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“Verum, non multo post, Valentínam ecclésiam, superiórum auctoritáte coáctus, gubernándam suscépit; quam annis ferme úndecim ita rexit, ut sanctíssimi et vigilantíssimi pastóris partes expléverit. Céterum, consuéta vivéndi ratióne nihil ádmodum immutáta, inexplébili caritáti multo magis indúlsit, cum amplos ecclésiæ réditus in egénos dispérsit, ne léctulo quidem sibi relícto: nam eum, in quo decumbébat cum in cælum evocarétur, ab eódem commodátum hábuit, cui paulo ante eleemósynæ loco donáverat” (Lect. VI – II Noct.) - SANCTI THOMÆ DE VILLANOVA, EPISCOPI (ARCHIEPISCOPI VALENTINI) ET CONFESSORIS

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La festa di quest’insigne vescovo di Valenza, vero benefattore e padre degli indigenti, nato nel 1488, canonizzato nel 1658, fu introdotta nel Messale, sotto Alessandro VII, l’anno seguente (1659), con rito semidoppio ad libitum venendo fissata al 18 settembre, essendo l'8 settembre consacrato alla Natività di Maria. In seguito, nel settembre 1694, la festa fu elevata al rango di semidoppio e doppio nell’ottobre dello stesso anno. Nel 1769, allorché si introdusse la festa di san Giuseppe da Copertino, la sua festa di Tommaso fu trasferita al 22 settembre con rito semidoppio e commemorazione dei martiri di Aguano. Doppio dal 1801.
Il nostro Santo morì l’8 settembre 1555, come gli era stato preannunciato da Cristo stesso.
Nel corso del 1555, in effetti, egli aveva in animo di ritirarsi dall’episcopato per rifugiarsi nel silenzio e nella preghiera di qualche monastero. Una notte, durante l’ufficio notturno, stando in preghiera, appena terminata la recita del salmo, in latino, del Miserere, sentì il Crocifisso che teneva nella cappella parlargli così: Æquo animo esto, in dieNativitatis Matris meæ venies ad me et requiesces, cioè Sta’ di buon animo, nel giorno della Natività della Madre mia, verrai a me e riposerai(cfr. Miguel Bartolomé Salón, Vida de santo Tomás de Villanueva, Valencia, 1588, ried. da Monasterio del Escorial, 1925, p. 325).
Con questa certezza nel cuore, celebrò con ogni solennità la festa di sant’Agostino il 28 agosto, ma il giorno dopo non poté più farlo, perché si sentì male.
Morì intorno alle 8 del mattino dell’8 settembre, dopo essersi confessato ed ascoltato nella sua stanza la Messa ed essersi comunicato (ibidem, p. 336).
A gloria di san Tommaso, basti riportare questo solo fatto: quando morì, il letto sul quale spirò non gli apparteneva più: l’aveva donato poco prima ad un povero, che, a sua volta, ne cedé l’uso al santo per il poco tempo che ancora gli serviva. Pensando alla sua prossima fine, disse a coloro che gli stavano accanto: “se morendo, troverete un solo reale [una moneta spagnola, ndr.]in casa, date la mia anima per persa e mi seppellirete in terra sconsacrata” (Si al morir me halláis un real, dad mi alma por perdida y no me enterréis en un lugar sagrado).
La messa è la stessa di sant’Andrea Corsini, il 4 febbraio. La seconda e la terza colletta sono improntata alla messa di san Leone Magno l’11 aprile.
Il povero è una sorta di sacramento, a mezzo del quale noi trasmettiamo i nostri beni all’eternità ed esercitiamo la nostra beneficenza riguardo di Quello stesso che è il primo dispensatore di ogni bene. Questo mistico sacramento è così utile alla Chiesa che il suo divino Fondatore volle assicurargliene la perpetuità, promettendo formalmente agli Apostoli: Pauperes semper habetis vobiscum. La Chiesa ha penetrato perfettamente la parola del Cristo, e, difatti, fin dai tempi apostolici, ha considerato come una funzione molto importante del suo divino programma quella dell’assistenza ai poveri ed agli infelici.
Roma cristiana ha eretto, nel 1667, una piccola chiesetta, nel rione Colonna, quasi di fronte alla chiesa di Santa Francesca Romana, annessa ad un ospizio per pellegrini eretto nel 1619. Questa fu costruita dagli agostiniani scalzi spagnoli e fu intitolata ai Santi Ildefonso di Toledo e Tommaso da Villanova (Chiesa dei Santi Ildefonso e Tommaso da Villanova) (cfr. M. Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, p. 305). Durante l’occupazione francese di Roma nell’epoca napoleonica tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento la chiesa cadde in rovina e fu sconsacrata (ibidem). Fu riaperta al culto nel XIX sec., per poi venire di nuovo abbandonata. Solo di recente, nel 2013, è stata nuovamente riaperta al culto.


Francisco Camilo, S. Tommaso da Villanova, XVII sec., museo del Prado, Madrid


Mateo Cerezo, San Tommaso da Villanova distribuisce l’elemosina ai poveri, 1640-60, Musée du Louvre, Parigi

Luca Giordano, San Tommaso da Villanova distribuisce l’elemosina, 1658, Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte, Napoli

Bartolomé Esteban Murillo, San Tommaso da Villanova ragazzo divide i suoi vestiti con i ragazzi più poveri, 1667, Cincinnati Art Museum, Ohio

Bartolomé Esteban Murillo, San Tommaso da Villanova distribuisce l’elemosina, 1668 circa, Museo de Bellas Artes, Siviglia

Filippo Gherardi, Visione di S. Tommaso con sullo sfondo Natività della Vergine, 1681-99, Museo Nazionale di Villa Guinigi, Lucca

Simone Cantarini, Visione di S. Tommaso, XVII sec., Pinacoteca civica, Fano

Giambettino Cignaroli, Madonna col Bambino e S. Tommaso da Villanova, 1768, Chiesa di S. Eufemia, Verona



Melchiorre Cafà e Ercole Ferrata, S. Tommaso mentre fa la carità, 1665-1667, Cappella di S. Tommaso da Villanova (Cappella Pamphili), Basilica di S. Agostino, Roma

Andrea Bergondi, S. Tommaso guarisce un'indemoniato, XVIII sec., Cappella di S. Tommaso da Villanova (Cappella Pamphili), Basilica di S. Agostino, Roma



SANCTI PII DE PIETRELCINA, Presbyteri et Confesoris

Il giorno del Timone, con conferenza del card. Burke - Staggia Senese, 26 settembre 2015

Aumentano le critiche canonistiche verso i due motu proprio dell'8 settembre

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Già all’indomani della pubblicazione dei due m.p. gemelli era stata avvertita una certa perplessità per alcune disposizioni problematiche (ne avevamo parlato anche noi qui); perplessità accresciute dalle parole sull’Osservatore Romano di un personaggio qualificato, autore materiale di questa riforma (in quanto presidente della Commissione che l’ha concepita), mons. Pio Vito Pinto, secondo cui i due m.p. richiederanno «un cambiamento di mentalità che … convinca [i vescovi] e sorregga a seguire l’invito di Cristo, presente nel loro fratello, il vescovo di Roma, di passare dal ristretto numero di poche migliaia di nullità a quello smisurato di infelici che potrebbero avere la dichiarazione di nullità— per l’evidente assenza di fede come ponte verso la conoscenza e quindi la libera volontà di dare il consenso sacramentale — ma sono lasciati fuori dal vigente sistema» (v. Pio Vito Pinto, La riforma del processo matrimoniale per la dichiarazione di nullità, in L’Osservatore romano, 8.9.2015. V. anche qui e qui. Per una riflessione sulle parole di mons. Pinto in senso critico, v. qui).
E non possiamo, in effetti, dargli torto, visto che, a ben vedere, questa riforma ribalta il principio canonistico del favor matrimonii a beneficio di un favor nullitatis.
Del resto, per rendersene conto basti solo leggere il novellato can. 1687 § 1 c.i.c., secondo cui «Ricevuti gli atti, il Vescovo diocesano, consultatosi con l’istruttore e l’assessore, vagliate le osservazioni del difensore del vincolo e, se vi siano, le difese delle parti, se raggiunge la certezza morale sulla nullità del matrimonio, emani la sentenza. Altrimenti rimetta la causa al processo ordinario».
In sede di processo matrimoniale breve, dunque, il vescovo potrà assumere solo due decisioni: o dichiarare la nullità del vincolo oppure rimettere la causa al processo ordinario. Non potrà dunque concludere in alcun modo circa la validità del matrimonio ed il rigetto della domanda di nullità. Quest’opzione decisionale non è prevista. Al più, dunque, qualora dovesse essere convinto circa la validità del vincolo, l’unica opzione che avrà a disposizione sarà quella di rimettere la causa al processo ordinario. Per incidens, non si comprende peraltro neppure che valenza assumano in questo giudizio gli eventuali atti istruttori svolti dinanzi al Vescovo … né è dato comprendere se la rimessione al giudizio ordinario comporti un ricominciare da capo la procedura di nullità con un nuovo libello, ecc. … Ma sorvoliamo su queste lacune procedurali.
Quel che conta rilevare è che l’esclusione del potere del vescovo di potersi esprimere sulla validità del vincolo, con conseguente rigetto della domanda, fa emergere indiscutibilmente quel favor nullitatis, che poco si concilia con l’altro favor, formalmente non toccato dalla riforma, ma di fatto svuotato di significato, qual è quello sancito dal can. 1060: «Il matrimonio ha il favore del diritto; pertanto nel dubbio si deve ritenere valido il matrimonio fino a che non sia provato il contrario».
Nel nostro caso può, invece, dirsi, dopo la riforma che entrerà in vigore l’8 dicembre prossimo, che il matrimonio sarà considerato nullo, sino a prova contraria.
Nella memoria liturgica della Madonna della Mercede, affinché interceda per la Chiesa e perché l’opera dei novatori non distrugga il matrimonio quale sacramento, riducendolo a sacramentale, rilancio quest’articolo di Chiesa e postconcilio.


Francisco de Zurbarán, Apparizione della Vergine della Mercede a S. Pietro Nolasco, 1628-30 circa, collezione privata


Francisco de Zurbarán, Vergine della Mercede con il Bambino con i SS. Pietro Nolasco e Raimondo Nonnato, 1635-40, collezione privata

Jerónimo Jacinto de Espinosa, S. Pietro Nolasco intercede presso il Cristo e la Vergine della mercede per i suoi frati infermi, 1651-52, Colección de la Real Academia de San Carlos, Museo de Bellas Artes, Valencia

Juan de Roelas, Vergine della Mercede, Museo de Bellas Artes, Siviglia

Alonso Miguel de Tovar, Apparizione della Vergine della Mercede a S. Pietro Nolasco, 1723, Museo de Bellas Artes, Siviglia

Vicente López Portaña, La Vergine della mercede libera gli schiavi, 1798-1803, Valencia

Gil de Castro, Vergine della Mercede con i SS. Pietro Nolasco e Raimondo Nonnato, 1814, Collezione privata

Madonna della Mercede, San Fernando (Cádiz)


Divorzio cattolico – Le critiche canoniche sulla riforma dell’annullamento si accumulano: saranno prese in considerazione dal Vaticano, dai vescovi e dagli yes men di Francesco?

Riprendiamo da Rorate Caeli. In parte ne abbiamo parlato qui.

C’è decisamente qualcosa nell’aria: eminenti canonisti che inizialmente avevano elogiato le riforme dell’annullamento del matrimonio si sono tirati indietro e successivamente si sono anche pronunciati duramente contro di esse; è sorto un autentico dibattito sul malcontento tra un numero significativo di avvocati canonici e prelati. E in questo caso non stiamo parlando di tradizionalisti! Le riforme arbitrarie e straordinariamente problematiche del processo per la dichiarazione di nullità del matrimonio introdotte dal Papa, elaborate senza consultazioni a vasta scala, in relativa segretezza, e pubblicate l’8 settembre tramite il motu proprio Mitis Iudex, si sta trasformando rapidamente in una crisi d’autorità senza precedenti per il suo ruolo. Tale crisi d’autorità è autentica e nemmeno la grande quantità di negazioni e atteggiamenti riduttivi da parte dell’establishment dei media cattolici e di “rispettabili” blogger cattolici la possono nascondere.
Nei primi giorni dopo la promulgazione del Mitis Iudex, le valutazioni critiche da parte del canonista Kurt Martens e del professore di filosofia sistematica Chad Pecknold, entrambi docenti alla Catholic University of America, hanno raggiunto un vasto pubblico grazie al reportage delWashington Post sulla riforma (“Pope Francis announces biggest changes to annulment process in centuries“ [“Papa Francesco annuncia i più grandi cambiamenti da secoli nel processo di annullamento”]). Per quanto ne sappiamo, Martens è stato il primo a riferirsi pubblicamente alla riforma come alla “versione cattolica del divorzio consensuale”. Se avrete l’opportunità di incontrare qualche vescovo o apologeta professionista che accusa una presunta cospirazione secolarista di aver fabbricato l’idea secondo cui il Papa avrebbe appena istituito il “divorzio cattolico”, fateglielo presente. Ma stiamo facendo una digressione...
Nonostante l’articolo del Washington Post, l’approfondita analisi iniziale delle riforme nella stampa cattolica “conservatrice” è rimasta piuttosto neutrale o addirittura a favore. Oltre alla lista neutrale di “cose da sapere e condividere” sul motu proprio a cura di Jimmi Akin, sono stati tre saggi che elogiavano o sottovalutavano la gravità delle riforme, scritti da avvocati canonisti, ad imperversare sui social media:

Benedict Nguyen, “Annulment Reform: 6 Misconceptions and 6 Developments“ (“La riforma dell’annullamento: sei fraintendimenti e sei sviluppi”);

Edward Peters, “A first look at Mitis Iudex“ (“Un primo sguardo al Mitis Iudex”, e il correlativo post su Facebook);

Ed Condon, “Mitis Iudex: The Good, The Bad, & The Ugly“ (“Il Mitis Iudex: Il buono, il brutto e cattivo”).

