [sic] partnerships. If this would now lead to an official recognition by the Synod, then that is good. But, if that fails, then the reasons are not thereby devalued. They, of course, are still valid. And that is the reason why I look forward to it [the Synod] with a certain detachment.
The second German theologian, Jochen Sautermeister of Munich, published an article in 2014 in the Catholic journal, Herder Korrespondenz, in which he shows himself to be a “Kasperite.” The title of his article is “To Assess Correctly the Life Realities: Challenges For the Pastoral Care For Marriages and the Family According to the Gospels,” and it was published in the special edition 2/2014 of that journal. In it, Sautermeister not only repeatedly quotes Cardinal Walter Kasper's speech to the College of Cardinals of February 2014, but he also makes it clear that he is in favor of a more “understanding” attitude toward those Catholics who live in the state of sin. He even goes so far as to claim that the Church representatives have to learn to question themselves and to doubt their own views and interpretations:
This capacity of questioning oneself respectively the capacity to question one's own point of view and one's own interpretation is an important precondition in order to get closer to the realities and in order to be more just toward people and to enter into a true encounter with them – at least under the condition that closed-in interpretations of the world, of life and of actions are not any more possible [anything goes?]. To put it simply: The competence to perceive means to be able to recognize and control one's own structures of prejudices in encountering other people.
In the context of the Church moral teaching on marriage and the family, these comments can only lead to a liberalizing, laxer attitude toward sin; namely, to question one's own standards (which flow from Christ's words), rather than rebuking the sinner for his own sinful conduct, in order to help him free himself from his sin.
The whole tone of Professor Sautermeister's article reminds one of the “Shadow Council” with its sustained dwelling on subjectivity and private conscientious decisions. The Church thereby is asked to omit her own moral witness and her own role as a moral agent in this world. For example, Sautermeister stresses the independence of the conscience of “modern man” from the Church's teaching, when he says that these themes of the Synod are controversial, indeed,
because they touch upon existential life-realizations of people who consider themselves to be mature subjects of their actions and who do not want to see their own lives to be subjected to a moral-religious interpreting authority from the outside [sic], but who, rather, consider themselves as Christians, even in their own conscientious competence.
Sautermeister hopes that “God's love and the Gospels are not easily subjected to one's own knowledge available and disposable at our discretion, but, rather, that one believes and hopes that God's love can be effective through every kind of human weakness and guilt, through every kind of death.”
After these quotes, one may easily see that this upcoming conference, promoted by Cardinal Maradiaga, will be another “Kasperite” event, or worse, and will follow up on the meretricious themes of the “Shadow Council.” Important in this context, also, is the fact that the organization which stands behind this new conference, the International Academy for Marital Spirituality (INTAMS), had earlier hosted a Day of Study at which another progressive German theologian, Father Martin Lintner, OSM, was a speaker. As INTAMS says on its own website:
13 October 2014, Lay Centre, Rome:A Dialogue with John L. Allen Jr, Associate Editor, The Boston Globe and CruxINTAMS brought together a panel of four theologians to dialogue with John L. Allen on "Marriage and the Family Today: Pastoral Challenges and Hopes in Light of the Extraordinary Synod on the Family". The panel was composed of Philippe Bordeyne, rector at the Institut Catholique de Paris, Martin M. Lintner, OSM, moral theologian at the Philosophisch-Theologische Hochschule in Brixen, Thomas Knieps and Aldegonde Brenninkmeijer-Werhahn. They offered some thought-provoking theological reflections on the theme of marriage and the family today.
Edward Pentin reported in July 2015 how that very same man, Martin Lintner, has caused a scandal worldwide after some of his progressive claims about marriage and the family had been reported by the German branch of Vatican Radio, together with a picture showing two lesbians kissing.
Radio Vatikan reported that Lintner hoped for a more liberal attitude of the Church toward homosexual couples:
Nevertheless: Not only the discussions during the Extraordinary Synod of Bishops last fall 2014 – but also the recent working paper for the upcoming Synod on the Family in October 2015 – both show, according to Lintner, a “change of mind” in dealing with homosexual persons: “The Church becomes more sensible toward the experiences of suffering by the concerned persons and by families in which homosexual persons are living.” This development seems to the moral theologian from the South Tirol — and a member of the Servite Order — “significant, even if the Church stresses that a homosexual partnership has to remain different from a marriage.”
What else do the faithful Catholics need to know about the state of our beloved Church when high-ranking prelates – even with special access to the pope – are allowed to promote a set of teachings that are in direct opposition to the teaching of Our Lord Jesus Christ Himself? May this conference soon be called off. May the Magisterium of the Catholic Church close this chapter quickly and firmly restate the traditional moral teaching of the Church, which has been a blessing for so many happy and fruitful families over the centuries.

"Salve sponsa Dei, virgo sacra, planta minorum": Antifona al Magnificat dei Secondi Vespri della festa di Santa Chiara

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Salve sponsa Dei, virgo sacra, planta minorum, 
tu vas munditiae, tu previa forma sororum,
Clara, tuis precibus, duc nos ad regna polorum.

Salve, sposa di Dio, vergine santa, pianta dei Minori:

tu ricettacolo di purezza, tu modello che hai preceduto le altre sorelle:
Chiara, con le tue preghiere guidaci al regno dei cieli.

Fonte: Cantuale antonianum, 10.8.2014




Claude Mellan, S. Chiara dinanzi al SS. Sacramento, XVII sec., Bibliothèque municipale de Lyon, Lione

Intervento radiofonico di don Nicola Bux, Chiesa e Liturgia - La Musica sacra e la liturgia, 11.8.2015

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(Cliccare sull'immagine per la registrazione radiofonica)

In onore del Beato Marco d'Aviano, confessore

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(Appelli del Beato Marco tratti dal film "11 settembre 1683" diretto da Renzo Martinelli: un richiamo ancor oggi attuali)



L’"Instrumentum laboris" 2015: un attacco alla "Veritatis splendor"

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Nella Vigilia dell’Assunzione della Beata Vergine Maria e nella memoria di S. Massimiliano Maria Kolbe e dei SS. Ottocento Martiri di Otranto, rilancio quest’articolo del puntuale ed attento prof. De Mattei vertente sui temi del prossimo sinodo di ottobre di cui abbiamo denunciato, nei giorni scorsi, alcune ulteriori manovre (v. qui) .... .




Komeseis o Dormitio Virginis, XIV sec., chiesa di San Salvatore in Chora, ora museo Kariye, Istanbul


Dormizione della Vergine, 1291 circa, Basilica di S. Maria in Trastevere, Roma

Dormizione della Vergine, 1296 circa, Abside, Basilica di S. Maria Maggiore, Roma







Vergine dormiente, Cripta, Chiesa della Dormizione in Sion o della Santa Sion, Gerusalemme

Angelo Cesselon, S. Massimiliano M. Kolbe e l'Immacolata, 1984, museo diocesano, Cassano alla Jonio 

Angelo Cesselon, S. Massimiliano M. Kolbe, XX sec.

