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ASSVMPTA EST MARIA IN CÆLVM

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Quapropter, postquam supplices etiam atque etiam ad Deum admovimus preces, ac Veritatis Spiritus lumen invocavimus, ad Omnipotentis Dei gloriam, qui peculiarem benevolentiam suam Mariae Virgini dilargitus est, ad sui Filii honorem, immortalis saeculorum Regis ac peccati mortisque victoris, ad eiusdem augustae Matris augendam gloriam et ad totius Ecclesiae gaudium exsultationemque, auctoritate Domini Nostri Iesu Christi, Beatorum Apostolorum Petri et Pauli ac Nostra pronuntiamus, declaramus et definimus divinitus revelatum dogma esse : Immaculatam Deiparam semper Virginem Mariam, expleto terrestris vitae cursu, fuisse corpore et anima ad caelestem gloriam assumptam.

Assunzione della Vergine, XVII sec., Musée d'art et d'histoire de Saint-Denis (Carmelo di Saint-Denis), Saint-Denis


Giovanni Battista Salvi detto il Sassoferrato, Assunzione, 1640 circa, musée du Louvre, Parigi


Il miracolo del servo di Dio papa Pio VII Chiaramonti

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È poco noto, ma il 15 agosto si ricorda anche il c.d. miracolo del papa Pio VII Chiaramonti. Infatti, in questo giorno, nel 1811, mentre era celebrata la S. Messa, il papa, ormai prigioniero di Napoleone, fu rapito in estasi e si mise a levitare, in maniera non molto diversa da ciò che accadeva a san Giuseppe da Copertino. Questo dimostrava il profondo spirito di preghiera e di contemplazione di quel santo pontefice, che si era formato nel più genuino spirito benedettino. Non a caso egli era stato abate dell’abbazia romana di San Paolo Fuori le Mura: carica che un tempo ormai lontano aveva ricoperto pure S. Gregorio VII.
L’episodio della levitazione di papa Chiaramonti destò grande meraviglia e stupore anche presso i diversi soldati francesi che lo sorvegliavano e che si trovarono testimoni inconsapevoli all’evento.


Miracolo di Pio VII, British Museum, Londra

Jacques-Louis David, Pio VII ed il cardinal Caprara. Studio per l'incoronazione di Napoleone, 1811

La festa dell'Assunzione a Gerusalemme

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(Sulla tomba di Maria a Gerusalemme, v. qui)

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A chiusura della festa dell'Assunzione: "Magnificat"

Card. Burke: "La famiglia è una piccola Chiesa"

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Nella memoria dei SS. Gioacchino, padre della Vergine Maria, e Rocco, confessori, rilancio quest'intervista - in inglese - rilasciata lo scorso luglio dal card. Burke:


Guido Reni, S. Rocco in carcere, 1617, Galleria estense, Modena

Guido Reni (attrib.) o Giovanni Lanfranco (attrib.), S. Rocco ed il cane, XVII sec., Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte, Napoli


Pier Francesco Mazzucchelli (Il Morazzone), Intercessione dei SS. Michele e Rocco per le vittime della peste, 1612-15, chiesa di S. Bartolomeo, Borgomanero

Paulus Pontius, Cristo appare a S. Rocco tra gli appestati, 1626, Hunterian Museum and Art Gallery, Glasgow


Julius Schnorr von Carolsfeld, S. Rocco distribuisce l'elemosina ovvero la propria ricchezza, 1817, Leipzing



“Sanctíssime viri stúdium erga proximórum salútem máximis Deus miráculis illustrávit. Inter quæ illud insígne, quod Vándalum flúvium prope Visográdum aquis redundántem, nullo navígio usus, trajécit, sóciis quoque expánso super undas pállio tradúctis” (Lect. VI – II Noct.) – SANCTI HYACINTHI, CONFESSORIS

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Quest’illustre figlio della Polonia, il cui nome era Jacek Odrowąż, era canonico di Cracovia quando la predicazione ed i miracoli di san Domenico lo determinarono ad abbandonare il secolo ed a ricevere l’abito dei Frati Predicatori a Roma, dalle stesse mani del santo Fondatore. Nel 1218, durante i primi mesi del suo noviziato, risiedé sull’Aventino, nel convento annesso al Titolo di Sabina; più tardi, ritornato nella sua patria, propagò meravigliosamente il suo Ordine, per il quale fondò i conventi di Friesach, di Cracovia, di Praga, di Vratislava, di Kiev e di Danzica. Risuscitò vari defunti, passò vari fiumi a piedi asciutti, illuminò ciechi, e quando morì, il 16 (o il 15) agosto 1257, restituì alla vita un cadavere. I Bollandisti hanno pubblicato diverse collezioni di miracoli operati da questo taumaturgo, e vi si descrivono, tra gli altri, almeno una ventina di morti richiamati a vita per sua intercessione (cfr. Albert J. Herbert, Raised from the dead-true stories of 400 resurrection miracles, trad. it. di Camilla Giacomini (a cura di),I morti resuscitati. Storie vere di 400 miracoli di resurrezione, Tavagnacco 1998, pp. 151-155). Venne canonizzato da Clemente VIII nel 1594 all'indomani dell'istituzione della Sacra Congregazione dei Riti e delle nuove norme varate in materia dal concilio di Trento, costituendo l'unico polacco rappresentato tra le 139 statue che sormontano il colonnato berniniano di Piazza San Pietro (Così ricordano Roberto Fusco – Arkadius Nocon, Giacinto Odrowaz domenicano della prima ora. Ritrovati i due stendardi realizzati per la canonizzazione (17 aprile 1594), in L’Osservatore romano, 22-23 febbraio 2010). Dotato di una festa nel 1625 al 16 agosto con rito doppio, fu spostato nel 1911 al 17 agosto, giorno dell’Ottava di san Lorenzo, dopo che la riforma del calendario di san Pio X stabilì al 16 agosto la festa di san Gioacchino, padre della Vergine Maria.
La messa è dal Comune, come per san Raimondo da Penafort il 23 gennaio; ma la prima colletta è propria.
Le feste dei santi eccitano l’anima alle grandi imprese, e la loro intercessione presso il Signore diffonde una dolce gioia nel cuore, che la fa sentire meno sola su questa terra di esilio, dal momento che un grande fratello, potente ed affezionatissimo, vigila sui suoi passi in cielo.

Lodovico Carracci, La Vergine appare a S. Giacinto, 1594, Musée du Louvre, Parigi


Leandro Bassano, S. Giacinto attraversa il fiume Dnpier camminando sull’acqua, Cappella della Madonna della Pace, Basilica dei SS. Giovanni e Paolo (Zanipolo), Venezia




Giovanni Battista Trotti (Il Malosso), S. Giacinto risuscita un ragazzo a Primislava, XVI sec.

Francesco Eugenio Vanni, S. Giacinto resuscita un bambino, XVI-XVII sec., musée du Louvre, Parigi


El Greco, La Vergine col Bambino appare a S. Giacinto, 1600-10, Memorial Art Gallery, Rochester, New York


El Greco, La Vergine col Bambino appare a S. Giacinto, 1610, Barnes Foundation, Philadelphia

Juan Bautista Maíno, S. Giacinto, 1620-24

Pedro de Raxis, Apparizione della Vergine a S. Giacinto, 1626, Museo de Bellas Artes, Granada


Nicolas Colombel, S. Giacinto Odrovaz salva la statua della Vergine dai nemici del nome cristiano, 1686-94 circa, Musée du Louvre, Parigi



Giovanni Battista Tiepolo, Vergine col Bambino tra i SS. Domenico e Giacinto Odrovaz, 1730-35, Art Institute, Chicago



Giovanni Battista Piazzetta, Tre santi domenicani (SS. Luigi Bertrand, Vincenzo Ferrer e Giacinto), 1738, chiesa di Santa Maria del Rosario detta dei Gesuati, Venezia

Anonimo, La Vergine col Bambino appaiono a S. Giacinto, chiesa anglicana di St. Matthew, Langford

Le contromosse dei difensori della Verità: undici cardinali scendono in campo per fermare la “protestantizzazione” della Chiesa in vista del prossimo Sinodo

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I difensori della Verità prendono le loro contromosse. Avevamo già dato conto nei giorni scorsi dell'iniziativa dei novatori (v. qui), volto a sovvertire l'insegnamento tradizionale della Chiesa (v. qui). Ora è il turno dell'opposto versante. 
Dopo il libro “Permanere nella verità di Cristo” si annuncia un nuovo testo in vista del prossimo Sinodo di ottobre, in difesa del matrimonio e della famiglia. La nuova opera, che dovrebbe uscire in Italia, sempre per i tipi di Cantagalli, vedrà la discesa in campo – se così vogliamo dirla – di nuovi prelati contrari alle innovazioni del c.d. teorema Kasper.

Sinodo, undici cardinali scendono in campo per fermare la “protestantizzazione” della Chiesa

di Lorenzo Bertocchi

Sebbene la notizia sia mantenuta ancora strettamente riservata, e nessuno abbia potuto leggere i testi in anteprima, è in uscita, poco prima del prossimo Sinodo di ottobre, un libro che potremmo intitolare “Permanere nella Verità di Cristo 2”. Secondo una notizia circolata negli Stati Uniti (vedi qui) un certo numero di cardinali, tra cui si citano «Raymond Burke e Walter Brandmuller», avrebbero collaborato per produrre un altro testo che si contrappone alle tesi del cardinale Walter Kasper e di altri teologi, in merito ai temi del Sinodo sulla famiglia. Ma, per quanto ne sappiamo, le cose non stanno precisamente così.

Le polemiche che accompagnarono l’uscita del libro “Permanere nella Verità di Cristo” (ed. Cantagalli) furono roventi. Eravamo a pochi giorni dal Sinodo 2014 e, più o meno direttamente, l’editore senese, insieme ai cinque cardinali autori, furono accusati di una “operazione editoriale” contro il Papa. Lo stesso Walter Kasper, in una intervista del 18 settembre 2014, lo disse apertamente: “Il bersaglio delle polemiche non sono io ma il Papa”. Il cardinale De Paolis, uno dei cinque cardinali che avevano dato un contributo al testo, dichiarò a Repubblica tutta la sua sorpresa. «C’è chi addirittura ipotizza un’operazione voluta, un complotto. Non c’è nessun complotto. Solo la volontà di esprimere una posizione».

Ma qualcuno sembrava voler zittire le voci discordanti rispetto a una rotta già prestabilita, senza alcun rispetto per quella parresia che il Papa stesso indicava come metodo per svolgere i lavori.

A quanto apprende La Nuova Bussola quotidiana il copione potrebbe ripetersi. È vera la notizia di un gruppo di cardinali che ha lavorato ad un nuovo testo in vista del Sinodo ordinario. Dovrebbe intitolarsi “Matrimonio e famiglia”, con un sottotitolo che svela qualcos’altro. Si parla, infatti, di «prospettive pastorali di 11 cardinali», un gruppo decisamente consistente che, visto il numero calcistico, possiamo dire che scende in campo con una formazione di tutto rispetto.

Fra questi però non figurano, come indicano le indiscrezioni oltreoceano, né il cardinale Burke, né il cardinale Brandmuller, mentre i porporati coinvolti dovrebbero essere questi: Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna; Baselios Cleemis, Arcivescovo maggiore della Chiesa cattolica siro-malankarese e Presidente della Conferenza episcopale dell’India; Paul Josef Cordes, Presidente emerito del Consiglio pontificio «Cor Unum»; Dominik Duka, O.P., Arcivescovo di Praga, Primate di Boemia; Willem Jacobus Eijk, Arcivescovo di Utrecht; Joachim Meisner, Arcivescovo emerito di Colonia; John Olorunfemi Onaiyekan, Arcivescovo di Abuja (Nigeria); Antonio Maria Rouco Varela, Arcivescovo emerito di Madrid; Camillo Ruini, Vicario generale emerito di Sua Santità per la Diocesi di Roma; Robert Sarah, Prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti; Jorge Liberato Urosa Savino, Arcivescovo di Caracas, Santiago de Venezuela.

Il curatore del volume è il professore tedesco Winfried Aymans, esperto di diritto canonico presso la Ludwig-Maximilians-Universität a Monaco. Lo scorso giugno, intervenendo sull’Osservatore romano, Aymans aveva scritto che «in un tempo in cui il diritto civile tende sempre più ad abbandonare il contratto matrimoniale alla mercé di un arbitrio che va aumentando sotto ogni riguardo, tanto più chiaro dovrà essere l’annuncio della Chiesa». 