Questi tre esperti hanno presto cominciato a pubblicare ulteriori risposte critiche.
In poche ore, Ed Peters ha cominciato a postare ulteriori analisi, una più critica dell’altra: 1) “A second look at Mitis, especially at the new fast-track annulment process“ (“Un secondo sguardo alMitis Iudex, in modo particolare al nuovo processo accelerato d’annullamento”, 8 settembre), “Nah, that twern’t no smear“ (“No, non era una presa in giro”, 10 settembre), “Who is satisfied with Mitis Iudex?“ (“Chi è soddisfatto del Mitis Iudex?”, 13 settembre), e quella che per adesso è l’ultima: “Note: Avoiding the requirements of Mitis would not be easy for bishops“ (“Nota: evadere le richieste del Mitis Iudex non sarà facile per i vescovi”, 4 settembre). Le critiche e le riserve di Ed Peters a proposito delle riforme sono state diffusamente discusse su blog e siti cattolici e pertanto non le tratteremo ulteriormente in questa sede.
A Modest Proposal“ (“Un’umile proposta”, 12 settembre), di Ed Condon, sostiene tuttora che “vi sono più elementi positivi che negativi nelle riforme”, ma si sofferma diffusamente sui serissimi pericoli inerenti al “processo abbreviato” autorizzato da Papa Francesco. Condon ha anche riportato la seguente riminiscenza a proposito della crescente mancanza di perizia giuridica tra idefensores matrimonii – gli ufficiali incaricati di difendere la presunta validità del matrimonio che è sotto questione – una mancanza che verrebbe solo aggravata dalle nuove riforme.
Da quanto ho potuto constatare tramite la mia esperienza nei tribunali matrimoniali – che è molto variegata –, nella maggioranza dei casi nessuno dei partecipanti ha un dottorato e solo alcuni dei giudici hanno la licenza. In effetti, di solito al posto del collegio di tre giudici clericali ce n’è uno solo (questa, che precedentemente era un’eccezione frequentemente permessa negli Stati Uniti, viene ora resa una regola universale dal Mitis Iudex), e le parti non hanno alcun avvocato, mentre quando lo hanno è raro che questi sia un avvocato canonista.
Meno della metà delle opinioni espresse dai difensori del vincolo matrimoniale che io ho letto in qualità di giudice sono firmate da una persona che abbia la licenza in diritto canonico. Di solito sono firmate da un sacerdote, o sempre più spesso da un diacono permanente che non ha alcuna formazione canonica e che assume l’incarico di difensore del vincolo matrimoniale come se fosse un noioso lavoro straordinario che lo distoglie dal suo lavoro pastorale ordinario in parrocchia. Un difensore del vincolo matrimoniale di cui sono a conoscenza, in realtà, non fa altro che inoltrare lo stesso dossier di una sola pagina per ogni caso che gli viene assegnato. Nessuno scrive più un appello.
Ciò è reso possibile dal fatto che un tribunale può richiedere alla Segnatura Apostolica di concedergli di nominare per questi ruoli “esperti alternativi” (leggi “formalmente privi di qualificazione”) quando non si è in grado di rintracciare uno staff sufficientemente qualificato.
(...)
Con ciò non voglio affermare che non siano in buona fede, che non lavorino duro o che non meritino rispetto e gratitudine per i loro sforzi; ma è d’altro canto inutile aspettarsi che possano svolgere un ruolo vitale come quello di difensori del vincolo matrimoniale. Credete forse che anche una sola delle parti in un caso di nullità matrimoniale accetterebbe di essere rappresentata da una persona che non fosse laureata in giurisprudenza nel processo di divorzio civile, anche qualora essa fosse un volontario con molta buona volontà?
Questo per quanto riguarda lo stato attuale del processo negli Stati Uniti, nazione tra quelle che hanno il numero più alto (se non quella che ne ha il numero più alto in assoluto) di avvocati canonici. Ci chiediamo: quanto a maggior ragione il processo abbreviato, “accelerato”, autorizzato da Francesco, aprirà le porte a una valanga di richieste di dichiarazione di nullità?
Lo stesso giorno in cui Condon ha pubblicato il suo articolo ammonitore, Benedict Nguyen ha rilasciato una breve intervista alla radio National Catholic Register (12 settembre – ascolta qui). Egli ha parlato apertamente della mancanza tanto di una consultazione dei vari vescovi del mondo come delle facoltà richieste dalla legge canonica da parte della commissione incaricata dal Papa, che ha lavorato da sola in tutta segretezza. Ha anche menzionato il desiderio di molti avvocati canonici di assistere a un’estensione della vacatio legis concessa dal Papa prima che le riforme vengano implementate (8 dicembre), per permettere una consultazione a vasta scala all’interno della Chiesa su queste riforme. Pochi giorni dopo, egli ha pubblicato un altro articolo, stavolta sul britannico Catholic Herald, che aveva sfacciatamente elogiato le riforme solo la settimana precedente.
Il titolo del secondo articolo di Nguyen è chiaro: “We’re heading for ‘Catholic divorces‘” (“Stiamo arrivando ai ‘divorzi cattolici’”, 18 settembre). Nguyen spiega brevemente e chiaramente perché le nuove riforme annullano la presunzione di validità per i matrimoni e consente che molti di essi vengano considerati pregiudizialmente nulli persino prima che cominci il processo (il grassetto nei paragrafi seguenti è nostro):
... Molti rispettabili avvocati canonisti e commentatori stanno esprimendo gravi preoccupazioni sul testo, man mano che lo vanno studiando più attentamente. Unisco la mia al crescente numero di voci di quanti si trovano in apprensione. A mio modo di vedere, certi cambiamenti rischiano di arrecare più danni che benefici, creando più confusione che chiarezza sulla validità del matrimonio e sul proposito della dichiarazione del processo di nullità.
Il cambiamento più significativo proposto nel Mitis Iudex è la creazione della “procedura abbreviata” per i casi la cui decisione viene affidata al vescovo diocesano, affinché decida lui stesso con una sorta di fiat amministrativo. Questo cambiamento, estremamente problematico, fa scaturire serie questioni e gravi confusioni.
Ai vescovi diocesani – già estremamente occupati –, compresi quelli che non sono formati nella legge matrimoniale, verrà chiesto di decidere potenzialmente su centinaia di casi di matrimonio canonico all’anno basandosi quasi solamente sul referto di consulenti che neanche loro sono avvocati canonisti. È in questo modo che si pretende di “accelerare” il processo. Eppure è praticamente impossibile comprendere come lo si possa fare senza che il vescovo diocesano avalli le decisioni senza adeguata valutazione o le prenda lui, in tutta fretta, privilegiando la velocità all’accuratezza. In entrambi i casi si tratterebbe di un’ingiustizia.
(...) Il diritto canonico utilizza già un “processo documentale” più corto per i casi che implichino la mancanza di capacità per sposarsi (canoni 1073-1094) o una mancanza o un difetto della forma canonica (canoni 1108-1123). Per la terza categoria di casi di matrimonio – quelli che comportano mancanza di consenso (canoni 1095-1107), che utilizzano la “procedura matrimoniale formale” – il Mitis Iudex permetterà d’ora in poi di utilizzare i nuovi “processi abbreviati” laddove questi casi sembrano essere nulli “per argomenti particolarmente evidenti”.
È qui che nascono i problemi. Come dovrebbero essere considerati tali “argomenti evidenti” di fronte a un processo adeguato?
Ciò che il Mitis Iudex ha realmente fatto è annullare nella pratica il principio di fondamentale importanza che si trova nel canone 1060, in cui si sancisce che il matrimonio deve essere considerato valido finché non viene provato il contrario. Permettendo il processo abbreviato per casi che sembrano nulli “per argomenti particolarmente evidenti”, il Mitis Iudex permette una sorta di giudizio di nullità per difetto del matrimonio prima ancóra che un processo venga avviato. Il risultato è che alcuni matrimoni verranno considerati nulli ancor prima che il processo cominci. Ciò va direttamente contro la presunzione di validità richiesta dalla giustizia, dalla logica e dal canone 1060. Il Mitis Iudex ha creato una situazione invertita in cui i matrimoni hanno la presunzione di nullità e in cui è la validità che deve essere provata.
L’ultimo ma non meno importante dei commenti su quella che potrebbe verosimilmente diventare la parola più pericolosa nel motu proprio del Papa – quell’”etc.” alla fine della lista di circostanze che possono essere essere invocate affinché si adotti il “processo breve” per giudicare la validità del matrimonio – è stato pubblicato dai nostri amici del Canon Law Centre(“The “Et Cetera” Time Bomb In Article 14 §1 Of The Ratio Procedendi” [“La bomba ad orologeria ‘Et Cetera’ nell’articolo 14 § 1 della Ratio Procedendi”]). Il grassetto nel seguente paragrafo è nostro:
Analogamente a certe altre ambiguità ed espressioni vaghe che hanno trovato spazio nei documenti ufficiali del Vaticano II, sostengo che l’”etc.” nell’articolo 14 § 1 sarà potenzialmente uno degli strumenti più abusivamente utilizzati dalle interpretazioni eterodosse che si trovano nelle nuove norme. Questi abusi saranno resi possibili dalle vaste riserve di discrezioni amministrative concesse ai vescovi diocesani sotto la legge riformata. Pur essendo vero che bisogna soddisfare alcuni requisiti fondamentali affinché un caso sia ascoltato in base al processus brevior, è altrettanto vero che tali requisiti non sono molto difficili da soddisfare sotto le nuove norme.
Il Canon Law Center sostiene anche che il “processo abbreviato” per l’emissione rapida delle dichiarazioni di nullità diventerà la norma, non l’eccezione:
... sarebbe piuttosto ingenuo credere che il processus brevior sarà qualcosa di eccezionale o di raro nelle pratiche degli odierni tribunali. In realtà, se le recenti tendenze delle procedure penali canoniche possono fornire delle indicazioni riguardo a quanto ci si possa aspettare in un futuro prossimo (negli scorsi due anni si è assistito a uno sforzo collettivo guidato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede per ridurre i processi giudiziali e stabilire dei processi amministrativi più brevi come norma), l’opinione di chi scrive è che in questo modo il processus brevior diventerà poco a poco la norma, in luogo delle pratiche giudiziali. Questo processo abbreviato aprirà senza dubbio le porte ad abusi nell’amministrazione della giustizia, dal momento che verranno concentrati nelle mani di una sola persona, il vescovo, molti ruoli. Su queste basi, la fiducia nella validità dei processi di nullità del matrimonio verterà necessariamente sulla fiducia nel vescovo che pronuncerà il giudizio.
Fino ad ora, i bloggers di Rorate non hanno visto nemmeno un commento esteso e non liberale sul Mitis Iudex che sia nettamente a favore di esso, e che non sia stato in certa misura ritrattato. È vero che alcune diocesi cattoliche e alcune conferenze episcopali hanno pubblicato comunicati stampa che elogiano le riforme, ma francamente questo c’era da aspettarselo. Alcune diocesi cattoliche conservatrici (per es. Madison, Wisconsin) hanno pubblicato commenti che cercavano di minimizzare la natura dirompente delle riforme, il che ci sembra più un tentativo di limitare i danni che altro. È vero, non è realistico aspettarsi che le diocesi emettano delle critiche ufficiali ai decreti romani. Tuttavia, i vescovi che cercano di fare buon viso al cattivo gioco di un pessimo esemplare di norma della Chiesa – e per giunta una che avrà delle conseguenze sulla giusta comprensione della dottrina – non rendono un servizio alla verità.

Ma noi speriamo che gli avvocati canonici si uniscano presto tra di loro per esercitare delle pressioni su Roma, in modo pubblico e organizzato, per ritardare l’entrata in vigore del Mitis Iudex. Quel che è in ballo è nient’altro che la solidità storica e la credibilità della Chiesa Cattolica e del suo insegnamento sul matrimonio. Sarà un’ironia grande e terribile se la festività dell’Immacolata Concezione diventerà quest’anno il giorno in cui quest’insegnamento comporterà un colpo devastante da cui ci si potrebbe non riavere per varie generazioni, se non per secoli.

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

Dell’omoeresia del "priore" di Bose, Enzo Bianchi

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Già ha fatto senso, agli inizi di questo mese, leggere le sconcertanti affermazioni, sempre dell’autoqualificatosi priore di Bose, rag. Enzo Bianchi, circa la Vergine Maria, che cioè «il modello di Maria, vergine e madre, … non può essere il riferimento per una promozione della donna nella chiesa» e che sarebbe stata la moda (sic!) ad insinuare la convinzione che Maria sia più importante di San Pietro o di altri apostoli e che, anzi quest’«idea insipiente [sarebbe] come dire che la ruota in un carro è più importante del volano» (v. qui e qui). Eppure la Vergine è Regina Apostolorum e Madre della Chiesa! Non a caso, queste parole hanno suscitato ampie reazioni, che hanno fatto legittimamente porsi l’interrogativo se il rag. Bianchi non abbia gettato la maschera circa la sua sostanziale non cattolicità (v. qui e qui).
Non contento, lo stesso personaggio è tornato con nuove parole a destare scandalo nella Chiesa e cioè che Cristo non condannerebbe l’omosessualità.
Rilancio pertanto la confutazione di queste parole al sempre meritevole Chiesa e postconcilioda noi seguito assiduamente.

È falso dire che NS Gesù Cristo non ha condannato l’omosessualità - I Vangeli dimostrano esattamente il contrario

Giorni fa eravamo stati costretti a leggere le seguenti dichiarazioni di Enzo Bianchi, il sedicente "priore" nominato, dal papa regnante, consultore al Pontificio Consiglio per L'Unità dei Cristiani, molto gettonato in ogni occasione formativa nella maggior parte delle diocesi d'Italia :
«se Cristo nel Vangelo parla del matrimonio come unione indissolubile nulla dice in merito all’omosessualità. L’onestà, quindi, ci obbliga ad ammettere l’enigma, a lasciare il quesito senza una risposta. Su questo, io vorrei una Chiesa che, non potendo pronunciarsi, preferisca tacere. Che la Chiesa faccia il matrimonio per persone dello stesso sesso – ha concluso – è una cosa senza senso. Tuttavia, se lo Stato decide di regolarizzare una realtà affettiva, lasciamo fare, applicando la misericordia come vuole il Vangelo, non come la vogliamo noi». [Fonte]

Paolo Pasqualucci, che ringrazio di cuore, non poteva mancare di farci avere le sue puntualizzazioni.

È falso dire che NS Gesù Cristo non ha condannato l’omosessualitàI Vangeli dimostrano esattamente il contrario

L’assordante propaganda omosessualista e omofila, sostenuta da tutti i grandi mezzi d’informazione, in cre­scendo nell'imminenza del Sinodo sulla Famiglia del 5 ottobre p.v., continua a ripetere a beneficio dei cattolici un vieto ritornello e cioè che Gesù Cristo non avrebbe mai parlato dell’omosessualità, ragion per cui la sua condanna non si potrebbe reperire nei Vangeli ma solo nelle Lettere apostoliche, segnatamente in quelle di san Paolo. Come se questo, annoto, facesse la differenza! Le Epistole paoline non vengono lette durante la Messa come “Parola di Dio”, allo stesso modo dei Vangeli? Ma prescindiamo da questa scorretta separazione tra le varie parti del corpo neotestamentario, del tutto inaccettabile, spiegabile solo alla luce della miscredenza attuale, che vuole escludere di fatto l’insegnamento di san Paolo dalla Rivelazione con l’argomento singolare che egli dettava norme e concetti validi solo per il proprio tempo!
Ciò che la propaganda omofila vuole insinuare a proposito dei Vangeli, è parimenti assurdo: non avendovi il Cristo mai nominato esplicitamente l’omosessualità, non la si dov­rebbe ritener da Lui condannata! La fornicazione e l’adulterio li ha con­dannati apertamente mentre la sodomia e affini (che sono fornicazione contro natura) li avrebbe invece assolti con il suo (supposto) silenzio? Ma ci rendiamo conto delle castronerie che vengono oggi propinate alle masse, peraltro ben felici di esser ingannate, a quanto pare?
Dove si trova, nei Vangeli, la condanna dell’omosessualità da parte di Nostro Signore? In maniera diretta tutte le volte che Egli porta ad esempio il destino toccato a Sodoma come condanna esemplare del peccato; in maniera indiretta in un passo nel quale elenca i vizi e peccati che ci mandano in perdizione.

1. La distruzione di Sodoma e Gomorra citata tre volte da Gesù come esempio di punizione esemplare di chi si ostina nel peccato: Mt 10, 15; 11, 24; Lc 10, 12; 17, 29.

Vangelo di san Matteo

Nel dare le istruzioni ai Dodici Apostoli mandati per la prima volta a predi­care e convertire i peccatori, il Verbo incarnato disse, a proposito di coloro che si fossero rifiutati di riceverli o ascoltarli:
“In verità vi dico: nel giorno del Giudizio il paese di Sodoma e Gomorra sarà trattato meno severamente di quella città” (Mt 10, 15).

Il concetto fu da Lui ribadito poco dopo. Di fronte ai discepoli di Giovanni Bat­tista, Egli fece l’elogio del Battista per passare poi a rampognare l’incredulità di “questa generazione”, concludendo con un durissimo rimprovero alle città im­penitenti, che non avevano voluto pentirsi, nonostante i miracoli che Egli vi aveva fatto.
“Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsaida! Perchè se a Tiro e a Sidone fossero avvenuti i miracoli compiuti in mezzo a voi, già da gran tempo avrebbero fatto penitenza cinti di cilicio e ricoperti di cenere. Perciò vi dico: nel giorno del Giudizio Tiro e Sidone sarano trattate meno severamente di voi. E tu Cafarnao, sarai esaltata sino al cielo? Tu discenderai all’inferno: perchè se in Sodoma fossero avvenuti i miracoli operati in te, oggi ancora sussisterebbe. E però vi dico, che nel giorno del giudizio il paese di Sodoma sarà trattato meno dura­mente di te” (Mt 11, 21-24).

Il parallelo con le antiche città pagane ha lo scopo di mettere nel massimo rilievo la gravità del peccato delle città ebraiche, che avevano rifiutato la “conversione” pur avendo visto i miracoli operati da Nostro Signore. Avevano peccato nella fede, contro lo Spirito Santo, possiamo dire. Tiro, Sidone, Sodoma, Gomorra erano diventate per gli Ebrei simboli della corruzione del mondo pagano, privo del vero Dio e nell’ignoranza della Salvezza. Ma questo non si poteva dire de­gli Ebrei, ragion per cui il loro peccato era più grave: più grave degli abomini carnali dei pagani era la loro incredi­bile mancanza di fede. 
Per quanto riguarda Sodoma e il suo particolare peccato: nel giorno del Giudizio essa sarà trattata “meno duramente” delle città ebraiche impenitenti ma non sarà certamente assolta. Anzi, proprio la condanna di Sodoma serve da punto di riferimento, da metro di giudizio per determinare la gravità di un peccato e quindi per affermare che l’incredulità degli Ebrei è addirittura più grave di un peccato così grave come quello di Sodoma e Gomorra, di “Tiro e Sidone” in quanto ad esso assimilabile: la corruzione dei costumi spinta sino alla ribellione contro la legge naturale stabilita da Dio, in odio a Dio.
Il carattere esemplare del peccato e della condanna di Sodoma erano già ben presenti nella tradizione profetica. Li ritroviamo nel libro di Ezechiele.
Dio ammonisce Israele per i suoi tradimenti e le sue “abominazioni idolatriche”, tramite la voce dei Profeti. Nel libro di Ezechiele già compare il parallelo tra le colpe di Ge­rusalemme e quelle dei pagani, utilizzato anche da Nostro Si­gnore: le colpe di Gerusalemme verso Dio sono più gravi di quelle dei pagani, pur di per sé gravissime. Gerusalemme ha, infatti, avuto la Rivelazione, al contrario dei pagani.
“Com’è vero che io vivo, dice il Signore Dio, tua sorella Sodoma e le sue figlie [le città dipendenti] non furono sì perverse come te e le figlie tue. Ecco, questa fu la colpa di Sodoma, tua sorella e delle sue figlie: superbia, sovrabbondanza di cibo e pigrizia: non aiutavano il povero e l’indigente; ma insuperbirono e fe­cero ciò ch’è abominevole davanti a me: per questo io le distrussi non appena vidi la loro condotta” (Ez 16, 48-50).