Angelo Cesselon, S. Massimiliano M. Kolbe, XX sec.


Uno degli armadi con le reliquie degli 800 martiri idruntini, Cappella dei Martiri, Cattedrale, Otranto

L’Instrumentum laboris 2015: un attacco alla Veritatis splendor

di Roberto de Mattei

L’Instrumentum Laboris del 21 giugno 2015 offre tutti gli elementi per comprendere qual’è la partita in gioco nel prossimo Sinodo. La prima considerazione è di metodo. Il paragrafo 52 della Relatio Synodi del 2014 non ha ricevuto (come i paragrafi 53 e 55) la maggioranza qualificata dei due terzi, necessaria a norma di regolamento per la approvazione, ma è stato ugualmente inserito nel documento definitivo. Si è trattato di un’evidente forzatura, che conferma il progetto di aprire le porte ai divorziati risposati, nonostante l’opposizione di una parte consistente dei Padri sinodali.e soprattutto malgrado l’insegnamento contrario della Chiesa. Siamo molto vicino ad una sottile linea rossa che però nessuno, neanche il Papa, può varcare.
Nell’udienza generale del 5 agosto, Papa Francesco ha detto che “i divorziati risposati non sono affatto scomunicati e non vanno assolutamente trattati come tali: essi fanno sempre parte della Chiesa“. Non ci risulta però che nessuno tratti i divorziati risposati da scomunicati. Non bisogna confondere la privazione del sacramento dell’eucarestia a cui essi sono soggetti, con la scomunica, che è la più grave delle pene ecclesiastiche ed esclude dalla comunione della Chiesa . I divorziati risposati  continuano ad essere membri della Chiesa e sono tenuti ad osservarne i precetti, ad assistere al Sacrificio della Messa e a perseverare nella preghiera (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1651). L’indissolubilità del matrimonio resta però una legge divina proclamata da Gesù Cristo e solennemente confermata dalla Chiesa nel corso di tutta la sua storia. La Chiesa esige per l’accesso all’Eucarestia lo stato di grazia, ottenuto normalmente attraverso il sacramento della penitenza. I coniugi divorziati e risposati si trovano oggettivamente “in stato di peccato grave manifesto” (Codice di Diritto canonico, n. 915), ovvero “in oggettivo stato di peccato mortale, stato che, se di pubblica notorietà, è aggravato dallo scandalo (Opzione preferenziale per la famiglia. Cento domande e cento risposte intorno al Sinodo, Edizioni Supplica Filiale, Roma 2015, n. 63). Se i divorziati risposati non hanno l’intenzione di rimuovere questa situazione di offesa a Dio, pubblics e permanente, non possono neanche accedere al Sacramento della penitenza, che esige il proposito di non ricadere nel peccato. La figura del divorziato risposato, come ha giustamente notato il cardinale De Paolis, “contraddice l’immagine e la figura del matrimonio e della famiglia, secondo l’immagine che la Chiesa ne offre”.
Come quadrare il cerchio? Per un’analisi globale dell ‘Instrumentum laboris rimando all’eccellente analisi di Matthew McCusker, sul sito di “Voice of the Family”. Mi limito da parte mia a qualche considerazione sull’approccio del documento al tema delle convivenze extra-matrimoniali.
Il nuovo Catechismo della Chiesa cattolica al n. 2390 dice che l’espressione “libere unioni” (o convivenze) “abbraccia situazioni diverse: concubinato, rifiuto del matrimonio come tale, incapacità di legarsi con impegni a lungo termine. Tutte queste situazioni costituiscono un’offesa alla dignità del matrimonio; distruggono l’idea stessa della famiglia; indeboliscono il senso della fedeltà. Sono contrarie alla legge morale: l’atto sessuale deve avere posto esclusivamente nel matrimonio; al di fuori di esso costituisce sempre un peccato grave ed esclude dalla comunione sacramentale“.
L’Instrumentum laboris suggerisce invece l’idea che le convivenze extra-matrimoniali non siano intrinsecamente, ma solo “parzialmente” illecite.
Nel caso in cui la maturazione della decisione di giungere al matrimonio sacramentale da parte di conviventi o sposati civilmente sia ancora ad uno stato virtuale, incipiente, o di graduale approssimazione, si chiede che la Chiesa non si sottragga al compito di incoraggiare e sostenere questo sviluppo. Nello stesso tempo, farà cosa buona se mostrerà apprezzamento e amicizia nei confronti dell’impegno già preso, del quale riconoscerà gli elementi di coerenza con il disegno creaturale di Dio.” (n. 57).
Si tratta, in una parola, di cogliere il bene che è presente nel male, o meglio di non considerare come “assoluto” alcun male. C’è qui un’implicita confusione tra il livello ontologico e quello morale. Se sul piano ontologico solo il bene è assoluto, mentre il male è sempre privazione di bene, sul piano morale, bene e male hanno una dimensione di assolutezza che non può essere ignorata. Ma il documento è ancora più chiaro nei paragrafi successivi. Le convivenze, afferma, non sono “cattive” o intrinsecamente illecite, ma “meno buone” del matrimonio, di cui ad esse manca solo la “pienezza” (nn. 62-65). Infatti, “il sacramento del matrimonio, come unione fedele e indissolubile tra un uomo e una donna chiamati ad accogliersi reciprocamente e ad accogliere la vita, è una grande grazia per la famiglia umana”, ma la Chiesadeve essere anche capace di accompagnare quanti vivono il matrimonio civile o la convivenza nella graduale scoperta dei germi del Verbo che vi si trovano nascosti, per valorizzarli, fino alla pienezza dell’unione sacramentale” (n. 99). “La scelta del matrimonio civile o, in diversi casi, della convivenza molto spesso non è motivata da pregiudizi o resistenze nei confronti dell’unione sacramentale, ma da situazioni culturali o contingenti. In molte circostanze, la decisione di vivere insieme è segno di una relazione che vuole strutturarsi e aprirsi ad una prospettiva di pienezza (n. 102).
Che le convivenze extramatrimoniali non sono ritenute illecite, lo dimostra il fatto che, per l’Instrumentum laboris, esse non vanno in alcun modo condannate. “L’atteggiamento dei fedeli nei confronti delle persone non ancora giunte alla comprensione dell’importanza del sacramento nuziale si esprima soprattutto attraverso un rapporto di amicizia personale, accogliendo l’altro così come è, senza giudicarlo, rispondendo ai suoi bisogni fondamentali e allo stesso tempo testimoniando l’amore e la misericordia di Dio” (n. 61).
Il messaggio cristiano deve essere annunciato prediligendo un linguaggio che susciti la speranza. È necessario adottare una comunicazione chiara ed invitante, aperta, che non moralizzi, giudichi e controlli, e renda testimonianza dell’insegnamento morale della Chiesa, restando contemporaneamente sensibile alle condizioni delle singole persone”(n. 78); “una comunicazione aperta al dialogo e scevra da pregiudizi è necessaria particolarmente nei confronti di quei cattolici che in materia di matrimonio e famiglia non vivono, o non sono in condizione di vivere, in pieno accordo con l’insegnamento della Chiesa(n. 81).
Ciò che è assente dal testo, prima ancora della condanna, è ogni  forma di giudizio o valutazione morale. Eppure sappiamo che non esistono atti umani neutri o ingiudicabili. Ogni azione può e deve essere valutata secondo il metro della verità e della giustizia, come ci insegna a fare san Paolo (Rm, 1-26-32: 1 Cor. 6, 9-10; 1 Tim, 1,9).
L’approccio sociologico e avalutativo dell’Instrumentum laboris è confermato dall’uso del termine irreversibilità”, che nella versione italiana ricorre due volte, con riferimento alla situazione dei divorziati risposati. In realtà, il fallimento di un legame matrimoniale può essere irreversibile, ma uno stato abituale di peccato, quale è la convivenza more uxorio non è mai irreversibile. Eppure, nel documento,  leggiamo: “È bene che questi cammini di integrazione pastorale dei divorziati risposati civilmente siano preceduti da un opportuno discernimento da parte dei pastori circa l’irreversibilità della situazione e la vita di fede della coppia in nuova unione, (…) secondo una legge di gradualità (cf. FC, 34), rispettosa della maturazione delle coscienze” (n. 121). “Per affrontare la tematica suddetta, c’è un comune accordo sulla ipotesi di un itinerario di riconciliazione o via penitenziale, sotto l’autorità del Vescovo, per i fedeli divorziati risposati civilmente, che si trovano in situazione di convivenza irreversibile (n. 123).
Se la situazione dei divorziati risposati è in alcuni casi irreversibile, vuol dire che è irreversibile la situazione morale in cui essi si trovano di peccato mortale, pubblico e permanente. A meno di considerare non peccaminosa, ma virtuosa, tale situazione. E’ questa la linea che l’Instrumentum Laboris sembra suggerire. Il matrimonio indissolubile viene additato come l’ideale cristiano, elevato, ma difficilmente raggiungibile, Nella vita concreta le unioni civili possono rappresentare fasi imperfette ma positive di una vita in comune, che non può prescindere dall’esercizio della sessualità. L’unione sessuale non è considerata intrinsecamente illecita, ma atto di amore valutabile secondo le circostanze. Una relazione sessuale perde il suo carattere morale negativo, se i partner la intrattengono in modo convinto, stabile e duraturo.. 
L’Instrumentum laboris non nega tanto l’Esortazione Familiaris consortio di Giovanni Paolo II (22 novembre 1981), quanto l’enciclica Veritatis Splendor  dello stesso pontefice (6 agosto 1993), con cui sembra voler chiudere i conti.  Fin dagli anni Sessanta del Novecento si sono diffuse all’interno della Chiesa le nuove teorie morali di autori come iil gesuita Josepf Fuchs, gesuita, e il redentorista Bernhard Häring, che, in nome del primato della persona sulla natura umana, negavano la assolutezza delle norme morali, considerandole solo come esigenza di autorealizzazione (cfr. ad esempio, del padre Fuchs, The Absolutness of Moral Terms, in “Gregorianum”, 52 (1971) pp. 415-457). Da questo personalismo, che influenzò la costituzione pastorale Gaudium et Spes del Vaticano II (7 dicembre 1965), discendono gli errori del “proporzionalismo”, del “teleologismo” e del “consequenzialismo” esplicitamente condannati dall’enciclica Veritatis Splendor (nn.74 e 75). Contro queste teorie hanno scritto, in maniera più che convincente, Ramon Garcia de Haro  (La vita cristiana, Ares, Milano 1995) e, più recentemente, Livio Melina, José Noriega e Juan José Perez Soba (Camminare nella luce, i fondamenti della morale cristiana, Cantagalli, Siena 2008), riaffermando la dottrina degli assoluti morali, per la quale esistono atti illeciti che non possono essere giustificati da alcuna intenzione o circostanza. L’unione sessuale al di fuori del matrimonio legittimo è uno di questi. “Gii atti che, nella tradizione morale della Chiesa, sono stati denominati «intrinsecamente cattivi» (intrinsece malum) – stabilisce la Veritatis Splendor   lo sono sempre e per sé, ossia per il loro stesso oggetto, indipendentemente dalle ulteriori intenzioni di chi agisce e dalle circostanze” (n. 89).
Nel suo discorso alla Curia Romana del 20 dicembre 2010, Benedetto XVI ha ribadito che un’azione in sé cattiva non potrà mai essere ammessa.  Denunciando il crimine della pedofilia, il Papa ne rintracciava il fondamento ideologico in una“perversione di fondo del concetto di ethos. Si asseriva – persino nell’ambito della teologia cattolica – che non esisterebbero né il male in sé, né il bene in sé. Esisterebbe soltanto un “meglio di” e un “peggio di”. Niente sarebbe in se stesso bene o male. Tutto dipenderebbe dalle circostanze e dal fine inteso. A seconda degli scopi e delle circostanze, tutto potrebbe essere bene o anche male. La morale viene sostituita da un calcolo delle conseguenze e con ciò cessa di esistere. Gli effetti di tali teorie sono oggi evidenti. Contro di esse Papa Giovanni Paolo II, nella sua Enciclica Veritatis splendor del 1993, indicò con forza profetica nella grande tradizione razionale dell’ethos cristiano le basi essenziali e permanenti dell’agire morale.”
Da queste parole escono polverizzate le teorie del male minore e dell’etica della situazione. La discussione è tutta lì. Da una parte i cattolici che, in conformità al Magistero della Chiesa,   credono nel carattere oggettivo e assoluto della morale; dall’altra i novatori che reinterpretano l’etica in chiave soggettiva e relativista, piegandola ai loro desideri o interessi. E’ più di cinquant’anni che se ne discute, ma ora i nodi vengono al pettine.