Saranno di nuovo tutti accusati di ostacolare il dibattito e, peggio ancora, di opporsi al Papa? Qualcuno potrebbe provarci, cercando di alimentare un gioco delle parti che tende a creare schieramenti e tifoserie, ma gli undici cardinali in campo non sembrano affatto disposti a farsi schiacciare nella loro metà campo. Né sembrano inclini al gioco del catenaccio, quello di cui vorrebbero accusarli per farli sembrare dei banali “cristallizzatori” di dottrina.

Per quanto ne sappiamo, le domande a cui vogliono rispondere gli 11 cardinali sono assolutamente pastorali e toccano, anzi si chinano, sulla carne e il sangue di tutti noi. Come possiamo accompagnare meglio coloro che sono stati abbandonati dal coniuge e che restano fedeli al matrimonio così svincolato? In che modo la preparazione al matrimonio potrebbe affrontare più efficacemente la situazione di giovani coppie scarsamente catechizzate e pesantemente influenzate da una cultura secolarista?

Per le risposte a queste, e ad altre simili domande, non ci resta che aspettare l’uscita del libro per la fine di settembre. Per il nome dell’editore tutti gli indizi portano ancora al senese Cantagalli. Saremo a pochi giorni dal Sinodo, e tra le possibili risposte pastorali sui temi di matrimonio e famiglia bisognerà fare i conti anche con queste. 

Infine, un’ultima notizia. In contemporanea al libro degli 11 cardinali dovrebbe uscire anche un altro testo di grande interesse. In questo caso saranno sempre 11 tra vescovi e cardinali, ma tutti africani. Per raccontarci l’Africa, anzi per far sentire la voce dell’Africa sui temi del Sinodo e non solo. Sarà meglio aprire le orecchie perché, e questo si vocifera sul titolo, «nova patria Christi Africa».

Fonte: La nuova bussola quotidiana, 17.8.2015

“Singuláre ejus stùdium emícuit in salutári devotióne promovénda erga Sacratíssima Corda Jesu et Maríæ, quorum litùrgicum cultum eísdem præstándum non sine áliquo divíno afflátu, primus ómnium excogitávit ideóque ejùsdem cultus pater, doctor et apóstolus hábitus est. Jansenistárum doctrínis fórtiter resístens, immutátum erga Petri cáthedram obséquium servávit, et pro suis inimícis, tamquam pro frátribus, assídue Deum precátus est” (Lect. VI – II Noct.) SANCTI JOANNIS EUDES, CONFESSORIS, FUNDATORIS CONGREGATIONIS PRESBYTERORUM JESU ET MARIÆ NECNON ORDINIS MONIALIUM DOMINÆ NOSTRÆ A CARITATE

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Questo zelante missionario esercitò in Francia un’attività multiforme e feconda, per rafforzare nel giovane clero e nel popolo fedele il senso di Cristo contro la glaciale eresia dei Giansenisti.
Fu l’Eudes che fondò una congregazione di sacerdoti per l’educazione dei chierici nei Seminari; che istituì una società di religiose per accogliere le donne pentite dei loro traviamenti; fu lui che con la predicazione e con gli scritti propagò la devozione ed il culto liturgico verso i Sacri Cuori di Gesù e di Maria così che, nella storia di questa magnifica devozione, egli occupa un posto di grande rilievo.
Morì il 19 agosto 1680 e venne beatificato da san Pio X nel 1909 e canonizzato da Pio XI nel 1925. La sua festa, sotto il rito doppio, fu inserita nel calendario nel 1928, venendo ad impedire il V giorno nell’Ottava dell’Assunzione. 
La messa è dal Comune dei Confessori non pontefici, come per san Giacinto il 17 di questo mese; ma la prima colletta è propria.
La devozione verso i Santissimi Cuori di Gesù e di Maria, promuove efficacemente la vita interiore; giacché lo spirito di tale culto essenzialmente consiste nell’entrare a parte e nell’assimilarci quelle disposizioni santissime che il Salvatore e la sua beatissima Madre nutrirono verso Dio nei giorni della loro vita mortale, e che hanno altresì ora nella gloria del cielo. È appunto quanto ci consiglia l’Apostolo: Hoc enim sentite in vobis quod et in Christo Jesu.








Guido Francisi, S. Giovanni Eudes consacra le sue famiglie religiose ai Sacri Cuori, 1909, Charlesbourg (Québec)


Silvio Silva, S. Giovanni Eudes, 1932, Basilica di S. Pietro, Città del Vaticano, Roma


L'affaire della preghiera dell'alpino

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Non bastavano le polemiche innescate a ridosso della festa dell’Assunta dal segretario della CEI, mons. Galantino, definito non a caso il "Boldrini della CEI" (v. qui), criticato - per il suo atteggiamento - persino da uno dei maggiori politologi italiani qual è Sartori (v. qui) e nonostante gli inviti rivoltigli ad una moderazione (v. qui), che ecco in Italia un nuovo affaire, innescato da parte ecclesiastica, in nome di un vacuo pacifismo, animata da sentimenti antitaliani, oltre che perdita del senso delle proprie radici. Cristiane in primo luogo.
Si tratta di un’insensata censura, durante una celebrazione eucaristica lo scorso 15 agosto, della storica preghiera degli alpini (per la storia di questa preghiera, si rinvia qui). Come emerso dagli organi di stampa, il celebrante avrebbe imposto l’espunzione dalla preghiera del riferimento alle “armi” ed alla “civiltà cristiana” (v. qui) per non offendere gli islamici presenti in Italia (sic!) (v. qui e qui), dimenticando che non è estranea a quella fede, tutt'altro che religione di pace (v. qui), la c.d. teologia dello stupro (v. qui) e le uccisioni di chi ha dedicato la propria vita a salvare il patrimonio storico-artistico (v. qui),  e che non sono certo condannate e stigmatizzate - almeno come dovrebbero - dal mondo musulmano.
È vero che il “vescovo” di Vittorio Veneto ha fornito la propria versione del fatti, adducendo la sua estraneità alla vicenda. Tuttavia ha tenuto a precisare che interverrà per trovare, «in dialogo con gli alpini, una posizione che eviti il ripetersi di questi fatti» (v. qui e qui), che tradotto dal linguaggio clericale può voler dire finanche “rivedere” la preghiera in questione, epurandola dalle parti reputate “contrarie” al nuovo corso pacifistico e filo-islamico, ovvero anche vietare la recita della preghiera in qualsiasi contesto liturgico. Staremo a vedere. Per il momento, ci sembrano assai pertinenti le riflessioni del prof. Pasqualucci rilanciate da Chiesa e post concilio.

Diocesi “censura” la «preghiera dell'Alpino», polemica in Veneto

Aggiornamento: Ho scansionato dal testo cartaceo perché su Avvenire on-line l'articolo non è rintracciabile.
Per il giornale dei vescovi si tratterebbe di una tempesta in un bicchiere d'acqua. Minimizzare, anche girando la pizza col richiamare il contesto liturgico, fa parte del loro mestiere.
Il fatto è, invece, che il sacerdote non ha rimosso la preghiera dalla Liturgia come si poteva dedurre dalle considerazioni in apertura dell'articolo; ma, come si deduce dal seguito, ha "proposto il testo modificato"... (vedi immagine a lato) 
Quanto a Salvini, aggiungo che sbaglia nello stigmatizzare i vescovi perché parlano di politica. Un cristiano dovrebbe contraddistinguersi anche per l'impegno politico e i suoi orientamenti. Il problema sta nel fatto che vescovi come Galatino & C. predicano orientamenti secondo il mondo...
Conoscevo già questa aberrazione, che ormai è di lunga data, anche per iniziativa dell'Ordinariato militare. Mio marito, nei suoi scritti, riporta sempre la preghiera nel testo integrale, nonostante già da tempo risulti "censurata" nei termini che leggiamo qui, che stralcio di seguito.
Aggiungo un commento di Paolo Pasqualucci, che puntualizza con acribìa la situazione e le azioni conseguenti. Ciò che tocca la patria e la famiglia non può non toccare anche la fede.

Treviso - Nervi sempre più scoperti in Veneto su ogni episodio che richiami, anche sottotraccia, le `difesa´ del territorio da ingressi stranieri. È successo così che la Diocesi di Vittorio Veneto (Treviso) abbia `censurato´ la Preghiera dell’Alpino che doveva essere letta ieri in occasione di una cerimonia per la Festa dell’Assunta a Passo San Boldo.
La proposta di modifica della frase «...rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra patria, la nostra bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana», non è stata accettata dai vertici locali dell’Ana (Associazione Nazionale Alpini) e la preghiera - riportano i quotidiani locali - non è stata letta dal sacerdote che celebrava la messa. Con il conseguente sconcerto delle `penne nere´, il gruppo locale dell’Ana, con i propri dirigenti ed iscritti, si è quindi riunito fuori della chiesetta che sorge sul passo (costruita dalle stesse `penne nere´) e lì si è proceduto alla lettura della preghiera dell’Alpino. Si tratta di un testo scritto circa 80 anni fa, in tempo di guerra, e che in premessa ricorda come gli alpini siano armati «...di fede e di amore». Il presidente della sezione Ana, Angelo Biz, ha voluto evitare la polemica, ma si è chiesto perché «nella Diocesi il rapporto con gli alpini sia spesso diventato così problematico». 
«Sono sempre più sconcertato da `certi Vescovi´. W gli Alpini». Il segretario della Lega Matteo Salvini torna a polemizzare con i vescovi per l’iniziativa della Diocesi...

* * * 

I vescovi contro gli Alpini
Difendiamo gli Alpini contro i vescovi antiitaliani 

di Paolo Pasqualucci
  1. La frase censurata dai vescovi proclama la difesa della Patria, non minaccia nessuno. Della patria e della "civiltà cristiana". Difesa "in armi", si capisce. Sennò, come? Non è una frase aggressiva, non esprime affatto una mentalità guerrafondaia.
  2. Si capisce che a certi vescovi (ma gli altri vescovi tacciono) la frase non piaccia. La "pastorale liquida" dilagante nella Gerarchia dal Concilio in poi, ha non solo abolito l'idea stessa di Patria, connessa a quella di nazione cattolica che va difesa anche con le armi dal nemico esterno ed interno, ma anche quella di Nazione sostituendola con quella di Umanità, di Genere Umano da unificare (senza convertirlo), anche se ciò (come si vede) comporti la distruzione delle antiche nazioni europee. Questi vescovi non riconoscono più nemmeno il concetto di "civiltà cristiana". Della "civiltà cristiana" la S. Messa VO era un elemento costitutivo. Abolitala e sostituitala con la "carnevalata" montiniano-bugniniana (L. Bouyer), come si poteva mantenere il senso di una tradizione spirituale che ci ancorava ad una "civiltà cristiana" e quindi a una nazione, a una patria che, quali che fossero le sue vicissitudini e le sue contraddizioni, pur sempre la rappresentava? Inoltre, con la politica delle continue richieste di scuse, i Papi postconciliari non hanno di fatto mandato al macero tutto il passato della Chiesa, anche nel temporale? Voglio dire, facendo della politica della Chiesa nel temporale di ogni erba un fascio, senza mai distinguere ciò che andava criticato da ciò che invece andava pienamente giustificato e fatto proprio anche oggi, a cominciare dalle Crociate, dalla difesa politica e militare dell'Italia e dell'Europa dall'invasione maomettana. 
  3. E come possono sostenere il valore della Patria vescovi che magari sono a favore della distruzione del matrimonio e della famiglia cattolici, programmato dalla parte deviata del clero per il prossimo Sinodo di Ottobre, con le aperture che sappiamo? Cancellata e avversata l'idea della Patria, tocca alla famiglia. E viceversa. 
  4. Bisogna sostenere l'on. Salvini nella svolta "patriottica" che egli sta cercando di imprimere alla Lega, togliendola dal truce particolarismo delle origini. Non credo si tratti di calcoli elettoralistici. Qui sono ormai in ballo esigenze elementari e fondamentali, esigenze di sopravvivenza nazionale, come popolo, come italiani, come etnia, non solo come società. Anche la recente proposta di Salvini di istituire di nuovo il servizio militare obbligatorio mi sembra, in linea di principio, valida e da sostenere. Rientra nella logica della "difesa della Patria", di una Patria italiana che, piaccia o meno, "gli altri" (dai "Poteri forti", al nemico interno, ai mussulmani) hanno tutto l'interesse a far sparire.