Sodoma è rappresentata qui dal profeta come “sorella” nella colpa di Ge­rusalemme, “adultera” nella fede. La punizione di Sodoma sarà anche quella di Gerusalemme colpevole, ed anzi ancor più colpevole; sarà la punizione inferta alle “adultere e omicide” (ivi, 38). Il profeta, ispirato da Dio, descrive la colpa di Sodoma: la superbia innanzitutto, nutrita dal benessere materiale, che comportava pigrizia e disprezzo per “il povero e l’indigente”. L’ozio prodotto dal benessere è il padre dei vizi, come si suol dire. E alla base della ribellione contro la legge divina e naturale nei rapporti sessuali c’è la superbia e la mancanza di giustizia: “insuper­birono e fecero ciò ch’è abominevole davanti a me”. Un gran benessere materiale, il narcisismo e la superbia all’origine dell’omosessualità. Dal narcisismo e dalla superbia la ribellione contro Dio e le sue leggi. Tutto ciò lo vediamo riprodursi oggi, nelle nostre sventurate società, e in molti casi con la complicità dello Stato.

Vangelo di san Luca

Luca riporta l’invettiva di cui a Mt 11, 21-24, in modo quasi identico, aggiungendovi un illuminante commento del Signore stesso.
“Io vi dico che, nel gran giorno [del Giudizio], Sodoma sarà trattata meno rigorosamente di quella città [dove non vi avranno accolti]. Guai a te , Corazin!, guai a te, Betsaida! […] E tu Cafarnao, sarai forse elevata fino al cielo? Tu sarai precipitata sino all’inferno! Chi ascolta voi, ascolta me, e chi disprezza voi, disprezza me. Chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato” (Lc 10, 12-15).

Ma Nostro Signore nominò di nuovo Sodoma nelle profezie sugli ultimi tempi, che avrebbero visto il ritorno del Figlio dell’uomo, predetto quale avvenimento improvviso e fulminante, che non avrebbe lasciato scampo a nessuno.
“E come avvenne al tempo di Noè, così avverrà al tempo del Figlio dell’uomo: mangiavano e bevevano, si sposavano e facevano sposare i propri figliuoli, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca; ma venne il diluvio e li fece tutti perire. Altrettanto avvenne al tempo di Lot: mangiavano e bevevano, compravano e vendevano, piantavano e costruivano; ma il giorno in cui Lot uscì da Sodoma, Dio fece piovere fuoco e zolfo dal cielo e fece perire tutti”. (Lc 17, 26-29).

Continuando nella profezia, Nostro Signore aggiunse:
“Lo stesso avverrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo dovrà apparire”. In quel giorno nessuno dovrà voltarsi indietro, non gli sarà consentito: “Ricordatevi della moglie di Lot! Chi cercherà di salvare la sua vita, la perderà; e chi la perderà, la conserverà” (ivi, 30-32).

Il Diluvio e la fine di Sodoma sono dunque proposti più volte da Nostro Signore quali esem­pi della giustizia divina, esempi classici, si potrebbe dire, nella cultura e nella mentalità ebraiche. Ciò significa che Egli approvava quelle condanne e quei castighi; riteneva giusto che l’umanità fosse punita per i suoi peccati nel modo che Dio ritenesse opportuno, a seconda della loro gravità. Riteneva quindi giusto che il peccato contro natura dei sodomiti fosse stato punito col fuoco e lo zolfo caduti subitaneamente dal cielo. Si noti la sfumatura: ricorda che al tempo di Noè gli uomini, tra le altre cose, “si sposavano e facevano sposare i propri figli”; al tempo di Lot invece, cioè a Sodoma e Gomorra, tra le loro molteplici attività (“piantavano e costruivano”) mancava ovviamente il costruir famiglie, lo sposarsi e far figli secondo natura, realtà dalle quali i sodomiti (omosessuali e lesbiche) si escludono a priori, perché da loro detestate.
Riscontrato tutto ciò sui Sacri Testi, come si fa a dire che Gesù non ha mai parlato dell’omosessualità e quindi non l’ha (per ciò stesso) mai condannata? Nella più perfetta tradizione ebraica, ha portato o no più volte a monito, approvan­dola, la condanna di Sodoma quale esempio di condanna divina esemplare dei peccati gravi e ostinati di un’intera comunità? E ciò non basta a dimostrare che Egli ha condannato l’omosessualità e la conseguente falsità radicale della tesi degli omofili? Che altro doveva dire? Aveva forse bisogno di fare tanti discorsi per condannare il peccato e un peccato come quello? Invece di cercare di falsare il senso autentico delle Sacre Scritture, i propagandisti e sostenitori a vario livello della presente, terrificante deriva omosessualista (attivi purtroppo anche nella Gerarchia!), non farebbero meglio a meditare le parole stesse di Nostro Signore sul giusto castigo di Sodoma sventurata? Sembrava ai depravati che tutto dovesse continuare in eterno come prima, immersi nel benessere, nelle loro intense attività e nei loro vizi, ma improvvisamente un giorno, “il giorno in cui Lot uscì da Sodoma, Dio fece piovere fuoco e zolfo dal cielo e fece perire tutti”. Senza preavviso fece perire tutti di una morte orribile, tutti inceneriti in un batter d’occhio, come i poveri giapponesi a Hiroshima e Nagasaki, peraltro vittime innocenti della crudeltà della guerra. Anzi, peggio, perché in Giappone ci furono dei superstiti e la vita è tornata nelle città ricostruite. A Sodoma e Gomorra, invece, non si è salvato nessuno e il luogo, inizialmente fertilissimo, è da allora un tetro e spettrale deserto di sale, acqua salmastra e bitume. Se si continuerà ad offendere gravemente Dio, come a Sodoma, andrà a finire anche per noi come a Sodoma, quale che sia la forma specifica del castigo, se l’acqua o il fuoco o la terra, che si spalancherà sotto di noi.

2. L’omosessualità deve ritenersi inclusa da Gesù nella condanna di tutte le “fornicazioni” .

Polemizzando contro il legalismo dei Farisei e la loro ossessione con le purificazioni rituali, Gesù disse ai discepoli, che ancora non avevano afferrato adeguatamente il concetto:
“Non capite che quanto entra per la bocca, passa nel ventre e va a finire nella latrina? Ma quel che esce dalla bocca viene dal cuore, ed è questo che contamina l’uomo; poiché dal cuore vengono i cattivi pensieri, gli omicidi, gli adulteri, le fornicazioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie: queste cose contaminano l’uomo, ma il mangiare senza lavarsi le mani non contamina l’uomo” (Mt 15, 17-20).

Egli distingue nettamente tra “adulteri” (adulteriamoichetai) e “fornicazioni” (fornicationesporneiai).
L’adulterio è l’infedeltà coniugale. E le fornicazioni? Evidentemente, tutti i rapporti sessuali di persone non sposate. E quindi tutte le violazioni del Sesto Comandamento, secondo natura e contro natura che siano. Anche l’adulterio è “fornicazione”, però con aggiunto il peccato della violazione della fede coniugale. Nell’adulterio ci sono due peccati in un unico atto.
Potrebbero le “fornicazioni” qui menzionate dal Signore escludere quelle contro natura? Non potrebbero, evidentemente: per la natura stessa del concetto, tale da impedire di per sé simile eccezione. Inoltre, il termine porneia (scortatiofornicatio), che risale a Demostene ed è usato dai LXX, anche nel Nuovo Testamento indica “ogni uso illegittimo della venere, compreso l’adulterio e l’incesto. In Mt 15, 19 si distingue dalla moicheia ossia dall’adulterio. Vedi anche Mc 7, 21, [passo parallelo]”. E a riprova di tale impossibilità abbiamo l’evidente approvazione manifestata (tre volte) da Gesù per la condanna di Sodoma e Gomorra, rappresentate addirittura come esempio di grave peccato che merita di esser colpito anche in questo mondo dall’ira divina, con tutta la sua terribile potenza, quando un intero popolo vi si induri.
Lo scopo di quest’articolo è solo quello di ricordare la condanna evidente e manifesta del peccato di omosessualità da parte di Cristo, per sbarazzare il campo dalle falsità pullulanti sulla nostra religione e ristabilire il vero. Per completezza di documentazione, voglio ricordare che Sodoma e Gomorra sono rammentate anche nella Seconda Lettera di san Pietro, allo stesso modo di Nostro Signore e con ulteriori precisazioni, relative alla sopravvivenza e comunque alla salvezza dell’anima dei giusti che siano costretti a vivere in una società dominata dall’empietà.
“[…] se Dio condannò alla distruzione e ridusse in cenere le città di Sodoma e Gomorra, perché fossero di esempio a tutti gli empi futuri, e se liberò il giusto Lot, rattristato dalla condotta di quegli uomini senza freno nella loro disso­lutezza – poiché quest’uomo, pur abitando in mezzo a loro, si manteneva giu­sto di fronte a tutto quello che vedeva ed ascoltava, nonostante che tormen­tassero ogni giorno la sua anima retta con opere nefande – il Signore sa liberare dalla prova gli uomini pii e riserbare gli empi per esser puniti nel giorno del Giudizio, specialmente quelli che seguono la carne nei suoi desideri immondi e disprezzano l’autorità. Audaci e arroganti, essi non temono d’insultare le glorie dei cieli, mentre gli stessi angeli ribelli, pur essendo supe­riori a costoro per forza e potenza, tuttavia non osano portare contro di esse un giudizio ingiurioso davanti al Signore” (2 Pt 2, 6-11).

“Quorum religiónem cum Lysias præféctus cognovísset, addúci eos ad se jubet, ac de vivéndi institúto et de fídei professióne interrogátos, cum se et Christiános esse, et christiánam fidem esse ad salútem necessáriam, líbere prædicárent, deos venerári ímperat; et, si id recúsent, minátur cruciátus et necem acerbíssimam” (Lect. IV – II Noct.) - Ss. COSMÆ et DAMIANI, MARTYRUM

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Questi due celebri martiri consumarono la loro confessione a Cyro, presso Aleppo, in Siria, dove furono sepolti, secondo la testimonianza esplicita di Teodosio. 
La Passio dei due santi si è arricchita di notevoli elementi leggendari, raccolti poi dall'arte cristiana. 
Una volta, si racconta, Cosma e Damiano avevano curato l'emorroissa Palladia, la quale, in segno di ringraziamento, insistette per ricompensarli con tre uova. Cosma rifiutò nettamente, mentre Damiano, colpito dall'insistenza della donna, decise di accettarle di nascosto, suscitando poi un ampio rimprovero del fratello, che ordinò ai suoi seguaci di seppellirlo, quando fosse giunta l'ora, non accanto al fratello. Al momento della sepoltura infatti i seguaci dei due si apprestano a seppellire i due fratelli lontano, ma un cammello miracolosamente si mette a parlare dicendo "Nolite eos separare a sepoltura, quia non sunt separati a merito", cioè che essi in quanto uguali nel merito dovevano esserlo anche nella sepoltura. I due santi subirono il martirio assieme ai loro fratelli (o seguaci) Antimo, Leonzio ed Eupreprio.
Il favore di cui godette la loro tomba attirò la munificenza di Giustiniano che vi costruì una grande basilica; ma il culto degli Anargiri superò rapidamente le frontiere della città episcopale di Teodoreto, e dalla prima metà del IV sec., penetrò a Costantinopoli, ove, con il tempo, si elevarono quattro basiliche consacrate ai due Martiri. Tra il V ed il VI sec., sorsero basiliche intitolate ai due Santi oggi celebrati pure a Gerusalemme, ad Edessa, in Cappadocia, in Egitto, in Sardegna (J. Baudot – L. Chaussin (a cura di), Vies des Saints et des Bienheureux selon l’ordre du calendrier avec l’historique des fêtes par les RR. PP. Bénédictins de Paris, tomo IX, Paris 1941, p. 552).
A Roma, il papa Simmaco (498-514) eresse ai santi Cosma e Damiano un oratorio sull’Esquilino, che divenne in seguito un’abbazia (cfr. L. Duchesne, Le Liber Pontificalis, Coll. Bibliothèque des Ecoles Françaises d’Athènes et de Rome, tomo 1, Paris 1886, p. 262), cioè dei SS. Cosma e Damiano a Santa Maria Maggiore o al Presepe (M. Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, pp. 236-237; C. Huelsen, Le Chiese di Roma nel medio evo, Firenze 1927, pp. 239-240).
Più tardi, Felice IV (526-530) dedicò loro, sottraendola al culto pagano, la basilica del divo Romolo, ovvero del figlio divinizzato di Massenzio morto prematuramente, Valerio Romolo (e del tempio della Pace) ed il templum sacræ Urbissulla Via sacra che gli erano stati donati dal re ostrogoto Teodorico e dalla figlia Amalasunta (cfr. L. Duchesne, op. cit., p. 279). Questa chiesa, denominata dei Santi Cosma e Damiano in Silice, finì col divenire il più celebre santuario dei due medici taumaturghi a Roma (Armellini, op. cit., pp. 152-154; Huelsen, op cit., p. 242). Il mosaico absidale del VI sec. di questa chiesa si è conservato sino ai nostri giorni: esso esprime la fiducia del popolo romano verso i due santi martiri: Martyribus medicis populo spes certa salutis fecit.
Dobbiamo tuttavia menzionare altri santuari dedicati agli Anargiri, che ci attestano l’importanza che aveva un tempo il loro culto nella liturgia romana. Esisteva, per es., una cappella in onore dei santi Cosma e Damiano, presso il titulus Marcelli, cioè dei SS. Cosma e Damiano presso Via Lata (Armellini, op. cit., p. 256; Huelsen, op cit., pp. 241-242); un’altra si elevava presso Santa Lucia de captu seccutæ, cioè dei SS. Cosma e Damiano in Banchi (Armellini, op. cit., pp. 360-361) ed una terza non lontano da Sant’Apollinare, cioè SS. Cosma e Damiano de Monte Granato (ibidem, p. 444; Huelsen, op. cit., p. 241). Nel quartiere de pinea(rione Pigna) vi era una chiesa parrocchiale in onore dei due santi, SS. Cosma e Damiano de Pinea (Armellini, op. cit., pp. 467-468; Huelsen, op. cit., p. 241), ed infine, in Trastevere, fu fondato, verso l’anno 935, il celebre monastero dei Santi Cosma e Damiano in Mica Aurea(Armellini, op. cit., pp. 664-666; Huelsen, op. cit., pp. 240-241), che divenne in seguito una delle ventiquattro abbazie privilegiate della Metropoli.
Le chiese d’Oriente celebrano la loro festa in date diverse: il 6 aprile, il 16 giugno, il 14 agosto ed il 12 ottobre presso i siriani, il 1° luglio presso i bizantini, il 18 novembre presso i copti. I calendari ispanici la menzionano il 22 ottobre. Il martirologio geronimiano annuncia al 27 settembre: Romæ natale sanctorum Cosmæ et Damiani. Si tratta del natale, ovviamente, della loro basilica del Foro ai bordi della via Sacra (cfr. Pierre Jounel, Le Culte des Saints dans les Basiliques du Latran et du Vatican au douzième siècle, École Française de Rome, Palais Farnèse, 1977, p. 293).
Il culto verso i due martiri orientali era così diffuso nell’Urbe che, oltre le due sinassi stazionali sul già menzionato luogo della Via sacra, a metà Quaresima e la sera dell’ottava di Pasqua, vi si celebrava, nel VII sec., anche una terza ed una quarta stazione, il 27 settembre e la domenica precedente – die domenico, ad sanctos Cosmæ et Damiano ante natale eorum. Era una sorta di solennità esterna, in favore del popolo, il quale, nei giorni lavorativi, non avrebbe potuto prendere parte alla solennità dell’anniversario dei due santi.
L’introito Sapientiamfu composto originariamente in onore dei due sapienti Anargiri, quando Felice IV dedicò loro il santuario del Foro romano.
La prima lettura ed il versetto alleluiatico sono gli stessi per i martiri Primo e Feliciano il 9 giugno. Il responsorio Clamaveruntè identico a quello della messa dei santi Faustino e Giovita.
Secondo la lista di Würzburg, la lettura evangelica di questo giorno sarebbe presa da san Giovanni (Gv 15, 17-25). Al contrario, il Messale di san Pio V assegna quella di san Luca (Lc 6, 17-23), che è indicata ugualmente per i martiri Gervasio e Protasio il 19 giugno. Essa si adatta bene al carattere di medici taumaturghi ed anargiri attribuito ai nostri santi, in onore dei quali è precisamente ripetuto questo versetto del testo sacro: Omnis turba quærebat eum tangere, quia virtus de illo exibat et sanabat omnes.
L’antifona per l’offerta dei doni è la stessa del 27 giugno per i martiri Giovanni e Paolo.
L’antifona per la Comunione del popolo è improntata alla messa del 12 giugno per il natale dei martiri Basilide, Cirino, ecc.
L’intenzione che ebbe Felice IV, quando dedicò agli Anargiri la loro nuova basilica del Foro è espressa nell’iscrizione seguente. I due santi vi sono l’oggetto dell’elogio seguente (cfr. Orazio Marucchi, Epigrafia cristiana. Trattato elementare con una silloge di antiche iscrizioni cristiane principalmente di Roma, Milano 1910, p. 416; Tyler Lansford, The Latin Inscriptions of Rome: A Walking Guide, JHU Press, Baltimore 2009, p. 78):

MARTYRIBVS • MEDICIS • POPVLO • SPES • CERTA • SALVTIS
FECIT • ET • EX • SACRO • CREVIT • HONORE • LOCVS.