Scoperte archeologiche e tradizioni sulla Dormizione e Assunzione di Maria

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Rilancio volentieri questo studio del francescano e biblista P. Frédéric Manns.

Cripta della chiesa della Dormizione, Gerusalemme

Lunette mosaicate della cappelletta della Vergine dormiente, Cripta, chiesa della Dormizione, Gerusalemme


Cristo Pantocrator, cappelletta della Vergine dormiente, Cripta, chiesa della Dormizione, Gerusalemme

Eva, cappelletta della Vergine dormiente, Cripta, chiesa della Dormizione, Gerusalemme

Miriam, sorella di Mosé, cappelletta della Vergine dormiente, Cripta, chiesa della Dormizione, Gerusalemme

Giaele, cappelletta della Vergine dormiente, Cripta, chiesa della Dormizione, Gerusalemme

Giuditta, cappelletta della Vergine dormiente, Cripta, chiesa della Dormizione, Gerusalemme

Rut, cappelletta della Vergine dormiente, Cripta, chiesa della Dormizione, Gerusalemme

Ester, cappelletta della Vergine dormiente, Cripta, chiesa della Dormizione, Gerusalemme

Scoperte archeologiche e tradizioni sulla Dormizione e Assunzione di Maria

di Frédéric Manns, OFM, 

in AA. VV., L’Assunzione di Maria Madre di Dio. Significato storico-salvifico a 50 anni dalla definizione dogmatica, PAMI, Città del Vaticano 2001, pp. 169-182.


