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Jucundare filia Sion
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Alma Redemptoris Mater: antifona a Maria dai Primi Vespri della I Domenica di Avvento
Alma Redemptóris
Mater quae pérvia cœli porta
manes, et stella maris,
succúrre cadénti,
súrgere qui curat,
pópulo: tu quæ genuísti,
natura miránte,
tuum sanctum Genitórem,
Virgo prius ac postérius,
Gabriélis ab ore
Sumens illud
Ave, peccatórum miserére.
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Card. Sarah: "Per rialzarci dobbiamo stare in ginocchio a pregare"
Nella Prima Domenica d’Avvento, memoria di Tutti i Santi dell’Ordine Serafico e dei Santi Saturnino di Cartagine (o Roma) e Saturnino di Tolosa, rilancio questo contributo sul card. Sarah.
Joseph von Führich, Madonna col Bambino con i SS. Adelaide e Francesco, 1835, Österreichische Galerie Belvedere, Vienna |
Jean-Louis Bézard, Martirio di S. Saturnino di Tolosa, XIX sec., chiesa di Notre-Dame du Taur, Tolosa |
S. Saturnino di Tolosa, Chiesa di San Saturnino, Gentilly |
Marc Arcis, Baldacchino con tomba di S. Saturnino, con iscrizione OSSA SANCTI SATURNINI, 1718-59, Basilica di S. Saturnino (Saint-Sernin), Tolosa |
«Per rialzarci dobbiamo stare in ginocchio a pregare». La lezione del cardinale Sarah
di Benedetta Frigerio
Cronaca di un incontro romano dove il cardinale ha presentato il suo libro “Dio o niente” e affrontato le problematiche legate al terrorismo e al Sinodo sulla famiglia
«Dio o niente è solo un libro per proteggere l’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio. Dio o niente è solo un libro scritto per aiutare l’uomo a tornare a Dio. Dio o niente è un libro scritto per fermare le guerre. Dio o niente è stato scritto pregando». Martedì sera 24 novembre il cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, invitato a parlare nella chiesa di Santa Maria in Vallicella di Roma, ha affrontato il tema della crisi economica, antropologica, ecclesiale e del terrorismo islamico, presentando il suo volume pubblicato nel luglio 2015 e già tradotto in 12 lingue.
LE CHIESE COME TOMBE. Dopo aver pregato sulla tomba di San Filippo Neri a cui ha affidato il suo scritto, Sarah ha preso la parola, ribadendo con forza che l’unica via di uscita dalle innumerevoli crisi è quella di dimenticare le logiche e il consenso umano per rivolgersi a Dio. Il cardinale è partito descrivendo la crisi di fede all’interno della stessa Chiesa cattolica, in cui sembra non esserci più «strada morale e dottrinale certa». Il male dei mali, da cui tutti gli altri discendono, è «l’eclissi di Dio», per cui «l’uomo di oggi senza distinzione di cultura e continente si orienta solo al possesso dei beni materiali». Ecco perché siamo agli albori di una “terza guerra mondiale”, cominciata con «la scusa di esportare la democrazia occidentale, creando caos soprattutto in Medio Oriente».
Ma quel che favorisce maggiormente il fondamentalismo islamico e le guerre è il fatto che «in Occidente Dio è morto e siamo noi ad averlo ucciso, noi siamo i suoi assassini. Le nostre chiese sono le tombe di Dio che molti fedeli non frequentano più per evitare di sentire la putrefazione di Dio. E così l’uomo non sa più da che parte va». Dio sarebbe stato sostituito da molteplici dei, «la tecnologia, il piacere senza limiti, la libertà», tutte cose che «rispetto a Dio sono nulla». Ma i cristiani hanno smesso di cercarlo e così, «senza lode, preghiera e adorazione, ci sono solo guerre, delusioni e smarrimento, odio, litigi e lacerazioni».
IL RAPPORTO CON L’ISLAM. Secondo il cardinale a radicalizzare la lotta fra islam e cristianesimo è la mancanza di fede, dove il tradimento dei valori cristiani «esaspera sicuramente i musulmani». Ricordando gli omicidi di Saddam Hussein, Bin Laden, Gheddafi, i cui cadaveri sono stati gettati nel mare o nel deserto e profanati, ha sottolineato che questi atti «non hanno nulla a che vedere con il cristianesimo». Dall’altra parte, «in Sudan il valore di un cristiano è pari a quello di un legno da bruciare, perché l’islam ci considera infedeli».
Per il cardinale, dal punto di vista «teologico e della fede, non è possibile dialogare, perché i musulmani non credono in Gesù Eucarestia e nella Trinità». Ma «un dialogo umano è possibile», partendo dall’umanità comune, «da ciò che ci unisce come i valori della famiglia e della vita». Anche se ora il dialogo è «minacciato dalle tensioni». Qual è allora la via? La stessa che secondo Sarah risolverebbe tutti gli altri problemi elencati: «La preghiera, perché solo migliorando il mio rapporto con Dio, lui migliora quello fra gli uomini, senza questo avremo sempre guerre, odio e lacerazioni. Dobbiamo dare tempo a Dio».
SINODO E FAMIGLIA. Sarah ha affrontato anche tematiche di cui si è largamente discusso durante l’ultimo sinodo della famiglia. «La Chiesa – ha spiegato – si trova in una situazione sconcertante. Alcuni prelati, soprattutto nelle nazioni ricche, sono disposti benedire e accogliere queste unioni che chiamano matrimonio». Ma questo non ha nulla a che vedere con la misericordia di Cristo, dato che «la fede è un’obbedienza a una persona che viene verso di me, esprimendo il suo amore e la sua volontà di salvarmi, ma soprattutto a chiedermi di vivere la sua vita. Perché io sono fatto per vivere con Dio e diventare come Lui». Senza lo sguardo di Dio si cade nella tentazione di modellare le cose secondo un punto di vista umano, «di modellare la famiglia», come hanno fatto «gli stessi padri sinodali, per cui nella relazione finale del sinodo restano delle ambiguità». Sarah ha fatto notare la citazione parziale della Familiaris Consortio stravolta nel suo suo senso, dove l’unica «speranza è che il Santo Padre, che questa estate ha fatto catechesi sulla famiglia perfetta, dica una parola chiara», in linea con «il magistero precedente».
FEDE E CORAGGIO. Alla domanda su come combattere quella definita come «un’apostasia silenziosa» della Chiesa, Sarah ha ricordato che «l’uomo diventa grande solo quando si inginocchia a pregare» e che la preghiera dà anche il coraggio necessario oggi: «Pietro aveva un comportamento ambiguo con i pagani e Paolo lo rimprovera (…). Non preoccuparti di piacere agli uomini, perché ciascuno di noi deve rispondere a Dio. Dobbiamo avere il coraggio della fede e della verità, perché tanti sono morti per questo (…) Dovete avere il coraggio di seguire Cristo e di portare la croce ogni giorno. Il vangelo è una realtà esigente e difficile» ma solo «questa salva gli uomini».
Incoraggiando i laici e religiosi, Sarah ha concluso: «Dobbiamo manifestare la nostra fede con coraggio anche a costo della vita (…) “abbiamo bisogno di testimoni”, dicono tutti. Ma i testimoni hanno bisogno di morire».
Fonte: Tempi, 25.11.2015
Fonte: Tempi, 25.11.2015
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La cura migliore contro il pensiero debole, il laicismo ed i presepofobi di ogni risma .... Non serve prescrizione medica. Da assumere dosi massicce, visto il grave stato patologico, in tutti i luoghi, pubblici e privati, piazze, ecc. Fa preferire di gran lunga all'albero di Natale:
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Con quali paramenti celebrare le Novene dell'Immacolata e di Natale?
La novena dell’Immacolata e quella di Natale, come le altre novene ed esercizi di pietà, siano celebrate con stola e piviale.
Per quella dell’Immacolata i paramenti siano bianchi, avendo questa carattere, appunto, mariano e votivo (se si fosse trattata della novena di qualche martire, il colore sarebbe stato il rosso, avendo pur essa carattere votivo); per quella di Natale, che avviene durante l’Avvento (è infatti una novena de tempore), i paramenti siano viola, stante il carattere penitenziale e di attesa del periodo d’Avvento (v. il canto del Regem venturum Dominum e quello Laetentur Coeli).
Tratto da Ludovico Trimeloni, Compendio di liturgia pratica, ed. Marietti 1820, 2007, III ed., pp. 635-636 |
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"Tota pulchra": antifona per la Novena e la festa dell'Immacolata
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Da Protagora a Cirinnà - relazione del prof. Cesare Mariano
Nella festa di S. Andrea apostolo, il Protoclito, su segnalazione volentieri pubblichiamo questo testo della relazione, in commento al d.d.l. Cirinnà, del prof. don Cesare Mariano, docente di esegesi del Nuovo Testamento presso la Facoltà Teologica Pugliese, tenuta in Potenza lo scorso 27 novembre.
Cima da Conegliano, Madonna col Bambino tra i SS. Michele ed Andrea apostolo, 1498-1500, galleria nazionale, Parma |
Busto reliquiario di S. Andrea, Cattedrale, Amalfi |
Da Protagora a Cirinnà
(Potenza, 27 novembre 2015)
di Cesare Mariano
Introduzione
«Perché gli uomini dovrebbero amare la Chiesa? – si chiede T.S. Eliot nei “Cori della Rocca”– Perché dovrebbero amare le sue leggi? / Essa ricorda loro la Vita e la Morte, e tutto ciò che vorrebbero scordare. / È gentile dove sarebbero duri, e dura dove essi vorrebbero essere teneri./ Ricorda loro il Male e il Peccato, e altri fatti spiacevoli. / Essi cercano sempre d’evadere / dal buio esterno e interiore / sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’essere buono».
Perché gli uomini dovrebbero amare la Chiesa? Perché gli uomini dovrebbero amare la sua dottrina? È a queste domande che cercherò di rispondere nel mio intervento, che si comporrà delle seguenti quattro parti.
1) la teoria del gender;
2) il ddl Cirinnà;
3) i presupposti filosofici comuni alle due questioni;
4) l’umanesimo cristiano.
1. Il gender
Il termine genderè stato introdotto nella letteratura scientifica dal sessuologo (behaviorista) J. Money nel 1955. Il termine gender, corrisponde all’italiano genere ma è ormai divenuto un termine tecnico per indicare il genere sessuale di una persona sulla base non di evidenze oggettive ma di una percezione soggettiva. Secondo la dottrina del gender, cioè, il genere sessuale non attiene alla sfera ontologica (dell’essere) ma a quella psicologica e decisionale (del sentirsi e decidersi).
Secondo la dottrina del gender non vi è una distinzione obiettiva tra uomo e donna, determinata da fattori di carattere fisico, psichico e spirituale. La differenza genetica tra individui di sesso maschile (in cui i cromosomi sessuali sono XY) e individui di sesso femminile (in cui i cromosomi sessuali sono XX) non conta nulla. La diversità tra uomo e donna, secondo i fautori della dottrina del gender ha origini di carattere estrinseco: sociali, culturali, politiche. Il genere sessuale (il gender) ha come unico criterio determinante la scelta del singolo: ciascuno è del sesso che sceglie di avere.
E. Sgreccia rintraccia le radici della teoria del gender nella filosofia del linguaggio strutturalistica di Lévi-Strauss, secondo il quale poiché le strutture del pensiero e del linguaggio risentono delle sovrastrutture di carattere sociale e culturale, compito della scienza è di smantellare queste sovrastrutture per giungere alla struttura più profonda dell’io che attinge all’inconscio. In questo senso, Lévi-Strauss arriva ad affermare che «il fine ultimo delle scienze esatte non è di costituire l’uomo, ma di dissolverlo» (II pensiero selvaggio, Il Saggiatore, Milano 1964).
Progressivamente, la teoria del gender ha assunto una pretesa egemonica rispetto alla categoria di genere sessuale, fino a volerlo sostituire come indicatore della connotazione sessuale di un individuo. Nella sua opera del 1990 Gender-Trouble: feminisme and the Subversion of Identity (New-York; Scambi di genere: Identità, sesso e desiderio, Sansoni, Milano 2004), Judith Butler, celebre esponente del movimento femminista, rivendica esplicitamente la carica sovversiva della teoria del genere. Secondo Butler, infatti, ogni singolo individuo ha il diritto di scegliersi liberamente il proprio genere sessuale, senza che lo Stato (le leggi) e la Natura (la struttura corporea connotata sessualmente) possano contrapporre a tale diritto alcuna pretesa normativa. Con la Butler lo strutturalismo di Lévi-Strauss approda ad una visione post-strutturalista e decostruttivista, perché secondo questa studiosa (filosofa, psicanalista, critica letteraria) quello che tradizionalmente viene definito come genere sessuale tradizionale consiste in un’identità sessuale culturalmente costruita, effetto del linguaggio che mediante la ripetizione produce e stabilizza il significato di “maschile” e “femminile”. A questa stabilizzazione corrisponde la normalizzazione che relega nell’ambito dell’a-normale e dell’abietto le identità sessuali non conformi al modello, ossia la lesbica, il gay e più in generale il queer (ambigue).
Dalle aule universitarie il termine gender si è rapidamente diffuso sui tavoli del dibattito filosofico, politico e mediatico. Il 6 settembre del 1995, l’allora First Lady of USA, Hillary Clinton, alla Conferenza dell’ONU di Pechino, propose di sostituire la differenza tra uomini e donne con cinque “generi”: eterosessuale maschile, eterosessuale femminile, omosessuale maschile, omosessuale femminile, bisessuale. La proposta non passò perché la S. Sede riuscì a organizzare un ampio fronte di paesi in dissenso con questa proposta. Tuttavia, la teoria del gender ha continuato a camminare, anzi a correre ad un ritmo impetuoso, tanto che la proposta della Clinton appare come ridicolmente retrograda se paragonata alla recente iniziativa del pervasivo Social Network Facebook di proporre agli utenti degli Stati Uniti la scelta tra 56 versioni di gender. Chi si iscrive può selezionare oltre ai tradizionali “male” e “female”, anche l’opzione “personalizza” che permette di scegliere altri 56 (1. Agender; 2. Androgyne; 3. Androgynous; 4. Bigender; 5. Cis; 6. Cisgender; 7. Cis Female; 8. Cis Male; 9. Cis Man; 10. Cis Woman; 11. Cisgender; 12. Female; 13. Cisgender Male; 14. Cisgender Man; 15. Cisgender Woman; 16. Female to Male; 17. FTM; 18. Gender Fluid; 19. Gender Nonconforming; 20. Gender Questioning; 21. Gender Variant; 22. Genderqueer; 23. Intersex; 24. Male to Female; 25; MTF; 26. Neither; 27. Neutrois; 28. Non-binary; 29. Other; 30. Pangender; 31. Trans; 32. Trans*; 33. Trans Female; 34. Trans* Female; 35. Trans Male; 36. Trans* Male; 37. Trans Man; 38. Trans* Man; 39. Trans Person; 40. Trans* Person; 41. Trans Woman; 42. Trans* Woman; 43. Transfeminine; 44. Transgender; 45. Transgender Female; 46. Transgender Male; 47. Transgender Man; 48. Transgender Person; 49. Transgender Woman; 50. Transmasculine; 51. Transsexual; 52. Transsexual Female; 53. Transsexual Male; 54. Transsexual Man; 55. Transsexual Person; 56. Transsexual Woman; 57. Two-Spirit.).