“Quo in stúdio occupátus, Genuénsem ac Mediolanénsem aliósque episcopátus oblátos recusávit, proféssus se tanti offícii múnere indígnum esse. Abbas factus Claravallénsis, multis in locis ædificávit monastéria, in quibus præclára Bernárdi institútio ac disciplína diu víguit. Romæ sanctórum Vincéntii et Anastásii monastério, ab Innocéntio secúndo Papa restitúto, præfécit abbátem illum, qui póstea Eugénius tértius summus Póntifex fuit; ad quem étiam librum misit de Consideratióne” (Lect. V – II Noct.) - SANCTI BERNARDI CLARÆVALLENSIS, ABBATIS ET ECCLESIÆ DOCTORIS

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Nella basilica trasteverina di Santa Maria, sul timpano della tomba del papa Innocenzo II, della famiglia dei Papareschi, si vede un monaco vestito di bianco, che conduce il Pontefice a Roma e lo fa assidere trionfalmente sul trono di san Pietro. Questo monaco è san Bernardo, abate di Clairvaux.


Figura davvero grandiosa, Bernardo fu allo stesso tempo riformatore della vita monastica, apostolo della Crociata, dottore della Chiesa universale, taumaturgo, pacificatore di re, di principi e di popoli, oracolo dei Papi e campione del pontificato romano contro gli scismi e le eresie. Il suo corpo, spossato dalle penitenze e dalle malattie, giunse alla gran pena di ritenere un’anima tutta di fuoco per la gloria di Dio. Questo fuoco ardeva attorno a lui, tanto che i suoi segretari non bastavano a registrarne tutte le guarigioni miracolose che operava col solo tocco della sua mano o con la sua semplice benedizione.
Le necessità della Chiesa portarono molte volte san Bernardo a discendere in Italia ed a venire a Roma.
Si deve a lui il restauro della chiesa dei Santi Vincenzo ed Anastasio alle Tre Fontane e dell’annessa abbazia ad aquas Salvias, sulla via Laurentina, dove, chiamatovi da papa Innocenzo II nel 1128, stabilì come abate quel Pietro Bernardo da Pisa, suo seguace, che divenne in seguito, nel 1145, Eugenio III (cfr. Mariano Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, p. 940). Le relazione del maestro con questo suo antico discepolo divenuto papa sono ammirevoli. Bernardo non poteva dimenticare il suo ruolo paterno verso l’anima del Pontefice e per aiutarlo a ben meditare, gli indirizzò la sua opera De Consideratione ad Eugenium III, che, con il Pastorale di san Gregorio Magno, non mancò mai di figurare, sino al XVI sec., nella biblioteca dell’appartamento pontificio.
Roma cristiana gli dedicò una chiesa, costruita a metà del XV sec., ed oggi scomparsa, presso la Colonna Traiana (San Bernardo ad Columnam Traianamo della Compagnia) (cfr. ibidem, pp. 165-166; Ch. Huelsen, Le Chiese di Roma nel medio evo, Firenze 1927, p. 529). Oggi, sul sito, sorge la chiesa del SS. Nome di Maria (cfr. Mariano Armellini, op. cit., p. 166; Ch. Huelsen, op. loc. cit.).
Un’altra – tuttora esistente – è la chiesa di San Bernardo alle Terme o a Termini, edificata alla fine del ‘500 e titolo cardinalizio. Essa, di forma circolare, sorse in uno dei calidari o in uno spheristerium (sala per i giochi con la palla) delle terme di Diocleziano (cfr. Mariano Armellini, op. cit., p. 819). La chiesa, affidata ai francesi dell'ordine dei Cistercensi, i Foglianti, per intercessione di Caterina Sforza di Santafiora (ibidem), dopo la Rivoluzione Francese e lo scioglimento dei Foglianti, fu ceduta, assieme all'annesso monastero, alla congregazione di Bernardo di Chiaravalle.
Una chiesa più recente, che è parrocchia, è stata eretta nel quartiere Prenestino-Centocelle: San Bernardo di Chiaravalle. Istituita nel 1974 come vicecura ed eretta in parrocchia nel 1978, fu inaugurata nel 1993.
La messa è quella dei dottori, come il 4 aprile, ma la prima lettura è comune alla festa di san Leone I, l’11 aprile. In effetti, san Bernardo rifiutò costantemente, per umiltà, gli onori dell’episcopato, che gli erano stati più volte offerti. Gli fu proposto di divenire arcivescovo di Milano e di Genova! La sua attività di dottore si esercitò in gran parte all’interno della sua abbazia, dove predicava assiduamente ai monaci, commentando loro le divine Scritture. Quest’aspetto speciale dell’attività di san Bernardo è in perfetta relazione con la regola del Patriarca san Benedetto, che concepiva il monastero come una Dominici schola servitii, dove l’abate deve prodigare senza tregua il suo insegnamento spirituale ai monaci.
I discepoli di san Bernardo furono molto numerosi e si distinsero per una grande santità. Tra essi si trovano i suoi genitori ed i suoi fratelli, che lo seguirono nel chiostro. Si racconta che, quando san Bernardo fu seguito da trenta membri della sua famiglia attirata da lui al monastero, il fratello maggiore del nostro Santo, Guido, abbandonando il castello paterno, disse al suo fratello più piccolo, Nivardo (futuro beato), che frequentava la corte ed intento a giocare con gli altri fanciulli della sua età: “Addio, Nivardo, ti lascio tutti questi beni che vedi d’intorno”. Ma il giovane, con una sapienza molto superiore alla sua età, rispose: “Questa divisione non è stata fatta con giustizia. Tu mi lasci la terra e tu ti prendi il cielo” («Jam vero adveniente die reddendi voti et complendi desiderii, egressus est de domo paterna Bernardus, pater fratrum suorum, cum fratribus suis, filiis suis spiritualibus, quos verbo vitæ Christo genuerat. Videns autem Guido primogenitus fratrum suorum Nivardum fratrem suum minimum, puerum cum pueris aliis in platea: “Eia”, inquit, “frater Nivarde, ad te solum respicit omnis terra possessionis nostræ”. Ad quod puer non pueriliter motus: “Vobis ergo”, inquit, “coelum, et mihi terra? Non ex æquo divisio hæc facta est”. Quo dicto abeuntibus illis, tunc quidem domi cum patre remansit, sed modico post evoluto tempore fratres secutus, nec a patre, nec a propinquis seu amicis potuit retineri. Supererat de Deo dicata domo illa pater senior cum filia, de quibus etiam suo loco dicemus» - Guglielmo di Saint Thierry, Sancti Bernardi, Abbatis Claræ-Vallensis, Vita et res gestæ libris septem comprehensae, lib. I, § 17 in PL 185, col. 236).
Voleva seguirli anch’egli in monastero, ma Bernardo ne rifiutò l’ingresso, per allora, sino ad un’età più matura. È da rilevare una frase assai espressiva di san Bernardo, sulla necessità della santità in un ministro di Dio, qui, si non placet, non placat.



Anonimo, Vera effigie di S. Bernardo, XVI-XVII sec., Abbazia, Clairvaux

Maestro sconosciuto olandese, Lactatio di S. Bernardo, 1480-85, Rijksmuseum, Amsterdam
Qualcuno potrebbe storcere il naso riguardo ad un episodio che riguarda la vita di S. Bernardo.
Si racconta, infatti, che, mentre S. Bernardo era in preghiera presso la chiesa di Saint-Vorles a Châtillon-sur-Seine dinanzi ad una statua raffigurante una Madonna che allatta il Bambino, al momento di pronunciare la parole latine «Monstra te esse Matrem» dell’Ave Maris Stella, la statua si animasse e facesse stillare alcune gocce di latte dal suo seno che finirono sulle labbra di Bernardo. È la c.d. Lactatio Virginiso Lactatio Bernardi. Ne parlano del miracolo anche i Bollandisti: “ ... Bernardum lactatum quidem a Virgine fuisse, non tamen in carne, seu labiis carnalibus, neque per lac reale ac physicum, verum duntaxat in spiritu, et per mysticum quemdam influxum, hoc utique est antiquae veritati, quae tot calamis, tot penicillis per quinque et amplius saecula firmata est, suspicionem affricare: quasi vero veteres illi scriptores non scivissent aeque distinguere, ac nos, inter influxum illum mysticum, ac physicum et realem. Utraque lactatio concedenda Bernardo est, et illa in spiritu, et haec in carne: non neganda haec altera, quam utique principalius intenderunt historici veteres et sinceri” (Acta sanctorum Bolland., Augusti tom. IV, die 20, p. 101 ss. § 493). Si tratta di un’immagine di cui si è anche appropriata la storia dell’arte.
Si tratta di una grazia singolarissima concessa, appunto, a S. Bernardo ed altri santi, donata ad anime pure e semplici, le quali tornano bambine tra le braccia della più amabile tra le madri. Il venerabile Giovanni Giacomo (o Giangiacomo) Olier (Jean Jacques Olier), fondatore di Saint Sulpice a Parigi, uno dei maggiori rappresentanti della “Scuola francese di spiritualità”, nella quale si metteva l’accento soprattutto sul mistero dell’Incarnazione, e sul posto di Maria nel piano divino della salvezza, fa accenno a questa grazia, parlandone in termini assai precisi.
«Il suo materno sguardo ci accompagna dovunque. Maria è tutta tenerezza, tutta indulgenza [ ...], da far stupire gli stessi Angeli. Il ven. Olier ci insegna in qual modo ci vengano date e comunicate queste grazie in ogni istante: come un latte celeste che succhiamo al seno materno di Maria. Chi potrà descrivere la bellezza della vita delle anime pure e semplici, che una grazia infinitamente preziosa attira verso di Lei come bambini verso la loro mamma? Tali anime si portano con immensa gioia e con una dolcezza meravigliosa verso questo Cuore, verso questo seno benedetto e là trovano la sorgente inesauribile della vita. È cosa commovente che Maria stessa abbia voluto giustificare e consacrare, con un gesto di accondiscendenza che inebria d’amore, questa via in qualcuno dei suoi fedeli servi. Felice san Bernardo che venne chiamato il fratello di latte di Gesù, “Collactaneus Christi”» (Padre Stefano M. Miotto, La Madre della divina Grazia, in Il Settimanale di Padre Pio, fasc. 5 febb. 2006, p. 13).
La lactatio, dunque, anche se per il mistico che ne ha la visione ha i caratteri di realità e concretezza, in verità è un dono spirituale che esprime la maternità e la vicinanza di Maria nei confronti dell’anima eletta.
Lo stesso dicasi per quelle Sante che si inebriavano alla grazia del costato di Cristo.