Le scienze storiche progrediscono grazie all’archeologia e allo studio delle fonti letterarie. Problemi che erano stati confinati negli archivi possono essere ripresi quando scoperte archeologiche portano alla luce elementi nuovi o quando lo studio delle fonti produce risultati originali. Questo principio generale vale per la storia della fede nell’Assunzione di Maria.
I recenti scavi archeologici della chiesa detta del Kathisma1 invitano i cercatori a riprendere in mano il dossier della storia della Dormizione di Maria. Sulla strada da Gerusalemme a Betlemme, a 350 metri a nord del convento greco di Mar Elias, gli archeologi ebrei hanno scoperto nel 1992 i resti del santuario dedicato alla Madonna, chiamato il Kathisma, il riposo di Maria. Nel 1997 e nel 1999 gli scavi hanno permesso di scoprire tutta la zona archeologica intorno alla chiesa. La tomba di Rachele2 che mori partorendo non è lontana. Negli scavi fu scoperta una chiesa ottagonale con pavimenti musivi. Ci sono tre ottagoni concentrici con cappelle laterali. Nel centro della chiesa un pezzo di roccia è rimasto visibile. Probabilmente veniva presentato ai pellegrini come la roccia dove la Vergine si sedette per riposare prima di entrare a Betlemme. È difficile non fare il confronto con la moschea detta di Omar, che ha nel suo centro la roccia del Moriah secondo la tradizione ebraica. Altri paralleli sono quello della chiesa della Vergine sul Monte Garizim scavata da Magen3 e quello della Chiesa di Cafarnao4. Anch’esse hanno la forma ottagonale. Basta ricordare che per i Padri della Chiesa l’ottavo giorno era il simbolo del giorno escatologico e del riposo definitivo5.
Tra i mosaici scoperti nella chiesa del Kathisma c’è ne uno che merita attenzione. Rappresenta una palma che porta frutti giganti6. Perché questa palma? Forse ricorda l’episodio narrato nel Vangelo delloPseudo-Matteo7. Durante la l’uva in Egitto, mentre la sacra famiglia soffriva dalla fame, Gesù diede ordine alla palma di piegarsi per dare da mangiare a Maria. È possibile che questa palma ricordi anche la palma che l’angelo portò a Maria tre giorni prima di lasciare il corpo, come ricorda l’apocrifo della Dormizione. Altre interpretazioni della palma sono possibili. In Giordania, nella chiesa della Vergine a Madaba8, una palma viene rappresentata sul pavimento musivo. Come sul mosaico del Kathisma sembra che l’elemento principale siano i frutti della palma. Che la palma possa rappresentare una persona, in questo caso la Vergine, si può dedurre dal Salmo 91 (92) 13 che paragona il giusto a una palma e da un apocrifo ebraico scoperto a Qumran, il Genesi Apocrifo 19,14. Nell’apocrifo Abramo prima di scendere in Egitto con sua moglie Sara ebbe un sogno. Vide due alberi: un cedro e una palma. Vide poi della gente che voleva tagliare il cedro per lasciare solo la palma. La palma si mise a gridare: Lasciate il cedro. E il cedro fu salvato per l’intervento della palma. Il cedro è il simbolo di Abramo e la palma è il simbolo di Sara che gli Egiziani volevano prendere. Il parallelismo Sara-Maria è antico. Risale al Vangelo di Luca. Nel racconto dell’annunciazione l’autore riporta la frase: “Nulla è impossibile a Dio”, che ricorda il libro di Genesi (18,14).