Anonimo, Mosaico absidale del Cristo con i SS. Paolo, Cosma e papa Felice IV, che offre il modellino della chiesa, ed i SS. Pietro, Damiano e Teodoro, 526-30, Basilica dei Santi Cosma e Damiano, Roma



Beato Angelico, I SS. Cosma e Damiano curano Palladia, 1438-40, National Gallery of Art, Washington


Beato Angelico, I SS. Cosma e Damiano ed i fratelli dinanzi al prefetto Lisia, 1438-40, Alte Pinakothek, Monaco

Beato Angelico, I SS. Cosma e Damiano ed i fratelli condannati e salvati dal rogo, 1438-40, National Gallery of Ireland, Dublino

Beato Angelico, I SS. Cosma e Damiano ed i fratelli condannati alla crocifissione ed ad essere trafitti da frecce, 1438-40, Alte Pinakothek, Monaco

Beato Angelico, I SS. Cosma e Damiano ed i fratelli condannati ad essere gettati da una rupe e miracolosamente salvati, 1438-40, Alte Pinakothek, Monaco



Beato Angelico, Decapitazione dei SS. Cosma e Damiano e dei fratelli, 1438-40, Musée du Louvre, Parigi

Beato Angelico, Sepoltura dei SS. Cosma e Damiano e dei fratelli, 1438-40, Museo di S. Marco, Firenze

Beato Angelico, Miracolo della gamba sostituita, 1438-40, Museo di S. Marco, Firenze

Cima da Conegliano, Madonna col Bambino in trono, tra i SS. Giovanni Battista, Cosma e Damiano, santa imprecisata, Caterina e Paolo, 1505-07, Galleria Nazionale, Parma 

Moretto da Brescia, Cristo eucaristico tra i SS. Cosma e Damiano, 1540, Chiesa dei SS. Cosma e Damiano, Marmentino


Alessandro Turchi detto l'Orbetto, SS. Cosma e Damiano, XVII sec., Chiesa dei Santi Medici, Conversano

Autore sconosciuto, SS. Cosma e Damiano, 1600 circa, Narodna galerija, Lubiana

Giovanni Battista Caracciolo detto il Battistello, SS. Cosma e Damiano, 1620-25 circa, Staatliche Museen, Berlino

Antoine de Favray, I SS. Cosma e Damiano curano un malato, Wellcome Library, Londra

Johann Anwander, SS. Cosma e Damiano nel loro studio medico, XVIII sec., Studienkirche Maria Himmelfahrt Dillingen (Donau)

Jurij Šubic, SS. Cosma e Damiano, 1890, Narodna galerija, Lubiana







Simulacri dei Santi Medici, custoditi nell'omonimo Santuario - Basilica minore, Bitonto. La festa esterna si celebra qui la III Domenica di ottobre

Tentazione, mondo, religione, Croce in un aforisma del Ven. Mons. Fulton Sheen

Fede, ragione ed idolatria in un aforisma del card. Biffi


Mondo, plauso, Nostro Signore e vita eterna in un aforisma tratto dalla rete

Cardinal Burke : «È impossibile che la Chiesa cambi il suo insegnamento sulla indissolubilità del matrimonio»

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Nella memoria liturgica della Dedicazione della Basilica di san Michele arcangelo sulla Via Salaria e del Santuario omonimo del Gargano, rilancio questo contributo del card. Burke, tratto dal consueto Chiesa e post concilio.


Guido Reni, S. Michele, 1635, Chiesa di S. Maria della Concezione (Chiesa dei Cappuccini), Roma. Secondo una tradizione riportata dal Malvasia, ma negata dallo stesso pittore, il volto del demonio avrebbe le sembianze del cardinale Pamphili, futuro pontefice con il nome di Innocenzo X, che non intratteneva buoni rapporti con la famiglia Barberini. Il dipinto, infatti, fu commissionato al Reni da Antonio Barberini, cardinale Sant’Onofrio, fratello di Urbano VIII, come riporta il Malvasia, e fu eseguito prima del 1636, anno in cui ne fu tratta un’incisione dal De Rossi. Il cardinale, che proveniva dalle file dei Cappuccini, intendeva collocarlo nella chiesa romana dell’ordine, dove si trova tutt’ora.



Luca Giordano, S. Michele, 1663 circa, Staatliche Museen, Berlino

Luca Giordano, S. Michele scaccia Satana, XVII sec.

Cardinal Burke : «È impossibile che la Chiesa cambi il suo insegnamento sulla indissolubilità del matrimonio»

Riprendo da TradiNews. Il testo che segue è redatto ad iniziativa di DICI (il sito ufficiale della FSSPX) in collaborazione con Guillaume d’Alençon, delegato episcopale per le questioni che riguardano la famiglia e la vita. La prima parte delle dichiarazioni del cardinal Burke è ben nota. Questa intervista tuttavia è particolarmente interessante per lo spazio dedicato all’esperienza del cardinale come prefetto della Segnatura Apostolica e relative dichiarazioni prese dal testoPermanere nella verità di Cristo,apparso anche in francese, sulla necessità della seconda sentenza conforme nei processi di nullità matrimoniale. Problema di non secondaria importanza già sollevato da diversi canonisti e studiosi di fama internazionale, da noi ripresi in precedenti articoli.

Alla vigilia del Sinodo sulla Famiglia (04-25 Ottobre 2015) escono diversi libri che si oppongono chiaramente alle innovazioni che pretendono di introdurre prelati progressisti, al seguito del cardinale Walter Kasper. DICI riporterà queste pubblicazioni progressivamente, mettendo in evidenza le risposte che esse danno alle critiche contro la dottrina della Chiesa sul matrimonio e la famiglia.

Per gentile concessione delle edizioni Artège, DICI presenta ai suoi lettori alcune pagine del libro Un Cardinale nel cuore della Chiesa, pubblicato il 17 settembre, nel quale Raymond Leo Burke, Cardinalis Patronus dell’Ordine di Malta, risponde alle domande di Guillaume d’Alençon, delegato episcopale per la famiglia e per la vita della diocesi di Bayonne. Le risposte del prelato americano, prefetto emerito del Tribunale della Segnatura Apostolica, sono particolarmente interessanti nel momento in cui Papa Francesco col Motu Proprio Mitis iudex Dominus Iesus eMitis et Misericors Iesus dell’8 Settembre 2015, ha appena semplificato notevolmente la procedura di nullità del matrimonio.

La misericordia finalizzata dalla conversione alla verità

A proposito delle « eccezioni pastorali », che i progressisti vogliono moltiplicare, a nome di una misericordia scissa dalla verità circa l’indissolubilità del matrimonio, il Cardinale Burke risponde nettamente.

Ormai molti fedeli ora hanno subito divorzi, pur restando annessi alla Chiesa. Crede che si possa articolare serenamente il rapporto tra dottrina e pastorale, misericordia e verità, senza cadere nella caricatura, nella dialettica?

Sì, in alcuni dibattiti si è potuta introdurre una dialettica tra misericordia e verità, disciplina e verità. Questo contrasto è risultato essere artificiale e falso. Perché ci sia una vera misericordia, è necessario che essa sia basata sulla verità. Allo stesso tempo, non possiamo mai dire che permane la dottrina quando la disciplina è contraddittoria, come quando qualcuno dice: «Insisto sulla indissolubilità del matrimonio ma, in alcuni casi, le persone che si sono separate dai loro coniugi legittimi e poi risposate possono accedere alla comunione eucaristica».
Com’è possibile che una persona legata da un matrimonio fallito possa intrecciare una relazione con un’altra, senza commettere adulterio o fornicazione? È impossibile. E comunque, dobbiamo conoscere le situazioni particolari, essere misericordiosi con la gente, ma [dobbiamo] invitare chi si trova in questa situazione a convertirsi, a far corrispondere le cose alla legge di Cristo. La misericordia è finalizzata dalla conversione, e quest’ultima è sempre una conversione alla verità. Infine, non vi è alcuna contraddizione tra la dottrina e la disciplina, poiché la prima anima la seconda.
Vedo anche un altro aspetto di questo problema. Quello della sofferenza dei figli, che sono le vittime del divorzio. I Pastori devono fare tutto il possibile per aiutare questi giovani nella loro fede. Non è relativizzando di fatto il valore del matrimonio sacramentale dei loro genitori che possiamo aiutare questi giovani a rispondere alla loro vocazione. La testimonianza della fedeltà di un coniuge, o di entrambi, nonostante la separazione, spesso porta i suoi frutti nella generazione successiva. Onorando la verità del sacramento del matrimonio, non solo si dà gloria a Dio, fonte di ogni bene, ma si rafforzano e consolano i giovani che hanno dovuto subire i conflitti dei genitori. Sono numerosi i figli di coppie separate, di cui almeno uno dei genitori è rimasto fedele alla grazia del sacramento del matrimonio, che si sono impegnati sulla via del matrimonio cristiano o della vocazione consacrata. La sofferenza si è trasformata in gioia, certamente per i figli, ma anche per i genitori. (...)

La Chiesa potrebbe cambiare la sua dottrina su questo argomento? Se un papa volesse, potrebbe?

No, è impossibile che la Chiesa cambi il suo insegnamento per quanto riguarda l’indissolubilità del matrimonio. La Chiesa, Sposa di Cristo, obbedisce alle sue parole nel capitolo 19 del Vangelo di Matteo, che sono molto chiare per quanto riguarda la natura del matrimonio. Nessuno contesta il fatto che sono stesse parole di Cristo e, dalla risposta degli apostoli, il peso di queste parole per coloro che sono chiamati alla vita matrimoniale è molto chiaro. Nel suo insegnamento sul matrimonio, Cristo chiarisce bene che espone la verità sul matrimonio come era dal principio, come Dio lo ha voluto dalla creazione dell’uomo e della donna. In altre parole, l’indissolubilità del matrimonio è una questione che deriva dalla legge naturale, la legge di Dio scritta nel cuore di ogni uomo. Il Papa, come successore di San Pietro nella sua cura pastorale della Chiesa universale, è il primo tra i cristiani ad essere vincolato a obbedire alla parola di Cristo. (pp. 130-132)

Un giudizio conforme alla verità e al diritto

È utile raffrontare le parole del cardinale Burke con ciò che egli già detto lo scorso anno nel libro scritto in collaborazione con altri quattro cardinali Permanere nella verità di Cristo (Artège, 2014) sul tema «Il processo canonico nella nullità del matrimonio: una ricerca della verità ». Egli insiste sulla necessità di un processo condotto con grande cura, al fine di raggiungere la verità in una questione che coinvolge la salvezza eterna degli interessati.
«Ricordo l’immagine usata dal mio professore di procedura canonica alla Pontificia Università Gregoriana, padre Ignacio Gordon, SJ, durante i miei anni di studio. Egli ha detto che il processo canonico e i suoi vari elementi potrebbero essere paragonati ad una chiave i cui denti dovrebbe corrispondere ai contorni sinuosi della serratura della natura umana; è solo quando tutti i denti sono tagliati con precisione che la chiave apre la porta alla verità e alla giustizia. È particolarmente sorprendente che oggi, nonostante i numerosi proclami a favore dei diritti umani, vi è una vera e propria mancanza di attenzione per le procedure giuridiche sviluppate con cura che garantiscono il mantenimento e la promozione dei diritti di tutte le parti, e in una questione che coinvolge la loro salvezza eterna, vale a dire, il loro diritto a un giudizio basato sulla verità, al fine di risolvere la questione della nullità del loro matrimonio. È particolarmente interessante sentire che un processo giudiziario ben fatto dovrebbe essere sostituito da una procedura amministrativa rapida». (p. 210)

E su mostrare i legami tra verità e carità:
«Una delle caratteristiche principali di un tribunale deve essere l’obiettività o imparzialità, che è il pegno e il marchio della ricerca della verità. Tale oggettività dovrebbe essere particolarmente evidente nei tribunali della Chiesa, il cui compito è di aver cura non solo di essere ma anche mostrarsi imparziale. La giusta osservanza delle norme procedurali è un mezzo importante per garantire in maniera reale ed evidente l’imparzialità del tribunale, che potrebbe essere compromessa in molti modi, uno più sottile dell’altro.
La disciplina del processo giuridico non è affatto in contrasto con l’approccio veramente pastorale o spirituale alla eventuale nullità del matrimonio. Al contrario, essa conserva e promuove la giustizia fondamentale e insostituibile, senza cui sarebbe impossibile esercitare la carità pastorale. (p.213)
La procedura canonica per dichiarare la nullità del matrimonio, a causa del suo rispetto per il diritto ad un giudizio conforme alla verità, è un elemento necessario per l’esercizio della carità pastorale nei confronti di coloro che chiedono la nullità del consenso matrimoniale. (p. 214)
Il tribunale collegiale o il giudice unico non hanno il diritto di sciogliere un matrimonio valido; essi possono solo cercare la verità su un matrimonio in particolare, e successivamente dichiarare con autorità che hanno la certezza morale che la nullità del matrimonio è stata veramente stabilita o accertata (constat de nullitate), o che la stessa certezza morale non è stata raggiunta (non constat nullitate). Poiché il matrimonio gode del favore del diritto, non è richiesto provarne la validità; sarà sufficiente dichiarare che la sua nullità non è stata dimostrata. (...)
Nel suo discorso annuale alla Rota Romana del 1944, Pio XII ricorda che ‘nel processo matrimoniale il fine unico è un giudizio conforme alla verità e al diritto, concernente nel processo di nullità la asserita non esistenza del vincolo coniugale...’. Tutti coloro che sono coinvolti in un processo canonico, ha detto, devono condividere questo obiettivo comune, in base alla natura specifica delle rispettive funzioni. Questa attività giudiziaria unificata è di ordine fondamentalmente pastorale, cioè è diretta verso lo stesso obiettivo che unifica l’azione di tutta la Chiesa: la salvezza delle anime». (pp. 217-219)