2. Il ddl Cirinnà
On.le Monica Cirinnà, PD, promotrice ed autrice del d.d.l. che ne porta il suo nome |
Passiamo ora ad esaminare rapidamente il ddl Cirinnà che si propone – cito dal testo dei proponenti al Senato – di «disciplinare l’istituto delle unioni civili», cioè quei rapporti «tra da due persone maggiorenni, anche dello stesso sesso, che vogliano organizzare la loro vita in comune». Nell’intento dei proponenti, la disciplina «intende fornire ai cittadini che scelgano forme non tradizionali di convivenza la necessaria tutela delle relative situazioni giuridiche soggettive, evitando così ogni forma di discriminazione ai loro danni. È infatti necessario dare un riconoscimento giuridico a una realtà così rilevante socialmente da non poter più essere ignorata dalla legge». Si vuole evitare la «la rigida alternativa tra il vincolo (sacramentale o legale) del matrimonio e l’assoluta irrilevanza giuridica delle forme di vita associata che da tale modello prescindano (soluzione obbligata, questa, per chi, come gli omosessuali, non possa sposarsi). In questo senso, il riconoscimento di forme plurali di convivenza, anziché violare, rafforza piuttosto il principio di cui all’art. 29 della Costituzione, che nasceva non tanto per imporre un solo e cogente modello di convivenza, ma per limitare l’ingerenza statale sul terreno delle relazioni familiari, tipica delle politiche demografiche di regimi totalitari come quello fascista ».
I proponenti del ddl Cirinnà si propongono dunque non solo di rispettare ma di corroborare il principio che sta a fondamento dell’art. 29 Cost. Consideriamo, dunque, questo art. 29 che il ddl Cirinnà vorrebbe rafforzare: «La Repubblica riconoscei diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio».
Il verbo scelto dai padri costituenti è “riconosce”: lo Stato non istituisce la famiglia, non crea la famiglia, non lo plasma a suo piacimento ma riconosce un dato oggettivo, un dato che precede la legge positiva perché corrisponde a quanto si trova nella natura stessa dell’uomo.
D’altra parte, in modo analogo, lo stesso Sacramento del matrimonio è stato istituito da Cristo elevando alla dignità di Sacramento (segno sensibile ed efficace dell’unione sponsale di Cristo e della Chiesa) l’unione naturale tra l’uomo e la donna.
Attraverso il dettato costituzionale «la famiglia – osserva l’avvocato Amato, Presidente dell’Associazione Giuristi per la vita – viene definita una elemento prepolitico e pre-giuridico, essendo sottratta alla disponibilità dell’ordinamento giuridico».
Quanto sia stata ponderata la scelta del verbo riconosce, appare con grande chiarezza considerando le dichiarazioni di voto sull’art. 29 di La Pira, Moro e Mortati.
- La Pira: «con l’espressione società naturale si intende un ordinamento di diritto naturale che esige una costituzione e una finalità secondo il tipo della organizzazione familiare».
- Moro: «Dichiarando che la famiglia è una società naturale si intende stabilire che la famiglia ha una sua sfera di ordinamento autonomo nei confronti dello Stato, il quale, quando interviene, si trova di fronte a una realtà che non può menomare né mutare».
- Mortati precisò il carattere normativo della definizione di famiglia come società naturale, dichiarando che «con essa si vuole, infatti, assegnare all’istituto familiare una sua autonomia originaria, destinata a circoscrivere i poteri del futuro legislatore in ordine alla sua regolamentazione».
Ebbene, il ddl Cirinnà travalica in modo evidente la definizione di famiglia indicata dalla Costituzione. Di fatto, il ddl Cirinnà introduce una nuova forma di famiglia, composta tra persone dello stesso sesso. Anche se non si usa esplicitamente la definizione di matrimonio gay, la reale natura dell’istituto che viene a costituirsi è tale.
Il ddl Cirinnà bissi compone di due Capi. Il primo dedicato alle unioni civili tra persone dello stesso sesso. Il secondo, più genericamente, alle convivenze di fatto.
Una sua rapida analisi consente di cogliere, per innovatività e incidenza, il “cuore pulsante” dell’iniziativa parlamentare nel capo I. Il secondo, a ben vedere, altro non è se non una ricognizione dell’attuale quadro dei diritti che, grazie ad una sorta di “ortopedia” giurisprudenziale, sono stati progressivamente riconosciuti ai componenti di convivenze di fatto (successione nelle locazioni; risarcimento danni; subentro nelle assegnazioni di edilizia popolare; assistenza ospedaliera etc).
Per quanto, a causa di un’ipocrisia linguistica, il termine matrimonio sia accuratamente evitato, il capo I manifesta il preciso intento di edificare un vero e proprio matrimonio omosessuale. Ciò si evidenzia a vari livelli:
Nascita del vincolo:
- l’unione civile si costituisce mediante dichiarazione delle due persone dinanzi all’ufficiale dello stato civile e alla presenza di due testimoni. L’unione è registrata nell’archivio dello stato civile (art. 2 ddl);
- al netto di formalità procedurali che potremmo definire “accessorie”, a ben vedere, il nucleo essenziale della celebrazione del matrimonio è costituito proprio dalla reciproche dichiarazioni dei nubendi di volersi prendere in marito e in moglie, rese dinanzi all’ufficiale dello stato civile, alla presenza di due testimoni (art. 107 c.c.).
Cause impeditive:
- non possono contrarre un’unione civile le persone minorenni, in stato di interdizione legale, non libere nello stato civile, legate da rapporti di parentela, affinità, adozione e affiliazione, condannate per omicidio nei confronti del coniuge dell’altra parte (art. 2 ddl);
- proprio tutte le condizioni necessarie per contrarre matrimonio (artt. 84 ss. c.c.).
Diritti e doveri:
- con la costituzione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; dall’unione civile deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni (art. 3 ddl);
- cioè a dire gli stessi diritti e doveri dei coniugi (artt. 143 e ss. c.c.).
Regime patrimoniale:
- sono applicabili alle unioni in questione le disposizioni del codice civile relative al regime patrimoniale legale dei coniugi (comunione legale/separazione dei beni).
Diritti successori:
- alle persone unite, inoltre, vengono attribuiti i diritti in materia ereditaria propri dei coniugi (art. 4 ddl).
Scioglimento del vincolo:
- lo scioglimento delle unioni civili avviene secondo le forme proprie del divorzio “tradizionale” (legge Fortuna-Baslini, l. 898/1970) e di quello “breve” (l. 55/2015).
Come se non bastasse, ad ulteriore riprova della malcelata volontà di piena assimilazione delle unioni tra persone dello stesso sesso e matrimonio civile, assume carattere eloquente la generale previsione secondo cui “Le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso” (art. 3, comma 4, ddl).
Dunque un’equiparazione “a tutto tondo”, con caratteri trasversali, comprendenti, ad esempio, le prerogative connesse con lo status di coniuge previste nel diritto del lavoro (congedi, permessi etc), nel diritto previdenziale (reversibilità), in materia di assistenza sociale (sussidi; alloggi popolari).
L’unica remora che il ddl sembra palesare riguarda la delicata materia delle adozioni di minori. Infatti, dopo aver chiarito, in termini derogatori, che il precetto di generale equiparazione (sic!) tra unione civile e matrimonio non riguarda la legge n. 184/1983 sulle adozioni (emblematicamente intitolata “Diritto del minore ad una famiglia”), il ddl estende alle unioni tra persone dello stesso sesso quella particolare modalità di adozione, prevista dalla citata legge, comunemente conosciuta come Stepchild Adoption (letteralmente “adozione del figliastro”), che consente l’adozione da parte del coniuge (recte, partner omosessuale) del minore figlio dell’altro coniuge (recte, partner omosessuale).
D’altra parte, anche le la residua restrizione in materia di adozione non è destinata a durare molto: «Sarà pressoché inevitabile – prevede l’avv. Amato – un intervento della Corte Costituzionale volto ad eliminare tale restrizione, sulla base dell’assunto per cui «come rilevato da recente giurisprudenza di legittimità, in assenza di certezze scientifiche o dati di esperienza, costituisce mero pregiudizio la convinzione che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale» (cfr. G.T. Parma, decr. 2.7.2013 confermato da Trib. Min. Bologna, decr. 31.10.2013).
Qual è il fondamento su cui si basa questa “unione civile” tra persone dello stesso sesso? La risposta la desumiamo dal primo comma dell’art. 11 in tema di convivenza di fatto, che evidentemente è il substrato fattuale dell'unione civile: il reciproco legame affettivo.
L’auctoritas da cui promana la Legge non è un dato oggettivo naturale ma è il sentire soggettivo. È proprio qui che si evidenzia la connessione tra la questione del gender e quella del ddl Cirinnà.
3. Presupposti filosofici
Alla luce del percorso compiuto appaiono con una certa nitidezza i presupposti filosofici da cui dipendono tanto la teoria del gender quanto l’impeto legiferante del ddl Cirinnà. I presupposti filosofici sono quelli del relativismo soggettivista, basato su due assiomi:
a) non esistono verità oggettive sia di ordine teoretico sia di ordine etico.
b) è il soggetto che si dà autonomamente delle sue verità teoretiche ed etiche, che lo Stato deve poi riconoscere.
Nel corso della modernità e della cosiddetta post-modernità, il relativismo si è diffuso in modo capillare: il razionalismo illuminista (preparato dal filone razionalista e neo-pagano dell’Umanesimo-Rinascimento), trovando il suo veicolo politico-militare nella Rivoluzione francese, ha conquistato spazi sempre più nell’Europa moderna, riuscendo a valicare i confini stessi del Tempio di Dio: «da qualche fessura– disse Paolo VI nel IX anniversario della sua Incoronazione il 22 giugno 1972 – il fumo di Satana [cioè il fumo dell’errore, del relativismo, il fumo di un pensiero non cristiano] è entrato nel Tempio di Dio».
Il “pensiero non-cristiano” corrisponde a quella dittatura del relativismo, di cui parlò l’allora cardinale Ratzinger nell’Omelia della MPERP del 2005:
«Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie».
Ecco il principio che è all’origine del Gender e del ddl del Cirinnà: l’io misura di tutte le cose. La Weltanschauung che è all’origine di tutto ciò è la massima del vecchio Protagora: Omnium rerum mensura homo.
Ma qual è l’esito di un’impostazione del problema antropologico di questo genere?
La radicale solitudine dell’uomo; radicale nel senso letterale: l’uomo si trova senza radici, senza consapevolezza della propria origine, del proprio fine, del senso del proprio cammino. Privato della domanda sulla Verità e sul Bene l’uomo si ritrova in una strada di solitudine e tristezza.
Questo naturalmente vale a livello di singoli e di comunità:
«Il relativismo – ha scritto M. Pera in Senza radici (2004) – continua a fare da specchio e da cassa di risonanza dell’attuale umor nero dell’Occidente. Lo paralizza quando già è immobile e spaesato, lo rende inerme quando già è arrendevole, lo rende perplesso quando già è poco incline ad accettare le sfide» (p. 33).
4. L’Umanesimo cristiano
Ogni relativismo va (direi provvidenzialmente) ad infrangersi contro una cosa molto semplice: i fatti. Il filosofo francese decostruttivista Jacques Derrida che si era ingegnato nel sottoporre ad una critica decostruttivista delle grandi idee dell’Occidente (l’integrazione, la democrazia, lo Stato) dovette dopo l’11 settembre 2001 scendere dalla sua torre di cristallo e, messo alle strette, appellarsi all’ONU, come tanti. Perché non poté che arrendersi all’evidenza che c’è un fatto: la preferenza da parte delle persone di vivere nella sicurezza, nella serenità piuttosto che nella paura.
E il punto contro cui anche il relativismo religioso ed etico cozza è un fatto, il fatto cristiano, il quale consiste «nella decisione della Verità trascendente – il Deus Trinitas – di comunicarsi in forma gratuita, vivente e personale all’uomo» (Scola)
È per chiamare a verificare questo fatto con sé, a paragonare questo fatto con il proprio io, con quel desiderio indomito di verità, bontà, bellezza che è il cuore dell’uomo, è per questo che la Chiesa si fa accanto all’uomo.
Si fa accanto all’uomo per annunciargli la bellezza del suo essere uomo, capace di amare secondo la verità della propria natura corporeo-spirituale.
L’annuncio del fatto cristiano è dunque un vangelo per tutto l’uomo e per tutti gli uomini e tale Vangelo consiste nella profonda armonia tra natura e grazia, nel riconoscimento del fatto che la salvezza portata da Cristo è compimento dell’opera della Creazione.
Dice il testo del primo racconto biblico della Creazione (Gn 1,27): E Dio creò l’uomo a sua immagine; / a immagine di Dio lo creò: / maschio e femmina li creò.
La bellezza dell’immagine di Dio risplende nell’unione dell’uomo e della donna.
Di qui i pilastri della dottrina cristiana sull’origine, sul senso e sul fine di essere creature connotate sessualmente, secondo due polarità, quella maschile e quella femminile, due polarità progettate l’una per l’altra:
«L’uomo e la donna sono creati, cioè sono voluti da Dio: in una perfetta uguaglianza, per un verso, in quanto persone umane, e, per l’altro verso, nel loro rispettivo essere di maschio e femmina. “Essere uomo”, “essere donna” è una realtà buona e voluta da Dio» (CCC 370).
«Creati insieme, l’uomo e la donna sono voluti da Dio l’uno per l’altro» (CCC 371)
«L’uomo e la donna sono fatti “l’uno per l’altro”: non già che Dio li abbia creati “a metà” ed “incompleti”; li ha creati per una comunione di persone, nella quale ognuno può essere “aiuto” per l’altro, perché sono ad un tempo uguali in quanto persone (osso dalle mie ossa) e complementari in quanto maschio e femmina» (CCC 372).
Questo è l’Umanesimo cristiano! «Possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in lui i tratti del volto autentico dell’uomo» ha detto il Papa il 10 novembre scorso a Firenze nel Discorso di apertura del V Convegno nazionale della Chiesa italiana.
Abbiamo iniziato questo percorso dalla domanda dei Cori della Rocca di Eliot: Perché gli uomini dovrebbero amare la Chiesa?
Perché la Chiesa è la Presenza di Cristo nel tempo e Cristo è vero Dio e vero Uomo, verità di Dio e verità dell’uomo. In lui l’uomo trova la via del compimento di sé, della sua autentica umanizzazione. Nel tempo e per l’eternità. Grazie.
Perché la Chiesa è la Presenza di Cristo nel tempo e Cristo è vero Dio e vero Uomo, verità di Dio e verità dell’uomo. In lui l’uomo trova la via del compimento di sé, della sua autentica umanizzazione. Nel tempo e per l’eternità. Grazie.
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Oscar Wilde, l’inquieto che implorava la pietà di Gesù
Già in altra occasione abbiamo avuto modo di parlare di Wilde, ricordando come egli, dopo una vita in dissolutezze, ebbe modo di convertirsi, avendo modo di inginocchiarsi dinanzi ai Vicari di Cristo, papi beato Pio IX e Leone XIII. Davvero verso quest’uomo inquieto, che si mostrò non sordo ai richiami dello Spirito, fu usata misericordia. Anzi, può dirsi che la conversione di Wilde fu davvero uno dei maggiori prodigi della Divina Misericordia nel secolo XIX.
Il 30 novembre 1900, a Parigi, alle ore 14,00 circa, egli lasciò questa terra. Mentre il mondo lo ricorderà com’era prima della sua conversione, nel suo dandismo persino esasperato, i cattolici lo ricordano, invece, dopo quell’evento, come uno dei più zelanti sostenitori della causa cattolica e dell’autorità pontificia, come uno che tenne fede alla sua massima secondo cui «Il cattolicesimo è la sola religione in cui valga la pena di morire». In effetti, morì dotato dei conforti religiosi cattolici. E siamo sicuri che Dio non avrà respinto quest’uomo inquieto, che trovò, al termine della sua esistenza, la sua pace soltanto in Lui: «Ci hai fatti per Te e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te», diceva ne Le Confessioni (I,1,1) S. Agostino d’Ippona, un altro spirito inquieto approdato a quel Porto Sicuro, dopo aver attraversato diversi mari ed oceani di dissolutezze.
Nell’odierna memoria di S. Bibiana (o Viviana), vergine e martire, rilancio questo contributo sul poeta d’origine irlandese.