Le fonti letterarie

Nel Protovangelo di Giacomo un apocrifo di origine giudeo-cristiana9, si legge al capitolo 17: «Giuseppe sellò il suo asino e vi fece sedere Maria. Suo figlio tirava le briglie e Samuele seguiva. Alla distanza di tre miglia, Giuseppe si voltò e la vide triste. Disse tra sé: “Probabilmente ciò che è in lei la fa soffrire”. Si voltò di nuovo e la vide sorridente. Allora le disse: “Maria che succede? Ti vedo triste poi sorridente». Maria rispose a Giuseppe: “Con i miei occhi vedo due popoli, l’uno piange mentre l’altro si rallegra”. Arrivati a metà strada Maria disse a Giuseppe: “Giuseppe fammi scendere dall’asino: quello che è in me mi preme per venire alla luce”. La fece scendere e disse: “Dove ti devo condurre per mettere al riparo il tuo pudore? Il posto è deserto”. Qui c è una grotta. La fece entrare».
Maria annuncia in modo profetico l’accoglienza del Vangelo da parte dei pagani e il rifiuto da parte degli Ebrei come aveva predetto l’Evangelo di Luca 2,34. Maria viene presentata come nuova Rebecca. In Gen 25,22 la madre d’Israele riconosceva di avere nel seno due nazioni, una sarebbe stata più forte dell’altra, mentre la nazione più grande avrebbe servito quella più piccola. Due indicazioni topografiche sono importanti nell’Apocrifo: si parla di tre miglia e “a mezza strada”. Queste due indicazioni sono sinonimi per indicare la distanza tra Gerusalemme e Betlemme10.
Nel sesto secolo il pellegrino Teodosio11 ricorda questa tradizione:
«Est locus tcrtio miliario de Hierusalem civitate. Dum Maria Mater Domini iret in Bethlehem, descendit de asina et sedit super petram et benedixit eam».
Esisteva nel III secolo una tradizione sulla nascita di Cristo in una grotta al terzo miglio da Gerusalemme, probabilmente in mano ai giudeo-cristiani, perché ne parla solo una fonte giudeo-cristiana. La tradizione bizantina non ha considerato le indicazioni del Protovangelo per localizzare la grotta della Natività. Ma ha collocato in quel posto una festa mariana conosciuta nei calendari liturgici più antichi: il lezionario armeno12 (V secolo) e il lezionario georgiano13 (VIII secolo). Nel lezionario armeno la festa di Maria la Theotokos14 viene menzionata il 15 agosto al “secondo o terzo miglio di Betlemme”. Le letture liturgiche erano Is 7,10-16: la Vergine che partorisce; Ga 3,29-4,7: non siete schiavi, ma figli; Luca 2,1-7, il testo sul censimento di Augusto e il parto di Maria. Il salmo di meditazione era il salmo 131: alzati verso il luogo del tuo riposo e il salmo 109: siedi alla mia destra15. È chiaro che le allusioni dei testi al riposo ricordano il riposo di Maria. Non è escluso del tutto che il primo riposo di Maria evocasse anche il suo riposo definitivo16. Una semplice chiesa poi permetteva ai cristiani di fare memoria di Maria17. Sembra che la chiesa del Kathisma sia stata edificata dopo la redazione del lezionario armeno. Le prediche di Esichio18 e di Crisippo di Gerusalemme19 pronunciate per la festa parlano solo della maternità di Maria senza nessuna allusione al suo riposo.
Fino alla meta del V secolo a Gerusalemme veniva ricordata una sola festa mariana: la memoria di Maria al terzo miglio di Betlemme secondo il lezionario armeno che riproduce il lezionario di Gerusalemme20”: “Il 15 agosto, di Maria, la Theotokos”, scrive il lezionario armeno. Non si trattava della festa della Dormizione, né della festa della dedicazione della chiesa. Si faceva memoria del riposo di Maria, la Theotokos. In quel periodo esisteva una piccola chiesa. Sappiamo che solo verso il 455 Hikelia, una pia cristiana fece costruire una chiesa. Il lezionario armeno, anteriore alla costruzione della chiesa del Kathisma, non fa nessuna allusione alla festa della Dormizione di Maria.
Il lezionario georgiano afferma che il 15 agosto l’assemblea liturgica si tiene al Getsemani, per far memoria dell’Assunzione di Maria. La festa del terzo miglio di Betlemme al Kathisma era anticipata al 13 agosto21. Il tre dicembre veniva celebrata la dedicazione della chiesa del Kathisma22:
«Mense decembri III. In via Bethlehem, a tribus milibus, in Cathismate, dedicatio».
Per il 15 agosto appare questa notizia:
«In Mauricii regis aedificatio, ill Gesamania, commemotatio sanctae Deiparae»23.
Secondo il lezionario georgiano, che riflette la prassi liturgica tra il 450 e il 750, i fedeli facevano la memoria di Maria in una chiesa del Getsemani restaurata da Maurizio. Questo imperatore regnò dal 582 fino al 602. Il breviarius de Hierosolyma 7 fa menzione della basilica di santa Maria e del suo sepolcro24. Nella Vita di S. Teodosio il cenobiarco 5, scritta da Teodoro di Petra25, si trova un accenno alla costruzione e al nome della chiesa del Kathisma: «Hikelia, sposa del governatore, era diventata diaconessa di Cristo. Fece edificare la Chiesa costruita in quel luogo - il vecchio Kathisma (to polaion Kathisma) - in onore dell’immacolata Madre di Dio e sempre vergine ai tempi del beato arcivescovo Giovenale»26.
Quindi la chiesa del Kathisma fu edificata tra il 422 e il 458. È possibile però precisare meglio la data grazie ad una informazione di Cirillo di Scythopolis. Cirillo di Scythopolis nella sua Vita di Teodosio27afferma che il giovane Teodosio arrivò a Gerusalemme durante il regno di Marciano (450-457) e aggiunge: «la beata Hikelia costruiva la chiesa del Kathisma della Madre di Dio. Lo accolse tra i monaci che dipendevano da Lei»28.
Giovenale vescovo di Gerusalemme negli anni 422-458, è famoso per le numerose chiese che fece edificare. La chiesa del Getsemani fu edificata nel V secolo e in essa fu fatta una memoria di Maria intorno alla sua tomba venerata da tempo. Questa chiesa era il bastione dell’opposizione al concilio di Calcedonia e anche al vescovo Giovenale dopo il 451 come si vede nel Panegirico di Macario di Tkowfatto dallo Pseudo Dioscoro di Alessandria30. Questa opposizione spiegherebbe la costruzione della chiesa del Kathisma di Hikelia. Il partito dei fedeli a Calcedonia celebrava in quel posto la memoria di Maria, mentre gli oppositori del concilio occupavano il Getsemani. Questa situazione durò fino alla costruzione di santa Maria la Novella: titolo dato alla chiesa in opposizione a Santa Maria l’antica al Getsemani. Nel VI secolo l’imperatore Maurizio che impose la festa dell’Assunzione, viene presentato come fondatore della chiesa del Getsemani quando i monofisiti ne furono espulsi.
Perché la Dormizione di Maria fu celebrata il 15 agosto? Probabilmente perché era la data di fondazione del Kathisma. Nel medio Evo alcuni hanno visto i pavimenti musivi della chiesa. Nicolò da Poggibonsi dice che da lì la stella apparve ai magi dopo la loro partenza da Gerusalemme per Betlemme31.

La tomba di Maria al Getsemani

Si conosce abbastanza bene la storia del santuario della Tomba di Maria. I primi cristiani veneravano il posto rispettandone i luoghi. Se si può credere agli apocrifi, il corpo di Maria sarebbe stato deposto in un complesso funebre di tre stanze. Più tardi la tomba fu trasformata in santuario probabilmente dai gentilo-cristiani. Si costruì una chiesa a forma di croce, tagliando le tombe vicine, nascondendo le altre che non presentavano interesse. In questo luogo vi fu il centro degli oppositori al concilio di Calcedonia. Un secolo dopo, sotto l’imperatore Maurizio (582-602), dopo l’espulsione degli oppositori, fu costruita una chiesa superiore di forma rotonda ad imitazione dell’Anastasi e della chiesa dell’Ascensione. La chiesa superiore dell’imperatore Maurizio fu distrutta ed i crociati ne eressero un’altra simile, che fu distrutta da Saladino appena riuscì a riconquistare Gerusalemme. Rimase allora la chiesa primitiva con una grande scalinata aggiunta dai Crociati. Nella parete esterna a nord della camera sepolcrale, si vede il rivestimento crociato fatto per mettere i marmi. In basso sono due colonnine che abbellivano le quattro pareti e a sinistra un pezzo di roccia scoperta in seguito ai nuovi lavori. Il bassorilievo sopra la porta è di fattura crociata, ma non è inerente al mistero e nella decorazione crociata esso era coperto da marmi e da mosaici. L’inondazione del 1972 ha permesso di verificare che la tomba tradizionale di Maria era del primo secolo32. Una volta caduti gli intonaci è stato possibile vedere completamente la roccia. Essa si eleva da m. 1,60 a m. 1,80 e presenta due aperture. una a nord e l’altra ad ovest. Sono le porte attuali per le quali passano i devoti per entrare. La tomba di Maria ha tutte le caratteristiche di una tomba del primo secolo, benché i crociati abbiano abbellito il banco roccioso, che presenta quattro resti di decorazioni succedutesi le une alle altre tra il IV e il XII secolo. I frammenti in lingua siriaca pubblicati dal Wright33 parlano di un complesso funebre di tre stanze. Dopo l’inondazione del 1972 il Bagatti ha potuto costatare che di fatto c’erano tre stanze. Scoprì una stanza tagliata nella roccia a sinistra della tomba venerata. La terza stanza fu tagliata per isolare meglio la terza che è la tomba venerata.