Juan Correa de Vivar, Apparizione della Vergine a S. Bernardo, 1540-45, Museo del Prado, Madrid

Juan Correa de Vivar, Morte di S. Bernardo, 1545 circa, Museo del Prado, Madrid

Anonimo, Vergine col Bambino adorato da S. Bernardo, XVI sec., museo del Prado, Madrid

Alonso Sánchez Coello, S. Sebastiano tra i SS. Bernardo di Chiaravalle e Francesco, 1582, Museo del Prado, Madrid

Alejandro de Loarte, Miracolo di S. Bernardo, 1620 circa, museo del Prado, Madrid

Francisco Ribalta, S. Bernardo abbraccia il Cristo, 1625-27, Museo del Prado, Madrid

Alonso Cano, Visione di S. Bernardo (lactactio), 1650 circa, Museo del Prado, Madrid

Bartolomé Esteban Murillo, Apparizione della Vergine a S. Bernardo, 1655-60, Museo del Prado, Madrid

Acisclo Antonio Palomino y Velasco, S. Bernardo abate, XVII-XVIII sec., museo del Prado, Madrid


François Vincent Latil, S. Bernardo, XVII sec., chiesa di Saint-Étienne-du-Mont, Parigi

Marten Pepijn, S. Bernardo e Guglielmo X di Poitiers, duca di Aquitania e sostenitore dell'antipapa Anacleto II, presso il castello di Parthenay nel 1135, XVII sec., musée des Beaux-Arts, Valenciennes


Giovanni Odazzi, S. Bernardo ed il miracolo della lattazione, 1720 circa, Palazzo Ducale, Gubbio


Emile Signol, S. Bernardo predica la seconda crociata in presenza del re Luigi VII, della regina Eleonora d’Aquitania e dell’abate Suger, a Vézelay in Borgogna il 31 marzo 1146, 1840, castello di Versailles e di Trianon, Versailles

“Oratiónem ad octo passim horas júgibus lácrimis protrahébat: sæpe in éxtasim raptus ac prophetíæ dono illústris Romæ, nocte natalítia, ad præsépe Dómini infántem Jesum accípere méruit a Deípara in ulnas suas. Corpus íntegras noctes intérdum verberatiónibus affligébat; nec umquam addúci pótuit ut vitæ asperitátem emollíret, testátus in cínere velle se mori” (Lect. VI – II Noct.) - SANCTI CAJETANI, CONFESSORIS ET CLERICORUM REGULARIUM FUNDATORIS

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Questo caro Santo, così dolce ed umile che chiese a Dio che il suo sepolcro, dopo la sua morte, non fosse conosciuto da nessuno († 1547), ha il merito di essere stato, prima ancora di sant’Ignazio, uno dei rappresentanti più autorevoli della riforma ecclesiastica compiuta nel XVI sec.
Roma cristiana lo venera come uno dei suoi cittadini di elezione. La basilica liberiana rievoca ancora il ricordo della sua prima messa, che celebrò nel Natale del 1516 dopo averla ritardata per quasi tre mesi dalla sua ordinazione sentendosi inadeguato, e quella, soprattutto, al Presepio del Signore, celebrata, col fervore di un Serafino, il giorno in cui meritò di accogliere tra sue braccia il Divin Bambino dalla stessa Vergine. Era il 25 dicembre 1517 (Bollandisti, De S. Caietano Thienæo Conf., Commentarius prævius, cap. II, Aula Romana Caietani moribus illustrata, munns in ea gestum; sacerdotium, Pueri Jesu amplexus, Cœlitum patrocinium matri impetratum, praeclara de sodalitio Vicentino merita, § 20, in Acta Sanctorum, Augusti, t. II, vol. 36, Die Septima, Parigi-Roma, 1867, p. 244). In effetti, stava pregando in Santa Maria Maggiore, e precisamente nella cappella del Presepio (dove si conservano, inseriti in una magnifica culla di materiali preziosi, alcuni legni della culla di Gesù) allorquando mosse, con gesto apparentemente, illogico, le braccia verso l’immagine di Maria col Figlio. Successe allora l’incredibile: la Vergine Maria posò, sulle braccia tese Santo, “Quel tenero fanciullo, carne e vestimento dell’eterno Verbo”. Questo fatto straordinario lo apprendiamo da una lettera, che lo stesso protagonista scrisse un mese dopo, alla monaca agostiniana bresciana suor Laura Mignani (1482-1525), donna di altissimi meriti, tanto che il nostro Santo ed altri sacerdoti, senza conoscerla di persona, se ne erano fatti figli spirituali. Raccontata la visione, San Gaetano la commenta così: “… Duro era il mio cuor ben lo crederete, perché certo non essendosi in quel punto liquefatto, segno è che è di diamante”. E sospirava: “Pazienza!”. La visione, sempre su testimonianza del protagonista, si ripeté nelle due feste della Circoncisione e dell’Epifania. Il santo ne fu tanto grato che si confermò e si corazzò nelle “immortal guerra contro i tre pestiferi nemici: la carne, il mondo e il demonio, da superare con l’aiuto della croce”.
La confessione del Principe degli Apostoli conserva anche il ricordo del giorno memorabile - era il 14 settembre 1524 – nel quale Gaetano da Thiene e l’ardente Gian Pietro Carafa, futuro Paolo IV, istituirono il nuovo Ordine dei Chierici Regolari, emettendo il difficile voto di affidarsi interamente alla divina Provvidenza per vivere soltanto delle elemosine che sarebbero state loro spontaneamente offerte dai fedeli.
Presso la Chiesa dei SS. Silvestro e Dorotea in Trastevere, il nostro Santo aderì, e probabilmente fondò, l’oratorio del Divino Amore, partecipando attivamente alle sue opere volte all'edificazione spirituale dei confratelli ed a un diffuso impegno assistenziale, soprattutto nei confronti di persone emarginate ed a rischio. Come altri membri dell'oratorio, perciò, lo troviamo più tardi - nel 1524-25 - fra i custodi dell'ospedale di San Giacomo degli Incurabili, uno degli istituti caritativi promossi a Roma, come altrove, dai confratelli del Divino Amore. Nella chiesa dei SS. Silvestro e Dorotea, ricorda l’Armellini, il nostro Santo, come più tardi fece anche il Calasanzio, gettò le fondamenta del suo ordine (cfr. Mariano Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, p. 692).
Nel rione Campomarzio, presso Villa Medici al monte Pincio, esiste poi un casino in cui il Santo, assieme ai suoi primi discepoli, si rifugiò durante il sacco di Roma del 6 maggio 1527 sotto papa Clemente VII. Scoperto dai lanzichenecchi il Santo fu catturato, imprigionato nella Torre dell’Orologio in Vaticano e torturato perché rivelasse il luogo in cui aveva nascosto i suoi tesori. Alla fine, la soldataglia lo lasciò libero perché comprese che non aveva beni da depredare. In ricordo di quest’episodio fu posta nel 1704 una lapide sull’ingresso della cappelletta (ibidem, pp. 341-342).
Al Santo è dedicata a Roma, nel quartiere Tor di Quinto, una chiesa nei pressi della via Flaminia Nuova, San Gaetano a via Tuscania, officiata dai Teatini ed eretta nel 1962, sebbene dedicata nel 1979.
San Gaetano ebbe una parte notevole nella riforma del Breviario sotto Clemente VII.
Canonizzato nel 1671 da Clemente X, la sua festa entrò nel Messale nel 1673 come semidoppia; Innocenzo XI l’elevò al rango di rito doppio nel 1682.










Andrea Vaccaro, S. Gaetano offerto alla Vergine da sua madre, XVII sec., Museo del Prado, Madrid

Andrea Vaccaro, Il disinteresse di S. Gaetano, XVII sec., Museo del Prado, Madrid

Andrea Vaccaro, S. Gaetano dinanzi alla Sacra Famiglia, XVII sec., Museo del Prado, Madrid

Andrea Vaccaro, Morte di S. Gaetano, XVII sec., Museo del Prado, Madrid

S, Gaetano intercede per gli appestati del Regno di Napoli, con sullo sfondo il Vesuvio, XVII-XVIII sec.

Scuola austriaca, La gloria di S. Gaetano, XVIII sec.

Matteo Rosselli, I SS. Gaetano Thiene, Andrea Avellino, Francesco d’Assisi adoranti la Trinità, con la Madonna ed i SS. Giovanni Battista e Michele arcangelo, XVIII sec., Chiesa dei Santi Michele e Gaetano, Firenze

Giambattista Tiepolo, S. Gaetano da Thiene, 1710-36, Museu Nacional de Belas Artes, Rio de Janeiro

Sebastiano Ricci, S. Gaetano conforta un moribondo, 1727, Pinacoteca di Brera, Milano

Giovanni Battista Piazzetta, Angelo custode tra i SS. Antonio da Padova e Gaetano Thiene, 1729 circa, San Vitale, Venezia


Ubaldo Gandolfi, Madonna con Bambino e S. Gaetano, 1775, Fondazione Cassa di Risparmio di Cento, Cento

Gaetano Gandolfi, S. Gaetano riceve il Bambino Gesù dalle mani della Vergine, 1790-99 circa, Museo antico del Tesoro della Santa Casa, Loreto


Salvatore Postiglione, Affettuosità ovvero S. Gaetano, XX sec.

Pietro Gagliardi, Visione di S. Gaetano, 1882, Chiesa parrocchiale di S. Gaetano, Hamrun, Malta




Statua della Vergine che porge a S. Gaetano (Gejtanu) il divin Bambino, Hamrun, Malta

Dio ed il peccato presi sul serio in un aforisma del card. Ratzinger

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Nella vigilia anticipata di san Lorenzo, arcidiacono e martire, rilancio quest'insegnamento dell'allora card. Ratzinger:

Ambito ferrarese, S. Lorenzo, XVII sec., museo diocesano, Ferrara


L’anima è il carro cherubico che porta Dio

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Come l’anno scorso, non dimentichiamoci, durante la pausa estiva, dell’aspetto spirituale della nostra esistenza e della nostra anima. Per ricordarlo attingiamo ad un testo della tradizione spirituale patristica e monastica di san Macario il Grande.

L’anima è il carro cherubico che porta Dio 

di San Macario il Grande

Fadi Mikhail, Icona copta dei Santi Macario il grande con i suoi discepoli Massimo e Domezio, XXI sec.

1. Il beato profeta Ezechiele contemplò una visione, un’apparizione divina e gloriosa, e ne fece la narrazione descrivendo una visione colma di ineffabili misteri(1). Vide, nella pianura, un carro di cherubini, quattro esseri viventi spirituali, di cui ciascuno aveva quattro volti: uno di leone, uno di aquila, uno di vitello e uno d’uomo. E per ogni volto avevano delle ali, sicché non v’era parte posteriore o rivolta all’indietro; e il loro dorso era colmo di occhi, e il loro ventre similmente era colmo di occhi, e non vi era parte che non fosse colma di occhi. E ogni volto era provvisto di ruote, una ruota dentro l’altra, e nelle ruote vi era lo Spirito. E vide come un trono e, seduto su di essi, una figura dalle sembianze umane e sotto i suoi piedi c’era come uno zaffiro lavorato. Il carro portava il cherubino e gli esseri viventi il Signore, assiso su di essi; ovunque volesse andare, era sempre in direzione di un volto. E vide, sotto il cherubino, come una mano d’uomo che lo sorreggeva e lo portava.

2. E ciò che il profeta vide nella sua sostanza era vero e certo. Indicava tuttavia qualcos’altro e prefigurava una realtà mistica e divina, un mistero nascosto in verità da secoli e da generazioni(2), ma svelato negli ultimi tempi(3) con la manifestazione di Cristo(4). Contemplava infatti il mistero dell’anima che avrebbe accolto il suo Signore e sarebbe divenuta per lui trono di gloria. Poiché l’anima resa degna di avere parte allo Spirito, fonte della sua luce(5), e illuminata dalla bellezza dell’ineffabile gloria del Signore, che l’ha preparata quale trono e sua dimora, diventa tutta luce(6), tutta volto, tutta occhio(7); non vi è in essa parte alcuna che non sia ricolma degli occhi spirituali della luce, cioè non vi è in essa nulla di tenebroso, ma è trasformata tutta intera in luce e spirito ed è tutta colma di occhi; non ha alcuna parte posteriore o che stia a tergo, ma è volto in ogni lato, poiché su di essa è assisa l’ineffabile bellezza della luminosa gloria di Cristo. E come il sole è identico a se stesso in ogni sua parte e non ha lato posteriore o difettoso, ma è tutto interamente glorificato dalla luce ed è tutto luce, uguale in tutte le sue parti, o come il fuoco, la luce stessa del fuoco, è tutta uguale e non ha in sé qualcosa di primo o di ultimo, di maggiore o di minore, così anche l’anima, che è stata perfettamente illuminata dall’ineffabile bellezza della gloria luminosa del volto di Cristo(8), che è in piena comunione con lo Spirito Santo ed è fatta degna di diventare dimora e trono di Dio, diventa tutta occhio, tutta luce, tutta gloria, tutto spirito. Tale la rende il Cristo, che la conduce, la guida, la sostiene, la trasporta e così la prepara e adorna di bellezza spirituale. È detto infatti: Una mano d’uomo stava sotto il cherubino(9), poiché Colui che in essa è trasportato è anche Colui che guida.

Note

1 Cf. Ez 1,4-28.

2 Col 1,26.

3 Cf. 1Pt 1,20.

4 Cf. 2Tm 1,10

5 Il senso di queste parole viene chiarito al § 6: “…quanti possiedono l’anima della luce, cioè la potenza dello Spirito santo, sono dalla parte della luce”.