La necessità di doppia sentenza conforme

Nello stesso studio su «Il processo canonico di nullità del matrimonio: una ricerca della verità», il Cardinale Burke ha già risposto all’obiezione che non è necessario ottenere una doppia sentenza conforme per confermare una dichiarazione di nullità del matrimonio. Purtroppo le recenti disposizioni di papa Francesco hanno rimosso questa doppia sentenza conforme. Nel suo studio, il prelato americano ha mostrato in anticipo tutti i rischi - in particolare canonici e spirituali - che questa decisione comporta per i giudizi che ormai saranno pronunciati, a meno che il Sinodo non pervenga a far abrogare la riforma, come chiede lo storico Roberto de Mattei in Corrispondenza Romana del 17 settembre. Sotto il titolo: «Si possono discutere gli atti di governo del Papa?» egli scrive: «Il motu proprio di Papa Francesco, che è fino a questo momento il suo più rivoluzionario atto di governo, non è ancora in vigore, fino all’8 dicembre 2015. È illegittimo chiedere che nel Sinodo si discuta di questa riforma matrimoniale e che un gruppo di cardinali “zelanti”(come i cardinali che si sono opposti al nuovo matrimonio di Napoleone con Maria Luisa, e che Pio VII riconobbe successivamente che avevano ragione ndr) ne chieda l’abrogazione?».
«Nelle discussioni che hanno accompagnato la preparazione del Sinodo dei Vescovi, è spesso apparsa la necessità di una doppia sentenza conforme per confermare una dichiarazione di nullità del matrimonio. Alcuni sembrano credere che nella Chiesa sia già stato deciso di eliminare l’obbligo di questa doppia sentenza conforme, che considerano come uno degli elementi di ‘pesante giuridismo’ dell’attuale procedura di nullità. Molti hanno sostenuto che la seconda istanza non avrebbe più senso, quando il processo in prima istanza sia stato ben condotto.
Se il processo è stato ben condotto in prima istanza, il conseguimento di una doppia sentenza conforme, seguita dal decreto di ratifica non prende troppo tempo al tribunale di seconda istanza. ‘Ben condotto’ significa che il caso è stato ascoltato e discusso, che gli atti sono completi e in ordine, e la sentenza espone correttamente gli elementi e il ragionamento alla base della sentenza, indicando in modo chiaro e prudente il percorso seguito da giudici per determinare, dai punti di fatto e di diritto, che la nullità del matrimonio in questione è stata dimostrata con certezza morale. Inoltre, i buoni giudici, consapevoli dell’importanza dell’unione coniugale per la vita della Chiesa e della società in generale, così come del problema di una giusta sentenza in una causa di nullità del matrimonio, sono riconoscenti del fatto che il loro giudizio venga riesaminato in seconda istanza da parte di altri giudici.
In pratica, la revisione obbligatoria in seconda istanza incoraggia tutti a fare del proprio meglio. Senza questa istanza, c’è il rischio di negligenza nel trattamento delle cause. Questo è stato tragicamente evidente quando erano in vigore nei tribunali ecclesiastici degli Stati Uniti d’America le American Procedural Norms (Norme americane di procedura). Da luglio 1971 al novembre 1983, l’obbligo di una doppia condanna conforme è stato eliminato negli Stati Uniti a causa del potere concesso alla Conferenza episcopale di dispensare dalla doppia sentenza conforme ‘quei casi eccezionali in cui, dopo il giudizio del difensore del vincolo e del suo ordinario contro una decisione affermativa sarebbe ovviamente superfluo’. Come si poteva prevedere, i soli casi eccezionali, in pratica, sono stati quelli in cui un appello non era considerato superfluo. In realtà, non ho mai trovato la minima indicazione che la Conferenza episcopale abbia rifiutato una sola richiesta di dispensa fra le centinaia di migliaia che ha ricevuto».
Nel corso di questi dodici anni, quando la Segnatura Apostolica ha avuto l’opportunità di riesaminare alcuni di questi casi, non si comprendeva come il difensore del vincolo e il suo Ordinario avessero potuto considerare il ricorso come superfluo, e ancor meno come la Conferenza episcopale potesse concedere la dispensa richiesta. Agli occhi e secondo il linguaggio comune dei fedeli, il processo di nullità del matrimonio finirebbe, non senza ragione, col ricevere il nome di ‘divorzio cattolico.’Anche se la promulgazione del Codice di Diritto Canonico nel 1983 ha messo fine a questa situazione straordinaria, la scarsa qualità di molte sentenze di prima istanza esaminate dalla Segnatura e la chiara mancanza di qualsiasi seria revisione da parte di alcuni tribunali d’appello, ha mostrato il grave danno alla dichiarazione di nullità del matrimonio a causa dell’effettiva omissione della seconda istanza.
La vasta esperienza della Segnatura Apostolica in questo campo non è, ovviamente, limitata agli Stati Uniti d’America. Essa dimostra senza ombra di dubbio la necessità di una doppia decisione conforme per raggiungere una dichiarazione di nullità del matrimonio. L’importanza di questa condizione è confermata dallo studio delle relazioni annuali dei tribunali e dalla revisione delle sentenze definitive dei tribunali di prima istanza. Questa esperienza della Segnatura Apostolica costituisce anche una fonte unica di conoscenza di come amministrare la giustizia nella Chiesa universale, incarnata nelle Chiese particolari. Una semplificazione del processo nella nullità del matrimonio non potrebbe essere presa in considerazione, senza uno studio approfondito, alla luce del servizio reso dalla Segnatura Apostolica alle Chiese particolari».(pp. 229-233)

Si può osservare che la commissione speciale creata dal Papa nel mese di agosto 2014, per riformare la procedura di dichiarazione di nullità, non ha quasi beneficiato della vasta esperienza del cardinale Burke come Capo della Segnatura Apostolica da quando è stato dimesso dal suo incarico di Prefetto, l’8 novembre dello stesso anno.

San Pio X, un vero riformatore

I lettori di DICI, organo della Fraternità San Pio X, saranno certamente interessati alle parole del cardinale Burke sull’opera di Papa Pio X, nell’ultima parte della sua intervista con G. Alançon.

Lei sta dicendo che abbiamo finalmente bisogno di «restaurare tutte le cose in Cristo» questo bel motto di San Pio X nel 2014 abbiamo celebrato il centenario della morte.

Si tratta di un grande Papa ...

Cosa pensa della figura di San Pio X, a cento anni dalla sua morte? È superata?

Per me è un grande riformatore nella continuità. Ha riformato molti aspetti della vita della chiesa perché essa si mantenga più fedele alla Tradizione. Uno dei suoi primi atti fu un motu proprio sulla musica sacra. Ha avuto anche l’intuizione che quando un bambino può riconoscere nell’ostia il corpo di Cristo è in grado di fare la Prima Comunione, che lo ha portato a rivedere la disciplina su questo punto. Ha riformato con grande genialità il diritto canonico, per non parlare della Curia romana che ha reso più efficiente. Ancora oggi, ci riferiamo a Sapienti consilio. Era anche un grande catechista. Ha riformato la catechesi e scritto quello che viene ora chiamato il Catechismo di San Pio X. Lo insegnava la domenica al popolo di Dio nel Cortile di San Damaso. La gente veniva da lontano per ascoltarlo. Sulla Sacra Scrittura, scrisse molto per promuoverne la lettura. Combatté anche le eresie, le aberrazioni del modernismo. Oggi, i teologi dicono che non era un grande teologo. Ma quando ho letto i suoi scritti sul modernismo, vedo che ha capito molte cose, perché un gran numero di errori che ha identificato sono sempre attuali. In sintesi, potremmo dire che è stata una bella figura di pastore d’anime, pastor animarum. Quando si leggono i suoi scritti, i suoi consigli, tutto è orientato verso la cura delle anime.

N.B. I titoli ed i passaggi sottolineati sono della redazione di DICI, che invita a far riferimento ai libri citati per trarre giovamento dalle numerose note che accompagnano le affermazioni del cardinale Burke.
Il Cardinale Raymond Leo Burke, Un Cardinale nel cuore della Chiesa, intervista con Guillaume d’Alançon, Artège, 2015, 184 p. € 17,50
Permanere nella verità di Cristo - Il matrimonio e la comunione nella Chiesa cattolica. Artège, 312 pp., € 19,90
(Fonti: Artège /Corrispondenza europea - DICI n 321 del 25 settembre 2015)
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

“Inaccettabile”. Il documento base del sinodo “compromette la verità”. Questo è parlare chiaro!

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Finalmente un parlare chiaro!
L’Instrumentum laboris, che riprende la Relazione finale dello scorso Sinodo straordinario e che riesuma – arbitrariamente – anche le proposizioni che non erano state approvate a maggioranza qualificata, si presenta nel complesso inaccettabile per un cattolico, in quanto contenente opinioni erronee, contrarie alla Rivelazione ed alla Tradizione della Chiesa; ovvero proposizioni false ed inesatte, favorevoli all’eresia ed al peccato, scandalose e temerarie; insomma un documento da rigettare e che nessun cattolico, degno di questo nome e del suo Battesimo, potrà accogliere!
Nella memoria di S. Girolamo, dottore della Chiesa, rilancio questo contributo dei tre teologi estensori, ringraziandoli per il loro lavoro indefesso a favore della Verità, nello smontare, pezzo dopo pezzo, gli errori.

Tintoretto, S. Girolamo nel deserto, 1571-72, Kunsthistorisches Museum, Vienna

Guercino, S. Girolamo nel deserto e la tromba del giudizio, 1650 circa, Hermitage, San Pietroburgo


Guercino, S. Girolamo nel deserto e la tromba del giudizio, XVII sec., Hermitage, San Pietroburgo

Francisco Camilo, S. Girolamo frustrato dagli angeli, 1651, museo del Prado, Madrid

Juan de Valdés Leal, Tentazione di S. Girolamo, 1657, museo de Bellas Artes, Siviglia

Juan de Valdés Leal, Flagellazione di S. Girolamo, 1657, museo de Bellas Artes, Siviglia

Alonso Cano, S. Girolamo penitente, 1660 circa, museo del Prado, Madrid


“Inaccettabile”. Il documento base del sinodo “compromette la verità”

Alla vigilia dell’assise, tre teologi con il sostegno di cardinali e vescovi criticano e rigettano l’“Instrumentum laboris”. Ecco il testo integrale del loro atto d’accusa

di Sandro Magister


ROMA, 29 settembre 2015 – Il testo che qui è reso pubblico si aggiunge ai numerosi pronunciamenti di diverso segno sui temi della famiglia, del matrimonio, del divorzio, dell’omosessualità, che si sono susseguiti con intensità crescente, nell’avvicinarsi dell’apertura del sinodo.
Si presenta come opera collettiva. Non solo perché sono tre i firmatari del testo, ma più ancora perché esso è nato e cresciuto, nell’arco di quasi un anno, per iniziativa e con l’apporto di numerosi altri cattolici, sacerdoti e laici, di varie nazioni d’Europa, e con l’attenzione e il sostegno di vescovi e cardinali, alcuni dei quali prossimi padri sinodali.
Il testo ha per oggetto i paragrafi più controversi della “Relatio” finale del sinodo del 2014, poi confluiti nei “Lineamenta” e nell’“Instrumentum laboris”, riguardanti la comunione ai divorziati risposati, la cosiddetta “comunione spirituale” e gli omosessuali.
A giudizio dei promotori del testo, questi paragrafi qua e là contraddicono la dottrina insegnata a tutti i fedeli dal magistero della Chiesa e dallo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica, al punto da “compromettere la Verità” e quindi rendere “non accettabile” l’intero “Instrumentum laboris”, come pure ogni “altro documento che ne riproponesse i contenuti e fosse posto ai voti alla fine della prossima assemblea sinodale”.
I tre sacerdoti e teologi che firmano il testo sono:
– Claude Barthe, 68 anni, Parigi, cofondatore della rivista “Catholica”, esperto di diritto e di liturgia, promotore dei pellegrinaggi a sostegno della “Summorum Pontificum”, autore di saggi quali “La messe une forêt de symboles”, “Les romanciers et le catholicisme”, “Penser l’œcuménisme autrement”.
– Antonio Livi, 77 anni, Roma, decano emerito della facoltà di filosofia della Pontificia Università Lateranense, socio ordinario della Pontificia Accademia di San Tommaso e presidente dell’unione apostolica “Fides et ratio” per la difesa della verità cattolica. La sua ultima opera, del 2012, si intitola: “Vera e falsa teologia”.
– Alfredo Morselli, 57 anni, Bologna, parroco, confessore e predicatore di esercizi spirituali secondo il metodo di sant’Ignazio. Licenziato al Pontificio Istituto Biblico, é autore di saggi quali “La negazione della storicità dei Vangeli. Storia, cause, rimedi (2006) e “Allora tutto Israele sarà salvato (2010). Il suo arcivescovo è il cardinale Carlo Caffarra.

Il testo può essere letto nella sua integralità, nella lingua originale italiana, in quest’altra pagina di www.chiesa:


Qui di seguito sono riprodotti la premessa e due dei quattro capitoli in cui il testo si articola: il primo sulla comunione ai divorziati risposati e il terzo sull’omosessualità.
__________

OSSERVAZIONI SULL’“INSTRUMENTUM LABORIS”

di Claude Barthe, Antonio Livi, Alfredo Morselli

In questo documento vengono articolate, in maniera puntuale, alla luce del Catechismo della Chiesa Cattolica e, in generale, del “depositum fidei”, delle perplessità verso la “Relatio Synodi” dello scorso Sinodo straordinario, ripresa ed ampliata poi nell’”Instrumentum laboris” per la XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi.
Anzi, è appena il caso di osservare come l’”Instrumentum” superi la stessa “Relatio”, ampliandone la portata, sia andato al di là delle intenzioni degli stessi Padri sinodali. In effetti, questo documento ha avuto cura di riprendere e rielaborare persino quelle proposizioni, che, non essendo state approvate a maggioranza qualificata dalla scorsa assise sinodale straordinaria, non dovevano né potevano essere incluse nel documento finale di quel Sinodo e che, perciò, dovevano reputarsi respinte.
Pertanto, anche laddove l’”Instrumentum” appaia adeguarsi alla Rivelazione ed alla Tradizione della Chiesa, ne risulta, in generale, compromessa la Verità, sì da rendere complessivamente non accettabile il documento, o altro che ne riproponesse i contenuti e fosse posto ai voti alla fine della prossima assemblea sinodale.
La pastorale non è l’arte del compromesso e del cedimento: è l’arte della cura delle anime nella verità. Per cui, per tutti i Padri sinodali valga il monito del profeta Isaia: “Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro” (Isaia 5, 20).
Non ultimo, va notato come l’”Instrumentum” sia stato, in larga misura, svuotato di significato teologico e superato, dal punto di vista canonico, dai due Motu proprio dello scorso 15 agosto, resi noti l’8 settembre seguente.

SOMMARIO

1 – Osservazioni sul § 122 (52)

A. – Un’ipotesi incompatibile con il dogma
B. – Un uso improprio del Catechismo della Chiesa Cattolica, traendone erroneamente argomenti per suffragare una forma di etica della situazione
C. – Un argomento non ad rem

2 – Osservazioni sui §§ 124-125 (53)

Non univocità del termine “Comunione spirituale” per chi è in grazia di Dio e per chi non lo è

3 – Osservazioni sui §§ 130-132 (55-56)

“Instrumentum laboris” e attenzione pastorale verso le persone con tendenza omosessuale: lacune e silenzi

4 - Comunione spirituale e divorziati risposati

Studio più approfondito sulla Comunione spirituale
__________

1 – OSSERVAZIONI SUL § 122 (52)

Premessa

La prossima assemblea del Sinodo dei Vescovi vuole trattare tanti problemi riguardanti la famiglia. Tuttavia, anche grazie al clamore mediatico e alle grandi attenzioni del Papa nei confronti dei divorziati risposati, la prossima assise è di fatto considerata come il Sinodo della Comunione ai divorziati. Uno dei temi che sarà affrontato sembra essere, di fatto e per i più, il tema del dibattito.
Si sa che, per risolvere un problema, è essenziale impostarlo bene. Purtroppo abbiamo di che ritenere che il documento che dovrebbe fornire la corretta impostazione di tutta la questione – ovvero l’“Instrumentum laboris” – sia invece fuorviante e pericoloso per la nostra fede.
Presentiamo alcune osservazioni sul paragrafo più problematico, riguardante la questione dell’ammissione alla S. Comunione di chi vive “more uxorio” pur non essendo canonicamente sposato; si tratta del § 122, che ripropone il § 52 della versione definitiva della “Relatio finalis” dell’assemblea del 2014.
Il testo in questione, il § 122 (52):
“122 (52). Si è riflettuto sulla possibilità che i divorziati e risposati accedano ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Diversi Padri sinodali hanno insistito a favore della disciplina attuale, in forza del rapporto costitutivo fra la partecipazione all’Eucaristia e la comunione con la Chiesa ed il suo insegnamento sul matrimonio indissolubile. Altri si sono espressi per un’accoglienza non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari ed a condizioni ben precise, soprattutto quando si tratta di casi irreversibili e legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze ingiuste. L’eventuale accesso ai sacramenti dovrebbe essere preceduto da un cammino penitenziale sotto la responsabilità del Vescovo diocesano. Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che «l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate» da diversi «fattori psichici oppure sociali» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1735)”.
Ci sono motivi per ritenere che il § 122 contenga:

A. – Un’ipotesi incompatibile con il dogma
B. – Un uso improprio del Catechismo della Chiesa Cattolica, traendone erroneamente argomenti per suffragare una forma di etica della situazione.
C. – Un argomento non “ad rem”