Le fonti letterarie sulla Dormizione

Il Bollandista Van Esbroeck34 ha pubblicato uno studio approfondito sulle fonti letterarie della Dormizione. Ha classificato i manoscritti conosciuti in diverse famiglie di testi: alcuni manoscritti fanno menzione della palma che Maria riceve tre giorni prima di lasciare il corpo, altri invece dell’annuncio fatto a Gerusalemme parlano di Betlemme. Questi ultimi sono caratterizzati dalle incensazioni e hanno una nota liturgica molto chiara. I 67 manoscritti conosciuti si dividono in due grandi famiglie di testi: la prima localizza a Gerusalemme la partenza di Maria utilizzando il simbolo della palma, mentre la seconda preferisce Betlemme e ha un aspetto più liturgico. Questa seconda famiglia di testi potrebbe essere legata alle celebrazioni liturgiche che venivano fatte al Kathisma sulla strada di Betlemme. Van Esbroeck pubblicò nel 1973 gli apocrifi georgiani della Dormizione35 e nel 1974 un altro testo sulla Dormizione attribuito a san Basilio36. Padre Arras, un francescano belga, pubblicava nello stesso anno un’edizione critica dei manoscritti etiopici37 nel CSCO 343, in modo particolare il Liber Requiei. Arras ha notato che il Liber Requiei è vicino ai frammenti in lingua siriaca pubblicati dal Wright e ai frammenti in lingua georgiana. Un’altra caratteristica del Liber Requiei è l’aver integrato moltissime aggadot giudaiche che hanno avuto una esistenza indipendente. Si sapeva già che la Chiesa etiopica è molto vicina al giudaismo, sia per le tradizione letterarie sia per il modo di vivere. Recentemente il professore Mimouni38 ha dedicato la sua tesi di ricerca ai manoscritti della Dormizione di Maria. La tesi è pubblicata da Beauchesne nella collana “Théologie historique”. Introduce distinzioni curiose nell’antropologia giudaica antica. Mentre il Mimouni faceva le sue ricerche all’Ecole Biblique, io presentai la mia tesi alla commissione biblica sul testo greco della biblioteca vaticana chiamato Romanus o Vaticanus 198239, che era stato pubblicato dal Wenger40. Il merito di Wenger era quello di stabilire la priorità del Romanus in confronto con i testi liturgici. Molte volte nelle note del testo, pubblicato con alcune omissioni, il Wenger sottolineava il carattere oscuro di molte espressioni del documento. Il Padre Bagatti aveva già avuto l’intuizione che il Romanus poteva essere di origine giudeo-cristiana41. Questa idea servì di base alla mia ricerca.
La famiglia dei testi che sfruttano il simbolo della palma riprende uno schema identico: Maria riceve l’ordine da un angelo di recarsi al Monte degli Ulivi. L’angelo gli consegna una palma e gli annuncia la morte prossima. Tornata a casa Maria si prepara alla morte. Viene all’improvviso Giovanni l’apostolo. Maria lo rimprovera perché il Signore gli aveva affidato sua madre. Giovanni si difende citando l’ordine del Signore di partire in missione. Maria affida la palma a Giovanni. Arrivano poi, portati su nuvole, gli altri Apostoli che si meravigliano di trovarsi insieme. Ciascuno fa la narrazione del suo apostolato. Pietro invita tutti a pregare per conoscere il motivo del loro incontro. Sviluppa il tema della lucerna accesa ed esorta tutti a perseverare nella fede. La preghiera continua tutta la notte. All’alba viene Cristo accompagnato dagli angeli. Bacia sua madre e prende la sua anima che rimette nelle mani di Michele arcangelo. Gli apostoli ricevono l’ordine di portare il corpo di Maria in una nuova sepoltura nella valle del Cedron. Mentre si recano verso la valle del Cedron cantando il salmo: Israele uscì dall’Egitto. Il sommo sacerdote, incuriosito viene a sapere che gli Apostoli portano Maria nella sua ultima dimora. Vuol rovesciare il feretro sul quale giace la Vergine. I Giudei sono colpiti da cecità e Jephonia, il sommo sacerdote, confessa la sua colpa. Quelli che credono sono guariti. Segue un dialogo tra Pietro e Paolo, giacché anche Paolo è venuto presso Maria. Dopo tre giorni gli angeli scendono e portano in cielo il corpo della Vergine, che viene riunito all’anima. Il genere letterario dell’apocrifo è chiaramente quello del Testamento. Tale genere era molto sfruttato nel primo secolo. I Testamenti dei 12 Patriarchi sono esempi tipici di tale genere. Una caratteristica dell’apocrifo è il ricorso ai simboli. Il simbolo della palma apre l’apocrifo, poi il simbolo delle nuvole ricorda il dono delle nuvole di gloria date a Succot nel deserto, mentre il simbolo della lampada sfruttato da Pietro sottolinea il tema della luce. Infine il simbolo del profumo al momento della morte di Maria dà un tono particolare al testo. Tutti questi simboli possono essere associati alla festa giudaica delle capanne: la palma, le nuvole di gloria, il profumo che ricorda l’etrog, il frutto dell’albero bello e, infine, la luce che ricorda l’illuminazione del cortile della donne durante la festa di Succot. Per Za 14,16 sarà sul monte degli Ulivi che i sopravissuti delle nazioni, che hanno fatto la guerra a Gerusalemme, si raduneranno per celebrare la festa delle capanne. Alla fine gli Apostoli, quando portano il corpo di Maria nella valle del Cedron cantano l’hallel, il salmo che veniva cantato per le grande feste ebraiche. La mishna Suc 4,8 dice che l’hallel fa parte della festa delle capanne. Per di più nell’apocrifo la casa di Maria viene chiamata skênoma. La festa delle capanne durava sette giorni. Questo schema viene rispettato nell’apocrifo. Tre giorni prima della morte Maria riceve l’annuncio della morte. Gli apostoli rimangono tre giorni presso il corpo di Maria, presso la tomba e il Signore viene il quarto giorno. In totale sono sette giorni. Si sa che la festa delle capanne era presentata come festa della risurrezione. Filone di Alessandria afferma che la festa è speranza di immortalità. Rivela la luce cosmica e la migrazione dal mondo presente al mondo immateriale (Spec Leg 212). La letteratura rabbinica vede nel simbolo della tenda la prefigurazione del giorno escatologico (Suc 45b) e il simbolo della dimora dei giusti nell’aldilà (PRK Sup 2,3). Paolo in 2 Co 5,1 chiama tenda la nostra dimora terrestre, che sarà distrutta, mentre la dimora eterna sta nei cieli. I Padri della Chiesa hanno sviluppato il simbolismo della festa delle tende. Origene dice che la festa ricorda che la vita attuale è un luogo di passaggio (Om. Num 23,11). Nella sua Omelia su Esodo 9,4 dice che la palma è il simbolo della vittoria dello spirito sulla carne, il salice è simbolo di castità e l’albero con molte foglie è simbolo della vita eterna. Metodio di Olimpo sfrutta questo simbolismo. La festa delle capanne è la festa della risurrezione. Quello che serve per costruire la tenda sono le opere di giustizia (Banq 243). L’etrog è il frutto dell’albero della vita che cresceva nel Paradiso e si trova adesso nella Chiesa. La palma è il simbolo dell’ascesi che purifica l’anima. I rami con foglie sono simbolo della carità che porta frutti. Il salice è simbolo della castità (Banq 245-251).
La festa delle capanne esprime il riposo del settimo millennio. La vita è un passaggio verso la vita eterna. Chi pratica le virtù potrà celebrare la festa e risorgere durante il settimo millennio (Banq 254). Se la patristica prenicena fornisce paralleli all’interpretazione dei simboli presenti nel Transitus Mariae, questo significa che l’apocrifo della Dormizione può essere datato al secondo o terzo secolo. Se questo simbolismo è accettato, il senso dell’apocrifo sarebbe questo: Maria celebra la sua ultima festa delle capanne sul Monte degli Ulivi. Il simbolismo giudaico di tale festa illustrava bene il senso della sua morte e la sua fede nella risurrezione. In altre parole significa che la fede nell’Assunzione di Maria risale ai giudeo-cristiani di Gerusalemme. I giudeo cristiani erano ben preparati ad accettare l’assunzione di Maria, perché dal giudaismo avevano ereditato la fede che Myriam, la sorella di Mosè, non aveva conosciuto la corruzione della tomba. Maria non è altro che la nuova Myriam. Ha ricevuto gli stessi privilegi. Se lo sfondo dell’apocrifo è il mondo giudeo-cristiano, si capiscono bene la cristologia con Cristo angelo, l’ecclesiologia primitiva, la mariologia che vede in Maria la colomba e la madre dei dodici rami42. Il giudeo-cristianesimo che si esprime nell’apocrifo è di un tipo speciale: accetta Paolo tra i discepoli. Paolo non è il nemico come in altri testi giudeo-cristiani. Solo i Nazareni accettavano Paolo come discepolo di Cristo. Essi sono conosciuti dal Panarion di Epifanio.