Gian Lorenzo Bernini, S. Bibiana,1624-26, chiesa di S. Bibiana, Roma |
Pietro da Cortona - Robert Van Audenaerde Gandensis, Martirio di S. Bibiana, XVII sec., collezione privata, Roma |
Oscar Wilde, l’inquieto che implorava la pietà di Gesù
di Francesco Agnoli
Il 30 novembre 1900, a Parigi, moriva Oscar Wilde, l’autore de Il ritratto di Dorian Gray. La sua figura è spesso strumentalizzata e incompresa, nella sua profondità e nel suo dramma. Per questo può essere utile ricordare almeno alcune cose. Oscar Wilde nasce a Dublino il 16 ottobre 1854. Come racconta il biografo Francesco Mei, suo padre, sir William, è un medico affermatissimo, che «cambia più spesso le amanti che non le camicie» (Francesco Mei, Oscar Wilde, Rcs, Milano, 2001). Sua madre, Jane, è «portata a trascurare l’andamento della casa, compresa l’educazione morale dei figli».
William e Jane sono una coppia “aperta”, con tutte le caratteristiche del caso. Quando Oscar nasce, la madre, «che aspettava ardentemente una bambina», resta delusa. Proietta sul figlio, maschio, i suoi desideri: il piccolo Oscar viene vestito da bambina, «agghindato con trine e pizzi» e patisce tanto le imposizioni della madre, quanto l’assenza del padre. Vari biografi mettono in luce come Wilde abbia interiorizzato una figura negativa di padre, e questo gli abbia impedito di sviluppare appieno la sua virilità e il suo senso di paternità: cercherà sempre, in altre figure maschili, il padre che non ha avuto, e sarà, con la moglie e con i figli, il marito infedele e il padre assente che non aveva apprezzato in suo padre.
Presto Wilde si distacca dalla famiglia, andando a studiare in collegio, prima al Trinity College di Dublino, poi ad Oxford. Rimanendo per certi aspetti «un eterno fanciullo», incapace di «maturare, almeno sul piano affettivo». Suo padre non è per lui oggetto di ammirazione, anzi Oscar non approva «lo sfrenato libertinaggio del genitore. E non è escluso che proprio per reazione agli eccessi paterni, egli abbia concepito sin dall’adolescenza una sorta di riluttanza a stabilire rapporti impegnativi con le donne». Si sposerà, amerà sua moglie, ma, un po’ come il padre, senza mai riuscire a farlo veramente, alternando i rimorsi e il desiderio di tornare da lei, all’insicurezza e alla mutevolezza, ai rapporti fuggevoli e molteplici con donne, uomini e ragazzini. In un vortice di depravazione, come dirà lui stesso, che lo porterà, dopo il successo, alla prigione, ma anche ad una salute inferma, causa l’uso prolungato di alcool, liquori, assenzio... sino alla fine dei suoi giorni.
Condannato al carcere nel 1895, con l’accusa di aver avuto rapporti omosessuali con svariati ragazzini e prostituti, Wilde scrive da lì alla moglie Constance: «Perdonami... i miei peccati sono stati tremendi e imperdonabili...». Wilde si vergogna della sua vita passata, anela alla rigenerazione, alla rinascita, si fa dare il Vangelo, gli scritti dei cardinali inglesi Newman e Manning, la Storia dei Papi... e progetta di scrivere, una volta fuori dal carcere, qualcosa su san Francesco, quasi a riparazione del suo «perseguimento selvaggio del piacere che inaridisce il corpo e lo spirito». Nel 1897 scrive una lettera che prende il titolo da un salmo, De profundis, a lord Alfred Douglas, il suo amante. Il 30 novembre 1900 Oscar Wilde muore, dopo essere entrato nella Chiesa cattolica, di cui era sempre stato un estimatore, e aver ricevuto l’estrema unzione (Paolo Gulisano, Il ritratto di Dorian Gray, Ancora, Milano, 2009, p. 181).
Come per Baudelaire, Verlaine, Rimbaud e Huysmans (il cui romanzo Controcorrente è considerata la “bibbia dell’estetismo” e che poi diventerà oblato benedettino), passati tutti, chi più chi meno, da un forte rapporto con la fede religiosa, anche Wilde non può essere compreso se non riandando alla sua domanda: sono i piaceri del mondo, i “frutti terrestri” a saziare la fame dell’uomo, oppure la nostra “inquietudine”, per citare Agostino, è saziata solo dall’incontro con Dio? Riportiamo qualche frase dal De profundis, scritto quando il poeta non è più sul palcoscenico, ma giù dal piedistallo su cui lui stesso aveva voluto mettersi, per essere da sé il senso della propria vita; scritto quando al posto dei piaceri sensuali e della dissipazione, vi sono il dolore e la solitudine; quando il tentativo di costruire una vita splendida, al di là del bene e del male, «come se Dio non ci fosse» e «tutto fosse lecito», si è rivelato un fallimento.
Scrive Wilde: «Bisogna, sì, ch’io mi dica che da me stesso io mi sono distrutto e che nessuno, piccolo oppure grande, non si può rovinare che con le sue proprie mani. Io sono pronto a dirlo; mi sforzo di confessarlo, quantunque, forse, in questo momento, non lo si creda. Senza alcuna compassione io sostengo contro di me l’implacabile accusa. Per quanto terribile sia stato ciò che il mondo mi ha fatto di male, quel che io feci a me stesso fu più tremendo ancora... Mi divertii a fare l’ozioso, il dandy, l’uomo alla moda. Mi circondai di poveri caratteri e di spiriti miserevoli. Divenni prodigo del mio proprio genio e provai una gioia bizzarra nello sperperare una giovinezza eterna. Stanco di vivere sulle cime, discesi volontariamente in fondo agli abissi per cercarvi delle sensazioni nuove. La perversità fu nell’orbita della passione quel che il paradosso era stato per me nella sfera del pensiero. Infine il desiderio si cangiò in una malattia, o in una follìa, o in entrambe le cose. Divenni noncurante della vita altrui. Colsi il mio bene dove mi piacque e passai oltre. Dimenticai che ogni più piccola azione quotidiana forma o deforma il carattere e che, per conseguenza, ciò che si è compiuto nel segreto della propria intimità si sarà poi costretti a proclamarlo al mondo intero. Così, non fui più padrone di me stesso. Non riuscii più a dominare la mia anima e la ignorai. Permisi al piacere di governarmi e finii coll’essere abbattuto da una sventura orrenda. Adesso non mi rimane più che una cosa: l’assoluta umiltà...».
Poi, parlando di Gesù, scrive: «Certo, egli ha il senso della pietà per i poveri, per coloro che sono relegati nelle prigioni, per gli umili, per i miserabili, ma egli ha molta più compassione per i ricchi, per gli edonisti, per coloro che sacrificano la loro libertà e divengono gli schiavi delle cose, per quelli che portano abiti preziosi e abitano in palazzi regali. Le ricchezze e le voluttà a lui sembrano invero delle tragedie più grandi che la penuria e il dolore. Per Natale sono riuscito a procurarmi un Testamento Greco e ogni mattina, dopo aver spazzato la mia cella e forbito i miei utensili, leggo un passo dei Vangeli, una dozzina di versetti presi a caso, non importa dove. È una deliziosa maniera di cominciar la giornata. Ciascuno, anche vivendo una vita turbinosa e disordinata, dovrebbe fare così...». Sentiva Wilde, che Gesù aveva pietà anche di lui, del suo edonismo sfrenato, su cui aveva cercato di costruire la propria felicità, e che era stato, invece, al contrario, la sua condanna.
Fonte: La nuova bussola quotidiana, 2.12.2015
Fonte: La nuova bussola quotidiana, 2.12.2015
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La Grazia e non la rivoluzione - Editoriale di dicembre di “Radicati nella fede”
Nella festa di S. Francesco Saverio, confessore, apostolo delle Indie, patrono dell’Oriente dal 1748, dell’Opera della Propagazione della Fede dal 1904 e di tutte le missioni, con S. Teresa di Gesù Bambino, dal 1927, rilancio quest’editoriale di Radicati nella fede del mese di dicembre 2015.
Anonimo, Battesimo degli infedeli da parte di S. Francesco Saverio, XVIII sec., Museo Nacional de Arte de la Ciudad de México, Città del messico |
José de Avelar Rebelo, S. Francesco Saverio si congeda, nel palazzo reale di Lisbona, dal re Giovanni III del Portogallo prima di partire per le Indie il 9 aprile 1541, 1635, Museu São Roque, Lisbona |
Giovanni Battista Gaulli detto Il Baciccio, Morte di S. Francesco Saverio, XVII sec., Museo Diocesano, Ascoli Piceno |
Giovanni Battista Gaulli detto Il Baciccio, Morte di S. Francesco Saverio, 1676, chiesa di S. Andrea al Quirinale, Roma |
Pietro Antonio Rotari, S. Francesco Saverio predica ai giapponesi, 1745, basilica di Santa Maria delle Grazie, Brescia |
Marcantonio Franceschini, Morte di S. Francesco Saverio, 1700-10 |
Ludovico Mazzanti, Angeli sostengono S. Francesco Saverio morente, XVII sec., collezione privata |
Giovanni Andrea Carlone, Battesimo da parte di S. Francesco Saverio di una principessa indiana pagana Neachile, XVII sec., Cappella di S. Francesco Saverio, Chiesa del Gesù, Roma |
Guillaume Coustou il giovane, S. Francesco Saverio, XVII sec., abbazia di Saint-Germain-des-Près, Parigi |
LA GRAZIA E NON LA RIVOLUZIONE
Editoriale “Radicati nella fede”
Anno VIII n. 12 - Dicembre 2015
Il Natale cristiano pone il principio della grazia. Dio viene sulla terra, si fa uomo, per caricarsi del peccato degli uomini e pagare sulla Croce il prezzo del nostro riscatto.
La redenzione è opera di Gesù Cristo, Dio fatto uomo; è opera del suo sacrificio, della sua Croce, che continua nel tempo con il sacrificio propiziatorio che è la Messa cattolica.
Non ci possiamo salvare con le nostre forze, nessuno può riscattare se stesso; nessuno può, con la propria azione, darsi la vita eterna. Tutto il nostro desiderio di bene, fosse anche in noi sincero e puro, non ci salverà senza la grazia di Cristo, senza la grazia di Dio.
Il principio della grazia non solo deve essere all’inizio di ogni nostra considerazione, ma deve essere il criterio di giudizio e il principio operativo di ogni azione che voglia dirsi cristiana, cioè vera ed efficace.
Si susseguono in questi giorni le notizie di scandali continui in Vaticano e nella Chiesa, scandali che coinvolgono i Pastori del gregge di Dio; scandali che fanno male, che creano sconcerto e inciampo, e che rendono ancora più deboli difronte alle drammatiche violenze del terrorismo.
Fermo restando che molto di ciò che è propagandato va verificato, ci sentiamo in dovere di dire una parola su tutto questo, una parola che pensiamo cristiana, e lo facciamo applicando, appunto, il principio della grazia.
Occorre innanzitutto non cadere in una falsa analisi che nasce dal mondo e non da Dio: non è innanzitutto la Curia Romana ammalata che infetta la Chiesa, ma è la Chiesa ammalata, e gravemente da troppi anni, che ammala anche la Curia.
Una Chiesa sconquassata dalla mancanza di dottrina chiara, che ha cullato al suo interno tanti covi di eresia, formale o meno non importa, ha prodotto i suoi Pastori, confusi e deboli.
Una Chiesa che ha giocato con la morale, parlando di una facile misericordia che omette le conseguenze devastanti del peccato, ha espresso i suoi “quadri dirigenti” a sua immagine e somiglianza. Certo, nella Chiesa il male c’è sempre stato, è frammisto come la zizzania al buon grano, da sempre; Gesù ce lo ricorda nelle sue parabole (Mt 13, 24-30), ma come negare che ora la misura è veramente troppa?
Una Chiesa, infettata dal desiderio di essere al passo con la modernità, ha prodotto una Curia mondana.
Una Chiesa, preoccupata di un facile consenso, ha prodotto, troppe volte, Pastori dediti all’immagine e non alla sostanza della santità.
Una Chiesa, americanizzata nell’attivismo (che si chiama appunto “Americanismo”, vedi Enciclica di Leone XIII), ha prodotto Pastori che hanno fatto delle “pubbliche relazioni” un sostitutivo alla preghiera e alla penitenza, che sole hanno valore di intercessione.
Insomma, una Chiesa moderna, sì tanto moderna, produce una Curia mondana, troppo e solo umana.
E l’umano, lasciato a se stesso, produce peccato, di ogni genere.
Dobbiamo però stare attenti, molto attenti: non possiamo assumere, per reazione, un criterio protestante per riformare la Chiesa. I Protestanti hanno preteso di riformare la Chiesa facendo battaglie “purificatrici”, attaccando i vertici, la Curia Romana, i Pastori, pensando così di inaugurare una “nuova Chiesa”. Così facendo i Protestanti hanno di fatto distrutta la Chiesa e non hanno più ritrovato Cristo.
È il principio del Naturalismo, che pensa di purificare la casa di Dio con il mezzo umano della lotta alla struttura.
È il metodo che, inaugurato dall’eresia protestante, è passato poi ad ogni Rivoluzione: far fuori gli “impuri” per migliorare la società.
È il principio che fonda tutte le dittature, quelle di ogni colore, tutte iniziate per migliorare il mondo, per reagire alla corruzione.
Basta però scorrere le pagine di qualsiasi manuale di storia per sapere, con certezza, che il “mondo migliore”, inaugurato da ogni Rivoluzione purificatrice, è sempre stato peggiore di quello di prima. Manca alla Rivoluzione il principio, il metodo della grazia: l’uomo nel suo orgoglio ferito vuole migliorare il mondo con le sue forze, ma finisce col distruggere l’opera di Dio.
Il principio della grazia, inaugurato dal Natale di Cristo, pone invece all’inizio la santificazione personale.
La Chiesa va male perché tu hai peccato. È il tuo peccato che contribuisce al male del mondo; e sarà la tua conversione, la tua santificazione, che farà respirare la Chiesa e la purificherà.
Anche qui stiamo attenti a non ricadere, anche desiderando la santità, nel Naturalismo: non ci saranno conversione e santità possibili se ci appoggeremo al solo nostro sforzo; occorre partire dagli strumenti della grazia che sono i sacramenti, accompagnati dall’unica dottrina di verità comunicata dalla Rivelazione.
Non ci sarà santità possibile, continuiamo a ripeterlo, se non ai piedi del Calvario dove Cristo ci santifica.
Non ci sarà purificazione possibile per la Chiesa, per te e per tutti, se non ai piedi del Calvario di oggi, che è l’altare dove è celebrato il Divino Sacrificio.
La battaglia per la Messa tradizionale, che continuiamo a compiere, si inserisce in questo principio della grazia che, unica, salverà le anime.
Voler purificare la Chiesa senza la Messa cattolica è una tragica illusione.
Purificare la Chiesa senza tornare alla Messa di sempre, la Messa che ha fatto i santi, la Messa che non rincorre affannosamente la modernità, equivale all’errore di un nuovo Pelagianesimo, che produrrà cadaveri dove dovevano sorgere anime salvate dalla conversione.
Che il Natale di Cristo faccia sorgere un popolo di umili che, riconoscendosi peccatori, si abbeverano alla grazia di Cristo.
Faccia sorgere questo popolo per la pace di tutti; Pastori e gregge rinascano alla grotta di Betlemme, che è già Calvario, che è già il luogo della grazia che salva.
Pastori e gregge rinascano nella Messa della tradizione, che parla con purezza della grazia che salva; e che dà le condizioni perché questa grazia produca i suoi frutti di santità.
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800° anniversario della chiusura del IV Concilio Lateranense (30 novembre 1215)
Il 30 novembre di 800 anni fa si chiudeva, di fatto, il famoso IV Concilio Lateranense, con l’approvazione in un sol giorno, durante la III sessione, di ben settanta decreti, che ripristinarono la sana e vera dottrina cattolica, rafforzarono la disciplina ecclesiastica e la pace nell’ordine sociale. Il concilio si concluse con la proposta del 14 dicembre 1215 di una nuova crociata in Terra Santa contro i musulmani: venne concessa l’indulgenza plenaria non solo a chi avesse combattuto, ma anche a quanti avessero solo finanziato le spedizioni. Innocenzo III morì pochi mesi dopo, pertanto la quinta crociata venne organizzata dal suo successore, Onorio III.