6“l’anima vede la luce e diventa tutta luce” afferma Gregorio di Nazianzo (Carmina dogmatica 32, PG 37,512). È l’esperienza della trasfigurazione sovente attestata negli Apophtegmata patrum: di abba Arsenio si dice che era “tutto come di fuoco” (Arsenio 27, PG 65,96C) e il volto di abba Sisoès risplendeva come il sole (cf. Apophtegmata patrum, alph.: Sisoès 14, PG 65,396BC; cf. anche Pambo 1 e 12). Abba Giuseppe di Panefisi affermava “Non ti è possibile diventare monaco, se non diventi tutto di fuoco!” (Apophtegmata patrum, alph. Giuseppe di Panefisi 6, PG 65, 229C). Su questo tema nelle Omelie dello Pseudo-Macario vedi anche: Om. 8,3 e Om. 15,38.

7 I cherubini ricoperti di occhi nella tradizione cristiana sono diventati simbolo della vita contemplativa. Abba Bessarione diceva: “Il monaco deve essere come i cherubini e i serafini: tutto occhi!” (Apophtegmata patrum,alph.: Bessarione 11, PG 65,141D).

8 Cf. 2Cor 4,6.

9 Cf. Ez 1,8; 10,8.

(tratto da: Macario il Grande, Omelia 1, Pseudo-Macario, Spirito e fuoco, a cura di Lisa Cremaschi, ed. Qiqajon, Magnano 1995)

Fonte: Nati dallo Spirito, 2.6.2015

E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi … (Apoc. 7, 17) - Nagasaki, 9 agosto 1945 - 2015

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9 agosto 1945: le "democratiche" bombe americane colpivano Nagasaki, la città, guarda caso, con la più numerosa comunità cattolica del Giappone .... 

Et Dieu essuiera toutes les larmes de leurs yeux (Nagasaki – 9 août 1945)

par Henri Adam de Villiers


Ruines de la cathédrale de Nagasaki en 1945

Ils se sont écriés en voyant la place de son embrasement : Quelle ville, disaient-ils, a jamais égalé cette grande ville ? Ils se sont couvert la tête de poussière, jetant des cris accompagnés de larmes et de sanglots, et disant : Hélas ! hélas ! cette grande ville, qui a enrichi de son opulence tous ceux qui avaient des vaisseaux en mer, se trouve ruinée en un moment ! Apocalypse 18, 18-19.

Photo : ruines de la cathédrale Sainte-Marie d’Urakami de Nagasaki en 1945.

Le 9 août 1945, le B-29 Bockscar piloté par Charles Sweeney, parti de Tinian dans les îles Mariannes du Nord, largua la bombe atomique Fat Man sur la ville de Nagasaki. La bombe explosa à 580 m d’altitude, à la verticale du quartier majoritairement catholique d’Urakami, quasiment à la verticale de la cathédrale. Ce fut la seconde explosion nucléaire au Japon, trois jours après celle d’Hiroshima.
75 000 des 240 000 habitants de Nagasaki furent tués sur le coup, et au moins autant décédèrent des suites de leurs maladies ou de leurs blessures.
Nagasaki est liée dès son origine à l’arrivée de la foi chrétienne au Japon. Ce lieu fut concédé aux Portugais en 1571 par le daimyo Ōmura Sumitada comme port de commerce, avant de le leur être retiré et confié aux missionnaires de la Compagnie de Jésus en 1580. A la suite d’une révolution politique, les missionnaires sont chassés et le christianisme interdit en 1587. Malgré d’ignobles persécutions, les chrétiens de Nagasaki conservent leur foi et la pratiquent en secret, jusqu’au retour des missionnaires au XIXème siècle. Ainsi, le village d’Urakami, proche de Nagasaki (plus tard englobé dans la ville) est alors composé uniquement de crypto-chrétiens lorsqu’il est découvert en 1865 par le RP Bernard Petitjean, des Missions étrangères de Paris.

Nagasaki : juin 1949 – messe pontificale célébrée dans les ruines de la cathédrale en l'honneur des 400 ans de l'arrivée de saint François-Xavier au Japon
Parce que l’Agneau qui est au milieu du trône, sera leur pasteur, et il les conduira aux sources vives des eaux, et Dieu essuiera toutes les larmes de leurs yeux. Apocalypse 7, 17.

Photo : Messe pontificale célébrée dans les ruines de la cathédrale Sainte-Marie d’Urakami à Nagasaki en juin 1949.

Cette extraordinaire – et prophétique – photo d’une messe pontificale célébrée dans les ruines de la cathédrale de Nagasaki est une belle image de la reconstruction spirituelle sur les ruines de la Cité catholique.

Nagasaki : juin 1949 – messe pontificale célébrée dans les ruines de la cathédrale en l'honneur des 400 ans de l'arrivée de saint François-Xavier au Japon

Quiconque sera victorieux, je le ferai asseoir avec moi sur mon trône ; de même qu’ayant été moi-même victorieux, je me suis assis avec mon Père sur son trône. Apocalypse 4, 21.

Photo : Messe pontificale au trône dans les ruines de la cathédrale Sainte-Marie d’Urakami à Nagasaki en juin 1949.

Cette messe pontificale célébrée au trône en 1949 célébrait alors le 4ème centenaire de l’arrivée de saint François-Xavier au Japon et à la fondation de la première communauté chrétienne de ce pays.
Lorsqu’il eut ouvert le cinquième sceau, je vis sous l’autel les âmes de ceux qui avaient souffert la mort pour la parole de Dieu, et pour le témoignage qu’ils avaient rendu. Apocalypse 6, 9.

Photo : Messe pontificale dans les ruines de la cathédrale Sainte-Marie d’Urakami à Nagasaki en juin 1949. Procession des reliques de saint François-Xavier.

Afin de célébrer le 400ème anniversaire de la venue de la foi véritable au Japon par l’arrivée de saint François-Xavier, la relique insigne de son bras avait alors été emmenée de Rome (où elle est conservée à l’église du Gesù) à Nagasaki.
Voici d’autres photos de cette cérémonie prises par Carl Mydans en 1949 pour le compte de Life. Nous y avons adjoint une photographie d’un requiem à la mémoire des fidèles morts dans l’explosion de la bombe, messe célébrée devant les ruines de la cathédrale le 23 novembre 1945.
En cet anniversaire, prions.









La luce che manca ....

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Nella memoria liturgica di Santa Giovanna FrancescaFrémiot de Chantal, figlia spirituale di San Francesco di Sales, coraggiosa avversaria dell'eresia calvinista, prima monaca dell'Ordine della Visitazione fondato nel 1610 ad Annecy, nel Ducato di Savoia, e di San Bernardo Tolomei, abate, confessore e fondatore dell’Ordine degli Olivetani, rilancio questo contributo di Massimo Viglione.



Pierre Parrocel, S. Giovanna de Chantal in gloria, XVIII sec., collezione privata




Sodoma, Tre fondatori dell’ordine olivetano (Patrizio Patrizi, Bernardo Tolomei e Ambrogio Piccolomini), 1505 circa, chiostro dell’Abbazia territoriale di S. Maria Monte Oliveto Maggiore, Ascano


Benoit Farjat, S. Bernardo Tolomei (da un dipinto di Giacinto Brandi), 1700 circa, collezione privata

Fabrizio Carolari, S. Benedetto appare a S. Bernardo Tolomei, 1773, Abbazia territoriale di S. Maria Monte Oliveto Maggiore, Ascano

Pompeo Batoni, S. Bernardo Tolomei assiste i malati di peste, 1745, San Vittore al Corpo, Milano

La luce che manca – di Massimo Viglione

di Massimo Viglione

Il fatto di essere cattolico, e cattolico “tradizionalista” – oggi occorre specificare che tipo di cattolico si è, a meno di mentire a noi stessi e al prossimo, data la drammatica crisi che la Chiesa da cinquant’anni e oltre vive che comporta inevitabilmente la divisione interna al suo popolo, una divisione sempre più radicale e radicata in rapporto all’acuirsi della crisi stessa – e il fatto di vivere a Roma, e il fatto di conoscere la storia e presumere di capire qualcosa di politica, mi hanno sempre portato a provare dentro di me in maniera del tutto particolare un sentimento profondo quanto istantaneo di forza interiore ogni volta che la passeggiata serale mi conduceva in Piazza San Pietro e mi faceva vedere la luce accesa dell’ufficio papale, sebbene il medesimo sentimento era sempre macchiato dal dolore – questo nient’affatto istantaneo – misto a rabbia per i tanti errori di cui i precedenti pontefici sono stati responsabili negli ultimi decenni (solo per citarne uno a nome di tutti per rendere l’idea: la follia – sia teologica che liturgica, dottrinale che storico-politica – ecumenista, di cui in questi giorni iniziamo a raccogliere i frutti avvelenati del tradimento del clero dinanzi all’invasione della nostra terra).
Sebbene fortemente critico verso i due pontefici delle mie passeggiate serali negli anni Novanta e nei primi tredici anni di questo secolo, e specie verso il primo dei due, il fatto stesso comunque di arrivare nella piazza centro del mondo e della storia umana e trovare, anche a sera molto avanzata, la luce accesa aveva comunque un significato forte: la luce… è accesa. Comunque, nonostante tutto.
Come detto, si potevano trovare tante ragioni per criticare non pochi dei frutti di quel lavoro serale. Ma la luce… era accesa. Al di là delle questioni strettamente teologiche, dottrinali, liturgiche, ecc, era un sentimento che emanava dal cuore: nella notte profondissima e sempre più tragicamente tenebrosa dei nostri giorni, nonostante tutto, la luce dell’umanità, per quanto troppo spesso acquiescente a tali tenebre, era accesa. Quella finestra illuminata, nonostante tutto, rappresentava qualcosa. Nonostante tutto, riconduceva a Qualcuno.
Chiunque, cattolico o no, romano o no, arrivava nella Piazza, vedeva quella luce accesa in quella stanza, che a prescindere è e rimane centro di speranza, di fede e di Verità su questa terra.
Da due anni e mezzo, chi arriva in Piazza San Pietro non trova più, mai, in nessun caso, quella luce accesa. Trova il buio in quella finestra e in quella stanza, come in tutte le altre finestre e stanze del palazzo pontificio.
La luce si è spenta, perché il Vescovo di Roma ha scelto, come tutti sanno, di vivere in un convitto, chiamato Santa Marta, all’interno delle mura vaticane.
Il lettore non trovi esagerato quanto ora sto per dire. Abbia invece il coraggio morale, intellettuale e soprattutto spirituale di capire e ammettere a se stesso di capire. Capire cosa? Capire che, per un cattolico romano (anche non romano ma romano di fede apostolica) arrivare in Piazza San Pietro e trovare sempre, per settimane, per mesi, per anni, sempre, sempre, sempre, la luce spenta, è in qualche modo la versione secolare di quello che si prova nell’entrare in una chiesa odierna e trovare un’altra luce spenta.
Queste sono cose che solo i cattolici possono capire. E pertanto non spenderò parole a descrivere la sensazione: chi la può capire la capisce, e chi non la può o non la vuole capire, non la capirà certo per quello che io potrei scrivere, né la vorrà mai capire e tanto meno ammetterà di aver capito.
La luce s’è spenta in Vaticano. È finita in un convitto al piano terra, dove si parla di interviste celebrative a noti giornalisti anticattolici e relativisti, di telefonate a mostri famelici di sangue umano, di condizionatori e di problemi con Gaia; di tanto in tanto ci dice che dobbiamo essere aperti alle novità dottrinali e morali che stanno per arrivare e di non importunare il macchinista con discorsi di stampo moralistico sul genere “principi non negoziabili” o magari avanzando pretese di difesa per i nostri fratelli massacrati nelle terre islamiche, che dobbiamo perdonare ogni cosa a prescindere dal vero pentimento e dalla relativa richiesta di perdono per poi ricordarci che Dio non è cattolico… E ci propone al contempo di tornare di 40-50 indietro nella storia, marciando con gli Inti-Illimani guidati da una croce e martello. Ma è meglio non cominciare neanche la ormai inesauribile litania della nuova chiesa al piano terra… Non serve a chi capisce e non servirebbe mai, per quanto lunga e inoppugnabile, a chi non vuole o fa finta di non capire.
Quando negli anni Novanta e nel primo decennio di questo secolo passeggiavo la sera per San Pietro, avevo tante ragioni per adirarmi e/o rattristarmi. Ma poi potevo pensare anche all’Evangelium Vitae, alla Veritatis Splendor, alla strenua difesa della vita sacra umana, alla difesa, almeno dottrinale, della centralità di Cristo in un’Europa ormai apostata e devastata, potevo pensare al baluardo dei principi non negoziabili, al ritorno della Messa di sempre nella Chiesa, a – in qualche modo – una sapienza di governo, basata sugli ultimi rimasugli della millenaria gestione della Chiesa stessa, che dava senso ancora a quella luce accesa, sebbene macchiata da troppi, troppi, cedimenti a un mondo che non si voleva ammettere essere fino in fondo nemico di Cristo e dell’uomo e che si corteggiava con i fraintendimenti pericolosi sui diritti umani e sul dialogo con quel nulla sistematico che sono l’eresia e le false religioni.
Ma oggi, quella luce, non c’è più, la finestra è chiusa. Oggi ci sono altri che ballano la loro danza macabra e infame, che si chiamino Maradiaga, Kasper, Marx, Galantino, Mogavero, Forte, Baldisseri, e tanti altri ancora: sono costoro i danzatori delle tenebre, gli odiatori di Piazza San Pietro, gli approfittatori del buio intervenuto, i traditori della finestra illuminata. Ma, occorre dire, tutti costoro non sono venuti dal nulla. Qualcuno li ha fatti salire in alto, anche quando la luce era accesa e qualcun altro ora sta dando loro il potere.
Questo qualcun altro è colui che ha spento la luce e se n’è andato al convitto, per far vedere di fare a meno del lusso dei palazzi rinascimentali, ma portandosi ben stretto il telefono che lo collega al lusso di questa società infernale e ai suoi riflettori da ribalta.
Ma noi, fedeli cattolici romani che nulla possiamo eccetto la nostra preghiera e la nostra testimonianza, andremo ancora in Piazza San Pietro la sera, e ancora, e ancora, nella incrollabile certezza che quella luce verrà di nuovo riaccesa e splenderà come mai in precedenza. E quel giorno, sia che saremo ancora su questa terra, sia che ce ne saremo già andati, quel giorno, potremo dire dinanzi a Dio: io ho continuato ad andare in Piazza San Pietro e ho continuato ad aspettare fino alla fine la Tua nuova luce, in una certezza intellettuale e morale che trovava il suo incrollabile fondamento nella Tua promessa: “Portae Inferi non praevalebunt”.
Solo i furbi e gli stolti, gli ipocriti e i bugiardi, possono non cogliere il significato simbolico delle luci che si spengono. E delle finestre che rimangono chiuse, con le loro stanze vuote.