A. – Un’ipotesi incompatibile con il dogma, tale da configurarsi come dubbio volontario in materia di fede

“Si è riflettuto sulla possibilità che i divorziati e risposati accedano ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia”.
Questa riflessione è illecita e ricade sotto la specie del dubbio volontario in materia di fede, in base a quanto ha dichiarato solennemente il Concilio Vaticano I: “coloro che hanno ricevuto la fede sotto il magistero della Chiesa non possono mai avere giustificato motivo di mutare o di dubitare della propria fede”. In piena conformità con tutta la Tradizione della Chiesa, anche il Catechismo della Chiesa Cattolica pone il dubbio tra i peccati contro la fede:
CCC 2088: “Ci sono diversi modi di peccare contro la fede. Il dubbio volontario circa la fede trascura o rifiuta di ritenere per vero ciò che Dio ha rivelato, e la santa Chiesa ci propone a credere. […] Se viene deliberatamente coltivato, il dubbio può condurre all’accecamento dello spirito”.
Che l’affermazione “i divorziati civilmente risposati conviventi ‘more uxorio’ non possono accedere alla Comunione Eucaristica” appartenga a ciò che è proposto a credere come rivelato dalla Chiesa – e quindi non possa più essere rimesso in discussione –, è provato da:
Giovanni Paolo II, Esort. apost. “Familiaris consortio”, 22 novembre 1981, § 84:
La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia”.
Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati, 14 settembre 1994:
“5. La dottrina e la disciplina della Chiesa su questa materia sono state ampiamente esposte nel periodo postconciliare dall’Esortazione Apostolica «Familiaris consortio». L’Esortazione, tra l’altro, ricorda ai pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le diverse situazioni e li esorta a incoraggiare la partecipazione dei divorziati risposati a diversi momenti della vita della Chiesa. Nello stesso tempo ribadisce la prassi costante e universale, «fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla Comunione eucaristica i divorziati risposati» (Esort. apost. Familiaris consortio, n. 84: AAS 74 (1982) 185), indicandone i motivi. La struttura dell’Esortazione e il tenore delle sue parole fanno capire chiaramente che tale prassi, presentata come vincolante, non può essere modificata in base alle differenti situazioni.
“6. Il fedele che convive abitualmente «more uxorio» con una persona che non è la legittima moglie o il legittimo marito, non può accedere alla Comunione eucaristica. Qualora egli lo giudicasse possibile, i pastori e i confessori, date la gravità della materia e le esigenze del bene spirituale della persona (Cf. 1 Cor 11,27-29) e del bene comune della Chiesa, hanno il grave dovere di ammonirlo che tale giudizio di coscienza è in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa (Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 978 § 2). Devono anche ricordare questa dottrina nell’insegnamento a tutti i fedeli loro affidati”.
Pontificio consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione circa l’ammissibilità alla santa comunione dei divorziati risposati, 24 giugno 2000:
“Il Codice di Diritto Canonico stabilisce che: «Non siano ammessi alla sacra Comunione gli scomunicati e gli interdetti, dopo l’irrogazione o la dichiarazione della pena e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto» (can. 915). Negli ultimi anni alcuni autori hanno sostenuto, sulla base di diverse argomentazioni, che questo canone non sarebbe applicabile ai fedeli divorziati risposati. […]
“Davanti a questo preteso contrasto tra la disciplina del Codice del 1983 e gli insegnamenti costanti della Chiesa in materia, questo Pontificio Consiglio, d’accordo con la Congregazione per la Dottrina della Fede e con la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, dichiara quanto segue:
“1. La proibizione fatta nel citato canone, per sua natura, deriva dalla legge divina e trascende l’ambito delle leggi ecclesiastiche positive: queste non possono indurre cambiamenti legislativi che si oppongano alla dottrina della Chiesa. Il testo scritturistico cui si rifà sempre la tradizione ecclesiale è quello di San Paolo: «Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna» (1 Cor 11, 27-29. Cfr. Concilio di Trento, Decreto sul sacramento dell’Eucaristia: DH 1646-1647, 1661)”.
Anche il Catechismo della Chiesa Cattolica “ribadisce la prassi costante e universale «fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla Comunione eucaristica i divorziati risposati»“ e “gli insegnamenti costanti della Chiesa in materia”:
CCC 1650: «Oggi, in molti paesi, sono numerosi i cattolici che ricorrono al divorzio secondo le leggi civili e che contraggono civilmente una nuova unione. La Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo (“Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio”: Mc 10,11-12 ), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione. Per lo stesso motivo non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali. La riconciliazione mediante il sacramento della Penitenza non può essere accordata se non a coloro che si sono pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, e si sono impegnati a vivere in una completa continenza».

Conclusioni del § A.

Il § 122 dell’”Instrumentum laboris” ammette la possibilità di ciò che, per un cattolico, è del tutto impossibile. L’accesso alla comunione sacramentale ai divorziati risposati è presentata come una legittima possibilità, quando, invece, tale possibilità è stata già definita illecita dal magistero precedente (FC, CdF 1994, CCC, Pont. C. Testi Legislativi); è presentata come una possibilità non solo del tutto teorica (ragionando “per impossibile”), ma reale, quando invece l’unica possibilità reale per un cattolico coerente con la Verità rivelata è affermare l’impossibilità che lecitamente i divorziati risposati accedano alla comunione sacramentale. La questione è presentata come teologicamente aperta, quando è stata già dottrinalmente e pastoralmente chiusa (Ibidem); è presentata come se si partisse dal nulla del magistero precedente, quando, invece, il magistero precedente si è pronunciato con tale autorevolezza, da non ammettere più discussioni in merito (Ibidem).
Se qualcuno si ostinasse a voler ridiscutere ciò che viene proposto a credere come rivelato dalla Chiesa, formulando delle ipotesi che risultano incompatibili con il dogma, indurrebbe i fedeli a un dubbio volontario in materia di fede.

B. – Uso improprio del Catechismo della Chiesa Cattolica, traendone erroneamente argomenti per suffragare una forma di etica della situazione

“Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che «l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate» da diversi «fattori psichici oppure sociali» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1735)”.
In queste ultime righe del § 122 dell’”Instrumentum laboris”, si rimanda al § 1735 del Catechismo della Chiesa Cattolica per suffragare “la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti”, in vista di un’eventuale ammissione ai sacramenti dei “divorziati risposati”. Che cosa dice in realtà il § 1735 del Catechismo? Leggiamolo per intero:
“L’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali”.
E adesso cerchiamo di spiegare questo testo: ipotizziamo il caso di una povera ragazza in India o in Cina che viene sterilizzata subendo pressioni, o una ragazza di oggi in Italia che viene indotta ad abortire dai parenti suoi e del fidanzato... In questi casi sicuramente l’imputabilità è sminuita o annullata, ma non direttamente (simpliciter) per le tristi circostanze, ma per l’imperfezione dell’atto: un atto moralmente giudicabile – un atto umano, in termini più precisi – deve essere libero e consapevole.
Oggi, anche in Italia, con la cattiva educazione che si riceve fin dalla scuola materna, una ragazza può benissimo non rendersi conto che l’aborto è un omicidio: inoltre potrebbe essere psicologicamente fragile e non avere caratterialmente la grinta per andare contro tutti e tutto. È chiaro che la responsabilità morale di questa ragazza è attenuata.
Altro è il caso di un divorziato, risposato civilmente, che ha ritrovato la fede a giochi fatti: ipotizziamo sia stato abbandonato dalla moglie, che si sia risposato con l’errata idea di rifarsi una famiglia, e che non possa più ritornare con la prima vera unica moglie (magari questa si è riaccompagnata con un altro uomo e ha avuto dei figli da lui); questo fratello, pur pregando e partecipando attivamente alla vita della parrocchia, benvoluto dal parroco e da tutti i fedeli, consapevole del suo stato di peccato e neppure ostinato a volerlo giustificare, vive more uxorio con la moglie sposata civilmente, non riuscendo a vivere con lei come fratello e sorella. In questo caso, la scelta di accostarsi alla nuova moglie è un atto perfettamente libero e consapevole, e quanto detto dal § 1735 del Catechismo della Chiesa Cattolica non si può applicare nel modo più assoluto.
Lo stesso Catechismo insegna infatti, al § 1754:
“Le circostanze, in sé, non possono modificare la qualità morale degli atti stessi; non possono rendere né buona né giusta un’azione intrinsecamente cattiva”.
E Giovanni Paolo II, nell’enciclica “Veritatis splendor”, al § 115, affermava:
“È la prima volta, infatti, che il Magistero della Chiesa espone con una certa ampiezza gli elementi fondamentali di tale dottrina, e presenta le ragioni del discernimento pastorale necessario in situazioni pratiche e culturali complesse e talvolta critiche.
“Alla luce della Rivelazione e dell’insegnamento costante della Chiesa e specialmente del Concilio Vaticano II, ho brevemente richiamato i tratti essenziali della libertà, i valori fondamentali connessi con la dignità della persona e con la verità dei suoi atti, così da poter riconoscere, nell’obbedienza alla legge morale, una grazia e un segno della nostra adozione nel Figlio unico (cf. Ef 1,4-6). In particolare, con questa Enciclica, vengono proposte valutazioni su alcune tendenze attuali nella teologia morale. Le comunico ora, in obbedienza alla parola del Signore che a Pietro ha affidato l’incarico di confermare i suoi fratelli (cf. Lc 22,32), per illuminare e aiutare il nostro comune discernimento.
“Ciascuno di noi conosce l’importanza della dottrina che rappresenta il nucleo dell’insegnamento di questa Enciclica e che oggi viene richiamata con l’autorità del successore di Pietro. Ciascuno di noi può avvertire la gravità di quanto è in causa, non solo per le singole persone ma anche per l’intera società, con la riaffermazione dell’universalità e della immutabilità dei comandamenti morali, e in particolare di quelli che proibiscono sempre e senza eccezioni gli atti intrinsecamente cattivi”.

Conclusioni del § B.

Le parole di San Giovanni Paolo II sono inequivocabili: con l’autorità del successore di Pietro vengono riaffermate l’universalità e l’ immutabilità dei comandamenti morali, e in particolare di quelli che proibiscono sempre e senza eccezioni gli atti intrinsecamente cattivi. Inoltre viene confutata la artificiosa e falsa separazione di chi pretende di lasciare inalterata la dottrina immutabile, ma poi di conciliare l’inconciliabile, ovvero di comportarsi pastoralmente in modo non consequenziale con la dottrina stessa.
Infatti lo stesso santo Pontefice non ha scritto l’enciclica come un’esercitazione speculativa fuori dal mondo, ma ha voluto offrire le ragioni del discernimento pastorale necessario in situazioni pratiche e culturali complesse e talvolta critiche.
Certamente un divorziato risposato, come quello descritto nell’esempio precedente (caso assolutamente non raro), va amato, seguito, accompagnato verso la conversione completa e solo allora potrà ricevere la SS. Eucaristia. Questa conversione va annunciata come realmente possibile con l’aiuto della grazia, con la pazienza e la misericordia di Dio, senza contravvenire a una verità indiscutibile della nostra fede, per cui non si può fare la S. Comunione in stato di peccato mortale.

C. – Un argomento non “ad rem”

“… casi irreversibili e legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze ingiuste”.
L’ammissione ai Sacramenti non ha niente a che vedere con le situazioni irreversibili, in cui non è più possibile ricostituire il primo e vero matrimonio.
In queste situazioni, il principale obbligo morale che i divorziati risposati hanno nei confronti dei figli è quello di vivere in grazia di Dio, per poterli meglio educare; l’ammetterli o non ammetterli ai sacramenti non c’entra niente con gli obblighi nei confronti della prole. A meno che non si voglia negare che invece la Chiesa “con ferma fiducia crede anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità” (Familiaris consortio, 84).

[…]

3 – “INSTRUMENTUM LABORIS” E ATTENZIONE VERSO LE PERSONE CON TENDENZA OMOSESSUALE: LACUNE E SILENZI

L’attenzione pastorale verso le persone con tendenza omosessuale non è certo una novità nel magistero della Chiesa. L’“Instrumentum laboris”, rispetto alla “Relatio finalis” del 2014, rintuzza la lacuna più grave di quest’ultimo documento, ponendo più attenzione alle famiglie comprendenti persone omosessuali (famiglie quasi completamente dimenticate nella “Relatio”). Una pur giusta raccomandazione di evitare discriminazioni ingiuste alle persone con tendenza omosessuale, accennando appena alle loro famiglie, è quasi un “off-topic”, in un sinodo sulla famiglia.
Nella redazione dell’“Instrumentum laboris”, da un lato è stato aggiunto un paragrafo (il § 131) che raccomanda attenzione a questi nuclei familiari, tuttavia non c’è traccia di importanti e fondamentali indicazioni ribadite dal Magistero ordinario in materia.
Riteniamo che in un sinodo sulla famiglia, affrontare la problematica della omosessualità limitandosi a dire che non bisogna trattare male gli omosessuali e non lasciare sole le loro famiglie, sia un peccato di omissione.
Ecco il testo in questione:

“L’attenzione pastorale verso le persone con tendenza omosessuale

“130. (55) Alcune famiglie vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con orientamento omosessuale. Al riguardo ci si è interrogati su quale attenzione pastorale sia opportuna di fronte a questa situazione riferendosi a quanto insegna la Chiesa: «Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia». Nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali devono essere accolti con rispetto e delicatezza. «A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 4).
“131. Si ribadisce che ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con sensibilità e delicatezza, sia nella Chiesa che nella società. Sarebbe auspicabile che i progetti pastorali diocesani riservassero una specifica attenzione all’accompagnamento delle famiglie in cui vivono persone con tendenza omosessuale e di queste stesse persone.
“132. (56) È del tutto inaccettabile che i Pastori della Chiesa subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso”.
Ci sembra che al suddetto testo si possano fare le osservazioni che riportiamo di seguito.

Lacune e silenzi

Visto che siamo santamente esortati a metterci nella “condizione di ospedale da campo che tanto giova all’annuncio della misericordia di Dio”, è opportuno ricordare che, in ogni ospedale che si rispetti, i medici fanno il loro dovere quando: 1) diagnosticano la malattia, 2) somministrano la cura, 3) seguono il paziente fino alla guarigione; inoltre la Chiesa, “conoscendo le insidie d’una pestilenza”, mentre “si consacra alla guarigione di coloro che ne sono colpiti”, “cerca di guardare sé e gli altri da tale infezione”.
Ridurre (o tacere di tutto il resto) l’opera della Chiesa ad accogliere le persone con tendenze omosessuali con “rispetto e delicatezza” può essere assimilato tutt’al più – sempre seguendo la metafora dell’ospedale da campo – a una cura palliativa.
Inoltre ricordare solo il dovere di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione, senza dire altro, può sembrare un accodarsi alla propaganda contro la cosiddetta omofobia, che sappiano bene essere un grimaldello per introdurre nelle legislazioni norme esiziali, e nella coscienze l’accettazione della teoria del “gender”.
La Congregazione per la Dottrina della Fede faceva saggiamente osservare, nel 1986, che “una delle tattiche usate è quella di affermare, con toni di protesta, che qualsiasi critica o riserva nei confronti delle persone omosessuali, delle loro attività e del loro stile di vita, è semplicemente una forma di ingiusta discriminazione”.
Quando si parla di ingiusta discriminazione della persone omosessuali è dunque opportuno anche spiegare con chiarezza che cosa sia veramente ingiusta discriminazione e che cosa sia invece la doverosa denuncia del male.
Sempre la stessa Congregazione ribadiva che “ogni allontanamento dall’insegnamento della Chiesa, o il silenzio su di esso, nella preoccupazione di offrire una cura pastorale, non è forma né di autentica attenzione né di valida pastorale. Solo ciò che è vero può ultimamente essere anche pastorale”.

1 - Riteniamo che si debba con chiarezza diagnosticare la malattia, come per esempio ha fatto la Congregazione per la Dottrina della Fede, nel 2003; vediamo come la questione dell’ingiusta discriminazione è trattata in un contesto assai chiaro:
“Gli atti omosessuali, infatti, «precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun modo possono essere approvati» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2357).
“Nella Sacra Scrittura le relazioni omosessuali «sono condannate come gravi depravazioni... (cf. Rm 1, 24-27; 1 Cor 6, 10; 1 Tm 1, 10). Questo giudizio della Scrittura non permette di concludere che tutti coloro, i quali soffrono di questa anomalia, ne siano personalmente responsabili, ma esso attesta che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione ‘Persona humana’, 29 dicembre 1975, n. 8).
“Lo stesso giudizio morale si ritrova in molti scrittori ecclesiastici dei primi secoli (Cf. per esempio S. Policarpo, Lettera ai Filippesi, V, 3; S. Giustino, Prima Apologia, 27, 1-4; Atenagora, Supplica per i cristiani, 34) ed è stato unanimemente accettato dalla Tradizione cattolica.
“Secondo l’insegnamento della Chiesa, nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali «devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2358; cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 1º ottobre 1986, n. 10). Tali persone inoltre sono chiamate come gli altri cristiani a vivere la castità (Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2359; Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 1º ottobre 1986, n. 12). Ma l’inclinazione omosessuale è «oggettivamente disordinata» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2358) e le pratiche omosessuali «sono peccati gravemente contrari alla castità» (Ibid., n. 2396)”.
Inoltre deve essere ammessa la possibilità del peccato da parte di persone con tendenze omosessuali, non escludendo la confessione come aiuto soprannaturale talvolta necessario:
“Dev’essere comunque evitata la presunzione infondata e umiliante che il comportamento omosessuale delle persone omosessuali sia sempre e totalmente soggetto a coazione e pertanto senza colpa. In realtà anche nelle persone con tendenza omosessuale dev’essere riconosciuta quella libertà fondamentale che caratterizza la persona umana e le conferisce la sua particolare dignità. Come in ogni conversione dal male, grazie a questa libertà, lo sforzo umano, illuminato e sostenuto dalla grazia di Dio, potrà consentire ad esse di evitare l’attività omosessuale”.
L’amore si mostra anche svelando prospettive di falsa felicità:
“Come accade per ogni altro disordine morale, l’attività omosessuale impedisce la propria realizzazione e felicità perché è contraria alla sapienza creatrice di Dio. Quando respinge le dottrine erronee riguardanti l’omosessualità, la Chiesa non limita ma piuttosto difende la libertà e la dignità della persona, intese in modo realistico e autentico”.