Questo sinodo generale fu voluto da papa Innocenzo III dei conti Segni sin dal 1213: era stato, infatti, convocato con la bolla Vineam Domini Sabaoth, emanata il 19 aprile 1213 (in PL 216, col. 823D-827A): «… inter omnia desiderabilia cordis nostri duo in hoc saeculo principaliter affectamus, ut ad recuperationem videlicet terrae sanctae ac reformationem universalis Ecclesiae valeamus intendere cum effectu: quorum utrumque tantam requirit provisionis instantiam ut absque gravi et grandi periculo ultra dissimulari nequeat vel differri. Unde supplicationes et lacrymas frequenter effudimus coram Deo, humiliter obsecrantes quatenus super iis suum nobis beneplacitum revelaret, inspiraret affectum, accenderet desiderium, et propositum confirmaret, facultatem et opportunitatem praestando ad ea salubriter exsequenda. Quapropter habito super iis cum fratribus nostris et aliis viris prudentibus frequenti ac diligenti tractatu, prout tanti sollicitudo propositi exigebat, hoc tandem ad exsequendum praedicta de ipsorum consilio providimus faciendum, ut quia haec universorum fidelium communem statum respiciunt, generale concilium iuxta priscam sanctorum Patrum consuetudinem convocemus propter lucra solummodo animarum opportuno tempore celebrandum: in quo ad exstirpanda vitia et plantandas virtutes, corrigendos excessus, et reformandos mores, eliminandas haereses, et roborandam fidem, sopiendas discordias, et stabiliendam pacem, comprimendas oppressiones, et libertatem fovendam, inducendos principes et populos Christianos ad succursum et subsidium terrae sanctae tam a clericis quam a laicis impendendum, cum caeteris quae longum esset per singula numerare, provide statuantur inviolabiliter observanda circa praelatos et subditos regulares et saeculares quaecunque de ipsius approbatione concilii visa fuerint expedire ad laudem et gloriam nominis eius, remedium et salutem animarum nostrarum, ac profectum et utilitatem populi Christiani».
Il Concilio fu aperto dal grande Pontefice l’11 novembre precedente e e fu lui stesso tenacemente a condurlo felicemente a termine. Si può dire che quest’evento segnò l’apice e senz’altro l’epoca d’oro della Chiesa cattolica durante tutto il Medioevo. Mai più, in seguito, fu toccato questo vertice.
Al Concilio prese parte un numero eccezionale di prelati (i patriarchi di Gerusalemme e Costantinopoli e i rappresentanti di quelli di Antiochia ed Alessandria, oltre 400 tra vescovi e arcivescovi, circa 900 tra abati e priori) e, cosa mai verificatasi in precedenza, i rappresentanti laici di Enrico, imperatore Latino d’Oriente, Federico II, sovrano del Sacro romano impero, quelli dei re di Francia, Aragona, Inghilterra, Ungheria, Gerusalemme e Cipro e dei Comuni lombardi. Ricorda, infatti, lo storico Girolamo Arnaldi: «“Alla antica maniera dei santi padri”, Innocenzo III aveva invitato al concilio i vescovi dell’Oriente e dell’Occidente, gli abati, i priori e anche ‒ fatto che costituiva una novità‒ i capitoli delle chiese, nonchédei grandi Ordini religiosi (Cistercensi, Premostratensi, Ospitalieri, Templari) e i sovrani di tutta Europa. Vi presero parte quattrocentoquattro vescovi sia dell’intera Chiesa d’Occidente che della Chiesa latina d’Oriente, nonché un gran numero di abati, canonici e rappresentanti dei poteri secolari. Non vi partecipò nessun greco, benché invitato, oltre al patriarca dei Maroniti e un rappresentante del patriarca di Antiochia» (G. Arnaldi, Lateranense IV, Concilio, in Enciclopedia Federiciana, 2005).
Rileggere oggi quei provvedimenti può essere davvero istruttivo, vedendo quel che ancora ai nostri giorni essi possono dirci. La particolarità è che ci manca davvero un Pastore come fu Innocenzo III. Non a caso sotto di lui e la sua opera illuminata ebbero modo di nascere e svilupparsi gli ordini mendicanti di San Domenico, San Francesco e San Giovanni de Matha.
Nella memoria di S. Pietro Crisologo, vescovo, confessore e dottore della Chiesa, e di S. Barbara, vergine e martire, rilancio quest’articolo di Rorate caeli.
Innocenzo III, Sacro Speco, Monastero, Subiaco |
Tomba di Innocenzo III, Basilica di S. Giovanni in Laterano, Roma |
Lavinia Fontana, Assunzione con i SS. Pietro Crisologo e Cassiano, 1583-84 |
Wilhelm Kalteysen von Aachen, Pala di S. Barbara con la Santa tra i SS. Felice ed Adautto, con scene della sua vita, 1447 circa, Muzeum Narodowe w Warszawie, Varsavia |
Lucas Cranach il vecchio, Martirio di S. Barbara, 1510 circa, The Metropolitan Museum of Art, New York |
Boëtius Adamsz. à Bolswert, S. Barbara, 1625-59, British Museum, Londra |
Theodor van Thulden, Martirio di S. Barbara, 1633 |
Michael Willmann, Martirio di S. Barbara, 1680 circa |
800th Anniversary of the Closing of the Fourth Lateran Council (November 30, 1215)
Marble bas relief by Joseph Kiselewski, 1950 |
On November 30, 1215, this day 800 years ago, the Fourth Lateran Council was formally closed by Pope Innocent III, who had opened it on November 11, and stood strongly behind its provisions. On this day seventy decrees were approved for the restoration of sound doctrine, the strengthening of ecclesiastical discipline, and peace in the civil order. It is a fascinating exercise to return to the decrees of this ecumenical council, therefore a council of the highest order of authority, and see what it has to say to us today.
The Confession of Faith with which the acts of the Council begin is one of the most exquisite documents of the Church’s Magisterium:
We firmly believe and simply confess that there is only one true God, eternal and immeasurable, almighty, unchangeable, incomprehensible and ineffable, Father, Son and Holy Spirit, three persons but one absolutely simple essence, substance or nature. The Father is from none, the Son from the Father alone, and the Holy Spirit from both equally, eternally without beginning or end; the Father generating, the Son being born, and the Holy Spirit proceeding; consubstantial and coequal, co-omnipotent and coeternal; one principle of all things, creator of all things invisible and visible, spiritual and corporeal; who by his almighty power at the beginning of time created from nothing both spiritual and corporeal creatures, that is to say angelic and earthly, and then created human beings composed as it were of both spirit and body in common. The devil and other demons were created by God naturally good, but they became evil by their own doing. Man, however, sinned at the prompting of the devil. This Holy Trinity, which is undivided according to its common essence but distinct according to the properties of its Persons, gave the teaching of salvation to the human race through Moses and the holy prophets and his other servants, according to the most appropriate disposition of the times. Finally the only-begotten Son of God, Jesus Christ, who became incarnate by the action of the whole Trinity in common and was conceived from the ever-virgin Mary through the cooperation of the Holy Spirit, having become true man, composed of a rational soul and human flesh, one person in two natures, showed more clearly the way of life. Although he is immortal and unable to suffer according to his divinity, he was made capable of suffering and dying according to his humanity. Indeed, having suffered and died on the wood of the cross for the salvation of the human race, he descended to the underworld, rose from the dead and ascended into heaven. He descended in the soul, rose in the flesh, and ascended in both. He will come at the end of time to judge the living and the dead, to render to every person according to his works, both to the reprobate and to the elect. All of them will rise with their own bodies, which they now wear, so as to receive according to their deserts, whether these be good or bad; for the latter perpetual punishment with the devil, for the former eternal glory with Christ. There is indeed one universal church of the faithful, outside of which nobody at all is saved, in which Jesus Christ is both priest and sacrifice. His body and blood are truly contained in the sacrament of the altar under the forms of bread and wine, the bread and wine having been changed in substance, by God’s power, into his body and blood, so that in order to achieve this mystery of unity we receive from God what he received from us. Nobody can effect this sacrament except a priest who has been properly ordained according to the church’s keys, which Jesus Christ himself gave to the apostles and their successors. But the sacrament of baptism is consecrated in water at the invocation of the undivided Trinity—namely Father, Son, and Holy Spirit—and brings salvation to both children and adults when it is correctly carried out by anyone in the form laid down by the church. If someone falls into sin after having received baptism, he or she can always be restored through true penitence. For not only virgins and the continent but also married persons find favour with God by right faith and good actions and deserve to attain to eternal blessedness.
Here are some excerpts from other decrees (see here for the full text of all the decrees).
Decree 3, On Heretics:
We excommunicate and anathematize every heresy raising itself up against this holy, orthodox and catholic faith which we have expounded above. We condemn all heretics, whatever names they may go under. They have different faces indeed but their tails are tied together inasmuch as they are alike in their pride. Let those condemned be handed over to the secular authorities present, or to their bailiffs, for due punishment. Clerics [guilty of heresy] are first to be degraded from their orders. The goods of the condemned are to be confiscated, if they are lay persons, and if clerics they are to be applied to the churches from which they received their stipends. … Let secular authorities, whatever offices they may be discharging, be advised and urged and if necessary be compelled by ecclesiastical censure, if they wish to be reputed and held to be faithful, to take publicly an oath for the defence of the faith to the effect that they will seek, in so far as they can, to expel from the lands subject to their jurisdiction all heretics designated by the church in good faith. … Catholics who take the cross and gird themselves up for the expulsion of heretics shall enjoy the same indulgence, and be strengthened by the same holy privilege, as is granted to those who go to the aid of the holy Land. Moreover, we determine to subject to excommunication believers who receive, defend or support heretics. … If, however, he [the heretic] is a cleric, let him be deposed from every office and benefice, so that the greater the fault the greater be the punishment. If any refuse to avoid such persons after they have been pointed out by the church, let them be punished with the sentence of excommunication until they make suitable satisfaction. Clerics should not, of course, give the sacraments of the church to such pestilent people nor give them a Christian burial nor accept alms or offerings from them; if they do, let them be deprived of their office and not restored to it without a special indult of the apostolic see. … We therefore will and command and, in virtue of obedience, strictly command that bishops see carefully to the effective execution of these things throughout their dioceses, if they wish to avoid canonical penalties. If any bishop is negligent or remiss in cleansing his diocese of the ferment of heresy, then when this shows itself by unmistakeable signs he shall be deposed from his office as bishop and there shall be put in his place a suitable person who both wishes and is able to overthrow the evil of heresy.
Decree 14, Clerical incontinence:
In order that the morals and conduct of clerics may be reformed for the better, let all of them strive to live in a continent and chaste way, especially those in holy orders. Let them beware of every vice involving lust, especially that on account of which the wrath of God came down from heaven upon the sons of disobedience [viz., sodomy], so that they may be worthy to minister in the sight of almighty God with a pure heart and an unsullied body. Lest the ease of receiving pardon prove an incentive to sin, we decree that those who are caught giving way to the vice of incontinence are to be punished according to canonical sanctions, in proportion to the seriousness of their sins. We order such sanctions to be effectively and strictly observed, in order that those whom the fear of God does not hold back from evil may at least be restrained from sin by temporal punishment. Therefore anyone who has been suspended for this reason and presumes to celebrate divine services, shall not only be deprived of his ecclesiastical benefices but shall also, on account of his twofold fault, be deposed in perpetuity. Prelates who dare to support such persons in their wickedness, especially if they do it for money or for some other temporal advantage, are to be subject to like punishment.
Decree 21, On yearly confession to one’s own priest, yearly communion, the confessional seal. (Note the assumption is not frequent communion for everyone, but communion for those who are prepared to receive reverently, in a state of grace.)
All the faithful of either sex, after they have reached the age of discernment, should individually confess all their sins in a faithful manner to their own priest at least once a year, and let them take care to do what they can to perform the penance imposed on them. Let them reverently receive the sacrament of the Eucharist at least at Easter unless they think, for a good reason and on the advice of their own priest, that they should abstain from receiving it for a time. Otherwise they shall be barred from entering a church during their lifetime and they shall be denied a Christian burial at death. Let this salutary decree be frequently published in churches, so that nobody may find the pretence of an excuse in the blindness of ignorance. … The priest [in the confessional] shall be discerning and prudent, so that like a skilled doctor he may pour wine and oil over the wounds of the injured one. Let him carefully inquire about the circumstances of both the sinner and the sin, so that he may prudently discern what sort of advice he ought to give and what remedy to apply, using various means to heal the sick person. …
Decree 26, Nominees for prelatures to be carefully screened:
There is nothing more harmful to God’s church than for unworthy prelates to be entrusted with the government of souls. Wishing therefore to provide the necessary remedy for this disease, we decree by this irrevocable constitution that when anyone has been entrusted with the government of souls, then he who holds the right to confirm him should diligently examine both the process of the election and the character of the person elected, so that when everything is in order he may confirm him. … Bishops too, if they wish to avoid canonical punishment, should take care to promote to holy orders and to ecclesiastical dignities men who will be able to discharge worthily the office entrusted to them. …
Decree 27, Candidates for the priesthood to be carefully trained and scrutinized:
To guide souls is a supreme art. We therefore strictly order bishops carefully to prepare those who are to be promoted to the priesthood and to instruct them, either by themselves or through other suitable persons, in the divine services and the sacraments of the church, so that they may be able to celebrate them correctly. But if they presume henceforth to ordain the ignorant and unformed, which can indeed easily be detected, we decree that both the ordainers and those ordained are to be subject to severe punishment. For it is preferable, especially in the ordination of priests, to have a few good ministers than many bad ones, for if a blind man leads another blind man, both will fall into the pit.
Decree 62, Regarding saint’s relics:
The Christian religion is frequently disparaged because certain people put saints’ relics up for sale and display them indiscriminately. In order that it may not be disparaged in the future, we ordain by this present decree that henceforth ancient relics shall not be displayed outside a reliquary or be put up for sale. As for newly discovered relics, let no one presume to venerate them publicly unless they have previously been approved by the authority of the Roman pontiff. Prelates, moreover, should not in future allow those who come to their churches, in order to venerate, to be deceived by lying stories or false documents, as has commonly happened in many places on account of the desire for profit. We also forbid the recognition of alms-collectors, some of whom deceive other people by proposing various errors in their preaching, unless they show authentic letters from the apostolic see or from the diocesan bishop. Even then they shall not be permitted to put before the people anything beyond what is contained in the letters. …
Decree 67, Jews and excessive usury:
The more the Christian religion is restrained from usurious practices, so much the more does the perfidy of the Jews grow in these matters, so that within a short time they are exhausting the resources of Christians. Wishing therefore to see that Christians are not savagely oppressed by Jews in this matter, we ordain by this synodal decree that if Jews in future, on any pretext, extort oppressive and excessive interest from Christians, then they are to be removed from contact with Christians until they have made adequate satisfaction for the immoderate burden. Christians too, if need be, shall be compelled by ecclesiastical censure, without the possibility of an appeal, to abstain from commerce with them. We enjoin upon princes not to be hostile to Christians on this account, but rather to be zealous in restraining Jews from so great oppression. …
Decree 70, Jewish converts may not retain their old rite:
Certain people who have come voluntarily to the waters of sacred baptism, as we learnt, do not wholly cast off the old man in order to put on the new more perfectly. For, in keeping remnants of their former rite, they upset the decorum of the Christian religion by such a mixing. Since it is written, cursed is he who enters the land by two paths, and a garment that is woven from linen and wool together should not be put on, we therefore decree that such people shall be wholly prevented by the prelates of churches from observing their old rite, so that those who freely offered themselves to the Christian religion may be kept to its observance by a salutary and necessary coercion. For it is a lesser evil not to know the Lord’s way than to go back on it after having known it.