In conclusione: è necessario oggi approfondire il discorso sugli apocrifi giudeo-cristiani. Essi appartengono alla letteratura aggadica del mondo giudaico del quale riprendono le categorie, i simboli e i modi di espressione. Per questo vanno letti come la aggadà giudaica. Quando la Chiesa si è inculturata nel mondo greco la aggadà giudeo-cristiana fu esclusa dal canone. Visto che questo cambiamento è avvenuto nel 135 si può dire che molte tradizioni dell’apocrifo sono anteriori al 135. La comunità giudeo-cristiana di Gerusalemme del secondo secolo, dunque, aveva già espresso con categorie giudaiche la fede nell’Assunzione di Maria, nuova Myriam. La giovane di Nazaret veniva presentata come il compimento di tutte le figure bibliche femminili. 

NOTE

Amnon Ramon, Around the Holy City. Between Jerusalem, Bethlehem and Jericho, Jerusalem 2000. 
2 Rachele significa “ancella”. Tale titolo viene dato a Maria da Melitone di Sardi verso il 160 nel suo trattato Peri Pascha. 
F. Manns-E. Alliata (a cura di), Christian Archaeology. Monuments and Documents, Jerusalem 1993, 131.
4 F. Manns-E. Alliata (a cura di), Christian Archaeology, 91.
J. Daniélou, Bible et Liturgie, Paris 1958, 355.
Nella liturgia siriana per la Dormizione di Maria viene sfruttato il simbolo dell’uva: “La grappe Marie a porté une grappe pleine de merveilles... La Visone Marie est sortie de cette vigne de David qui avait été plantée dans la terre des vivants et avait été bénie. La vigne Marie se tenait parmi les autres ceps de la vigne et l’unique grappe qu’elle portait était plein de merveilles”, cité par M. Deprez, L’adoration des mages de Ste Marie Majeure et le concile d’Ephèse, Vaucreson 2000, 41, Excursus 25.
Questa è l’ipotesi de Amnon Ramon, p. 18.
8 M. Piccirillo, Chiese e mosaici di Madaba, Jerusalem 1989, 43-46.
9 E Cothenet, `’Protévangile de Jacques”. SDB 8, Paris 1970, 1374-1384
10 E curioso costatare sull’arco elesino della Basilica di santa Maria Maggiore a Roma le due città di Gerusalemme e di Betlemme. Il massacro degli innocenti viene rappresentato a sinistra e Rachele - vestita di nero- siede accanto a Maria vestita in giallo sul terzo panello di sinistra.
11 Geyer (ed), De situ terrae sanctae, 28, CCL 175,124.
12 Le Codex arménien Jérusalem 121. I. Introdution aux origines de la liturgie hiérosolymitaine. II. Edition comparée du texte et de deux autres manuscrits, PO 35/1; 36/2, Turnhout 1969 et 1971. 
13 A. Garitte, Le calendrier palestino-géorgien du Sinaiticus 34, Bruxelles 1958.
14 Cirillo di Alessandria per l’apertura del concilio di Efeso associa tredici volte il tema della luce (stella) a quella della maternità divina.
15 B. Capelle, “Le fête de la Vierge à Jérusalem au cinquièrne siècle”, MUS 56 (1943) 1-33. A. Heisenber, “Zur Feier von Weihnachten und Himmelfahrt im alten Jerusalem”, BZ 24 (1923-24) 329-335. A. Jugie “La première fête mariale en Orient et en Occident”, Les Echos d’Orient 25 (1927) 129-152. B. Botte, “Le lectionnaire arménien et la fête de la Théotokos à Jérusalem au cinquièm siècle”, SEJG 8 (1949) 111-122.
16 M. Deprez, L’adoration des mages, 42: ‘Le `NatalÈ de la Vierge Marie - c`est-à-dire le jour où défunte elle est née à la vie étennelle - répondait ainsi directement au `Noel` uù elle donna le jour au Christ Jesus”. Quando il Papa Sergio I istituirà la festa del 15 agosto a Roma la chiamerà Natale.
17 Capelle, “La fête de la Vierge”, p. 21 parla di un Khan, luogo di riposo.
18 Dictionnaire de Spiritualité 7, 399-408. K. Jiissen, “Die mariologie des Hesychius von Jerusalem”, inTheologie in Geschichte ubd Gegenwart. M. Schmaus zum 60 Geburstag, München 1957, 651-670. M. Aubineau, Les Homélies festales d’Hésy-chius de Jérusalem, I., Bruxelles 1978, 170. L’omelia 5 fu pronunciata prima della costruzione della chiesa probabilmente dopo il concilio di Efeso.
19 Homélies mariales byzantines, PO 19, 336-343. R. Caro, La homiletica mariana griega, Maria Library Studies 3, Dayton 1971, 211-226.
20 B. Fischer, “‘Das älteste armenische Lectionar als Zeuge für den gottesdienstlichen Scrhiftgebrauch im Jerusalem des beginnenden 5. Jahrhunderts”, Concilium 11 (1975)93-96. 
21 Capelle, “La fête de la Vierge”, 32 spiega così il cambiamento del 15 agosto al 13 agosto: “Lorsque -vers 500?- on transféra au sanctuaire marial de Gethsémani la fête du 15 août, peut-être aura-t-on voulu garder au Kathisma, où elle s`était justement tenue, quelque chose de son ancien privilège, en y établissant à une date toute proche -13 aout - une synaxe qui perpétuerait le souvenir des solennités d’antan~?”
22 Capelle, “La fête de la Vierge”, 32.
23 Lectionaire géorgien, n. 1148, CSCO 204, 30.
24 ”Ibi est basilica sanctae Mariae et ibi est sepulcrum ejus”, CCL 175, 122.
25 A. Festugière, Les moines d’Orient, Paris 1963, 86-160.
26 A. Festugière, Les moines d’Orient 3/3, 57-58. E. Honigmann, “Juvenal of Jerusalem”, DOP 5 (1950) 209-279.
27 A. Festugière, Les moines d’Orient 3/3, 57.
28 A. Festugière, Les moines d’Orient 3/3, 57-58.
29 A L. Perrone, La Chiesa di Palestina e le controversie cristologiche, Brescia 1980.
30 D. W. Johnson, A Panegyric on Macarius Bishop of Tkow, CSCO 415-416, Louvain 1 980. 
31 Fra Nicolò da Poggibonsi, Libro d’Oltremare (1346-1350), Jerusalem 1945. Durante la Dedicazione della Basilica di santa Maria Maggiore, il Papa Sisto III fece memoria dei martiri che chiamò Testes uberi, testimoni del parto di Maria. Ai martiri sono connessi i magi.
32 B. Bagatti, M. Pieirillo, A Prodromo, New Discoveries at the Tomb of the Virgin Mary in Getsemane, Jerusalem 1975. 
33 W. Wright, Obsequiae. Contribution to the apocryphal Literature of the New Testament, collected and edited frome syriac manuscripts in the British Museum with an english translation and note, London 1865, 55-65.
34 M. Van Esbroeck, “Les textes littéraires sur l’Assomption avant le dixième siècle”, in Les Actes Apocriphes, Genève 1981, 266.
35 Analecta Bollandiana 93 (1973) 69-73.
36 Analecta Bollandiana 94 (1974) 128-163. 
37 De transitu Mariae. Apocrypha Aethiopice, CSCO 343, I. Louvain 1973; CSCO 352, II. Louvain 1974.
38 S. Mimouni, Dormition et assomption de Marie. Histoire des traditions anciennes, Paris 1995.
39 F. Manns, Le récit de la Dormition de Marie (Vat. Crec 1982)Contribution à l’étude des origines de l’exégèse chrétienne, Jerusalem 1989.
40 A. Wenger, L’Assomption de la T.S. Vierge dans la tradition byzantine du Vle au Xe siècle, Paris 1955.
41 B. Bagatti, “Le due redazioni del ‘Transitus Mariae”‘, Marianum 32 (1970) 179-287. Lo stesso autore ha studiato l’iconografia della Koimesis nel suo articolo: ‘Ricerche sull’iconografia della Koimesis o Domitio Mariae”, LA 25 (1975) 225-253.
42 A F. Manns. Le judéo-christianisme, mémoire ou prophétie? Paris 2000, 249.