“Cultum litúrgicum, quo Cordi Immaculáto Vírginis Maríæ débitus tribúitur honor, cuíque plures viri sancti ac mulíeres viam parárunt, ipsa Apostólica Sedes primum approbávit ineúnte sæculo undevicésimo, cum Pius Papa séptimus festum Puríssimi Cordis Maríæ Vírginis instítuit, ab ómnibus diœcésibus et religiósis famíliis, quæ id petiíssent, pie sanctéque agéndum: quod póstmodum Pius Papa nonus Offício ac Missa própria auxit” (Lect. VI – II Noct.) - IMMACULATI CORDIS B. MARIÆ VIRG. ET OCTAVA ASSUMPTIONIS B. V. MARIÆ

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Fino all’intervento di Pio XII durante la seconda guerra mondiale, questo giorno era quello dell’Ottava dell’Assunzione: vi si diceva la stessa Messa del 15 agosto dopo aver fatto memoria dell’Assunzione tutti i giorni, sino al 22, nella seconda orazione. Nel 1942, Pio XII consacrò, per invocare la pace, tutta l’umanità al Cuore Immacolato di Maria, accogliendo la richiesta della mistica portoghese beata Alexandrina da Costa di Balazar (1904-1955).
In ricordo di quest’evento, fissò la celebrazione della festa del Cuore Immacolato di Maria (il cui culto era stato diffuso, tra gli altri, da san Giovanni Eudes, ricordato pochi giorni fa), nel 1944, al giorno 22 Agosto, con doppio di II classe. Così non si fece più nulla del giorno dell’Ottava dell’Assunzione, paradossalmente occultata dalla nuova festa, dotata di rubriche stravaganti: se la festa del Cuore Immacolato era impedita da una festa particolare di rango superiore (cioè di I o di II classe avesse), in questo caso, essa non doveva essere commemorata come avrebbe dovuto secondo le rubriche, ma si faceva memoria del giorno Ottavo scomparso, con le stesse orazioni del 15 agosto e non si faceva nulla della festa del Cuore Immacolato.
Di più, l’Ufficio del Cuore Immacolato, sebbene inserito nel giorno dell’Ottava, attingeva tutto (salvo le lezioni del II e del III Notturno) dal Comune delle feste della Santa Vergine, mentre avrebbe potuto, secondo quello che sembrava essere la più semplice logica liturgica, attingere il proprio dall’Ufficio dell’Assunzione.
Per una volta, quindi, si deve ammettere la logica del calendario riformato, che ha rimpiazzato a tale ricorrenza quella della festa di Maria Regina, creata nel 1955, e già inserita al 31 maggio, e portata, quindi, al 22 agosto per sottolineare il legame della regalità di Maria con la sua glorificazione corporea.
Prima del 1944, dunque, messa dell’Assunzione. Dopo il 1944 messa del Cuore Immacolato.
Roma cristiana ha dedicato al Cuore di Maria una basilica, in Piazza Euclide (Basilica del sacro Cuore Immacolato di Maria), costruita nel 1923 grazie alle donazioni della comunità italo-canadese, istituita in parrocchia nel 1936. I lavori terminarono del 1951 e Giovanni XXIII l’elevò al rango di basilica minore nel 1959. Essa è titolo cardinalizio dal 1965.


Leopold Kupelwieser, Cuore Immacolato di Maria, 1840 circa, Chiesa di S. Pietro (Peterskirche), Vienna

Juan Patricio Morlete Ruiz, Cuore di Maria, XVIII sec., Museo Nacional de Arte, Città del Messico


Immacolata Concezione e Cuore di Maria, Chiesa parrocchiale, Ars





















Cuore Immacolato di Maria, Torreblanca, Siviglia

L’Assunzione? Un evento perfettamente in linea e coerente con il giudaismo mosaico

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Nell’Ottava dell’Assunzione proponiamo questa riflessione.
Come noto, il dogma dell’Assunzione fu definito nel 1950 dal Papa Pio XII. Ma la Chiesa giudaico-cristiana l’aveva già definito, in fondo, fin dal sec. II.
Sulla base di una tradizione ebraica, in effetti, secondo cui i tre leader dell’Esodo - Mosè, Aronne e Miriam – non sperimentarono la corruzione del sepolcro, ma sarebbero morti nel “bacio di Dio”, i giudeo-cristiani di Gerusalemme trovarono facile leggere l’evento dell’Assunzione, alla luce della tradizione giudaico-mosaica, applicandola anche a Myriam, la madre di Gesù, analogamente a quello che la tradizione ebraica ha affermato Miriam, sorella di Mosè. La Bibbia afferma che Mosè morì “per ordine della bocca di Dio” o “secondo l’ordine del Signore” o, secondo la Vulgata, mortuusque est ibi Mosesiubente Domino (Deut. 34, 5). In ebraico abbiamo פִּ֥י יְהוָֽה׃, pi Adanai. Il testo, tuttavia, secondo la tradizione ebraica, contiene un’interpretazione splendida (cfr. Paolo De Benedetti, La morte di Mosè e altri racconti, Brescia 2005, passim): una traduzione più aderente alla lettera del testo sarebbe “morì per bocca del Signore” o, meglio, “sulla bocca del Signore”. La tradizione rabbinica commenta questo brano, in effetti, dicendo che Mosè morì baciato in bocca da Dio stesso, il gesto più intimo, più misterioso, più straordinario, che Dio riserva solo ai grandi santi. Quello di Mosè sarebbe stato pure un privilegio di Aronne e Miriam.
Giacinto Brandi (attrib.),  Transito della Vergine, XVII sec.,
Museo Nazionale d'Abruzzo, L'Aquila
Gli apocrifi giudaico-cristiana, soprattutto quello che va sotto il titolo di Dormizione di Maria non esita a scrivere il Signore apparve a Maria, sua madre, la baciò e baciandola prese la sua anima affidandola all’arcangelo san Michele perché la portasse in cielo, mentre il corpo di Maria avrebbe riposato tre giorni nella tomba similmente al corpo di suo figlio Gesù. Per cui, gli apocrifi indiscutibilmente, nel descrivere l’evento storico dell’Assunzione, trovarono agevole rifarsi alla tradizione del giudaismo mosaico.
Il contesto più ampio della morte di Maria è riassunto negli stessi apocrifi e raffigurato da Duccio di Buoninsegna nella sua Maestà. Secondo questa tradizione, Maria avrebbe incontrato sul Monte degli Ulivi un angelo che le avrebbe dato una palma della vita ed annunciato la sua morte imminente. Maria, tornata a casa, avrebbe trasmesso la notizia a chi le era accanto. Miracolosamente, gli apostoli si radunarono da diversi luoghi attorno alla Vergine. Dopo aver preso congedo da Giovanni e dagli altri Apostoli ed aver mostrato loro l’abito funebre con cui desiderava essere rivestita, apparve Gesù, circondato dagli angeli, per ricevere l’anima di sua madre, che affidò a San Michele Arcangelo. Era l’ora terza. Quella stessa in cui era morto Gesù. Gli apostoli seppelliscono il corpo di Maria ai piedi del Monte degli Ulivi. Tre giorni dopo, prima che il corpo della Vergine si corrompesse, apparve ancora Gesù a portare quel corpo verso il cielo, dove l’anima di Maria poté ricongiungersi al corpo.
Al di là di interpretazioni divergenti, è indubbio che Giovanni prese Maria con sé dopo il Calvario. Per un certo tempo, è sicuro che entrambi vissero ad Efeso, ma senza dubbio a Gerusalemme la Vergine concluse la sua vita terrena, vera cittadina della Gerusalemme terrena quanto della Gerusalemme celeste. Ella è la Ierosolymitissa.
La sua tomba si trova nella valle del Cedron. Gli scavi archeologici del 1974 hanno confermato che si trattava di una tomba del I sec. scavata nella roccia. La data dell’evento mariano corrisponde sia alla morte, risurrezione e ascensione di Cristo. Maria è una donna di Israele. Ha vissuto la sua condizione umana, completamente senza peccato. La solidarietà con l’umanità, però, è totale. La sua vita da ragazza, la vita della madre è stato caratterizzato dalle gioie, sofferenze, dolori e anche nella morte (per queste riflessioni, cfr. Frédéric Manns, La dormition de Marie, 13 agosto 2015). Maria non è sfuggita alla morte, ma non intesa come “salario del peccato”, bensì come supremo atto di amore. Maria, infatti, è morta nel bacio d’amore del Signore, venendo elevata poi anche col corpo alla gloria celeste.
Va segnalata una particolarità. La tradizione figurativa, più ricorrente in Oriente che in Occidente, tratto sempre dagli apocrifi, vede nel trasporto del corpo della Purissima Vergine dal monte Sion al sepolcro nella Valle del Cedron alcuni giudei, che si avvicinavano al corteo funebre con l’intento di rovesciare dal suo lettuccio il corpo della Madre di Dio. Secondo alcuni apocrifi sarebbe il sommo sacerdote in persona ad avvicinarsi al lettuccio per cercare di rovesciarlo. Il suo nome sarebbe Jefonia o Gefonia. Secondo il Transito della Vergine si tratterebbe di un semplice giudeo, chiamato Ruben.
Non raggiunse il suo intento, riuscendo solo a sfiorare il lettuccio, giacché le sue mani vi rimasero attaccate ed appese allo stesso, troncate di netto dalla spada di un angelo (o dello stesso san Michele arcangelo) all’altezza dei gomiti. L’uomo, quindi, supplicò gli apostoli di guarirlo da quella sventura. L’intervento di Pietro lo convinse a confessare la fede in Cristo, Figlio di Dio e della Vergine Madre di Dio. Solo quando Jefonia fece una professione di fede nel Cristo (confessando peraltro che i giudei non è che non credessero che Gesù fosse il Figlio di Dio, ma per amore del denaro l’avevano ucciso) e baciò con venerazione il corpo della Vergine, riavvicinandosi alle sue mani, se le vide ricongiungere miracolosamente recuperandone l’uso.
È agevole vedere in quest’episodio leggendario la convinzione tipicamente giudeo-cristiana, rimasto nella tradizione cristiana, che il corpo della Vergine sia la nuova Arca dell’Alleanza. Per cui, l’intervento dell’angelo volto a preservare il sacro corpo è da leggere analogamente ed in filigrana a quanto avvenuto, nell’Antica Testamento, ad Uzza, che fu colpito a morte allorché volle empiamente stendere la mano verso l’Arca di Dio (2 Sam. 6, 6-8; 1 Cron. 13, 9-11) (cfr. Frédéric Manns, Rainer Maria Rilke, La morte di Maria, 13 agosto 2015).