Decree 71, Crusade to recover the Holy Land:
It is our ardent desire to liberate the holy Land from infidel hands. We therefore declare, with the approval of this sacred council and on the advice of prudent men who are fully aware of the circumstances of time and place, that crusaders are to make themselves ready so that all who have arranged to go by sea shall assemble in the kingdom of Sicily on 1 June after next—some as necessary and fitting at Brindisi and others at Messina and places neighbouring it on either side, where we too have arranged to be in person at that time, God willing, so that with our advice and help the Christian army may be in good order to set out with divine and apostolic blessing. Those who have decided to go by land should also take care to be ready by the same date. They shall notify us meanwhile so that we may grant them a suitable legate a latere for advice and help. Priests and other clerics who will be in the Christian army, both those under authority and prelates, shall diligently devote themselves to prayer and exhortation, teaching the crusaders by word and example to have the fear and love of God always before their eyes, so that they say or do nothing that might offend the divine majesty. If they ever fall into sin, let them quickly rise up again through true penitence. Let them be humble in heart and in body, keeping to moderation both in food and in dress, avoiding altogether dissensions and rivalries, and putting aside entirely any bitterness or envy, so that thus armed with spiritual and material weapons they may the more fearlessly fight against the enemies of the faith, relying not on their own power but rather trusting in the strength of God. We grant to these clerics that they may receive the fruits of their benefices in full for three years, as if they were resident in the churches, and if necessary they may leave them in pledge for the same time. … In order that nothing connected with this business of Jesus Christ be omitted, we will and order patriarchs, archbishops, bishops, abbots and others who have the care of souls to preach the cross zealously to those entrusted to them. Let them beseech kings, dukes, princes, margraves, counts, barons and other magnates, as well as the communities of cities, vills and towns—in the name of the Father, Son and Holy Spirit, the one, only, true and eternal God—that those who do not go in person to the aid of the holy Land should contribute, according to their means, an appropriate number of fighting men together with their necessary expenses for three years, for the remission of their sins … We therefore, trusting in the mercy of almighty God and in the authority of the blessed apostles Peter and Paul, do grant, by the power of binding and loosing that God has conferred upon us, albeit unworthy, unto all those who undertake this work in person and at their own expense, full pardon for their sins about which they are heartily contrite and have spoken in confession, and we promise them an increase of eternal life at the recompensing of the just; also to those who do not go there in person but send suitable men at their own expense, according to their means and status, and likewise to those who go in person but at others’ expense, we grant full pardon for their sins. We wish and grant to share in this remission, according to the quality of their help and the intensity of their devotion, all who shall contribute suitably from their goods to the aid of the said Land or who give useful advice and help. Finally, this general synod imparts the benefit of its blessings to all who piously set out on this common enterprise in order that it may contribute worthily to their salvation.
(The beautiful bas relief of Pope Innocent III by sculptor Joseph Kiselewski is part of a series of 23 marble relief portraits, by various artists, of famous lawgivers placed over the gallery doors of the Chamber of the House of Representatives in Washington, D.C., installed in 1949-1950. It says something about the 1940s that Pope Innocent III could be chosen, by the American secular government, as one of the great figures in the history of law, under whose gaze the U.S. representatives are to undertake their work. See here for more information.)
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"Per le ardue vie celesti .... Opere di arte sacra di Adolfo Rollo" - Alberobello (BA), 5-14 dicembre 2015
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Romanitas, fede cattolica, fede romana in un aforisma di S. Agostino e di Leone XIII
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Card. Burke: "Il Sinodo non può aprire porte che non esistono"
Torniamo a parlare del Sinodo, concluso lo scorso ottobre.
Sì, perché oggi si apprende da fonti al di sopra di ogni sospetto che, in verità, le conclusioni sinodali erano già state tirate diversi mesi prima del sinodo stesso. Pare, anzi, che la stessa esortazione post-sinodale era bella e pronta. Di questo disegno facevano parte i due motu proprio dello scorso 8 settembre e che entreranno in vigore l’8 dicembre.
Sembrava cosa fatta. Ed invece, no. Ci riferisce la fonte anonima denominata “Pio Pace” del blog Rorate caeli. Le cose non son andate come speravano i novatores. Certo, la formulazione ambigua ed equivoca della Relazione finale apre la via al seguito. Lo abbiamo detto anche noi nell’immediatezza della conclusione dell’assise sinodale (v. qui). Non illudiamoci, quindi. Ma almeno il team del card. Baldisseri non ha avuto quell’esplicitazione che desiderava: ovverosia che la c.d. via penitenziale diventasse la porta d’accesso alla Comunione dei divorziati risposati. Questo compito è spettato a P. Spadaro, il quale dalle colonne de La Civiltà cattolica ha spiegato che i padri sinodali hanno effettivamente gettato le basi per l’accesso ai sacramenti dei divorziati risposati (per l'articolo di P. Spadaro, v. qui). L'assemblea dell’ottobre 2015 non era altro, dunque, che uno spettacolo teatrale destinato a preparare l'atto finale che era già stato scritto: l’esortazione post-sinodale della misericordia e del perdono per tutti. Il suo messaggio poteva contare sul sostegno unanime dei media secolari, e della stragrande maggioranza dei media cattolici, che una lunga tolleranza per il liberalismo inclina naturalmente verso soluzioni compiacenti col mondo. Conclude Pio Pace, quindi, che ciò che rimangono sono i granellini di sabbia, ossia quei tredici cardinali che scrissero la famosa lettera, i quali che, però, da soli, possono inceppare gli ingranaggi delle macchine più oleate (cfr. Exclusive Op-Ed - Pio Pace reveals for Rorate: “The Post-Synodal Exhortation has been ready since September”, in Rorate caeli, 4.12.2015).
Nel frattempo, il card. Burke ci ha tenuto a precisare, in replica a P. Spadaro, che alcuna porta deve essere aperta, per il semplice motivo che non esiste alcuna porta che possa essere aperta (v. qui).
Non esiste un'altra pastorale per i divorziati risposati
di Raymond Leo Burke*
Il 28 novembre 2015, nel nuovo numero de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, direttore della rivista e padre sinodale, ha presentato un riassunto dei lavori del 14mo Sinodo Ordinario dei vescovi, dedicato alla vocazione e alla missione della famiglia (pagg. 372-391). Benché l’autore faccia varie affermazioni sulla natura e il lavoro del Sinodo dei vescovi, che richiederebbero un più ampio commento critico in altra sede, una sua affermazione in particolare necessita di essere commentata immediatamente: “Il Sinodo ha pure volute toccare le persone e le coppie ferite per accompagnarle e sanarle in un processo di integrazione e di riconciliazione senza barriere. Circa l’accesso ai sacramenti dei divorziati risposati civilmente, il Sinodo ha formulato la via del discernimento e del «foro interno», ponendone le basi e aprendo una porta che invece nel Sinodo precedente era rimasta chiusa.”
A prescindere dal fatto che le dichiarazioni pubbliche rilasciate da diversi padre sinodali affermino l’esatto contrario, cioè: il Sinodo conserva la pratica costante della Chiesa riguardanti coloro che vivono in un’unione irregolare. Dato che il testo dei paragrafi dall’84 all’86 del Rapporto Finale del Sinodo non è molto chiaro sulle verità fondamentali della fede, la Santa Eucarestia e il Santo Matrimonio, la stessa scarsa chiarezza emerge ora nelle dichiarazioni pubbliche dei padre sinodali. Il fatto è che il Sinodo non può spalancare una porta che non esiste e non può esistere, specificamente un discernimento in coscienza che contraddice la verità sulla assoluta santità della Santa Eucarestia e l’indissolubilità del vincolo matrimoniale. Il Sinodo, come la Chiesa, d’altra parte, ha sempre predicato e praticato, ha sempre voluto mostrare amore verso coloro che si trovano in una situazione in cui non sono coerenti con gli insegnamenti di Cristo e della Sua Chiesa. L’amore cristiano per le persone, comunque, non significa “integrazione e riconciliazione senza barriere”, perché si fonda sulle insostituibili verità di natura e di grazia e sono ordinate per il bene della persona e dell’intera comunità. L’amore cristiano accompagna la persona sulla via della penitenza e della riparazione, così che possa incontrare ancora Cristo nei Sacramenti.
La via del discernimento su cui i preti accompagnano il penitente che vive in una unione irregolare, è l’assistenza del penitente, affinché possa conformare ancora la sua coscienza alla verità della Santa Comunione e alla verità del matrimonio a cui è vincolato. Come la Chiesa ha sempre coerentemente predicato e praticato, il penitente è accompagnato nel suo “foro interno” a vivere nella castità, nella fede nel vincolo matrimoniale esistente anche se apparentemente c’è un’altra vita matrimoniale, in modo da metterlo in grado di accedere di nuovo ai sacramenti senza dar scandalo. Papa Giovanni Paolo II descrisse la pratica della Chiesa nel “foro interno” nell’enciclica Familiaris Consortio (n. 84). La Dichiarazione del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi del 24 giugno 2000 illustra gli insegnamenti del paragrafo 84 della Familiaris Consortio. Entrambi i documenti sono citati nel Rapporto Finale del Sinodo, ma purtroppo in modo ambiguo.
Dare l’impressione che ci sia un’altra pastorale nel “foro interno”, una che possa permettere a una persona impegnata in una unione irregolare di avere accesso ai Sacramenti, è come suggerire che la coscienza possa essere in conflitto con la verità della fede. Un suggerimento di questo tipo pone chiaramente i sacerdoti in una situazione insostenibile, l’aspettativa che possano “spalancare una porta” al penitente che, di fatto, non esiste.
Infine, con il più grave danno inflitto all’universalità della Chiesa, crea l’aspettativa che il Romano Pontefice possa approvare una pratica che è in conflitto con le verità della fede. Il Sinodo dei vescovi, coerentemente con la sua natura e il suo scopo, non può farsi strumento di simili aspettative.
*Cardinale e arcivescovo cattolico statunitense, dall'8 novembre 2014 patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta.
Questo commento è apparso originalmente sul National Catholic Register (traduzione di Stefano Magni)
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Quando Stalin “vide” la Madonna
Dinanzi a Colei che ha vinto il serpente infernale persino l’ateo comunista Stalin fu costretto ad inchinarsi vedendo la sua forza! Ella, novella Giuditta, ardente e maestosa, è davvero come inneggia il Cantico dei cantici, terribilis ut castrorum acies ordinata, «terribile come esercito schierato a battaglia» (Ct. 6, 3), terribile sì per i demoni e per tutti coloro che appartengono agli avversari di Dio.
Quando Stalin “vide” la Madonna
Durante la guerra il dittatore fece sorvolare Leningrado (assediata) da un aereo che aveva a bordo un’icona mariana
di Rino Cammilleri
Ha fatto il giro del mondo il video in cui Putin rimbrotta il Papa di non aver baciato la Vladimir’skaya, l’icona mariana protettrice della Santa Russia.
Quella stessa icona, nel 1941, sorvolò più volte su un aereo militare Leningrado assediata dai nazisti. Su ordine di Stalin. Com’era successo che il peggior sradicatore del cristianesimo avesse preso quest’iniziativa sconcertante?
Lo narra Vittorio Messori in uno dei tredici capitoli inediti della nuova edizione del suo Ipotesi su Maria(Ares, pagg. 672, euro 21,50).Si sa che Stalin, di fronte al pericolo, aveva chiamato i russi alla «grande guerra patriottica» e allentato all’uopo la stretta sulla Chiesa ortodossa perché collaborasse.
Ma quel che agli storici è parsa una furbata dell’astuto georgiano, in realtà era frutto di fifa boja. Era successo che all’ex seminarista caduto da cavallo sulla via di Lenin si era presentato il capo di stato maggiore dell’Armata Rossa, generale Boris Shaposhnikov, con una lettera proveniente dal Libano. Lettera che il dittatore prese molto sul serio, anche perché il disastro era alle porte. Il generale, un eroe di guerra da non prendere sottogamba, spiegò che un venerato asceta ortodosso libanese, tal padre Elia, sgomento all’idea che i pagani nazisti potessero calpestare il sacro suolo della Madre Russia (che, pur in mano ai comunisti, restava la Terza Roma), aveva passato tre giorni e tre notti nella cripta della sua chiesa, senza bere né mangiare né dormire, in ginocchio e in preghiera. L’ultimo giorno gli era apparsa, su una colonna di fuoco, la Madre di Dio.
Icona della Madonna Kazan, Каза́нская ико́на Бо́жией Ма́тери 1579, Cattedrale, Mosca |
Questa aveva detto che per salvare Leningrado bisognava che le chiese e i monasteri russi venissero riaperti, che il clero in carcere fosse liberato e l’icona della Madonna di Kazan portata in processione a Leningrado, Mosca e Stalingrado. Quell’icona, la più venerata delle Russie, era arrivata da Costantinopoli a Kazan nel XIII secolo, ma poi era stata fatta sparire per sottrarla alle invasioni dei tartari di Tamerlano. Se ne era perso il ricordo fino al 1579, quando un grande incendio aveva devastato la città.
Una bambina di nome Matrjona aveva allora sognato la Vergine che le indicava il luogo in cui scavare. Lì fu effettivamente trovata l’icona, che da quel momento si produsse in strepitosi miracoli. Sappiamo che Stalin diede ordine di eseguire quanto gli si richiedeva nella lettera, e pure gli storici agnostici sanno che da allora, e fino alla fine della guerra, la persecuzione religiosa fu sospesa. E, anche dopo, non ebbe più quegli aspetti genocidi e spietati che aveva prima. Sappiamo pure che Leningrado non cadde, Mosca fu risparmiata e a Stalingrado i nazisti ebbero la loro più clamorosa disfatta. Se qualcuno ancora non dovesse credere a questo racconto, dovrebbe tuttavia spiegare perché padre Elia, che era pure metropolita dell’ortodossia libanese, nel 1947 venne insignito del prestigioso Premio Stalin, di solito assegnato a benemeriti dell’Unione Sovietica regolarmente iscritti al Partito. Che il pope libanese fosse radicalmente anticomunista lo sapevano tutti, Stalin per primo. Infatti, il religioso rifiutò cortesemente la decorazione e pure la sostanziosa somma di denaro che la accompagnava, chiedendo che venisse devoluta agli orfani di guerra. Anzi, aggiunse di sua mano il ricavato di una colletta che aveva personalmente promosso in Libano a tale scopo.
Cartone preparatorio di affresco della Madonna di Kazan per la Chiesa della Theotokos di Smolensk |
Annota perfidamente Messori che nel 1951 il Premio Stalin fu assegnato al nostro Pietro Nenni, che ci si costruì una bella villa al mare (in Italia, ovviamente).Tutta questa vicenda non manca di segnalare Messori - non è stata portata alla luce da pope o da starets ideologicamente interessati, bensì da Edvard Radzinskij, già facente parte della nomenklatura culturale sovietica e autore di una corposa biografia di Stalin uscita nel 1997 in russo. Sei anni dopo la fine dell’Urss, dunque, e dacché gli archivi moscoviti poterono essere esplorati. Non c’è bisogno di credere che davvero la Madre di Tutte le Russie sia apparsa a un asceta libanese. Ci si può limitare a credere alla disperazione di Stalin, che pur di galvanizzare la sue truppe non esitò a organizzare processioni religiose nel Paese più ateo del mondo e a rimangiarsi l’intero ateismo «scientifico» marxista. Ma qualcuno dovrà spiegare la ragione «politica» dell’assegnazione del Nobel sovietico a un oscuro pope straniero di cui si ignora perfino il cognome (e pure il nome, dal momento che, nell’ortodossia, i vescovi lo cambiano per assumerne uno religioso).