Ottima e condivisibile iniziativa dei giornalisti Deotto e Gnocchi a favore della fede e contro il neopaganesimo di ritorno di alcuni ecclesiastici!!!!

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Apprendiamo, non senza sorpresa, che i giornalisti cattolici Paolo Deotto ed Alessandro Gnocchi hanno promosso una richiesta di chiarimento al Dicastero vaticano competente circa l'ordinazione episcopale - preceduta da rito pagano - di Mons. Contreras e la partecipazione del "cardinal" Ravasi ad un rito pagano sempre in America Latina (v. Abbiamo chiesto chiarimenti alla Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede).
Condividiamo e plaudiamo a questa felice iniziativa, che senz'altro riscuote il nostro consenso ed appoggio.
Troviamo, infatti, altamente opportuno che i cattolici prendano coscienza della loro fede e che il Dio cristiano è un Dio geloso, che non tollera che si adorino altre divinità, anche solo per motivazioni (o sedicenti tali) culturali o di inculturazione. Dio è geloso perché ama immensamente le proprie creature e chi ama - si sa - è vulnerabilissimo: è ferito anche solo da una parola o da un pensiero della persona che ama. Un filosofo, che pure non condividiamo, Maritain, tuttavia aveva visto giusto col dire che «Si può dire che Dio è il più vulnerabile degli esseri … basta un invisibile movimento del cuore di un agente libero [una creatura umana] per ferirlo e privare la sua volontà antecedente quaggiù di qualcosa che ha voluto e amato da tutta l’eternità» (così ricorda A. Socci, Avventurieri dell’eterno, Rizzoli, Milano 2015, p. 26).
Del resto Cristo ha vinto, ha spazzato via gli idoli ed i demoni e non si comprende il motivo per il quale il Vincitore debba venire a patti con Belial, cioè col perdente. E mediante Lui i cristiani hanno vinto e come Egli non viene a patti col perdente, così analogamente i cristiani non possono venire a patti con chi ha perso, cioè gli idoli pagani.
Va anche ricordato che i cristiani dei primi secoli hanno sacrificato la loro vita pur di non offrire agli idoli ed al nume degli imperatori anche solo un granellino di incenso! Eppure, secondo l'ottica di questi ecclesiastici, avrebbero potuto offrirlo ed ottenere salva la vita: ne andava della loro esistenza terrena. Nella prospettiva di questi prelati sarebbero stati più che giustificati, dovendo salvaguardare un valore enorme qual era la loro vita. Eppure l'hanno stimata un nulla, pensando che la loro vita non valesse l'eternità, che è un Bene ancora maggiore. E per conseguire questo Tesoro, che in fondo è Dio stesso, hanno preferito la morte. 
Ed invece, come già segnalato, oggi assistiamo ad un paganesimo di ritorno e gli attori principali di questo neo-paganesimo sono proprio sacerdoti, vescovi e cardinali. Assistiamo perciò a danze pagane nella Cattedrale di Perugia (v. qui) o a preti che inneggiano alla dea Gaia (v. qui).
Per ciò ben vengano iniziative come quelle promosse dai suddetti due giornalisti. Con la speranza che si esca dall'equivoco .... . Ad majorem Dei gloriam!

Ottavio Mazzonis, La Chiesa Cattolica, 1998.
A destra, in piedi, accanto all’angelo, un autoritratto dell'Autore in veste di S. Paolo



Gustave Doré, Trionfo del Cristianesimo sul paganesimo, XIX sec.

Gustave Doré, Trionfo del Cristianesimo sul paganesimo, 1899, British Museum, Londra
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