Gaetano Zompini, Trasporto del corpo della Vergine alla Valle del Cedron, XVIII sec., Chiesa di San Giacomo dall'Orio, Venezia

“Cujus miráculi cum longe latéque fama manásset, nonnúlli ex cardinálibus, Vitérbium, Cleménte quarto vita functo, pro successóre deligéndo convénerant, in Philíppum, cujus cæléstem étiam prudéntiam perspéctam habébant, intendérunt. Quo compérto, vir Dei, ne forte pastorális regíminis onus subíre cogerétur, apud Tuniátum montem támdiu delítuit, donec Gregórius décimus Póntifex máximus fúerit renuntiátus; ubi bálneis, quæ étiam hódie sancti Philíppi vocántur, virtútem sanándi morbos suis précibus impetrávit. Dénique Tudérti, anno millésimo ducentésimo octogésimo quinto, in Christi Dómini e cruce pendéntis ampléxu, quem suum appellábat librum, sanctíssime ex hac vita migrávit” (Lect. VI – II Noct.) - SANCTI PHILIPPI BENITII, CONFESSORIS

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Fu il papa Innocenzo XII che inserì nel Messale, con il rango del rito doppio, la festa di san Filippo Benizi. Quest’infaticabile apostolo poté, in effetti, essere considerato come un secondo fondatore dell’Ordine dei Serviti della Beata Vergine Maria, e, fatto non da poco, arrivò persino a sfiorare il supremo pontificato. Nel conclave viterbese del 1268-1271, infatti, dopo che per quasi un anno le votazioni si erano susseguite senza alcun risultato positivo, i cardinali, su proposta del porporato Ottaviano degli Ubaldini, rivolsero la loro attenzione sul nostro Filippo Benizi, Priore Generale dell’Ordine dei Serviti, religioso in odore di santità. Il buon frate, però, una volta informato delle intenzioni del Sacro Collegio, ritenendosi indegno, lasciò Viterbo e fuggì in una grotta sul Monte Amiata, per evitare l’elezione, per circa tre mesi (Fra Cherubino Maria Daleo Hiberno (a cura di), Vita Ex editione Œnipontana anni 1644, quam annotationibus illustramus, Caput X, Fuga Sancti in aviam solitudinem, ne eligeretur Pontifex Romanus, et ibidem salutifera balnea precibus ejus e saxo producta, §§ 114 ss., in BollandistiActa SanctorumAugustit. IVDies Vigesima Tertiavol. XXXVIII, Parigi-Roma 1867, pp. 683-686). Questa grotta esiste ancora ed in essa è stato ricavato un oratorio. Essa si trova in località Bagni San Filippo a Castiglione d’Orcia, ed è ricavata in un grande blocco di travertino a forma di volta chiusa alle estremità da due muri e divisa in due da un tramezzo. Si narra che Filippo, ritiratosi in questo luogo, come Mosè, percosse con il suo bastone una roccia da dove scaturì miracolosamente una fonte di acque curative che poi divennero i Bagni di San Filippo (ibidem, §§ 124-125, ivi, pp. 685-686). Era il segno che il santo lasciava della sua riconoscenza verso le persone del posto che lo avevano bene accolto e sostenuto durante la sua permanenza.
Si dice che, sul suo letto di morte, domandava con insistenza il suo libro al frate che l’assisteva, fra Ubaldo Adimario, e siccome questi non comprendeva, il Santo gli fece intendere che voleva il suo Crocifisso e che era quello il libro che l’ispirava per meditare (ibidemCaput XVII, Utimus Sancti morbus, pia monita, felix obitus, honorifica sacri corporis expositio, §§ 237-238, ivi, p. 706).
La messa è quella Justus est dal Comune, come il 31 gennaio, ma le ultime due collette – quella sulle oblate e quella dopo la comunione – sono come il 19 luglio.
Nella prima colletta si fa allusione all’umiltà del Santo, che lo portò a fuggire gli onori del supremo pontificato. Il mondo è come l'erba, o il fiore del campo: oggi è fresco di giovinezza, domani avvizzito e marcio. Val meglio non farci affidamento.


Fra Filippo Lippi, Circoncisione di Gesù con i SS. Filippo Benizi e Pellegrino Laziosi, 1460-65, Santo Spirito, Prato

Giovanni Busi detto Cariani, Vergine in trono col Bambino tra angeli e santi (SS. Apollonia, Agostino, Caterina d’Alessandria, Giuseppe, Grata, Filippo Benizi e Barbara), 1517-18, Pinacoteca di Brera, Milano

Carlo Dolci, S. Filippo Benizi, 1648-49 circa, musée des Beaux-Arts, Brest

Francesco Curradi, Visione di S. Filippo, XVII sec., Basilica dei Servi di Maria, Siena

“Bartholomæus Apóstolus, Galilæus, cum in Indiam citeriórem, quæ ei in orbis terrárum sortitióne ad prædicándum Jesu Christi Evangélium obvénerat, progréssus esset, advéntum Dómini Jesu juxta sancti Matthæi Evangélium illis géntibus prædicávit” (Lect. IV – II Noct.) - SANCTI BARTHOLOMÆI APOSTOLI

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Oggi celebriamo la festa dell’Apostolo Bartolomeo-Natanaele, oriundo verosimilmente di Cana di Galilea (secondo la notizia tramandataci da Giovanni: Gv 21, 2), dove ancor oggi una chiesa, quasi sempre chiusa, con a fianco un piccolo cimitero cristiano, ed ubicata a poca distanza dal celebre santuario delle Nozze, ricorda il luogo dove, forse, abitava l'Apostolo.
Il 24 agosto è l’anniversario di una delle numerose traslazioni del corpo del Santo, ed è conformemente a quest’indicazione che la festa di detto giorno è celebrata dai Greci:  πάνοδος το λειφάνου το γίου ποστόλου Βαρθολομαίου. Teodoro il Lettore riporta che l’imperatore Anastasio I fece trasportare una prima volta il corpo dell’Apostolo a Daræ, in Mesopotamia, nel 507 (Teodoro LettoreEcclesiasticæ Historiæ, lib. II, § 57, in PG 86, col. 212), dove Giustiniano gli eresse una basilica (Procopio di CesareaDe ædificiis (Περί Kτισμάτων), lib. II, capp. 2 e 3). Ma si ha notizia di una precedente traslazione a Maipherqat (Martyropolis, nella provincia di Mesopotamia, attuale Tikrit, in Iraq) nel 410, ad opera del vescovo Maruthas. Fonti occidentali (Vittore di Capua) lo dice trasportato in Frigia nel 546, poi se ne perdono le tracce. Finalmente, Gregorio di Tours, nel 580, racconta, dal canto suo, che, dal suo tempo, le reliquie di san Bartolomeo erano venerate nell’isola di Lipari: «Bartholomæum apostolum apud Indiam [al. mss. Asiampassum agonis ipsius narrat historia. Post multorum vero annorum spatia de passione ejus, cum iterum Christianis persecutio advenisset, et viderent gentiles, omnem populum ad ejus sepulchrum concurrere, eique deprecationes assiduæ et incensa deferre, invidia illecti, abstulerunt corpus ejus, et ponentes eum in sarcophagum plumbeum, projecerunt illud in mari, dicentes: “Quia non seducis amplius populum nostrum”. Sed providentia Dei cooperante per secretum operis ejus, sarcophagum plumbeum a loco illo aquis subvehentibus sublevatum, delatum est ad insulam, vocabulo Lyparis. Revelatumque est Christianis, ut eum colligerent: collectumque ac sepultum, ædificaverunt super eum templum magnum. In quo nunc invocatus, prodesse populis multis virtutibus ac beneficiis manifestat» (La storia della sua passione narra che Bartolomeo apostolo subì il martirio in terra d’Asia. Dopo molti anni della sua passione, essendo sopraggiunta una nuova persecuzione contro i Cristiani, e vedendo i pagani che tutto il popolo accorreva al suo sepolcro ed a lui offriva preghiere e incensi, spinti dall’odio portarono via il suo corpo e, postolo in un sarcofago di piombo, lo gettarono in mare dicendo: “perché tu non abbia a sedurre il nostro popolo”. Ma, con intervento della provvidenza di Dio, nel segreto delle sue operazioni, il sarcofago di piombo, sostenuto dalle acque che lo portavano, da quel luogo fu traslato ad un’isoletta detta Lipari. Ne fu fatta rivelazione ai cristiani perché lo raccogliessero; raccolto e sepoltolo, su quel corpo edificarono un gran tempio. In esso è ora invocato e manifesta di giovare a molte genti con le sue virtù e le sue grazie) (San Gregorio di ToursLibri Miraculorum, lib. I, cap. 33, De Bartholomeo apostolo, in PL 71, col. 734).
Da qui, verso il IX sec., le ossa del Santo, profanate e disperse dagli arabi, furono prodigiosamente recuperate e, su ordine del principe longobardo Sicardo V furono trasferite a Benevento, dove furono onorate con la costruzione di una cappella annessa alla cattedrale, dedicata alla “beata Madre di Dio”. Il principe iniziò i lavori senza vederne il compimento perché morì nel luglio 839. Li completò il vescovo Orso I che, «devotamente e tra l’esultanza dell’intero Sannio», la consacrò il 25 ottobre dell’839, deponendovi «il corpo del beato Bartolomeo, unto di odorosi aromi balsamici» (Card. Stefano Borgia, Atti della Traslazione del corpo di S. Bartolomeo Apostolo dall’Isola di Lipari nella Città di Benevento, in Memorie istoriche della pontificia città di Benevento dal secolo VIII al secolo XVIII, vol. I, documento VI, Roma 1763, pp. 307 ss.). Nel 999 (anche se comunemente si continua ad indicare la data del 983) le reliquie di Bartolomeo, o parte di esse, furono realmente concesse all’imperatore Ottone III o furono sostituite con l’inganno e consegnate al sovrano quelle di san Paolino di Nola, sta di fatto che questi le depose all’isola Tiberina, a Roma, nella Chiesa da lui edificata originariamente in memoria dell’amico Sant’Adalberto, vescovo di Praga e martire nel 997. Tale circostanza, ovvero tale presunto inganno subito da Ottone III, costituì per parecchi secoli argomento di aspre dispute tra i Romani e gli abitanti di Benevento.
Nella Città eterna, si dedicò ai santi apostoli Andrea e Bartolomeo il monastero che il papa Onorio I eresse nella sua casa paterna vicino al Laterano e che, per questa ragione, ricevette anche il suo nome nel Liber Pontificalis nelle biografie di Adriano I e di Leone III: monasterium ss. Andreæ et Bartholomæi, quod appellatur Honorii papæ. La piccola chiesa del monastero, con il suo pavimento dei Cosmas, esiste ancora e si trova tra gli edifici dell’antico ospedale di San Michele Arcangelo e quelli che eresse Everso degli Anguillara. Molti Pontefici l’hanno restaurata ed arricchita di doni, tra gli altri Adriano I e Leone III.
Dopo il X sec., un altro santuario, in onore di san Bartolomeo, si elevò nell’isola del Tevere, dove, poco a poco, il tempio eretto da Ottone III in onore del suo antico amico, sant’Adalberto di Praga, cambiò il titolo e fu dedicata al nome dell’apostolo Bartolomeo.
Gli Atti di san Bartolomeo, con il racconto del suo martirio, ad onor del vero, ispirano poca fiducia. Sembra che si debba fare più caso alle tradizioni armene secondo cui Bartolomeo avrebbe predicato il vangelo ad Urbanopolis (o Arenban), nei dintorni di Albak. Lì avrebbe convertito al Cristo proprio la sorella del re, in modo che questi, infiammato di collera, lo fece fustigare finché avesse rese lo spirito. Gli armeni, non a caso, guardano a buon diritto san Bartolomeo come l’apostolo della loro nazione.