Fonte: Il Giornale, 4.12.2015
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“Viduis et orphanis pecunia, consilio, opera non defuit: oppressos adeo sublevavit, ut etiam tres tribunos, per calumniam a Constantino Augusto condemnatos, qui se propter famam ejus miraculorum orationibus longissime absenti commendarant, adhuc vivens, cum imperatori, minaciter eum terrens, apparuisset, liberaverit. … Mox ad Nicaenum concilium se contulit: ubi cum trecentis illis decem et octo Patribus Arianam haeresim condemnavit” (Lect. VI – II Noct.) - SANCTI NICOLAI BARENSIS, EPISCOPI MYRENSIS ET CONFESSORIS
Questo celebre Taumaturgo, vescovo di Mira all’epoca del concilio di Nicea, è festeggiato il 6 dicembre da tutte le Chiese d’Oriente. Egli è iscritto lo stesso giorno nel calendario di Napoli e nei martirologi occidentali a partire da Floro. Il culto di san Nicola in Occidente è, quindi, anteriore al trafugamento delle sue reliquie da parte dei marinai di Bari, che le portarono nella loro città nel 1087. È indubitabile, però, che questa “traslazione” contribuì al suo sviluppo. Fu, perciò, a quell’epoca, verso l’XI sec., che venne definitivamente accolto nel calendario romano. Prima del X sec., san Nicola non è sconosciuto a Roma. Egli è rappresentato in un affresco dell’VIII sec. a santa Maria Antica, insieme ai santi Giovanni Crisostomo, Gregorio di Nazianzio, Basilio, Pietro e Cirillo d’Alessandria, Epifanio ed Atanasio. Non si poteva rendergli un più bell’omaggio che di associarlo ai Padri dell’Oriente cristiano (v. la riproduzione fuori-testo in colore delle pitture della navata sinistra di santa Maria Antica in D.A.C.L. tomo 5, col. 2064: Ο agios Nikolaos (barba corta e casula rossa) è il secondo personaggio a partire dalla destra. Per una descrizione dettagliata dell’affresco, cfr. col. 2020-2025).
Nella Roma medievale il suo culto prese un tempo così grandi proporzioni che si contavano almeno una sessantina di chiese erette sotto il suo nome.
Tra queste, la più insigne è quella che si trova presso il portico d’Ottavia: San Nicola in Carcere Tulliano, o in foro olitorio(cfr. MarianoArmellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, pp. 623-628; Ch. Huelsen, Le Chiese di Roma nel medio evo, Firenze 1927, p. 392), in cui si celebra anche la stazione il sabato della IV settimana di Quaresima.
Nel Patriarchiumdel Laterano esisteva un oratorio in onore di san Nicola de capella papæ, e che, interamente restaurato dal papa Callisto II, divenne come il monumento votivo della vittoria riportata nel XII sec. dal Pontificato romano contro il Cesarismo germanico (Armellini, op. cit., pp. 106-108; Huelsen, op. cit., pp. 391-392). Questa cappella, che si elevava quasi di fronte all’oratorio di San Lorenzo, fu distrutta sotto Clemente XIII; non se ne conservarono che i disegni delle pitture che la decoravano. L’oratorio di Callisto II era celebre in ragione degli affreschi che vi simbolizzavano il trionfo del Papato sull’Impero all’epoca del Concordato di Worms (1122). L’affresco comportava due registri: in alto la Vergine Madre coronata con il Bambino sulle ginocchia e, da una parte e dall’altro, due papi in piedi (santi Silvestro ed Anacleto) e due papi inginocchiati (Callisto II e l’antipapa Anacleto II); in basso san Nicola al centro, circondato dai santi Leone Magno e Gregorio Magno e, poi, ripartiti in due gruppi, i papi Urbano II, Pasquale II, Gelasio II, Alessandro II, Gregorio VII e Vittore III (Ph. Lauer, Le Palais de Latran, Coll. Ecole Française de Rome, Paris 1911, pp. 163-168. Si trova in queste pagine una riproduzione dettagliata dell’affresco).
In Oriente, la festa di questo Taumaturgo, τοῦἱεροκηρύκου, τοῦπατροκορυφαίου, τοῦμυροβλύτου,è un festa non lavorativa (o nazionale), in virtù di un’ordinanza dell’imperatore Manuele I Comneno (1143 -1180); e così fu pure in certe diocesi d’Europa. Ciò che valse dai Greci un’immensa fama a san Nicola, è il liquido miracoloso, che, ancora oggi, a Bari, trasuda dalle sue ossa.
Il titolo di confessore, attribuito nell’antichità al Taumaturgo di Mira (ὉἍγιοςΝικόλαοςοΟμολογητήςκαιΘαυματουργός, ἈρχιεπίσκοποςΜύρωντῆςΛυκίας), si riferisce a ciò che ebbe a soffrire durante l’ultima persecuzione. La presenza di san Nicola al concilio di Nicea è molto probabile, ma tutto il resto della leggenda del santo è soggetto a delle prudenti riserve.
La liturgia orientale celebra il nostro Santo col titolo di κανόναπìστεος, cioè regola della fede.
Ecco una delle più note preghiere bizantine rivolte a san Nicola:
Κανόναπίστεωςκαίεἰκόναπραότητος, ἐγκρατείαςδιδάσκαλονἀνέδειξέσετῇποίμνῃσουἡτῶνπραγμάτωνἀλήθεια∙ διάτοῦτοἐκτήσωτῇταπεινώσειτάὑψηλά, τῇπτωχείᾳτάπλούσια. ΠάτερἹεράρχαΝικόλαε, πρέσβευεΧριστῷτῷΘεῷσωθῆναιτάςψυχάςἡμῶν
Regola della fede ed icona di mansuetudine, che ti sei mostrato al tuo gregge maestro di verità, che per la tua umiltà hai raggiunto una gloria sublime e per il tuo amore per la povertà le ricchezze (celesti), o Padre Gerarca (Vescovo) Nicola, intercedi presso Cristo Dio per la salvezza delle anime nostre.
Il titolo “regola della fede” si ricollega direttamente, secondo la tradizione, al ruolo che giocò Nicola al concilio di Nicea. Alcune leggende gli attribuiscono anche due specifici interventi durante l’assise. Nel primo, noto come miracolo del mattone (sebbene questo sia da attribuirsi, in realtà a san Spiridione di Trimithonte, anch’egli presente al Concilio, assieme a sant’Atansio ed altri), poiché Ario non ammetteva l’uguaglianza del Padre e del Figlio, Nicola tentò di dimostrare la coesistenza delle tre persone in uno solo. Preso quindi un mattone, ricordando agli astanti, la sua triplice composizione di terra, acqua e fuoco, che significavano le tre divine persone che costituiscono un unico Dio, si vide una fiamma levarsi dalle sue mani, alcune gocce d’acqua cadere a terra e rimanere nelle sue mani un po’ di terra secca.
Il secondo intervento, ancora più celebre del primo, è lo schiaffo ad Ario. Nicola, acceso di santo zelo, udendo le bestemmie ariane contro la divinità del Cristo, si levò in piedi e con la destra schiaffeggiò l’empio Ario. Riferita la cosa a Costantino, questi ordinò l’incarcerazione del santo, mentre gli altri vescovi lo privavano dei paramenti episcopali. In carcere venne sbeffeggiato ed oltraggiato dai soldati. Uno di questi giunse persino a bruciargli la barba. Durante la notte, san Nicola ebbe l’apparizione di Gesù e di Maria che gli consegnarono il vangelo (segno del magistero episcopale) e la stola o ὠμοφόριον (segno del ministero sacramentale). L’indomani, dovendo celebrare la messa, spinto dalla sua umiltà, Nicola non indossò le insegne vescovili, ma, appena iniziata la Messa, la Vergine scese dal cielo portandogli la sua stola e gli angeli la mitra. Terminata la celebrazione, la barba, che gli era stata bruciata dai carcerieri il giorno innanzi, gli rispuntò più folta e bella.
Ma si tratta di episodi leggendari, come del resto anche altri episodi della sua vita Si pensi alla leggenda secondo la quale, ancora in fasce, non prendeva latte dal seno materno ogni mercoledì e venerdì dopo il tramonto, osservando il digiuno canonico. Trattasi, del resto, di un dato comune a molti santi. Ad es., così faceva anche un altro Nicola, san Nicola (o Nicolò) Politi (o di Adernò, l’attuale Adrano) vissuto nel XII sec., come ci narra la sua Vita sancti Nicolai Adernionensis.
Quel che è certo è che il nostro san Nicola, partecipando al Concilio di Nicea, non poté non essere a favore della tesi di Atanasio e della vera ortodossia. Diversamente non sarebbe stato celebrato come “regola della fede”.
La figura di san Nicola, infine, è particolarmente cara allo stesso Ordine di San Domenico fin dalle origini. Presso questo, infatti, è invocato dai frati quale intercessore e consolatore nelle loro difficoltà, come emerge dalle Vitæ fratumdel 1260 del cronista domenicano Gerardo di Frachet (per alcuni episodi che coinvolgono e legano San Nicola all’Ordine dei Predicatori, cfr. P. Lippini (a cura di), Storie e leggende medievali. Le Vitæ Fratrum di Gerardo di Frachet o.p., Bologna 1988, pp. 49-50, 90, 153), il quale rammenta che proprio nella chiesa dei Domenicani di Bologna – così come in altre legate all’Ordine – non poteva mancare un altare dedicato a colui che avevano eletto quale Patrono, san Nicola appunto (ibidem, pp. 153, 239, 330 nota 687), invocato anche per liberare le anime dal carcere del Purgatorio (ibidem, p. 399).
La messa non hanno di speciale che le collette e l’epistola. Le altre parti sono tratte dal Comune dei confessori pontefici.
La fama dei miracoli rese molto popolare il nome di san Nicola non solo in Oriente dove, specialmente presso i Russi, è ancora oggi in grande venerazione, ma pure nelle più lontane province d’Occidente, dove il suo culto è anteriore di molti secoli alla traslazione delle sue reliquie da Myra a Bari.
Le sacre ossa del Taumaturgo s’imperlano continuamente, anche ai nostri giorni, di una sorta di stilla o sudore alla quale i fedeli danno il nome di manna di sano Nicola. In una rivelazione che ebbe in occasione del suo pellegrinaggio a Bari, santa Brigida, mentre pregava nella Cripta dinanzi alla tomba del Santo, apprese dallo stesso san Nicola, apparsole in una visione, il motivo di questo prodigio. L’olio miracoloso che trasuda dalle ossa del santo Pontefice di Myra, designa l’immensa carità e la compassione che l’animarono durante la sua vita, allorché si faceva tutto a tutti per soccorrere gli altri e così portarli al Cristo. Le disse, tra l’altro: «Sappi che come la rosa produce profumo e il grappolo d’uva un dolce succo, così il mio corpo ha ricevuto dal Signore la particolare benedizione di trasudare olio. Egli infatti onora i Suoi eletti non solo in cielo, ma anche sulla terra, affinché molte persone ne siano edificate e partecipino alla grazia concessa ai santi» («Cum visitaret Sponsa reliquias sancti Nicolai in Baro ad sepulchrum ejus, coepit cogitare de illo liquore olei, manante de corpore ejus. Et tunc rapta extra se in spiritu vidit quamdam personam, oleo unctam et fragrantissime odorantem, quæ dixit ei: Ego sum Nicolaus episcopus, qui appareo tibi in tali specie, sicut dispositus eram in anima, dum vivebam. Nam omnia membra mea ita habitata ex flexibilia erant ad servitium Dei, sicut res uncta, quæ flexibilis est ad opus possidentis, et idea laus exultationis semper erat in anima mea et in ore meo prædicatio divina et in opere patientia, propter virtutes humilitatis et castitatis, quas præcipue dilexi. Sed nunc qui in mundo multorum ossa arida sunt ab humore divino, ideo dant sonum vanitatis et stridorem ex collisione mutua, et inhabilia sunt ad fructificandum fructum justitiæ et abominabilia Deo ad intuendum. Tuo vero scias, quod sicut rosa profert odorem et uva dulcedinem, sic Deus corpori meo emanandi oleum singularem dedit benedictionem quia ipse non solum honorat electos suos in cælis, sed et leatificat ex exaltat in terris, ut plures ædificentur et participentur de gratia eis data»: Bollandisti, De Sancta Birgitta Vidua, Commentarius prævius, cap. 20, § 301, in Acta Sanctorum, Octobris, vol. 52, t. IV, Dies VIII, Parigi-Roma 1866, p. 440).
Autore ignoto, S. Nicola con scene agiografiche della sua vita, XIII sec., Museo Bizantino della Fondazione Arcivescovo Makarios, Nicosia |
Icona russa di S. Nicola, 1400-500, Nationalmuseum, Stoccolma |
Anonimo artista cretese, Icona di S. Nicola a figura intera, XVI sec., chiesa di Agios Nikolaos (Αγιος Νικόλαος), Tsakistra (Cipro) |
Theodoros Poulakis (Θεοδωρος Πουλακης), S. Nicola con scene della sua vita, XVII sec. |
Domenichino, S. Nicola, 1608-10, Cappella dei SS. Fondatori - Cappella di S. Nilo, Grottaferrata |
Jan Cossiers, S. Nicola salva i tre condannati a morte, 1660, Palais des Beaux-Arts, Lille |
Luca Giordano, S. Nicola salva il fanciullo coppiere, Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte, Napoli |
Luigi Miradori detto il Genovesino, S. Nicola con l’offerente Martino Rota, 1654, Pinacoteca di Brera, Milano |
Mattia Preti, S. Nicola di Bari, Pinacoteca Civica, Fano |
Mattia Preti, Miracolo di S. Nicola, XVII sec., chiesa di S. Nicola, Siggiewi |
Gregorio Preti, Miracolo di S. Nicola, Chiesa parrocchiale di S. Nicolò, Fabriano |
Carlo Maratta, Madonna con Bambino tra i SS. Nicola, Ambrogio (o Agostino?) e Francesco di Sales, 1672, Pinacoteca Comunale, Ancona |
Corrado Giaquinto, S. Nicola, musée Fesch, Ajaccio |
Corrado Giaquinto, S. Nicola salva i naufraghi dalla tempesta, 1731-33, Pinacoteca Provinciale, Bari |
Corrado Giaquinto, La S. Vergine presenta S. Nicola alla SS. Trinità, 1731 circa, collezione privata |
Autore anonimo, Morte di S. Nicola, XVIII sec., chiesa dei SS. Apostoli, Manduria |
Autore anonimo, S. Nicola benedice i tre bambini, Convento domenicano di S. Nicola, Bari |
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Quando i santi perdono la pazienza, iniziano a usare le mani per predicare il vangelo...
Abbiamo accennato ieri, parlando di S. Nicola, all’episodio del suo celebre schiaffo all’eretico alessandrino Ario nel corso del Concilio di Nicea; un episodio che da solo valse al nostro Santo il titolo di Confessore.
Anche S. Ambrogio non fu da meno nei confronti degli eretici. Famoso fu il suo scontro, nella c.d. controversia delle basiliche, con il vescovo ariano Mercurino Aussenzio (detto Aussenzio II), chiamato dall’imperatrice Giustina, che, come il suo predecessore Aussenzio (Aussenzio I), voleva allontanare i fedeli dalla vera fede con metodi violenti. Nell’Epistola contra Auxentium(Ep. 75), Ambrogio oppose la moderazione dimostrata da Cristo nell’episodio della cacciata dei mercanti dal tempio (Gv 2, 13-22), alla crudeltà con cui Aussenzio e Mercurino Aussenzio perseguitavano i veri cattolici: «Paucos excludebat Dominum Jesus de templo suo; Auxentius nullum reliquit. De templo suo Jesus flagello eicit, Auxentius gladio; Jesus flagello, Mercurinus securi. Pius Dominus flagello exturbat sacrilegos; nequam [Auxentius] persequitur pios ferro». Il flagello di Cristo contro la spada dell’ariano. Il flagello è lo strumento di Dio per punire i sacrileghi e gli eretici; uno strumento selettivo, di moralitas, di misericordia, di una persuasione cedevole (inflexa), che non uccide; la spada è, invece, il modo in cui gli iniqui perseguitano i cattolici. Persino Montini rimaneva turbato il giorno della prima festa del Santo Arcivescovo a Milano il 7 dicembre 1955: «Perché Ambrogio, Patriarca nostro, vieni a noi incontro col braccio alzato, impugnando minaccioso il flagello, quasi codesto fosse il tuo gesto caratteristico, o quasi noi meritassimo in sempiterno d’essere colpiti dalla tua sferzante severità? Come mai l’arte dimentica le sue prime espressioni, che davano altra figura e traducevano nella rigidità di linee faticate e modeste un sembiante grave, quale si addice a volto romano delineato da mano primitiva, ma mansueto e ieratico, non dissonante ai dolci e sacri nomi di vescovo e di padre? È dunque il timore il sentimento con cui dobbiamo a te avvicinarci, curvi sotto l’atteso del tuo scudiscio, piuttosto che chinati dalla riverenza amorosa del tuo culto?» (Giovanni Battista Montini, Nove ritratti di sant’Ambrogio, Città del Vaticano, 1974, p. 17).