2 - In secondo luogo è necessario prescrivere la cura:

a) prevenendo le infezioni dello spirito del mondo…
“… Coloro che si trovano in questa condizione dovrebbero essere oggetto di una particolare sollecitudine pastorale perché non siano portati a credere che l’attuazione di tale tendenza nelle relazioni omosessuali sia un’opzione moralmente accettabile”.
“[La Chiesa] si preoccupa sinceramente anche dei molti che non si sentono rappresentati dai movimenti pro-omosessuali, e di quelli che potrebbero essere tentati di credere alla loro ingannevole propaganda”.
b) … facendo ricorso anche alle scienze umane: la cura prescritta non deve essere solo di carattere morale: come la Chiesa, per favorire il retto uso del matrimonio, promuove la costituzione di consultori dove si insegnano i metodi naturali, così è opportuno che la Chiesa favorisca tutte quella forme di supporto psicologico, che in questi anni sono state fornite, con incoraggianti successi:
“In particolare i Vescovi si premureranno di sostenere con i mezzi a loro disposizione lo sviluppo di forme specializzate di cura pastorale per persone omosessuali. Ciò potrebbe includere la collaborazione delle scienze psicologiche, sociologiche e mediche, sempre mantenendosi in piena fedeltà alla dottrina della Chiesa”.
c) … e infondendo speranza: bisogna accompagnare le persone con orientamento omosessuale in un itinerario anche culturale, inteso a smascherare tutte le teorie omosessualiste (quali la teoria del “gender”) e slogan tipo “si nasce omosessuali”; questo slogan assopisce la coscienza di chi vuole restare così, e sopprime la speranza di chi vorrebbe uscirne.

3 - In terzo luogo bisogna seguire il paziente fino alla guarigione, che è la vita di grazia e la santità stessa; qualunque cosa, prescindendo dalla fede, viene chiamata disagio, è – per il credente – occasione provvidenziale di santificazione: “Diligentibus Deum, omnia cooperantur in bonum” (Rm 8, 28). Anche per questo aspetto, non troviamo parole migliori di quelle della Congregazione per la Dottrina della Fede:
“Che cosa deve fare dunque una persona omosessuale, che cerca di seguire il Signore? Sostanzialmente, queste persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, unendo ogni sofferenza e difficoltà che possano sperimentare a motivo della loro condizione, al sacrificio della croce del Signore. Per il credente, la croce è un sacrificio fruttuoso, poiché da quella morte provengono la vita e la redenzione. Anche se ogni invito a portare la croce o a intendere in tal modo la sofferenza del cristiano sarà prevedibilmente deriso da qualcuno, si dovrebbe ricordare che questa è la via della salvezza per tutti coloro che sono seguaci di Cristo.
“In realtà questo non è altro che l’insegnamento rivolto dall’apostolo Paolo ai Galati, quando egli dice che lo Spirito produce nella vita del fedele: «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé» e più oltre: «Non potete appartenere a Cristo senza crocifiggere la carne con le sue passioni e i suoi desideri» (Gal 5, 22. 24).
“Tuttavia facilmente questo invito viene male interpretato, se è considerato solo come un inutile sforzo di auto-rinnegamento. La croce è sì un rinnegamento di sé, ma nell’abbandono alla volontà di quel Dio che dalla morte trae fuori la vita e abilita coloro, che pongono in Lui la loro fiducia, a praticare la virtù invece del vizio.
“Si celebra veramente il Mistero Pasquale solo se si lascia che esso permei il tessuto della vita quotidiana. Rifiutare il sacrificio della propria volontà nell’obbedienza alla volontà del Signore è di fatto porre ostacolo alla salvezza. Proprio come la croce è il centro della manifestazione dell’amore redentivo di Dio per noi in Gesù, così la conformità dell’auto-rinnegamento di uomini e donne omosessuali con il sacrificio del Signore costituirà per loro una fonte di auto-donazione che li salverà da una forma di vita che minaccia continuamente di distruggerli.
“Le persone omosessuali sono chiamate come gli altri cristiani a vivere la castità. Se si dedicano con assiduità a comprendere la natura della chiamata personale di Dio nei loro confronti, esse saranno in grado di celebrare più fedelmente il sacramento della Penitenza, e di ricevere la grazia del Signore, in esso così generosamente offerta, per potersi convertire più pienamente alla sua sequela”.

4 - Infine cercare di guardare sé e gli altri da tale infezione:

“La coscienza morale esige di essere, in ogni occasione, testimone della verità morale integrale, alla quale si oppongono sia l’approvazione delle relazioni omosessuali sia l’ingiusta discriminazione nei confronti delle persone omosessuali. Sono perciò utili interventi discreti e prudenti, il contenuto dei quali potrebbe essere, per esempio, il seguente: smascherare l’uso strumentale o ideologico che si può fare di questa tolleranza; affermare chiaramente il carattere immorale di questo tipo di unione, richiamare lo Stato alla necessità di contenere il fenomeno entro limiti che non mettano in pericolo il tessuto della moralità pubblica e, soprattutto, che non espongano le giovani generazioni ad una concezione erronea della sessualità e del matrimonio, che le priverebbe delle necessarie difese e contribuirebbe, inoltre, al dilagare del fenomeno stesso”.

Conclusioni

Il richiamo del tema dell’aiuto alle famiglie con figli con tendenza omosessuale offre occasione di interrogarsi sul perché di questa menzione a discapito di altri disagi ben più diffusi che le famiglie vivono; inoltre la tematica è posta in modo da scivolare da problema della famiglia a problema delle persone omosessuali tout-court, “off-topic” rispetto all’oggetto proprio del sinodo.
Inoltre, il paragrafo in questione, pur dovendosi quantitativamente mantenere nello spazio di poche righe, omette il richiamo delle vere problematiche legate alla pastorale delle persone omosessuali; questo silenzio è tanto più colpevole quanto spaventosa è oggi l’avanzata dell’ideologia del “gender”.
[…]
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Il documento base del sinodo, oggetto delle “Osservazioni”:


Religioni, Cristianesimo, fatti, in un aforisma del card. Biffi

Girolamo, la Bibbia e la Terra Santa

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“Remígius, epíscopus Rheménsis, flóruit Clodovéo rege Francórum; quem étiam baptizávit, et, primus ómnium, doctrína et miráculis Francos ad Christi Dómini fidem perdúxit” (Lect. III – Noct.) - SANCTI REMIGII, EPISCOPI RHEMENSIS ET CONFESSORIS

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Questo grande apostolo dei Franchi, che battezzò il re Clodoveo e che governò, per più di sessant’anni, dal 459 al 533, la sede di Reims, morì il 13 gennaio.
Il martirologio geronimiano annuncia, infatti, la deposizione di san Remigio il 15 gennaio (verso il 530) e molti dei suoi manoscritti menzionano il 1° ottobre la traslazione del suo corpo.
Tuttavia, dall’epoca di Gregorio di Tours, la sua festa di celebrava in questo giorno, anniversario della prima traslazione del suo santo corpo (cfr. San Gregorio di Tours, Historia Francorum, lib. VIII, cap. XXI, in PL 71, col. 463: «... Factum est autem, ut post dies paucos adesset festivitas beati Remigii, quæ in initio mensis Octobris celebratur»). Più tardi, sotto san Leone IX, nel 1049, si fece coincidere una seconda traslazione delle reliquie di san Remigio con questa stessa data (cfr. la notizia dei Bollandisti, De S. Remigio Episcopo Remensi, cap. XVIII, § 328, in Acta Sanctorum, Octobris, vol. I, Dies 1, Parigi-Roma 1866, p. 118).
Pure Beda conosce solamente la festivitas sancti Remedii, il 1° ottobre. Floro ed Adone fanno lo stesso, mentre Usuardo fissa la deposizione di S. Remigio al 13 gennaio e la sua traslazione al 1° ottobre. Il calendario di san Villibrordo (verso il 715) ed i calendari di San Gallo del IX sec. optano per il 1° ottobre, escludendo il 13 o 15 gennaio. Questa è anche la data alla quale è menzionata la festa di san Remigio nei sacramentari, il più antico dei quali è quello di Drogone di Metz (+ 855), celebre per le sue notizie. Dalla seconda metà del IX sec. al XII si può seguire lo sviluppo geografico della festa a partire dalla regione della Champagne verso la Germania (Fulda, Neider-Altaich) e l’Inghilterra (Winchcombe), la Spagna (Ripoll) e l’Italia (Arezzo), mentre si afferma profondamente in Francia.
Sovente al nome di san Remigio sono uniti quelli di san Germano d’Auxerre e di san Vedasto, di cui si commemora parallelamente la traslazione.
Il 1° ottobre 1049, il papa san Leone IX rinnoverà la dedicazione della basilica di san Remigio, ma non sembra che la devozione del pontefice verso l’Apostolo dei Franchi abbia contribuito ad introdurre il suo culto a Roma, poiché non si trova menzione della sua festa prima della sua iscrizione nel calendario del Laterano (cfr. Pierre Jounel, Le Culte des Saints dans les Basiliques du Latran et du Vatican au douzième siècle, École Française de Rome, Palais Farnèse, 1977, p. 295).
Tutti conoscono le parole attribuite a Remigio quando battezzò Clodoveo, novello Costantino: «China umilmente il capo, o fiero Sicambro; adora quello che hai bruciato, brucia quello che hai adorato [sinora]» («Mitis depone colla, Sicamber: adora quod incendisti, incende quod adorasti» - ibidem, lib. II, cap. XXXI, ivi, col. 227A; Incmaro di Reims, Vita Sancti Remigii Rhemorum Archiepiscopi, cap. XXXIX, ivi, 125, col. 1160, nonché in Mon. Germ. Hist., Script. Rerum Merovingicarum, Passiones vitæque Sanctorum Ævi Merovingici et antiquiorum aliquot, t. III, Hannoveræ 1906, lib. I, cap. XV, p. 297; Id., Vita prolixior S. Remigii episc. Remensis, cap. IV, § 64, in Acta Sanctorum, cit., p. 146. V. anche il profilo biografico tratto dai Bollandisti, De S. Remigio Episcopo Remensi,ivi, cap. VII, § 118, p. 80. Cfr. Levillain Léon, La conversion et le baptême de Clovis, in Revue d’histoire de l’Église de France, 1935, p. 182).
In quel giorno nacque la lunga serie di Re cristianissimi e la Figlia primogenita della Chiesa romana ricevé il suo battesimo cattolico che irrigò perfino il giglio della sua corona reale.
San Remigio brillò non solo per la sua santità, ma anche per la fama della sua dottrina e dei suoi miracoli (si racconta che riscuscitò persino un morto: cfr. San Gregorio di Tours, op. ult. cit.: «Erat enim sanctus Remigius episcopus egregiæ scientiæ, et rhetoricis adprime imbutus studiis: sed et sanctitate ita prælatus, ut sancti Sylvestri virtutibus æquaretur. Est enim nunc liber Vitæ ejus, qui eum narrat mortuum suscitasse»). Le sue omelie sono andate perdute, ma ci restano ancora quattro lettere di lui (San Remigio di Reims, Opuscola, in PL 65, col. 963C-970C. Altre due lettere sono ivi, 71, col. 1157B-1157C), alcuni versi di sua composizione, incisi su un calice (Id., Versus A. B. Remigio Dedicati, ivi, 65, 974C-975A: «Hauriat hinc populus vitam de sanguine sacro,Injecto æternus quem fudit vulnere Christus. Remigius reddit Domino sua vota sacerdos». Secondo Icmaro queste sono le parole che san Remigio fece incidere su un calice (Icmaro di Reims, op. cit., cap. V, ivi, 125, col. 1135B, nonché in MGH, cit., p. 262), ed il suo testamento (San Remigio di Reims, Testamentum, in PL 65, col. 969C-974B).
La messa è la stessa del 4 febbraio, ma la prima colletta è simile a quella di san Liborio, il 23 luglio.








Tomba di S. Remigio, Basilica di Saint-Remi, Reims

Pierre Puget, Battesimo di Clodoveo, 1653, Musée des beaux-arts, Marsiglia


Jean Alaux, Battesimo di Clodoveo, 1825, Musée des beaux-arts, Reims

François Louis Dejuinne, Il battesimo di Clodoveo a Reims il 25 dicembre 496, 1839, musée national des châteaux de Versailles et de Trianon, Versailles


Joseph Blanc, Battesimo di Clodoveo, 1881 circa, Panthéon, Parigi

Franz Ittenbach, S. Remigio, XIX sec., Siebengebirgsmuseum, Bonn

Fede, vita corrotta in un aforisma di S. Giovanni Crisostomo


Dialogo, ecumenismo, cattolici e loro estinzione in un aforisma del card. Biffi

Ciò che vuole Dio, non ciò che concederebbe il papa - Editoriale di ottobre di “Radicati nella fede”

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Nella memoria liturgica dei Santi Angeli Custodi, rilancio quest’editoriale di Radicati nella fede del mese di ottobre 2015, ripreso anche da Chiesa e postconcilio.


Benedetto Gennari, Angelo custode, XVIII sec., collezione privata

Guercino, Angelo custode, XVII sec., Pinacoteca civica, Fano

Antonio de Pereda y Salgado, Angelo custode, 1646

Domenichino, Angelo custode, 1615, Museo di Capodimonte, Napoli

CIÒ CHE VUOLE DIO, NON CIÒ CHE CONCEDEREBBE IL PAPA

Editoriale “Radicati nella fede”
Anno VIII n. 10 - Ottobre 2015


Lo scrivevamo il mese scorso, la nuova messa post-conciliare culla l’agnosticismo, culla il dubbio di fede e l’incertezza perenne, perché intrattiene in un dialogo estenuante tra prete e assemblea e non abitua più a porsi difronte a Dio solo. Per assurdo nella nuova messa, così umana e comunitaria, ci può stare anche chi non crede quasi più o continua a custodire i propri dubbi di fede. Ci può stare chi, non essendo credente, cerca dei motivi più umani per frequentare ancora la chiesa, magari pensando al bene psicologico o sociale che in essa si può ancora trovare. È un agnosticismo a metà, l’agnosticismo di chi, pur non stando difronte a Dio, non si decide ad abbandonare la Chiesa.
Passateci il termine, è una sorta di “agnosticismo cattolico”.
Questo “agnosticismo cattolico”, cullato nella nuova messa, non si ferma al rito, ma investe tutti gli aspetti dell’appartenenza cattolica, come tutto l’affronto della vita. È un agnosticismo universale, che coinvolge tutto, è “cattolico” appunto.
L’agnosticismo cattolico non fa decidere se stare con Dio oppure no, ed è per questo pericolosissimo, illude. Ti illude, ti fa pensare ancora cattolico mentre non lo sei più; e illudendoti rende impossibile il pianto e il dolore che ti porterebbero alla conversione. 
L’agnostico cattolico ha seri dubbi di fede, ma vuole ancora appartenere alla Chiesa.
Perché fa così? Semplicemente perché il peccato non è ragionevole, è contraddittorio, non ha logica. Il peccato si nutre di sentimento, non di ragione. Non credi più o quasi, ma ci tieni ancora alla Chiesa. Ci tieni forse per una nostalgia delle tue radici o forse perché, in un mondo tutto sociale, occorre appartenere ancora a qualche cosa; un club deve pur esserci ancora per te.
E come fa un simile fedele ad appartenere ancora alla Chiesa? Deve domandare che la Chiesa si adegui all’agnosticismo moderno. Deve domandare, pretendere, che la Chiesa si “umanizzi”, perché sia ancora interessante per quelli che, come lui, non sanno più come Dio sia e cosa voglia; per quelli che, come lui, fanno della loro ricerca di Dio il tutto, rifiutando la Rivelazione. Se credono ancora nell’esistenza di Dio, ci tengono a dire che su di Lui c’è libera ricerca e libero pensiero, perché la Rivelazione, Tradizione e Scrittura, è in fondo un’ espressione umana da reinterpretare nel continuo cammino dell’uomo.
In sostanza chiedono una chiesa “latitudinarista”, quella di anglicana memoria: nell’ Inghilterra anglicana, accanto alla chiesa alta e alla chiesa bassa, nel XIX secolo si instaurò sempre più una “Chiesa Larga”, cioè “scettica, beata nel suo scetticismo dogmatico, appena limitato da una certa convenienza esteriore, adattabile a qualunque dottrina” (C. Lovera di Catiglione, Il movimento di Oxford, Morcelliana 1935, p.42).
Siamo ormai anche noi alla Chiesa larga, alla chiesa senza dogma, senza morale assoluta, che salva solo qualche convenienza esteriore, e per questo con la necessità di adattarsi continuamente a quello che la società le chiede di mano in mano.
Solo che questi agnostici di casa nostra, sentendosi ancora cattolici, a chi chiedono questa chiesa larga? La chiedono al Papa, certo!
Assistiamo ai giorni nostri proprio a questa tragica assurdità: i cattolici latitudinaristi, agnostici ma desiderosi di appartenere ancora alla Chiesa, chiedono che il Papa allarghi su tutto, dottrina e morale. Chiedono che il Papa faccia una casa grande dove tutti, proprio tutti, possano stare dentro; tutti eccetto i non-latitudinaristi, i tradizionali.
E siccome sono agnostici, non si chiedono se Dio lo vuole, ma se il Papa lo concede! Siamo ormai alla follia.
I mesi che verranno saranno il teatro di questi latitudinaristi di ogni ordine e grado, fedeli-preti-vescovi-cardinali. Battaglieranno per ottenere dal Papa più concessioni possibili, ma tutte quelle che otterranno non avranno alcun valore, perché non si domandano cosa Dio voglia.
La Chiesa è di Dio, suo unico Signore è Gesù Cristo, e vi appartiene solo chi domanda la verità di Dio e la volontà di Dio. Le concessioni degli ecclesiastici, più o meno larghe, più o meno alla moda con l’immoralità del mondo, non valgono nulla. Non valgono nulla perché gli ecclesiastici hanno l’unico potere di ripetere la volontà di Dio e di aiutare le anime a compierla.
Dio ha parlato, si è rivelato, non è rimasto un Dio sconosciuto; non è un Dio per gli agnostici. Se fosse così non ci sarebbe la Chiesa, né il Papa, né i vescovi né i preti.
Il Papa c’è per custodire ciò che c’è già, ciò che è di Dio. Il Papa non costruisce un Dio per gli agnostici del momento, questo sarebbe mostruoso, sarebbe di fatto l’ateismo.
Il Papa non è un sorta di “ Re Mida”, che toccando trasforma in buono ciò che non lo è. Il Papa ha l’unico potere di ricordare ciò che Dio ha rivelato e chiesto, punto.
Per questo, nei mesi che verranno, dovremo chiedere la grazia di non scandalizzarci, cioè di non inciampare nella fede, vedendo i tanti, i troppi cattolici agnostici inneggiare alle possibili concessioni della gerarchia allo spirito del mondo, nella dottrina e nella morale.
E non ci scandalizzeremo se ci terremo fermi nella domanda: ma tutto questo Dio lo vuole? Tutto questo allargare le maglie sulle religioni non cristiane, sul matrimonio e sui divorziati risposati, sulla disciplina dei sacramenti, Dio lo vuole? Tutte le parole tenere sulle immoralità alla moda, Dio le vuole? Dio ha parlato così? Cosa dice la Sacra Scrittura e l’insegnamento bimillenario della Chiesa che le fa eco?
Non ciò che il Papa concederà, ma ciò che Dio vuole: questo dobbiamo domandarci.
Solo così sarà al sicuro la nostra anima, solo così sarà salva la Chiesa stessa, Papa, cardinali, vescovi, preti e fedeli insieme.
Alla fine della vita compariremo difronte a Dio, e saremo giudicati se avremo fatto la sua volontà, e non su quanto avremo ottenuto dal Papa.