Pieter Paul Rubens, S. Bartolomeo, 1610-12, Museo del Prado, Madrid

Jusepe de Ribera, S. Bartolomeo, 1630, Museo del Prado, Madrid

Jusepe de Ribera, S. Bartolomeo, 1641, Museo del Prado, Madrid

Jusepe de Ribera, Martirio di S. Bartolomeo, 1616-18, Patronato de Arte de Osuna, Siviglia

Jusepe de Ribera, Martirio di S. Bartolomeo, 1634, The National Gallery of Art, Washington


Ambito del Ribera, Martirio di S. Bartolomeo, XVII sec., Wellcome Library, Londra

Francisco Camillo, Martirio di S. Bartolomeo, XVII sec., Museo del Prado, Madrid


Moretto da Brescia, Cristo eucaristico con i SS. Bartolomeo e Rocco, 1545 circa, Chiesa di S. Bartolomeo, Castenedolo

Pierre II Legros detto Il Giovane, S. Bartolomeo, 1708-18, Basilica di San Giovanni in Laterano, Roma

Chiesa di San Bartolomeo-Natanaele, Cana di Galilea. La chiesetta, affiancata dal locale cimitero cristiano, non è molto lontana dal Santuario delle Nozze. Fonte
  

Altare della chiesetta di San Bartolomeo-Natanaele, Cana

Martirio di S. Bartolomeno, pala d'altare della chiesetta di san Bartolomeo-Natanaele, Cana

Basilica di S. Bartolomeo all’Isola, Isola Tiberina, Roma

Facciata della Basilica di S. Bartolomeo all’Isola, Isola Tiberina, Roma


Urna-Altare di porfido di S. Bartolomeo, Basilica di S. Bartolomeo all’Isola, Isola Tiberina, Roma

Busto-reliquiario di S. Bartolomeo, Basilica di S. Bartolomeo all’Isola, Isola Tiberina, Roma

“Rebus póstea cum Saracénis compósitis, liber rex exercitúsque dimíttitur. Quinque annis in Oriénte commorátus, plúrimos Christiános a barbarórum servitúte redémit, multos étiam infidéles ad Christi fidem convértit; prætérea áliquot Christianórum urbes refécit suis súmptibus” (Lect. V – II Noct.); “Sed, cum íterum transmisísset, bellum Saracénis illatúrus, jamque castra in eórum conspéctu posuísset, pestiléntia decéssit in illa oratióne: Introíbo in domum tuam, adorábo ad templum sanctum tuum, et confitébor nómini tuo” (Lect. VI – II Noct.) - SANCTI LUDOVICI (IX), REGIS GALLIÆ (FRANCIÆ), CONFESSORIS

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Oggi il calendario tradizionale ci propone la memoria di san Luigi (o Ludovico) IX, re di Francia. Ecco un re sul quale il Cristo crocifisso impresse profondamente le stigmate della sua Passione. Per dimostrare che la virtù non ha sempre la sua ricompensa in questo mondo, Luigi, che la sua pietà spingeva senza tregua verso l’Oriente, alla riconquista dei luoghi santificati dal sangue della Redenzione, raccolse, al posto di palme e di allori, disfatte e cattività; così che, ricomprato dai suoi, tornò a Parigi, riportando come un trofeo simbolico delle sue campagne la corona di spine del divin Salvatore. Morì vittima dell’epidemia sotto le mura di Tunisi, che si preparava ad assediare, il 25 agosto 1270. Le notizie della vita di questo re ci sono state tramandate da Guglielmo di Nangis, nelle Gesta Ludovici IX, e da Jean de Joinville nella sua Livre des saintes paroles et des bons faiz de nostre saint roy Looÿs. Su Luigi IX, cfr. Benoît GrévinLuigi IX, Re di Francia, Santo, in Enciclopedia Federiciana, vol. II, 2005; Jacques Le GoffSaint Louis, trad. it. Aldo Serafini (a cura di), San Luigi, Torino 2007, passim.
Roma cristiana gli ha dedicato un tempio insigne non lontano dallo stadium Domitiani, denominata San Luigi dei Francesi (Cfr. M. ArmelliniLe chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, pp. 436-437), famosa per le tele del Caravaggio sul ciclo di san Matteo nella cappella Contarelli, e chiesa nazionale dei Francesi nell’Urbe.
Oggi la Chiesa, con questa memoria liturgica tradizionale, ricorda, in maniera particolare, ai fedeli il senso della dignità regale che, con la nostra incorporazione al Cristo Re e Sacerdote, abbiamo ottenuto nel sacramento del Battesimo. Se i cristiani appartengono tutti a questa dinastia sacra istituita dal Cristo, regale sacerdotium, conviene che sappiano dominarsi e tenere le loro passioni assoggettate. Si attribuisce a san Colombano una bella espressione che si riferisce a questa libertà regale che deve custodire intatta il cristiano. Questo santo abate, nel 610 d.C., ebbe un duro scontro con i sovrani-tiranni di Borgogna, in special modo la regina Brunechilde, o Brunilde, e suo nipote Teodorico II.
Questa sovrana merovingia, per la verità, ebbe ottimi rapporti con san Gregorio Magno, il quale le inviò per ricompensa alcune reliquie di san Pietro. Ella appoggiò inoltre l’azione missionaria di sant’Agostino di Canterbury. San Gregorio di Tours la definì come donna bella, intelligente, istruita e di sani principi e che, da ariana, si convertì alla fede cattolica (San Gregorio di ToursHistoria Francorum, lib. IV, cap. XXVII, in PL 71, col. 291: «Erat enim puella elegans opere, venusta aspectu, honesta moribus atque decora, prudens consilio, et blanda colloquio. ... Et quia Arianæ legi subjecta erat, per prædicationem sacerdotum, atque ipsius regis commonitionem conversa, beatam in unitate confessa Trinitatem credidit, atque chrismata est, quæ in nomine Christi catholica perseverat»). Era cognata (moglie del fratello) di san Gontranno. Ciò non le risparmiò le critiche di san Colombano, in quanto donna pure eccessivamente ambiziosa ed avida di potere, la quale, come una nuova Gezabele, a tale scopo, nonostante i suoi rapporti col Papa, cercò di tenere sotto controllo il clero disponendo a suo piacimento delle sedi vescovili. Anche il santo vescovo di Vienne, Desiderio, poi celebrato come santo, per aver rimproverato alla regina i costumi suoi e quelli di Teodorico, fu dapprima esiliato e poi ucciso.
Per mantenere il potere ed il controllo sul nipote, peraltro, Brunechilde assecondava le passioni di Teodorico, facendogli tenere a servizio, pur coniugato (con la principessa visigota Ermenberga), moltissime ancelle, che in verità erano vere e proprie concubine (Per le vicende di Brunechilde, Teodorico e san Colombano, le notizie ci sono fornite dal monaco Giona di Bobbio. Cfr. JonaeVitæ Columbani abbatis discipulorumque ejus libri duo, in B. Krusch (a cura di), Mon. Germ. Hist., Script. Rerum MerovingicarumPassiones vitæque Sanctorum Ævi Merovingici, t. IV, Hannoveræ et Lipsiæ 1902, lib. I, capp. XVIII e XX, pp. 86 ss.).
Dicevamo di san Colombano. Questi, dal porto di Nantes, mentre stava per essere imbarcato in stato di arresto e ricondotto verso l’Irlanda, scrivendo ai suoi monaci di Luxeuil (in realtà ad Attala, suo probabile successore, a cui il nostro Santo irlandese si rivolse ad personam nel corpus della stessa lettera per tornare al “voi” verso la fine), così si esprimeva: si aufers libertatem, aufers dignitatem (o si tollis libertatemtollis dignitatem), cioè se elimini la libertà, elimini la dignità (San ColombanoEpistola IVAd Discipulos et Monachos suos, § 5, in PL 80, col. 273, ora anche in Id., Le opere, con Introduzioni di Inos Biffi e Aldo Granata, Milano 2001, Lettera IV Ai suoi monaci, § 6, pp. 68-69).
Ecco il grande dono che Dio ha accordato all’umanità e che il Cristo gli ha in seguito restituito. Dobbiamo custodire gelosamente questa prerogativa della nostra dignità di figli di Dio, senza mai assoggettarci alla servitù degradante delle passioni, senza compiacere gli uomini. La libertà è ordine ed armonia; e per gioire dei frutti di questa vera libertà, bisogna dominare se stessi e mettere spontaneamente sulle spalle il giogo soave della legge del Cristo, liberandoci anche dal desiderio di piacere agli uomini. San Paolo provò a farlo, ma lui stesso scrisse: Si adhuc hominibus placerem, Christi servus non essem (Gal. 1, 10). Il Salmista ha una parola molto forte contro queste vigliacche vittime del rispetto umano: disperdet ossa eorum qui hominibus placent, quoniam Deus sprevit eos (Sal. 53, 6).
La vicenda umana del santo odierno è proprio paradigmatica di quanto si è venuto dicendo. Umanamente parlando le sue imprese militari soprattutto, la sua crociata, furono dei fallimenti. Ma, agli occhi di Dio, furono dei successi, perché il santo re mise da parte ogni ricerca di rispetto umano (a differenza di quanto fece, anni dopo, ad es., un Federico II di Svevia …), ed è, per questo, esaltato in cielo e per questo è annoverato tra i difensori della Chiesa in terra.
Non desta meraviglia, perciò, che numerosi sono coloro che rievocano con passione i nomi dei sovrani delle antiche dinastie francesi. Il nome di san Luigi IX, però, esprime ancora, per questa nazione, tutto un programma ed un ideale di fede, di purezza, di giustizia, di valore e di onore che eleva i gigli della vera Francia cattolica tanto più alto di quanto sia scesa nel fango con la fazione giacobina avversa, distruttrice della sua propria patria.




El Greco, S. Luigi, 1590 circa, Musée du Louvre, Parigi

Simon Vouet, S. Luigi in gloria, 1642-43, Musée des Beaux-Arts, Rouen

Charles Lameire, S. Luigi riceve la Comunione nella Santa Casa a Nazaret, 1896 circa, Cappella francese o del Sacramento, Basilica della Santa Casa, Loreto

Georges Rouget, S. Luigi amministra la giustizia perdonando Mauclerc, XIX sec., Musee des Beaux-Arts, Quimper

Joseph Marie Vien, S. Luigi rimette la reggenza a sua madre, la beata Bianca di Castiglia, XVIII sec.

Joseph Marie Vien, S. Luigi e Margherita di Provenza visitano S. Tibaldo (o Teobaldo) di Marly, abate di Vaux-de-Cernay, che dona loro un cesto di fiori da cui si eleva miracolosamente sul gambo un giglio ad undici ramificazioni predicendo alla regina la posteriorità del re nonostante la sterilità della sovrana, 1774, châteaux de Versailles et de Trianon, Versailles

Georges Rouget, S. Luigi amministra la giustizia sotto la quercia di Vincennes, 1824, châteaux de Versailles et de Trianon, Versailles

Gabriel-François Doyen, S. Luigi riceve il Santo Viatico dalle mani del suo confessore, 1773,, cappella della scuola militare (École Militaire), Parigi

Melchior Doze, Morte di S. Luigi, XIX sec., Cattedrale, Nimes

Morte di Luigi IX


Claudio Coello, La Vergine Maria col Bambino adorato da S. Luigi, re di Francia, 1665-68, Museo del Prado, Madrid

Gaetano Lapis, Immacolata con i SS. Luigi IX ed Elisabetta d'UngheriaXVIII sec., Chiesa S. Giacomo Apostolo in Colle Luce, Cingoli


Emile Signol, S. Luigi IX a cavallo al momento del suo imbarco, XIX sec., châteaux de Versailles et de Trianon, Versailles





Eugène Guillaume, S. Luigi IX amministra la giustizia nel parco del Castello di Vincennes, 1877, galleria Saint-Louis, Corte di Cassazione, Parigi


Guillaume 1er Coustou, S. Luigi, XVII sec., Dôme et église Saint-Louis des Invalides, Dôme et tombeau de Napoléon, Parigi





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