Ne restano turbati in verità gli eretici. La corte imperiale - filoariana – infatti dipinse il nostro Santo come tyrannus e parlò della sua opposizione alla decisione imperiale di cessione di basiliche cattoliche agli ariani come di usurpazione. In verità, come nota anche la storica Marta Sordi, si trattava di una lotta per la libertà della Chiesa, che non poteva cedere proprie chiese agli eretici né poteva esservi obbligata da autorità esterne (cfr. Marta Sordi, La grandezza di Ambrogio, in Il Timone, dic. 2002).
Alvise Vivarini e Marco Basaiti, Pala di S. Ambrogio, 1503, Cappella dei Milanesi, Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, Venezia |
Mattia Preti, S. Ambrogio scrive i suoi Commentari con in mano il flagello, 1642, museo diocesano, Milano |
Carlo Francesco Nuvolone, Sant'Ambrogio, 1645, museo diocesano, Milano |
Quando i santi perdono la pazienza, iniziano a usare le mani per predicare il vangelo...
San Nicola è ricordato come un santo che ama i bambini, che pensava alle ragazze da maritare, che veglia sui marinai e porta regali ai poveri.... Tutto vero, ne abbiamo parlato negli anni scorsi (vedi qui), ma tutto questo zucchero alla Babbo Natale rischia di far dimenticare anche un altro lato del santo vescovo di Myra, che ci mostra come andasse a finire lo sfibrante dialogo teologico tra i focosi pastori del IV secolo.
Siamo nel 325, san Nicola è uno dei Padri del I Concilio Ecumenico della Chiesa, il Concilio di Nicea.
Ario è chiamato a difendere la sua posizione che propugna l'inferiorità di Cristo rispetto al Padre. San Nicola ad un certo punto del discorso non si tiene più, non ce la fa a continuare ad ascoltare le elucubrazioni senza senso di Ario. Così si alza, si avvicina all'eretico e lo stende a terra con un gancio! E' successo davvero e questo evento storico viene non poche volte immortalato negli affreschi di chiese bizantine (come si vede dalle immagini allegate in questo post).
Tanto che l'Imperatore Costantino, presente alla scena, e gli altri vescovi in aula, scandalizzati dall'azione violenta di Nicola contro Ario, immediatamente spogliano Nicola del suo ufficio episcopale e gli confiscano i due simboli del suo rango di vescovo cristiano, ovvero la sua copia personale del libro dei Vangeli e il pallio (chiamato 'omophorion' che in oriente è il paramento tipico di tutti i vescovi).
Nicola così spogliato fu rinchiuso in cella a sbollire. Mentre era in prigione per la sua scazzottata con l'eretico, quella stessa notte, gli vennero a far visita Cristo e la Beata Vergine Maria. Nostro Signore chiese a san Nicola: "Perché sei qui?" e Nicola rispose: "Perché ti amo, mio Signore e mio Dio"!
Cristo allora diede in regalo a Nicola la copia dei santi Vangeli che portava con sé e subito dopo, la Vergine santa rivestì Nicola con il pallio episcopale, segnalando così che era stato restituito alla sua dignità di vescovo.
Questa storia ci chiarisce come mai nelle icone san Nicola sia spesso affiancato dalle due piccole figure di Cristo e della Vergine intenti a passargli un libro e un pallio episcopale, simboli che sempre Nicola porta addosso nelle raffigurazioni a lui dedicate.
Quando poi l'Imperatore Costantino sentì del miracoloso intervento a favore di Nicola, ordinò che egli fosse subito liberato e ristabilito come vescovo del Concilio. Il Credo di Nicea che alla fine condannò Ario e le sue empie dottrine fu poi firmato anche da san Nicola. E fino ad oggi ricordiamo come uno dei suoi più grandi regali la fede nella divinità di Gesù Cristo, consustanziale con il Padre, che Nicola, Atanasio e tanti altri santi hanno difeso con tutte le forze.... e che forze!
Altra immagine del Santo vescovo mentre percuote l'eretico Ario |
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Cristo, unico salvatore di tutte le genti, in un aforisma di Giovanni Paolo II
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Vittorio Messori: "Fatima non fu solo per i cattolici"
Come si identificano gli avversari della fede cattolica? Semplice: dalla loro avversione alla Vergine Maria. Chiunque osi avanzare dubbi o perplessità su Maria è segno inequivocabile, non abbisognevole di ulteriori prove, che è avversario pure del Figlio di Lei, in quanto emulatore di colui che, più di tutte le creature, si scaglia con prava pertinacia contro la Vergine: cioè colui la cui testa è schiacciata dal piede dell’umile fanciulla di Nazaret. I privilegi di Maria, infatti, sono in verità privilegi del Figlio e concessi in Sua funzione ed in vista di Lui.
Parlando l’anno scorso dell’Immacolata Concezionedella Vergine segnalavamo come l’opposizione a questo dogma sia dei protestanti sia dei c.d. ortodossi. Va notato tuttavia che, per quanto concerne la c.d. ortodossia, non si tratta di una visione unanime di avversione. Cfr. sul punto Kallistos Timothee Ware, La Madre di Dio nella teologia e nella devozione ortodossa, in Georges Gharib – Ermanno M. Toniolo, Testi mariani del secondo millennio, vol. I, Autori orientali, secoli XI-XX, Roma 2008, pp. 899-934. Ware spiegando il titolo di Panaghia, Tuttasanta, afferma che la c.d. Ortodossia, la quale «non accetta la dottrina cattolica romana riguardo all’Immacolata Concezione», lo intende «nel senso che Maria è libera da ogni peccato attuale, anche se è nata soggetta agli effetti del peccato originale, come gli altri santi uomini e donne dell’Antica Alleanza» (p. 915). Tuttavia l’A. non spiega come possa essere libera dal peccato attuale (godendo perciò – sottinteso – di un qualche speciale privilegio), ma non da quello originale e dagli effetti di questo, visto che esso ha reso la natura umana vulnerabile e non più integra, né come Cristo, Sapienza di Dio (1 Cor 1, 24), possa aver abitato in un corpo “schiavo del peccato” (cfr. Sap. 1, 4), anche solo secondo natura. Dinanzi alle difficoltà – non esplicitate – tuttavia, solo in nota, l’A. è costretto ad ammettere che, prima della proclamazione del dogma dell’Immacolata nel 1854, «un certo numero di scrittori ortodossi ha ... affermato tale dottrina, o comunque qualcosa di simile» (nota 3, ivi). In effetti, si rinvia ad un contributo del medesimo A., The Sanctity and Glory of the Mother of God: Orthodox Approaches, in The Way, suppl. 51, London 1984, pp. 79-96, partic. pp. 85-92, in cui si ricorda come la dottrina immaculatista fu esplicitamente sostenuta da insigni ortodossiCirillo Lucaris, Elia Miniati, san Demetrio di Rostov, Simeone di Polotsk, ecc. Il che fa comprendere che le ragioni di opposizione sono per lo più psicologiche, dovute cioè ad un «riflesso antiromano». Significativo a questo riguardo un altro Autore ecco come argomenta: «L’Immacolata Concezione come opinione teologica (theologoúmenon) è stata tollerata nella Chiesa ortodossa del passato ed è stata anche sostenuta da alcuni teologi degni di stima. Se non proprio il termine, per lo meno l’espressione di una credenza molto vicina a quest’idea è sicuramente presente nel patriarca Fozio e in Gregorio Palamas. L’Immacolata Concezione è apertamente insegnata dall’ultimo patriarca dell’impero bizantino, Giorgio Scolarios, morto nel 1456» (Elisabeth Behr-Sigel, in Thomáš Špidlík– Giovanni Guaita – Maria Campatelli, Testi mariani del secondo millennio, vol. II, Autori dell’area russa, secoli XI-XX, Città Nuova, Roma 2000, p. 576).
Tornando ora al nostro discorso, abbiamo già segnalato qualche giorno fa l’ultima fatica di Vittorio Messori nella riedizione del suo noto testo Ipotesi su Maria (v. qui). Oggi, nella festa dell’Immacolata Concezione ne riproponiamo volentieri un’ulteriore riflessione, questa volta appuntata contro le teorie di Enzo Bianchi. Già in altra occasione non si è mancato, da parte nostra, di evidenziare cosa il fondatore di Bose pensi di Maria (v. qui) … . Oggi quest’ultimo si scaglia contro l’apparizione della Vergine a Fatima, circoscrivendo il suo messaggio solo ai cattolici e non già all’intera umanità. A lui risponde con dovizia il nostro Messori.
Domenico Fetti, Immacolata Concezione, 1615-19, Hermitage, San Pietroburgo |
Fra Juan Sánchez Cotán, Immacolata Concezione, 1617-18 |
Bartolomé Esteban Murillo, Immacolata Concezione c.d. Esquilache, 1645-55, Hermitage, San Pietroburgo |
Bartolomé Esteban Murillo, Immacolata Concezione c.d. Walpole, 1680 circa, Hermitage, San Pietroburgo |
Miguel Jacinto Meléndez, Immacolata Concezione, XVII sec., collezione privata |
Francisco Solis, Immacolata Concezione, XVII sec. |
Mulier amicta sole, et luna sub pedibus ejus, et in capite ejus corona stellarum duodecim ... . Carlo Maratti, Visione di S. Giovanni a Patmos, 1680 circa, Rijksmuseum, Amsterdam |
Juan Francisco de Aguilera, La Purísima Concepción con i santi gesuiti, 1720, Museo Nacional de Arte, Città del Messico |
Francesco Podesti, Discussione su Maria concepita senza peccato, 1858-1865, Sale dell'Immacolata, Palazzo Apostolico, Città del Vaticano, Roma |
«Caro Enzo Bianchi, Fatima non fu solo per i cattolici»
di Vittorio Messori
Vittorio Messori torna alla carica con nuove «Ipotesi su Maria». Il fortunato volume pubblicato da Ares per la prima volta nel 2005, approda in libreria in una veste tutta nuova, in edizione interamente rivista dall’Autore e ampliata di 13 capitoli (150 pagine in più, per un totale di 672, al prezzo di 21,50 euro). Di seguito riportiamo, in anteprima, alcune spigolature tratte dal penultimo capitolo, in cui lo scrittore difende la veridicità di Fatima dalle critiche avanzate dal teologo Enzo Bianchi sulla scorta del padre domenicano Jean Cardonnel.
Mi càpita di rivedere in rete l’articolo apparso su Le Monde nel maggio del 2000, quando Giovanni Paolo II fece rivelare al mondo quello che chiamano «terzo segreto» di Fatima. Il pezzo del giornale francese su questo evento è firmato da Jean Cardonnel, il domenicano morto alcuni anni fa, per tutta la vita l’intrattabile leader di ogni contestazione sia clericale sia politica, uno dei vedovi inconsolabili degli anni di piombo della Chiesa e della società. Uno per il quale non solo i soliti Mao, Che Guevara, Ho Chi Minh ma anche lo sterminatore del popolo cambogiano, Pol Pot, erano da venerare nell’Olimpo delle sacre rivoluzioni.
A Cardonnel si deve tra l’altro un precedente giuridico inedito e pericoloso. Era già molto vecchio, più vicino ai novanta che agli ottanta, insopportabile per la maggioranza dei confratelli per questa sua ossessione contestatrice, per il suo culto del «no» previo a tutto, ma si continuava a ospitarlo – data l’età – nel convento domenicano di Montpellier. Alla fine, il superiore di quella casa religiosa, non potendone più dei suoi costanti malumori, approfittò di uno dei suoi viaggi per sgomberare la sua cella, impacchettare con cura le cose e trovargli un posto in una casa di riposo per anziani. Al ritorno, l’ira di Cardonnel (egli pure, come da copione di ogni prete «adulto» che si rispetti, vietava a chiunque di chiamarlo «padre») esplose clamorosa e, dicendosi vittima di una violenza intollerabile, non pensò neanche un momento a confrontarsi con la legge della Chiesa, il diritto canonico.
Si rivolse invece alla legge della laicissima Repubblica francese, chiamando la Gendarmerie e denunciando il superiore per violazione di domicilio. Il tribunale, dopo lungo dibattito, gli diede ragione, condannò il superiore del convento che aveva proceduto allo sgombero e – per la prima volta, non solo in Francia – dichiarò che la cella di un religioso era un domicilio privato come ogni comune alloggio. Sentenza faziosa e pericolosa, dicevo, perché scavalca e in qualche modo imbavaglia l’autorità ecclesiastica anche all’interno dei suoi spazi.
Ma torniamo al Cardonnel commentatore di Fatima. Scriveva su Le Monde: «Quel presunto “segreto” è un falso, tanto falso quanto la donazione di Costantino con la quale si è voluto legittimare un diabolico controsenso: l’impero cristiano. Un grande teologo italiano – non si dimentichi il suo nome: Enzo Bianchi, fondatore di una nuova comunità monastica – si è subito reso conto della superstizione e della frode perpetrata dal Vaticano a Fatima. Sul quotidiano romano La Repubblica, fratel Bianchi mette implacabilmente il dito nella piaga. Scrive infatti: “Un Dio che, nel 1917, pensa di rivelare che i cristiani saranno perseguitati e che non parla della shoah e dei sei milioni di ebrei annientati non è un Dio credibile”». Continua l’articolo di Cardonnel: «Sì, bisogna scoprire la piaga: come non vedere la tara del presunto segreto di Fatima, la prova lampante che è un falso, che non può venire da Dio? Un falso che squalifica, che scredita l’Eterno. Un Dio, ripeto, non credibile: il Dio del razzismo cattolico, che si interessa solo dei suoi, della sua razza cattolica, nell’oblio del popolo di Gesù».
C’è da rimanere molto sorpresi da simili discorsi e soprattutto, per noi cattolici italiani, c’è da sorprendersi per la citazione (non smentita, anzi ribadita, dall’interessato) di fratel Bianchi. Circola ormai una convinzione, anche tra certi cristiani, secondo la quale la persecuzione degli ebrei da parte dei nazisti nei 12 anni tra 1933 e 1945 sarebbe, senza paragone possibile: il Male Assoluto, il Massimo Delitto della storia intera, l’Esempio Radicale della malvagità umana. Non a caso, la colpa nazista è considerata inespiabile e ancor oggi si braccano, per processarli e condannarli, dei novantenni se non dei centenari considerati in qualche modo responsabili di quello che viene detto, con termine religioso, «l’Olocausto» per eccellenza. Per un simile delitto, e solo per questo, non è prevista alcuna prescrizione. Stando al Cardonnel e al Bianchi, Dio stesso – se vuol parlarci attraverso Maria – deve, sottolineo deve, ricordare e ovviamente maledire la Shoah, altrimenti non sarebbe «un Dio credibile». Non è il vero Signore se non esecra esplicitamente Auschwitz.
Sia ben chiaro – è davvero inutile sottolinearlo – che non si tratta certo di sminuire la gravità del delitto perpetrato all’ombra di una croce uncinata, che fu il tragico rovesciamento della croce cristiana. Non c’è che da unirsi, ovviamente, alla condanna universale. Ma è davvero paradossale rifiutare Fatima perché nel 1917 la Madonna non avrebbe previsto e condannato – a nome del Figlio e della Trinità intera – quei lager tedeschi che sarebbero venuti una ventina d’anni dopo. Nel 1917, ripetiamo: proprio l’anno in cui Lenin prendeva il potere, dando inizio a quel mostro comunista che avrebbe fatto almeno 100 milioni di morti e che avrebbe praticato la più violenta e sanguinosa repressione religiosa della storia, in nome di un ateismo di Stato proclamato sin dalle Costituzioni dell’Unione Sovietica e dei suoi satelliti.