Fonte: Radicati nella fede, 29.9.2015

Non dimentichiamo i nostri Angeli custodi di cui oggi ricorre la festa

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Rilancio da Chiesa e postconcilio:

Non dimentichiamo i nostri Angeli custodi di cui oggi ricorre la festa

Angele Dei, qui custos es mei,
me, tibi commíssum pietáte supérna,
illúmina, custódi, rege et gubérna.
Amen.

Oggi è la festa degli Angeli custodi, laicisticamente trasformata nella "festa dei nonni" dal 2005, per legge del parlamento italiano e proprio, guarda caso, per il 2 ottobre: il giorno della ricorrenza degli Angeli custodi che, nel nuovo mondo secolarizzato, assumono ora il volto dei nonni. Che in qualche modo lo sono, angeli custodi, ma in maniera molto umana e non soprannaturale come quella che ci stiamo perdendo chi per indifferenza e chi per ignoranza, nella totale incuria dei Pastori, sulla maggior parte dei quali è meglio stendere un velo pietoso.
Oltre alle parole di Padre Pio pubblicate di seguito, vi invito a rileggere (o a scoprire, per chi ci conoscesse solo ora) uno splendido insegnamento: Il ministero dei Santi Angeli nella Comunione dei Santi [qui].

Padre Pio parla dell'Angelo Custode

In una lettera scritta da Padre Pio a Raffaelina Cerase il 20 aprile 1915, il Santo esalta l’amore di Dio che ha donato all’uomo un dono così grande come l’Angelo Custode:
«O Raffaelina, quanto consola il sapersi di essere sempre sotto la custodia di un celeste spirito, il quale non ci abbandona nemmeno (cosa ammirabile!) nell’atto che diamo disgusto a Dio! Quanto riesce dolce per l’anima credente questa grande verità! Di chi dunque può temere l'anima devota che si studia d’amare Gesù, avendo sempre con sé un sí insigne guerriero? O non fu egli forse uno di quei tanti che assieme all'angelo san Michele lassù nell'empireo difesero l’onore di Dio contro satana e contro tutti gli altri spiriti ribelli ed infine li ridussero alla perdita e li rilegarono nell'inferno?Ebbene, sappiate che egli è ancor potente contro satana e i suoi satelliti, la sua carità non è venuta meno, né giammai potrà venir meno dal difenderci. Prendete la bella abitudine di pensar sempre a lui. Che vicino a noi sta uno spirito celeste, il quale dalla culla alla tomba non ci lascia mai un istante, ci guida, ci protegge come un amico, un fratello, deve pur riuscire a noi sempre di consolazione, specie nelle ore per noi più tristi.Sappiate, o Raffaelina, che questo buon angelo prega per voi: offre a Dio tutte le vostre buone opere che compite, i vostri desideri santi e puri. Nelle ore in cui vi sembra di essere sola e abbandonata non vi lagnate di non avere un anima amica, a cui possiate aprirvi ed a lei confidare i vostri dolori: per carità, non dimenticate questo invisibile compagno, sempre presente ad ascoltarvi, sempre pronto a consolarvi.O deliziosa intimità, o beata compagnia! O se gli uomini tutti sapessero comprendere ed apprezzare questo grandissimo dono che Iddio, nell’eccesso del suo amore per l'uomo, a noi assegnò questo celeste spirito! Rammentate spesso la di lui presenza: bisogna fissarlo coll'occhio dell’anima; ringraziatelo, pregatelo. Egli è così delicato, così sensibile; rispettatelo. Abbiate continuo timore di offendere la purezza del suo sguardo. Invocate spesso questo angelo custode, quest’angelo benefico, ripetete spesso la bella preghiera: «Angelo di Dio, che sei custode mio, a te affidata dalla bontà del Padre celeste, illuminami, custodiscimi, guidami ora e sempre» (Ep. II, p. 403-404).


Dalla Missa De Angelis

“Tunc, ut ipsa refert, cæléstis ignis flamma vulneráta est: unde caritáte consúmpta, in écstasim rapta, ferventíssime ingéminans: Deus meus, te díligo; … . Quod autem móriens promíserat, se perénnem rosárum plúviam in terram demissúram, hoc in cælum recépta, innúmeris miráculis reápse adimplévit et in dies adímplet” (Lect. VI – II Noct.) - SANCTÆ TERESIÆ A JESU INFANTE ET A SACRO VULTU, VIRGINIS

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Il 3 ottobre è una data assai significativa dal punto di vista tradizionale.
In effetti, oggi, oltre al transito di S. Francesco d'Assisi, ricorre la festa di santa carmelitana Teresa del Bambin Gesù e del Volto Santo, la cui teologia ruota intorno al tema dell’infanzia spirituale, ben riassunta nell’invito di Gesù a convertirsi ed a diventare simili ai piccoli bambini (Mt 18, 3). Teresa, in effetti, avendo letto nei Sacri Libri che il Signore chiama i piccoli e dice loro «Chi è piccolo venga a me» (Prov. 9, 4), considerò questa parola come a lei rivolta e mise tutte le sue cure a spegnere in lei l’amor proprio, per affezionarsi nella semplicità del suo cuore allo Sposo divino che si nutre tra i gigli.
In principio, questo fiore celeste, quale fu santa Teresa d’Avila, venne coltivato qualche tempo nel giardino di san Benedetto a Lisieux; ma in seguito, guarita da una malattia mortale grazie alla Beatissima e Santissima Vergine, e dopo un pellegrinaggio a Roma ai Santuari degli Apostoli, entrò, all’età di soli quindici anni, su dispensa di papa Leone XIII, nel convento delle Carmelitane riformate.
Incredibile è il fuoco del divin Amore che consumò prima del tempo il cuore di quest’Angelo. Diventando piccola ai suoi propri occhi e nascondendosi al mondo, era divorata dallo zelo di salvare le anime e di riportarle a Dio; è così che un giorno, mentre per ubbidienza passeggiava nel giardino del monastero sebbene consumata dalla febbre della tisi, rispose sorridendo a colei che le chiedeva perché si stancasse così: cammino per un missionario! Je marche pour un missionnaire»): «L’infirmière lui avait conseillé de faire tous les jours une petite promenade d’un quart d’heure dans le jardin. Ce conseil devenait un ordre pour elle. Une après-midi, la voyant marcher avec beaucoup de peine, une sœur, lui dit: “Vous feriez bien mieux de vous reposer, votre promenade ne peut vous être profitable dans de pareilles conditions, vous vous fatiguez, voilà tout!” — “C’est vrai, répondit cette enfant d’obéissance, mais savez-vous ce qui me donne des forces? ... Eh bien! je marche pour un missionnaire. Je pense que là-bas, bien loin, l’un d’eux est peut-être épuisé dans ses courses apostoliques; et, pour diminuer ses fatigues, j’offre les miennes au bon Dieu”» (Santa Teresa del Bambin Gesù, Histoire d’une Âme écrite par elle-même, Chapitre XII, Le Calvaire. — L’essor vers le Ciel... . V. anche, in traduzione italiana, Manoscritto C, Epilogo, in Storia di un’anima7, Roma 2007, p. 280).
Due sacerdoti missionari erano, infatti, stati affidati dalla priora, madre Maria di Gonzaga, alle preghiere di suor Teresa: l’abbé Maurice-Marie-Louis Barthelemy Belliere (1874-1907), Padre bianco in Algeria, nel 1895; e, soprattutto, padre Adolphe-Jean-Louis-Eugène Roulland (1870-1934), della Società delle Missioni Estere di Parigi, missionario in Cina: «Vuole occuparsi degli interessi spirituali di un missionario, il quale deve essere ordinato sacerdote, e partire prossimamente?». Questa fu la richiesta rivolta alla Santa sabato 30 maggio 1896 riguardo a Padre Roulland (Santa Teresa del Bambin Gesù, Storia di un’anima, cit., p. 269, n. 333. Cfr. G. Papasogli, Teresa di Lisieux4, Roma 1990, pp. 598 ss. In generale, v. C. Langlois, Thérèse de Lisieux: la carmélite e les missions, in Id(a cura di), Thérèse de Lisieux et les missions, in Histoire & missions chrétiennes, 2010, fasc. n. 15, pp. 37 ss.).
Prima di morire, 30 settembre 1897 alle 19.20, promise di passare l’eternità facendo scendere dal cielo una pioggia di rose, e lei mantenne fedelmente la parola per un sì gran numero di miracoli che ventotto anni appena dopo la sua morte, Pio XI l’ornò del diadema dei santi durante il giubileo del 1925.
La venerazione delle reliquie di santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, in effetti, era iniziata al cimitero di Lisieux poco dopo la sua morte della Santa. Molto presto, i lettori de Storia di un’anima vennero in pellegrinaggio a Lisieux sulla sua tomba. Scrivevano al Carmelo chiedendo delle reliquie. Il movimento si ingrandì: un corteo di pellegrini saliva quotidianamente dalla stazione con le vetture a cavallo fino alla tomba, sulle alture della città. Si verificarono alcuni miracoli, tra cui il 26 maggio 1908, la guarigione di Regina Fouquet: una bambina cieca di 4 anni, di origini modeste, che era stata portata dalla mamma sulla tomba della santa il giorno prima. Questo miracolo suscitò molto scalpore.
Da allora, i pellegrinaggi divennero sempre più numerosi e di una certa importanza; si prega con le braccia in croce, si lasciano lettere e fotografie, si portano fiori, si depositano ex-voto: stampelle, bastoni per attestare una guarigione (cfr. Guide complet du Pèlerin, Descouvemont, p. 44), si accendono ceri …
Il corpo di Teresa fu riesumato al cimitero di Lisieux il 6 settembre 1910, in presenza del vescovo e di centinaia di persone. I resti sono deposti in una bara di piombo e trasferiti in un’altra tomba. Una seconda esumazione ebbe luogo il 9-10 agosto 1917. Il 26 marzo 1923, ebbe luogo la traslazione solenne della bara dal cimitero alla cappella del Carmelo. La beatificazione di Teresa avverrà a Roma il 29 aprile 1923, la canonizzazione ebbe luogo a Roma il 17 maggio 1925.
A Lisieux, il 30 settembre 1925, il legato del Papa, il cardinal Vico, si inginocchiò davanti al reliquiario semiaperto in cui riposa il corpo di Teresa, per depositare una rosa d’oro nella mano della statua, realizzata nel 1920 dal monaco Maria Bernardo della Trappa di Soligny (per le notizie, v. qui).
In ragione della vocazione speciale di santa Teresa del Bambin Gesù, che si offrì vittima al Signore per il bene delle missioni tra gli infedeli, questa vergine del chiostro, nascosta al mondo, fu proclamata da Pio XI celeste patrona dei missionari.
Il beato Frédéric Ozanam ha spiegato l’obbligo universale dell’edificazione del prossimo possa conciliarsi col dovere, non meno evangelico, di fuggire l’ostentazione della virtù ed il fariseismo. Il celebre scrittore diceva difatti: Non facciamo il bene per essere visti; ma, per rendere omaggio al santo Vangelo; noi ci lasciamo talvolta vedere, affinché Dio sia glorificato.
Roma cristiana richiama diverse volte il ricordo di santa Teresina, in special quando, venuta con suo padre a venerare i sepolcri degli Apostoli, visitò anche le basiliche ed i cimiteri degli antichi Martiri, scese nell’arena dell’anfiteatro Flavio, penetrò nel cimitero di Callisto, e si distese nel loculus che aveva contenuto lo spoglia insanguinata della Vergine Cecilia. Dalle tenebre mistiche delle catacombe, Teresa salì poi sulla collina trionfale del Vaticano per rendere omaggio al successore di san Pietro; fu in questa occasione, che, inginocchiata davanti a Leone XIII, gli chiese la grazia di entrare appena quindicenne nel Carmelo di Lisieux (Cfr. sul viaggio a Roma di santa Teresa, G. Papasogli, op. cit., pp. 293 ss.; sull’incontro col papa, ivi, pp. 304 ss.).
Chi avrebbe pensato che otto lustri più tardi, in quelle stesse sale del palazzo pontificio, sarebbe stata discussa dal Papa e dai Cardinali la causa di beatificazione e di canonizzazione di questo nuovo Serafino del Carmelo?
In ricordo di santa Teresa a Roma è dedicata una chiesa nel quartiere Pinciano, Santa Teresa del Bambin Gesù in Panfilo, in cui si conserva, tra l’altro, il velo indossato dalla nostra Santa quando si recò a Roma per essere ricevuta dal Papa e ricevere l’autorizzazione ad entrare nell’ordine carmelitano.
Santa Teresina fu dichiarata da Pio XII patrona secondaria di tutta la Francia presso Dio, come santa Giovanna d’Arco (AAS, 36 (1944), pp. 329-330).

abbé Maurice-Marie-Louis Barthelemy Belliere

Fotografia scattata dalla sorella Céline nella cappella del coro il 3 ottobre 1897

Fotografia del 1° ottobre 1897 trasformata in cartolina

Volto di S. Teresa il 1° ottobre 1897

Tomba originaria di S. Teresa all'interno del cimitero del convento di Lisieux

Pierre-Léon-Adolphe Annould, Veillée aux Buissonnets, ovvero Famiglia di S. Teresa, XX sec.


Suor Maria dello Spirito Santo, Prima comunione di S. Teresa nella Cappella dei Benedettini di Lisiuex l'8 maggio 1884, XX sec. 

Giuseppe De Winter, ritoccato da Suor Maria dello Spirito Santo del Carmelo di Lisieux, S. Teresa getta fiori al SS. sacramento nel corso della processione del Corpus Domini, XX sec.
  









Céline Martin, sorella di S. Teresa, S. Teresa che incontra Leone XIII, 1903


Suor Maria del Santo Spirito, S. Teresa ai piedi della Croce raccoglie le rose che ne piovono, XX sec.


Fra Bernardo Maria della Trappa di Soligny, Simulacro di S. Teresa morta, contenente le reliquie della Santa, 1920, Basilica-Santuario di S. Teresa, Lisieux. Nelle mani della statua, il card. Antonio Vico, Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti, Legato di Sua Santità Pio XI, depose una rosa d'oro il 30 settembre 1925


Simulacro di S. Tetersa dopo il restauro "iconoclasta"

Edgar Maxence, S. Teresa di Lisieux, XX sec.

Edgar Maxence, S. Teresa di Lisieux, XX sec.

Edgar Maxence, Volto di S. Teresa di Lisieux, 1931
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