La ricerca storica più recente, capeggiata dal celebre docente tedesco Ernst Nolte, dimostra, documenti alla mano, che il nazionalsocialismo nasce come reazione al marx-leninismo: senza Lenin nel 1917, niente Hitler nel 1933. Senza il colpo di Stato di San Pietroburgo, l’ex imbianchino di Vienna avrebbe al massimo fatto l’ideologo in qualche stube di Monaco di Baviera per qualche oscuro gruppetto di fanatici. Mettere in guardia, a Fatima, dal comunismo che proprio allora nasceva, significava mettere in guardia dalle altre ideologie mortifere che sarebbero venute dopo di esso e per causa di esso. Il nazionalismo primo fra tutti.
Tra l’altro, Bianchi e Cardonnel sono incomprensibili anche quando denunciano che a Fatima si sarebbe manifestato «il Dio del razzismo cattolico, che si interessa solo dei suoi, della sua razza cattolica». Ma che discorso è mai questo? Per l’ateismo sovietico non c’erano zone franche, nel mondo religioso: a parte il fatto che la stragrande maggioranza delle vittime da Lenin sino a Gorbaciov (egli pure ebbe una giovinezza da persecutore) passando per Stalin, non furono cattoliche, ma ortodosse, i due dimenticano che nell’immensa Unione Sovietica erano presenti tutte le religioni. Così, i pope furono massacrati alla pari dei preti, dei rabbini, degli imam, dei maestri buddisti.
Lo stesso avvenne ovunque, nel mondo, il comunismo giunse al potere: nessuno scampo per chi non accettava il materialismo e non condannava la religione, tutte le religioni, come «oppio dei popoli». E questo cominciò proprio in quel fatale 1917, quando la Madonna diede l’allarme per una ideologia perversa, anche perché si presentava con un volto nobile, apparentemente evangelico (giustizia, liberazione, eguaglianza, fraternità), ma che avrebbe risvegliato tutti i dèmoni, compreso quel regime tedesco che si presenta, sin dal nome, come l’unione di nazionalismo e di socialismo.
Le apparizioni di Fatima, come tutte le altre pur ufficialmente riconosciute, non sono de fide, possono essere criticate e magari non accettate anche dai credenti. Purché, però, lo si faccia su basi più presentabili di queste.
Visto che parliamo di Fatima e di comunismo: viene giusto a proposito ricordare quanto avvenne a Vienna nel decennio tra il 1945 e il 1955. Mentre gli inglesi, esperti e pragmatici, avrebbero voluto contenere l’Urss a Est, l’insipienza americana fermò i suoi carri armati in vista di Berlino per permettere a Stalin di dilagare nell’Europa orientale, occupando anche l’Austria. Il Paese fu diviso in quattro zone, sul modello della Germania, ma quella riservata ai russi era la più importante e vasta, era quella dove stava la capitale stessa. Il ministro degli esteri, quel Molotov che aveva firmato il trattato con Hitler, permettendogli così di scatenare la guerra, disse e ripeté che Mosca mai si sarebbe ritirata da ciò che aveva occupato e tutti si aspettavano che, come a Praga e a Budapest, i comunisti organizzassero un colpo di Stato per andare da soli al potere nell’intera Austria. Le stesse cancellerie occidentali sembravano rassegnate. Opporsi significava quasi certamente una nuova guerra.
Ma non si rassegnò un francescano, padre Petrus che, tornato dalla prigionia proprio in Urss (e conoscendo quindi sulla sua pelle l’orrore di quel regime), andò in pellegrinaggio nel santuario nazionale austriaco, a Mariazell, per avere ispirazione sul che fare per la sua Patria. Lì, fu sorpreso da una voce interiore, una locuzione interna, che gli disse: «Pregate tutti, tutti i giorni, il rosario e sarete salvi». Buon organizzatore, oltre che sacerdote stimato, padre Petrus promosse una «Crociata nazionale del Rosario», nello spirito esplicito di Fatima, che in breve tempo raccolse milioni di austriaci, compreso lo stesso presidente della Repubblica, Leopold Figl. Giorno e notte, grandi gruppi si riunivano, spesso all’aperto, nelle città e nelle campagne recitando la corona e la stessa Vienna era percorsa da imponenti processioni mariane, sorvegliate con ostilità dall’Armata Rossa.
Gli anni passavano senza che l’occupazione cessasse, ma il popolo non si stancava di pregare la Madonna di Fatima. Ed ecco che nel 1955, all’improvviso, il Cancelliere austriaco fu convocato a Mosca, dove fu ricevuto al Cremlino dal Soviet Supremo. Qui, gli fu comunicato che l’Urss aveva deciso di ritirare le sue truppe e di ridare all’Austria la piena indipendenza. In cambio, si poneva una sola condizione, che le autorità del Paese che veniva liberato accettarono di buon grado: un impegno di neutralità che, tra l’altro, avrebbe portato grandi vantaggi a Vienna, facendola diventare la terza città delle Nazioni Unite dopo New York e Ginevra. I governi occidentali furono colti di sorpresa da una decisione del tutto inaspettata e unica, sia prima sia dopo: mai, come aveva ricordato Molotov dieci anni prima, mai l’Urss aveva accettato né avrebbe accettato di ritirarsi spontaneamente da un Paese occupato.
Furono stupiti politici, diplomatici, militari, nel mondo intero. Ma non si stupirono coloro che da anni pregavano con la «Crociata del Rosario»: in effetti, il giorno in cui la notizia del ritiro fu annunciata a Mosca al Cancelliere era un 13 maggio, l’anniversario dell’inizio delle apparizioni di Fatima. Tanto per completare il quadro, lo sgombero totale dell’Armata Rossa fu fissato dal governo comunista per l’ottobre: tra i generali russi (dispiaciuti di lasciare un Paese così bello e strategicamente così importante) nessuno, ovviamente, sospettava che proprio ottobre è, per la tradizione cattolica che risale ai tempi della battaglia di Lepanto, il mese del rosario.
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Quando i Giubilei erano solennizzati .......
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Il Sacco di Roma: un castigo misericordioso
Nella festa della Transvolazione della Santa Casa a Loreto, rilancio questo contributo del prof. De Mattei, pubblicato in lingua inglese dall’immancabile Rorate caeli.
Perugino, Madonna di Loreto tra i SS. Girolamo e Francesco d’Assisi, 1507, Victoria and Albert Museum, Londra |
Caravaggio, Madonna di Loreto o dei pellegrini, 1603-1605, Chiesa di S. Agostino, Roma |
Domenichino, Madonna di Loreto tra i SS. Giovanni Battista, Eligio ed Antonio abate, 1618, North Carolina Museum of Art, Raleigh |
Guercino, S. Bernardino da Siena in preghiera dinanzi alla Vergine di Loreto, 1618, Pinacoteca, Cento |
Antonio Liozzi o Ubaldo Ricci di Fermo, S. Nicola da Tolentino ha la visione la traslazione della S. Casa di Loreto, 1753 circa, Chiesa di S. Michele, Sant’Angelo in Pontano |
Josep Antonio de Ayala, La Famiglia Del Valle ai piedi della Vergine di Loreto con la Trinità ed i SS. Giuseppe e Francesco d'Assisi, 1769, Museo Soumaya, Città del Messico |
Il Sacco di Roma: un castigo misericordioso
di Roberto de Mattei
La Chiesa vive un’epoca di sbandamento dottrinale e morale. Lo scisma è deflagrato in Germania, ma il Papa non sembra rendersi conto della portata del dramma. Un gruppo di cardinali e di vescovi propugna la necessità di un accordo con gli eretici. Come sempre accade nelle ore più gravi della storia, gli eventi si succedono con estrema rapidità. Domenica 5 maggio 1527, un esercito calato dalla Lombardia giunse sul Gianicolo.
L’imperatore Carlo V, irato per l’alleanza politica del papa Clemente VII con il suo avversario, il re di Francia Francesco I, aveva mosso un esercito contro la capitale della Cristianità. Quella sera il sole tramontò per l’ultima volta sulle bellezze abbaglianti della Roma rinascimentale. Circa 20 mila uomini, italiani, spagnoli e tedeschi, tra i quali i mercenari Lanzichenecchi, di fede luterana, si apprestavano a dare l’attacco alla Città Eterna. Il loro comandante aveva concesso loro licenza di saccheggio.
Tutta la notte la campana del Campidoglio suonò a storno per chiamare i romani alle armi, ma era ormai troppo tardi per improvvisare una difesa efficace. All’alba del 6 maggio, favoriti da una fitta nebbia, i Lanzichenecchi mossero all’assalto delle mura, tra Sant’Onofrio e Santo Spirito. Le Guardie svizzere si schierarono attorno all’Obelisco del Vaticano, decise a rimanere fedeli fino alla morte al loro giuramento. Gli ultimi di loro si immolarono presso l’altar maggiore della Basilica di San Pietro. La loro resistenza permise al Papa di riuscire a mettersi in fuga, con alcuni cardinali.
Attraverso il Passetto del Borgo, via di collegamento tra il Vaticano e Castel Sant’Angelo, Clemente VII raggiunse la fortezza, unico baluardo rimasto contro il nemico. Dall’alto degli spalti il Papa assisté alla terribile strage che cominciò con il massacro di coloro che si erano accalcati alle porte del castello per trovarvi riparo, mentre i malati dell’ospedale di Santo Spirito in Saxia venivano trucidati a colpi di lancia e di spada.
La licenza illimitata di rubare e di uccidere durò otto giorni e l’occupazione della città nove mesi. «L’inferno è nulla in confronto colla veste che Roma adesso presenta», si legge in una relazione veneta del 10 maggio 1527, riportata da Ludwig von Pastor (Storia dei Papi, Desclée, Roma 1942, vol. IV, 2, p. 261).
I religiosi furono le principali vittime della furia dei Lanzichenecchi. I palazzi dei cardinali furono depredati, le chiese profanate, i preti e i monaci uccisi o fatti schiavi, le monache stuprate e vendute sui mercati. Si videro oscene parodie di cerimonie religiose, calici da Messa usati per ubriacarsi tra le bestemmie, ostie sacre arrostite in padella e date in pasto ad animali, tombe di santi violate, teste degli apostoli, come quella di sant’Andrea, usate per giocare a palla nelle strade. Un asino fu rivestito di abiti ecclesiastici e condotto all’altare di una chiesa. Il sacerdote che rifiutò di dargli la comunione fu fatto a pezzi. La città venne oltraggiata nei suoi simboli religiosi e nelle sue memorie più sacre (si veda anche André Chastel, Il Sacco di Roma, Einaudi, Torino 1983; Umberto Roberto, Roma capta. Il Sacco della città dai Galli ai Lanzichenecchi, Laterza, Bari 2012).
Clemente VII, della famiglia dei Medici non aveva raccolto l’appello del suo predecessore Adriano VI ad una riforma radicale della Chiesa. Martin Lutero diffondeva da dieci anni le sue eresie, ma la Roma dei Papi continuava ad essere immersa nel relativismo e nell’edonismo. Non tutti i romani però erano corrotti ed effeminati, come sembra credere lo storico Gregorovius. Non lo erano quei nobili, come Giulio Vallati, Giambattista Savelli e Pierpaolo Tebaldi, che inalberando uno stendardo con l’insegna “Pro Fide et Patria”, opposero l’ultima eroica resistenza a Ponte Sisto, né lo erano gli alunni del Collegio Capranica, che accorsero e morirono a Santo Spirito per difendere il Papa in pericolo.
A quella ecatombe l’istituto ecclesiastico romano deve il titolo di “Almo”. Clemente VII si salvò e governò la Chiesa fino al 1534, affrontando dopo lo scisma luterano quello anglicano, ma assistere al saccheggio della città, senza nulla poter fare, fu per lui più duro della morte stessa. Il 17 ottobre 1528 le truppe imperiali abbandonarono una città in rovina.
Un testimone oculare, spagnolo, ci dà un quadro terrificante della città un mese dopo il Sacco: «A Roma, capitale della cristianità, non si suona campana alcuna, non sì apre chiesa non si dice una Messa, non c’è domenica né giorno di festa. Le ricche botteghe dei mercanti servono per stalle per i cavalli, i più splendidi palazzi sono devastati, molte case incendiate, di altre spezzate e portate via le porte e finestre, le strade trasformate in concimaie. È orribile il fetore dei cadaveri: uomini e bestie hanno la medesima sepoltura; nelle chiese ho visto cadaveri rosi da cani. Io non so con che altro confrontare questo, fuorché con la distruzione di Gerusalemme. Ora riconosco la giustizia di Dio, che non dimentica anche se viene tardi. A Roma si commettevano apertissimamente tutti i peccati: sodomia, simonia, idolatria ipocrisia, inganno; perciò non possiamo credere che questo non sia avvenuto per caso. Ma per giudizio divino» (L. von Pastor, Storia dei Papi, cit., p. 278).
Papa Clemente VII commissionò a Michelangelo il Giudizio universale nella Cappella Sistina quasi per immortalare il dramma o che subì, in quegli anni, la Chiesa di Roma. Tutti compresero che si trattava di un castigo del Cielo. Non erano mancati gli avvisi premonitori, come un fulmine che cadde in Vaticano e la comparsa di un eremita, Brandano da Petroio, venerato dalle folle come “il pazzo di Cristo”, che nel giorno di giovedì santo del 1527, mentre Clemente VII benediceva in San Pietro la folla, gridò: «bastardo sodomita, per i tuoi peccati Roma sarà distrutta. Confessati e convertiti, perché tra 14 giorni l’ira di Dio si abbatterà su di te e sulla città».
L’anno prima, alla fine di agosto, le armate cristiane erano state disfatte dagli Ottomani sul campo di Mohacs. Il re d’Ungheria Luigi II Jagellone morì in battaglia e l’esercito di Solimano il Magnifico occupò Buda. L’ondata islamica sembrava inarrestabile in Europa. Eppure l’ora del castigo fu, come sempre l’ora della misericordia. Gli uomini di Chiesa compresero quanto stoltamente avessero inseguito le lusinghe dei piaceri e del potere. Dopo il terribile Sacco la vita cambiò profondamente.
La Roma gaudente del Rinascimento si trasformò nella Roma austera e penitente della Contro-Riforma. Tra coloro che soffrirono nel Sacco di Roma, fu Gian Matteo Giberti, vescovo di Verona, ma che allora risiedeva a Roma. Imprigionato dagli assedianti giurò che non avrebbe mai abbandonato la sua residenza episcopale, se fosse stato liberato. Mantenne la parola, tornò a Verona e si dedicò con tutte le sue energie alla riforma della sua diocesi, fino alla morte nel 1543.
San Carlo Borromeo, che sarà poi il modello dei vescovi della Riforma cattolica si ispirerà al suo esempio. Erano a Roma anche Carlo Carafa e san Gaetano di Thiene che, nel 1524, avevano fondato l’ordine dei Teatini, un istituto religioso irriso per la sua posizione dottrinale intransigente e per l’abbandono alla Divina Provvidenza spinto al punto di aspettare l’elemosina, senza mai chiederla. I due cofondatori dell’ordine furono imprigionati e torturati dai Lanzichenecchi e scamparono miracolosamente alla morte.
Quando Carafa divenne cardinale e presidente del primo tribunale della Sacra romana e universale Inquisizione volle accanto a sé un altro santo, il padre Michele Ghislieri, domenicano. I due uomini, Carafa e Ghislieri, con i nomi di Paolo IV e di Pio V, saranno i due Papi per eccellenza della Contro-Riforma cattolica del XVI secolo. Il Concilio di Trento (1545-1563) e la vittoria di Lepanto contro i Turchi (1571) dimostrarono che, anche nelle ore più buie della storia, con l’aiuto di Dio è possibile la rinascita: ma alle origini di questa rinascita ci fu il castigo purificatore del Sacco di Roma.
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